Libri > I Miserabili
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Autore: SmartieMiz    24/02/2015    4 recensioni
Sono tutti liceali così differenti tra loro con le loro passioni e i loro segreti, i loro sogni e le loro incertezze; eppure sono i perdenti, gli "sfigati", solo perché non seguono la massa o perché strani, "diversi" agli occhi altrui.
Solo perché c'è chi ama la propria patria. Chi la poesia. Chi la libertà. Chi l'amore.
[AU! Lycée; e/R - Jehan/Courfeyrac - Eponine/Combeferre - Marius/Cosette + other ships]
Rating dovuto alle tematiche trattate.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Courfeyrac, Enjolras, Eponine, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo X ~ Convegni miracolosi



«Courf, mi dispiace ma non posso venire più. Oggi sono inciampato a terra mentre andavo dai miei nonni e adesso mi fa male tantissimo la schiena. Credo che starò un paio di giorni a letto. Non vorrei inciampare nuovamente e rompermi un braccio!».
Sembrava una scusa ben costruita, ma Courfeyrac non aveva bisogno di sottoporre Bossuet ad un interrogatorio: quel ragazzo era semplicemente colpito dal malocchio sin dalla nascita. E poi si fidava di lui: Bossuet era sincero, se mai si fosse scocciato di uscire l’avrebbe detto senza problemi.
«Mi dispiace molto. Andrai all’ospedale?», s’interessò Courfeyrac, preoccupato.
«No, fortunatamente non è niente di grave, devo solo riposarmi un po’», spiegò Bossuet: «Ora devo staccare, serve il telefono a mia sorella. Ci sentiamo! Divertiti, caro».
«Grazie. Rimettiti presto!».
Non appena Courfeyrac attaccò il telefono di casa, il suo cellulare iniziò a squillare insistentemente. Lesse il nome di Joly sul display.
Courfeyrac alzò gli occhi al cielo: cos’altro doveva andar male quel sabato pomeriggio?
«Courf».
«Joly, hey!».
«Bossuet ti ha spiegato tutto, vero?».
«Sì, ho appena finito di parlare con lui».
«Bene, volevo dirti che praticamente non verrò alla conferenza perché andrò da lui a fargli un po’ di compagnia. Mi dispiace tantissimo! E poi devo controllare se si è rotto qualche osso, sai, non si sa mai… e se fosse qualcosa di grave? Deve andare all’ospedale!».
«Se si fosse rotto qualche osso credo che non camminerebbe più. Mi ha detto che non è niente di grave», fece Courfeyrac, poi aggiunse: «Comunque tranquillo. Grazie per avermi avvisato».
«Mi dispiace davvero! Poi mi dirai com’è il convegno», disse l’amico.
«Non ci andrò», rispose semplicemente Courfeyrac.
«Perché?».
«Da solo non ne ho voglia. Se fosse venuto un amico con me allora sì. Ma non preoccuparti!».
Joly si sentì in colpa. «Non puoi andare con Marius?».
«Ha da fare».
«Combeferre?».
«Glielo chiesi già quando presi i biglietti. Gli piacerebbe, ma deve studiare. Sì, Joly, studia il sabato per il lunedì».
«Enjolras?».
«Quando glielo chiesi esordì con un “Mai un convegno sulla politica e sulla Repubblica Francese e i problemi che l’affiggono, eh? Mi dispiace, ma non sono interessato, ho cose ben più importanti di cui occuparmi”».
«Bahorel, allora! Sicuramente non avrà niente da fare».
«Sicuramente si scoccia».
«Feuilly?».
«Lavora questo sabato».
Joly sospirò, poi venne illuminato da un’idea. «Inizia tra un’ora, vero?».
«Sì. Devo prepararmi ora o farò tardi…».
«Bene, tranquillo! Ti richiamo tra dieci minuti», disse Joly, fiducioso.
Quando ebbe finito di parlare con l’amico, Courfeyrac sospirò. Aveva prenotato i posti per quel convegno già due settimane prima: nessuno dei suoi amici era interessato a partecipare oppure semplicemente avevano già altri impegni; soltanto Joly e Bossuet si erano dimostrati disponibili, forse per pietà.
Courfeyrac non aveva nemmeno pensato di chiedere ad Alain, Pierre e Vincent e agli altri suoi amici a scuola; quel convegno era come qualcosa di segreto. Era una conferenza su una delle sue più grandi passioni e non gli piaceva condividerle con gli altri; soltanto i suoi amici più stretti lo sapevano.
 
Quel sabato pomeriggio Grantaire stava dipingendo qualcosa quando ricevette improvvisamente la telefonata di Joly, uno degli amici di Enjolras. Non si sorprese più di tanto: in quei giorni Grantaire, grazie alla sua spigliatezza e al suo carattere, era riuscito a mantenere i contatti con diversi amici di Enjolras e ad instaurare un buon rapporto.
«‘Taire? Come va?».
«Joly, hey! Direi bene. Tu?».
«Bossuet è caduto oggi e ha mal di schiena, andrò di persona a controllare se si è fratturato qualcosa», rispose Joly, quasi con tono professionale: «Per quanto riguarda me, ho un mal di gola allucinante e non mi separo più dalla mia sciarpa, neanche la notte».
Grantaire aggrottò le sopracciglia. «Mi dispiace per te, e anche per Bossuet! Fammi sapere come sta».
«Lui ritiene di non avere niente di grave, ma non sa quello che dice. Bisogna fare una diagnosi accurata per poter trarre delle conclusioni», fece Joly, serio, poi disse: «Praticamente volevo dirti che abbiamo dovuto declinare l’invito di Courfeyrac per un convegno. Ha già preso i biglietti e ci sono due posti liberi. Mi chiedevo se ti farebbe piacere venire al posto mio!».
«Un convegno? Su cosa? Sul vino?», domandò Grantaire, incuriosito.
«No, un convegno sulla storia del cinema francese negli anni ‘30-‘40».
Grantaire strabuzzò gli occhi. «Non mi sembra roba da Courfeyrac», disse.
«Lo so, diciamo che è la sua passione segreta e non gli piace condividerla con altri, quindi acqua in bocca. Ci saremmo dovuti incontrare tra un’ora al Musain e poi saremmo andati insieme a questa conferenza».
«Al Musain? Ma avete un rapporto morboso con quel posto!».
«Tutta colpa di Enjolras», rispose Joly con una risata: «Allora? Che ne dici?».
«Ti faccio sapere», rispose il ragazzo: «Hai detto due posti liberi, vero?».
«Sì».
«Chiedo pure a Jehan, credo sia interessato».
«Perfetto!».
 
«Cooosa?».
Jehan non credeva alle sue orecchie: due posti liberi per un convegno sul cinema. Con Courfeyrac. Gli sembrava tutto uno scherzo.
«È come ti ho detto», fece Grantaire: «Allora? Hai da fare?».
«No, ma ci devo pensare. Non sono pronto psicologicamente, insomma… ci sarà Courfeyrac! Non ci credo!», cinguettò Jehan.
Grantaire si contenne e trattenne le risate: Jehan sembrava decisamente una ragazzina alla sua prima cotta.
«Non c’è niente a cui pensare, già è tardi. Mettiti qualcosa addosso ed esci», gli suggerì Grantaire.
«Ma se ci pensi è come se fossimo le ruote di scorta... Courfeyrac non aveva di certo preso i biglietti per noi due…».
«Ma che ti frega! Non iniziare a farti paranoie! Approfitta della cosa!», lo esortò l’amico.
«Va bene! Non ci credo!», continuò a dire Jehan felice, più a se stesso che a Grantaire: «Allora? Alle cinque in punto al Musain?».
«Sì. Ci vediamo dopo».
 
Eponine stava incominciando ad odiare con tutta se stessa il sabato: Montparnasse monopolizzava casa sua quel giorno, e non era solo: casa Thénardier veniva occupata da Babet, Gueulemer e Claquesous. Quei quattro, inseparabili, erano amici di suo padre.
Il sabato pomeriggio Eponine si chiudeva in camera dato che non voleva vedere nessuno, eccezion fatta per Azelma e Gavroche; tuttavia, quel sabato Montparnasse s’infiltrò nella stanza della ragazza.
«Avresti potuto bussare!», sbraitò Eponine, alzandosi dal letto.
«Perché? Mi avresti aperto? Non credo», rispose Montparnasse, ironico.
Eponine boccheggiò qualcosa. Il ragazzo sorrise, trionfante.
«Cosa vuoi?», sbottò lei.
«Niente, devo andare. Volevo semplicemente salutarti», fece lui: «ma a quanto pare la signorina qui presente non gradisce la mia presenza…».
«Ti fai vedere sempre nei momenti meno appropriati», rispose lei.
«Ma allora non devo farmi vedere mai, se la pensi così. Non credi, piccola Thénardier?».
«Mi chiamo Eponine», disse lei, freddamente.
Montparnasse si limitò a sorridere, sornione, poi si avvicinò a lei. La fissò con un’espressione che Eponine avrebbe giurato di non aver mai visto sul suo volto: sembrava serio se non addirittura preoccupato, e ciò la spaventava.
«Perché mi guardi in questo modo?», domandò Eponine, sostenendo il suo sguardo.
«Perché sei così fredda?», chiese lui di rimando: «Eri così sorridente un tempo».
Eponine accennò un sorriso nostalgico. «Anche tu lo eri. Sei cambiato un sacco».
«Sono ancora più bello, lo so».
La ragazza sbuffò. «Non metto in dubbio la tua bellezza. Piuttosto…».
«… anche tu sei cambiata», la interruppe lui: «Ti ho fatto qualcosa? Non mi risulta».
«Perché stai venendo quasi tutti i giorni a casa mia?», chiese Eponine: «Cosa vuole mio padre da te? Cosa vuole da tutti voi?».
«Mi sembrava di aver capito che non volessi avere niente a che fare con i nostri affari».
«E infatti non voglio esserne coinvolta, ma ho il diritto di saperne almeno qualcosa!», scoppiò Eponine: «Non posso continuare ad andare avanti così… non sto capendo più niente…».
Montparnasse non le rispose. Eponine aveva gli occhi lucidi, stanchi e arrabbiati.
«Cos’è più importante per te? La famiglia o il resto del mondo?», le chiese improvvisamente il giovane.
«Ma che domanda è?», fece lei.
«Rispondi».
Eponine tirò su col naso. «La famiglia… se solo ce l’avessi ancora».
Montparnasse annuì, lentamente. «Ne parlerò con tuo padre e vedremo cosa fare».
«Non c’è niente da fare!».
Il ragazzo abbassò il cappello ossequiosamente: «Devo andare. Au revoir, mademoiselle».
 
Grazie a Joly, Courfeyrac aveva trovato qualcuno che potesse andare a quel convegno al posto suo e di Bossuet. Grantaire e Jehan non erano proprio suoi amici intimi, ma Courfeyrac era aperto con tutti; d’altronde, Grantaire era una persona simpatica e Jehan era solo un po’ riservato, ma non era male.
Alle cinque precise, Jehan era fuori al Musain.
«Arriveranno», sussurrò Jehan tra sé e sé, sistemandosi meglio la sciarpa per proteggersi dal freddo autunnale.
Con molta pazienza attese gli amici. Riuscì a scorgere la figura di Courfeyrac dopo circa dieci minuti.
«Ciao!», lo salutò Courfeyrac con un sorriso. Non diede nemmeno il tempo a Jehan di rispondere per dire subito: «Non so come ringraziarti! Se anche tu e Grantaire aveste rifiutato, credo che sarei arrivato a strapparmi i capelli! Ah, e scusami per il ritardo! Ti ho fatto aspettare un sacco di tempo, scusa!».
Jehan non riuscì a dire niente, sottoposto a mille emozioni diverse e contrastanti. Sorrise, semplicemente.
Il cellulare di Jehan squillò. «Deve essere Grantaire», asserì il ragazzo: «Scusami un momento».
Jehan rispose alla chiamata. «‘Taire? Stiamo al Musain, ti stiamo aspettando. Tu dove sei?».
«A casa».
«Sei almeno pronto?», chiese Jehan, sgranando gli occhi.
«No, non verrò. Un giorno mi ringrazierai».
Grantaire si era appena vendicato per la “storia” della biblioteca. «Grantaire… ti prego…».
«Nah, non devi ringraziarmi! Lo sai che lo faccio per te. Poi mi farai sapere come bacia! Mi raccomando eh! Ti telefono stasera. Buona fortuna».
Grantaire lo abbandonò. Jehan era rosso come un peperone: non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia Courfeyrac dopo quelle parole.
Tutto quello scompiglio significava soltanto una cosa: Jehan sarebbe rimasto solo con Courfeyrac.
Una specie di primo appuntamento ad insaputa di tutti.
Quei pensieri di certo non aiutarono il giovane poeta a tranquillizzarsi e a fare pace con se stesso.
«Jehan? Tutto bene?», fu proprio Courfeyrac a riportarlo sul pianeta Terra.
Jehan si voltò verso di lui. «Grantaire ha dato buca», disse, semplicemente: «Mi dispiace…».
Courfeyrac scosse il capo. «Non fa niente! Va bene lo stesso», lo rassicurò, poi aggiunse: «Meglio se ci incamminiamo, però».
 
Ormai Marius e Cosette si vedevano quasi tutti i giorni: quel sabato si ritrovarono nel parco a mangiare un gelato.
Marius era diventato inconsapevolmente più allegro e distratto; Cosette era diventata più intrepida e ancor più radiosa.
Il ragazzo non smetteva di incantarsi ogni volta che Cosette parlava: lo faceva sempre con un sorriso e con un’estrema dolcezza. Era semplicemente pazzo di lei.
Marius era sicuro di essere innamorato della ragazza; non aveva mai provato una sensazione del genere prima d’ora con qualcun’altra.
«Marius? Mi stai sentendo?», chiese d’un tratto lei.
Marius tornò alla realtà. Si grattò la testa, nervosamente. «Ehm… scusa. Stavo pensando», rispose, timidamente.
«A cosa pensavi di così interessante da snobbarmi in questo modo?», disse lei, giocosamente.
 A quanto sono pazzo di te, pensò Marius.
«A quanto sei bella. E dolce. E gentile. E intelligente. E solare. Sei semplicemente meravigliosa. Questo è tutto ciò che penso di te».
Marius parlò a raffica, infervorato. Cosette sorrise teneramente. «Questo è quello che pensi di me?», disse, con due occhi pieni di luce.
«S-sì».
«Ed è esattamente ciò che penso anch’io».
Cosette si protese leggermente in avanti e si alzò in punta di piedi per avvicinare le proprie labbra a quelle di Marius, sigillandole con un tenero bacio.
Marius allentò la presa e lasciò cadere a terra il proprio gelato. Arrossì terribilmente, sentendosi incredibilmente stupido: aveva persino sporcato le scarpe di Cosette.
«S-sono mortificato!», blaterò, cercando disperatamente un pacchetto di fazzolettini – che non aveva – nelle tasche dei pantaloni. «Sono un disastro, solo io posso fare certe figure e…».
Cosette rise, spensierata. «Non importa. Oh dimenticavo che sei anche estremamente buffo. E adorabile».
Marius finalmente sorrise, sentendosi più leggero e ridendoci su. «Ti ricomprerò le scarpe».
«Assolutamente no», fece lei, divertita: «Incidenti di percorso. Possono capitare!».
Anche se rosso e pieno di vergogna, il dolce sorriso che si era increspato sulle labbra di Marius non era svanito ancora.
Era felice.
 
Alle cinque e mezzo i ragazzi erano nella villa pubblica dove di lì a poco si sarebbe tenuta la conferenza. Si sistemarono in una saletta nei loro appositi posti.
«Potrebbe sembrare una cosa noiosa, ma non lo è», sussurrò Courfeyrac a Jehan: «La prima volta ci andai con Marius… si addormentò».
«Non preoccuparti, le trovo affascinanti queste cose», rispose Jehan, sincero: «Il cinema è arte a tutti gli effetti. Non può non piacermi!».
La conferenza era divisa in due parti. La prima parte durò un’ora, poi ci fu una pausa nella quale gli spettatori potevano comprare libri e dvd o semplicemente andare qua e là.
«Quindi esistono diverse versioni de “L’Atalante” di Jean Vigo», conversò Courfeyrac.
«Sì. La pellicola è andata perduta durante la guerra», rispose Jehan, attenendosi alle informazioni appena acquisite.
Courfeyrac e Jehan parlarono animatamente, finché non vennero interrotti da una signora che chiese loro: «Sapete quando riprende il convegno?».
Courfeyrac si voltò. «Nonna!», esclamò, sorpreso: «Non credevo ci fossi anche tu!».
«Sono interessata a queste cose. In quegli anni persino io non ero ancora nata!», rispose la signora con una risata.
«Il nonno?», chiese il ragazzo.
«Non è voluto venire. Non sa cosa si perde! Beh, peggio per lui!», rispose la donna, accigliata, poi si voltò verso Jehan e gli sorrise: «E chi è questo bel giovanotto?».
«Jean Prouvaire, signora», rispose il ragazzo, arrossendo lievemente.
«Suvvia, chiamami Amélie! Mi fai sentire vecchia», rispose lei, divertita, stringendogli la mano.
«Nonna, ma tu sei vecchia», obiettò Courfeyrac.
La donna lo fulminò con lo sguardo. «Come sei ingrato, nipote! A sessantacinque anni si è vecchi?».
«Si è vecchi soltanto quando si pensa di esserlo», asserì Jehan.
«Ben detto, ragazzo!», sorrise Amélie.
Jehan ebbe la pensata di andar via e di lasciar parlare nonna e nipote. Incominciò a sentirsi di troppo, nonostante la calorosità e la gentilezza dimostrata da entrambi.
«Scusate, non è che sapete dove sono i bagni? Torno subito», chiese Jehan, timidamente.
«Di là, caro, a destra», rispose la nonna di Courfeyrac indicandoli.
«Grazie». Non appena Jehan andò via, l’anziana signora si rivolse al nipote con un sorriso.
«Non vedi che amabile figliolo?».
«Sì. È gentile», disse Courfeyrac, semplicemente.
«Ma mica solo gentile! Sembra così dolce ed educato, e perlopiù è anche un bel ragazzo!», sottolineò lei.
«Nonna, ha diciassette anni e tu sei una donna già sposata», scherzò il ragazzo.
«Ma cosa dici? Non potrei mai! Piuttosto, avrà un sacco di pretendenti», ammiccò sua nonna.
«In realtà oggi più sei buono e gentile, meno vieni apprezzato. È paradossale ma è così», asserì Courfeyrac, ripensando a ciò che dicevano i suoi amici su di lui.
Jehan era malvisto da molti, solo perché era diverso. Aveva passioni singolari ma non per questo meno importanti, ed era buono come il pane. Perché mai si erano accaniti contro di lui? Perché forse era innamorato di un ragazzo e non di una ragazza come loro? Courfeyrac non riusciva a concepire quel pensiero così retrogrado.
«Come l’hai conosciuto?».
«Ad un incontro al Musain con i nostri amici», rispose Courfeyrac: «Frequenta la mia stessa scuola».
«Comunque davvero grazioso», continuò sua nonna: «Cosa ne pensi?».
Courfeyrac sospirò, sentendosi in estremo imbarazzo. «Nonna, mi piacciono le ragazze, non potrei mai pensare a lui in un altro modo…».
«Non ti ho mica chiesto di pensare a lui in un altro modo. Sei tu che l’hai pensato!», rise sua nonna.
Jehan arrivò proprio in quel momento. Courfeyrac era rossissimo in volto a causa della conversazione appena avuta con sua nonna. Si dileguò con una scusa. «Scusate… torno subito», disse, dirigendosi verso il bagno.
Amélie scosse il capo, divertita. «Courfeyrac, è sempre lui», disse con un sorriso: «Che cosa ne pensi di mio nipote? È uno spudorato, vero?».
Jehan ridacchiò. «Ma no», disse: «È molto simpatico».
Quando Courfeyrac tornò qualche minuto più tardi, notò che sua nonna e Jehan conversavano amabilmente, completamente a loro agio, come se fossero amici di vecchia data.
«L’Italia è tutta meravigliosa, ma la meta che preferisco è assolutamente Firenze. Una città d’arte e cultura… Firenze pullula di splendore! La patria dei poeti, degli scrittori… degli artisti! Senza parole, davvero».
Jehan, affascinato, ascoltava quella donna parlare dei suoi viaggi con occhi pieni di meraviglia.
«Lì ho scritto la mia prima raccolta di poesie. Ero particolarmente ispirata», continuò Amélie.
«Anche voi scrivete poesie?», chiese Jehan, appassionato.
«In realtà sono una scrittrice di gialli, ma di tanto in tanto mi piace comporre versi».
«Io vi stimo. Davvero! Siete la prima persona che conosco a cui piace scrivere», sorrise Jehan.
«Che carino che sei, figliolo. Mi farebbe davvero piacere se un giorno mi facessi leggere qualche tuo componimento», fece lei, entusiasta: «Solo se lo vuoi anche tu, ovviamente».
Jehan, un po’ rosso in viso, annuì energicamente.
 
«Amo tua nonna», esordì Jehan quando uscirono dalla villa.
«Ho notato, c’è un certo feeling. Anche lei ama te», rise Courfeyrac.
Jehan sorrise. «Non scherzo: ti adora», continuò Courfeyrac: «e ti trova anche carino».
Jehan rise, spensierato. Non si era mai sentito così bene e anche un tantino imbarazzato allo stesso tempo.
«Comunque è stata una conferenza davvero interessante. Come mai proprio il cinema?», chiese Jehan, incuriosito.
«Mi affascina, basta pensare che sin da piccolo facevo i video ai miei pupazzi e ai supereroi dei miei fumetti preferiti e poi aggiungevo gli effetti al computer. Avevo solo cinque anni e già ero idiota», rise Courfeyrac.
Jehan sorrise, intenerito. «Non è affatto una cosa idiota. Se una cosa ti piace non sarà mai banale. E poi io ho iniziato scrivendo filastrocche», disse dolcemente, poi domandò: «Farai cinematografia l’anno prossimo, quindi?».
«Ma no. È solo una passione. Un hobby, insomma. Farò Diritto. Sarò un avvocato, proprio come mio padre e mio nonno. Si spera!», rispose il ragazzo con sicurezza. Tuttavia, Jehan notò che una certa tristezza traspariva dai suoi occhi sempre allegri.
«Tu?», chiese Courfeyrac: «Sai già cosa farai?».
«Non so. Mi piacerebbe molto Letteratura, ma anche Lingue», fece Jehan: «Amo scrivere ed è il mio sogno più grande poter continuare a farlo, ma allo stesso tempo amo anche le lingue. Forse le imparerò per passione, magari da autodidatta. E non scriverei soltanto, ma viaggerei per tutto il mondo. Poi mi piacerebbe avere dei bambini, e insegnerei loro molte cose. E farei viaggiare anche loro, perché viaggiare è meraviglioso e ti apre la mente a nuove culture…».
Courfeyrac non gli aveva chiesto di parlare della storia della sua futura vita e di tutti i suoi progetti, ciononostante ascoltò con interesse e ammirazione quel ragazzo così dolce e così sognatore.



 


 
Angolo Autrice


Buon pomeriggio a tutti!
Io non so più che fare con me stessa(?) Sono passati circa 5 mesi che non aggiorno questa fanfiction (e mica solo questa!) e ciò che posso dire è che mi dispiace tantissimo e che capirò perfettamente se non avrete più voglia di leggerla. E' stato ed è ancora un periodo un po' difficile tra scuola e impegni vari... un terzo anno di fuoco! XD Diciamo che questo periodo non è ancora passato, ma sto cercando di ritagliarmi qualche attimo :D
Quindi mi scuso ancora una volta, e spero di ritardare al massimo di un mese invece di cinque mesi XD
Il capitolo era già scritto da mesi ormai, ma soltanto ora ho aggiunto e aggiustato delle cose.

Per quanto riguarda la guest star del capitolo... signore e signori... la nonna di Courfeyrac! <3 Io l'adoro, non so voi XD
Per quanto riguarda il messaggio ricevuto da Courf nello scorso capitolo ancora non sappiamo l'emittente ;)
In questo capitolo abbiamo un incontro-scontro tra un'Eponine frustrata e confusa e un Montparnasse ancor più misterioso. Non è finita qui XD
E poi... *rullo di tamburi* finalmente Cosette bacia Marius! E' stato troppo presto? Non saprei, ma sappiamo tutti che sono anime gemelle e personalmente non mi meraviglierei se già hanno capito di essere follemente innamorati l'uno dell'altra :D (e poi mi piaceva rievocare un po' il romanzo, dato che nel libro finiscono per innamorarsi a prima vista e il resto è storia <3).
Jehan e Courf non mi esprimo... dico semplicemente che li amo e boh, chissà cosa ci riserverà in futuro(?) ;)
Grantaire ed Enjolras torneranno, non so bene quando e come ma in futuro cercherò di concentrarmi su di loro! (e anche su Les Amis in generale)
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono <3
A presto!
SmartieMiz
   
 
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