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Autore: anqis    24/02/2015    2 recensioni
Zayn ha venticinque anni e sta cercando di abituarsi alla vita, quella vera: la mattina corre, ascolta Kanye West sul suggerimento di sua sorella e il venerdì prende il tram in direzione dell'ospedale, perché di notte il dolore si accende insieme ai lampioni e sua madre insiste, nonostante le proteste.
Il dottore è un idiota.
Ti piace, eh?

Liam non è cosciente di queste discussioni mattutine, ma è piuttosto consapevole di non piacere molto al suo paziente - forse quasi per niente - soprattutto quando si impunta perché prenda parte alle sedute psicologiche. L'altro rifiuta sempre, ma continua a presentarsi agli appuntamenti e allora si accontenta. Non sa che questi incontri sono l'unica cura di cui ha veramente bisogno Zayn.
Louis invece vorrebbe lasciare quelle mura di polistirolo e tornare a guidare la sua nuova auto, appena ottenuta con la promozione. E' stanco dell'odore di malato che impregna le lenzuola che non gli hanno ancora cambiato, stanco del pigiama leopardato che Niall non ha ancora pensato di sostituire, di Niall stesso che lo visita solo per disperarlo e di quei fiori che vengono cambiati ogni giorno dalle mani gentili di Harry. Forse però di lui non è stanco.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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White

01
(life)



A diciassette anni, Zayn lascia la graffite e i fogli sporchi di residui di gomma per gli anfibi e i calli dell'accademia militare. 
"Ti formerà il carattere" gli dice suo padre sullo stipite della porta, negli occhi scuri la determinazione che Zayn non ha mai (di)mostrato di aver ereditato, insieme alle restanti qualità che sono passate direttamente alle sorelle, sorvolando sull'unico figlio maschio della famiglia. L'unico in cui Yaser riponeva particolari aspettative e da cui ha ricevuto in cambio solo delusioni. 
Sin dalla gravidanza, Yaser  sognava partite di calcio nel fango, risse di cui rimproverarlo, birre scadute del sabato sera, ma suo figlio non fu mai quel genere di bambino: Zayn preferiva l'ombra della veranda all'asfalto torrido delle strade, le magliette a righe pulite e profumate e accettava di sporcarsi le mani solo del colore delle tempere. 
Non mancarono comunque i tentativi, i biglietti delle partite allo stadio per il compleanno e la finta felicità di Zayn che avrebbe voluto soltanto un nuovo set di matite colorate - che sua madre Tricia faceva comunque trovare sotto le coperte -, con le domeniche al parco e il malumore di entrambi di ritorno, sollevato solo dal pollo al forno di Tricia; e ve ne furono tante altre fin quando Yaser smise di guardarlo negli occhi quando Zayn gli disse di essere omosessuale. 
Per questo, quando suo padre lo informa della sua decisione, Zayn non reagisce, limitandosi a mantenere gli occhi spenti - leggimi, capiscimi per una volta - nei suoi, costringendosi a mantenere segreto ancora una volta la rabbia e la sua delusione. Yaser annuisce e lo lascia da solo, ma neanche l'intimità delle pareti di camera sua sono un rifugio sicuro per le sue lacrime. Solo le braccia di Tricia, la notte tarda, diventano culla del suo pianto perché Zayn aveva una vita in programma, la sua vita, quella che suo padre non ha mai preso in considerazione.




Gli anni dell'Accademia, alla fine sulla premessa del padre, si rivelano effettivamente di formazioni. Al carattere docile di Zayn vengono accostate nuove qualità: la determinazione, il facile adattamento, il rispetto, il sangue freddo e l'impulsività come unica via di fuga su cui contare nelle più estreme delle situazioni. Il corpo esile di Zayn comincia a prendere conoscenza delle proprie potenzialità, i muscoli lavorano sotto il peso dei vestiti fradici e dello sforzo delle corse mattutine, le mani si disegnano di calli e di graffi, le spalle prendono forma, ma nulla sul viso di Zayn cambia: la calma domina i suoi lineamenti anche con un fucile caricato sulla spalla e il vento negli occhi.  
Torna a casa solo l'estate del primo anno, consapevole sul treno verso l'accademia del perdono che non vuole concedere a suo padre. E un ultima volta, alla fine dei tre anni, per comunicare alla famiglia la decisione di partecipare alla missione in Afghanistan. Nulla lo convince di mancare alla sua scelta, non le lacrime di sua madre, non i pugni di Safaa contro il petto, nè lo sguardo di profondo pentimento che colora gli occhi chiari, chiari di lacrime trattenute, di suo padre.
"No. Non mi guardare così. Io non lo faccio per te" gli dice soltanto, prima di lasciare la stazione e la città in cui è cresciuto tra fogli strappati e palloni segretamente sgonfiati. 




La notte è silenziosa. 
La luna, alta nel cielo, gioca a guardia a ladri trovando riparo dietro le nuvole. Uno spicchio illumina loro il cammino, ma non un uomo della comilitiva azzarda un passo su quella Terra che dovrebbe essere casa, ma è invece zona nemica. Una duna di sabbia nasconde loro l'orizzonte e ad esso, le loro stesse sagome. I respiri si ammassano gli uni sugli altri, i battiti diventano unico concerto e i pensieri sono sfondo bianco. 
Zayn si morde forte le labbra, sul palato il sapore del sangue e sulla punta della lingua quello insipido della sabbia che il vento gli ha lasciato sulla bocca. Chiude gli occhi quando si rende conto delle nocche sbiancate e dell'impronta del grilletto nel palmo della mano, e conta le grida del cuore sotto la pelle. Uno, due, tre, cinque, dodici. Gli bastano e non si può concedere ulteriore tempo, perché vede il segnale ed è ora. Ora di attaccare.
Strisciano mascherandosi dietro i sospiri del vento, occhi bianchi e pupille dilatate che comunicano per sguardi e l'accampamento nemico si avvicina come la mano al fuoco. Allora, abbraccia l'arma tra le mani, compagno fedele, ed è giunto il momento di decidere i ruoli: chi la mano, chi il fuoco.
Non c'è un fischio di inizio, un'allarme che indichi l'inizio dei giochi, perché la guerra non è determinata da una data, da un'ora. La guerra è sotto la pelle, come il più bastardo viscido parassita che si nutre dell'odio altrui e cresce fino a scoppiare. Non si conosce l'esatto istante in cui trova radici nella carne, quel metaforico inizio è solo il troppo tardi. Ma tardi è quando Zayn, tra le grida dei feriti in lingue che dovrebbero comunicare, non farsi la guerra, voltandosi verso Jack - "Non devi guardare nessuno in faccia, ricordalo" "Sì, signore"  - non vede quella bocca di fuoco puntata verso di lui, ma solo lo sgomento nel viso del suo compagno. C'è sorpresa, delusione, tristezza e Zayn capisce che qualcosa non va perché nell'arco di pochi secondi riesce a cogliere ogni singola sfumatura dei suoi occhi azzurri - non aveva mai notato il colore delle sue iridi. Poi la sua fidata arma tocca terra, seguita dalle sue ginocchia e le sue dita incontrano il rosso del sangue che pare nero alla luce della luna, la quale adesso tornata a far loro visita, sorride tagliente. Zayn pensa solo a come una volta le sue mani si sporcavano soltanto di inchiostro. 
Grazie dei colori, mamma. 




Quattro giorni dopo, quando si sveglia, la prima immagine a cui assiste è il lenzuolo bianco del letto affianco che scivola e copre il viso pallido di Jack. Sembra quasi che stia dormendo.
Lo portano via subito, liberando le coperte ancora calde per il prossimo ferito.
Zayn non piange, chiude gli occhi e si concentra sui sussurri del suo cuore, mentre altri smettono per sempre di parlare.
Tu-tum, tu-tum, ti ascolto. Non smettere.




Lo mandano a casa. Zayn vorrebbe lottare per rimanere, ma il suo corpo non glielo permette: lo caricano di un borsone che raccoglie ciò che rimasto dei suoi averi, promettendogli una pensione come reduce infidamente insufficiente per sostenere le spese di una vita in città. Zayn riceve una chiamata da sua madre e capisce che è arrivata l'ora di tornare a casa.
Pensa non sia una scelta così errata, quando impressa la prima impronta degli anfibi sulla sentiero verso casa, tra le sue braccia stringe già le sue sorelle. Il borsone e la polvere della guerra cadono sull'erba fresca, viva. Viva come il viso di sua madre e gli occhi di suo padre.
"Bentornato, figliolo" lo accoglie Yaser cingendogli le spalle in un abbraccio goffo a cui Zayn non ce la fa proprio a tirarsi indietro. 
"Non te ne andare" è invece ciò che dice invece Tricia, costringendolo ad abbassarsi alla sua altezza. Zayn sorride e affonda il viso nella sua spalla, come di abitudine. Inspira profumo di bucato e odore di forno, invece che polvere da sparo. "Mai più."




I primi giorni crede veramente di potersi abituare a questa vita. Si sveglia ancora presto per abitudine, ma al caldo e sulla sua testa c'è un soffitto solido, non il tessuto verde di una tenda colpita e scossa da intemperie. 
Non rimane mai molto a letto, preferisce svegliarsi e andare a correre, litigando e perdendo contro l'ultimo iPod regalatagli da Doniya per il suo ritorno. Ha chiesto a Waliyha di aggiungere le sue canzoni e dopo un attimo di incertezza, lei ha accettato, realizzando che suo fratello non avesse la più pallida idea di ciò che nel frattempo aveva avuto luogo nel mondo.
Zayn arriccia le labbra quando riconosce l'ennesima canzone di Drake, manda avanti e si lascia trascinare dal ritmo confuso di No Church In The Wild che gli sveglia un tumulto nel petto. 
Quando entra in casa, trova Safaa seduta un cucina con una ciotola di cereali. Si libera delle cuffie e sente sua sorella chiedergli con voce bassa, ma tono allarmato: "Cosa succede?"
A quella domanda, Zayn solleva il capo di scatto, ma ci sono solo gli occhi grandi e preoccupati di Safaa concentrati sul suo viso. Si accorge solo incontrando il proprio riflesso sul vetro delle credenze, della fronte aggrottata, degli occhi assottigliati e delle narici dilatate. Si tocca la mascella nell'abbassare lo sguardo ed evitare quell'immagine, rilassandola di conseguenza e soffocando la tensione con una risata fasulla. 
"Niente" mormora lasciando in fretta la stanza per salire le scale. 
Zayn capisce che la guerra non l'ha ancora abbandonato, ma è ancora lì presente, aggrappata sotto la pelle. Affamata. 
Quella sera, gli incubi lo vengono a trovare e decidono di fermarsi per più notti. Sogna Jack con gli occhi azzurri e i lineamenti meno marcati, la pelle del viso pulita ma rigata dalle lacrime. Piange come un bambino con il naso bagnato e le guance che si fanno sempre più rosse: Zayn si offre alle sue braccia, lo cinge e cerca di consolarlo, ma non serve a niente, i singhiozzi si fanno ancora più insistenti fin quando si interrompono d'improvviso. Confuso, cerca di allontanarlo da sè e dopo un iniziale opposizione, l'altro si scosta. Ma Jack ha gli occhi chiusi e le vene blu che percorrono le pelle bianca cadaverica. Scivola come un sacco dalle sue braccia.
Si sveglia in un bagno di sudore, immobile e costretto al materasso. I muscoli sono rigidi e bloccati dalla paura che sente bruciargli le vene, attraversati da un ronzio che copre ogni suono - dove sei? Batti. Trascorrono minuti, forse ore, prima che riesca a riprendere controllo del proprio corpo. Le dita cominciano ad aprirsi e chiudersi nel palmo, le gambe si muovono e il petto non sembra più un palloncino sul punto di scoppiare. Tutto pare tornare alla normalità, ma tutto quel dolore statico e apatico si converte in un unico punto: nella spalla perforata. E la stessa pallottola che ha assaggiato il sapore del suo sangue e la consistenza della sua carne, brucia sulle pelle, appesa al collo come ricordo di ciò a cui è sopravvissuto e gli ha concesso di tornare a casa vivo. Colorato e non bianco. 



Sua madre lo costringe a prendere appuntamento con un dottore. Zayn protesta, ma si arrende perché Tricia non accetta discussioni. Così si trova seduto su un tram, con l'ultima canzone di Beyoncé che gli fa picchiettare la suola della scarpa a terra e il primo pacchetto di sigarette da quando è tornato. Non può sopravvivere ad una visita medica senza. 
È giocando con l'accendino nell'altra tasca che non si accorge di essere fermo nel traffico da più di cinque minuti. 
"Un incidente" dice a voce alta una signora che pure Zayn riesce ad udirla. 
Distrattamente concede l'orologio da polso di un'occhiata e constata che forse non ce la farà in tempo. Un ghigno inconsapevole, il primo della giornata, si stampa sulle sue labbra e due ragazzine del liceo prendono a ridacchiare guardandolo di sottecchi. 


 
<>


Louis non sta prendendo seriamente in considerazione l'idea di licenziarsi. No, certo che no, non fresco fresco di promozione. Non adesso che si può permettere un'auto di pattuglia, con tanto di sirene e porta ciambelle - perché sì, è in dotazione. La bicicletta l'ha venduta, non si torna indietro.
Ma quando Ashton riprende a ridere dell'ennesima sua battuta a cui non ha prestato attenzione, nel sedile accanto al suo, Louis si lascia stuzzicare dall'idea di gettarsi dall'auto in corsa e lasciare che quello si schianti contro un muro. 
Stringe le dita attorno al volante e cerca di concentrarsi sulla voce trasmessa dalla radio centrale, sperando in una distrazione in grado di zittire quella acuta del suo compagno di squadra. Perché ovviamente, in dotazione all'auto c'era incluso un altro sedere che avrebbe approfittato della pelle morbida. Louis era consapevole di dover condividere la sua preziosa aria con un altro collega, insieme alle chiavi dell'auto e le colazioni, ma nessuno lo aveva avvertito dell'impedimento umano che gli avevano amanettato - sì, usiamo i giusti termini - alla caviglia e che doveva trascinarsi dietro: Ashton Irwin, 23 anni di sopportazioni, capelli da tagliare perché la paglia sarebbe più accettabile, sorriso sfacciato e soprattutto voce da doppiatore di cartoni animati, e come se non fosse abbastanza, di contorno un adorabile accento australiano. 
"Ti devo assolutamente presentare il mio inquilino, è della Nuova Zelanda - cioè dai, siamo vicini di casa praticamente! - e parla in un modo ridicolo!" sta esclamando schiaffeggiandosi da solo una coscia fasciata stretta dalla divisa blu. 
Louis storce le labbra, incredulo del suo commento e schifato dall'idea di conoscerne un altro. I suoi poveri nervi non potrebbero sopportarlo: per questo, prima che parta in quarta in un esauriente e dettagliato resoconto riguardo a quella volta che questo ha spalancato la porta mentre era sotto la doccia e lo ha filmato, Louis lo interrompe proponendo di fermarsi da Gave's. Ashton accetta con entusiasmo e prende a commentare le uova strapazzate di Mrs. Shelley, perdendo il filo del discorso precedente perché Louis è certo di confermare la mancanza che non gli consente di pensare a più cose contemporaneamente. 
Parcheggia con manovre secche e disinvolte all'angolo della strada opposta e si slaccia la cintura. Prima di uscire, si passa distrattamente le dita tra le ciocche di capelli castano chiaro acconciati all'indietro, sbuffando pesantemente all'ennesima risata fragorosa del collega. Chiusa la macchina, attraversano la strada, ma sul marciapiede opposto Louis si scopre infastidito dai raggi del sole e fa subito per inforcare gli occhiali da sole a gocce che tiene sempre appesi alla tasca sul petto della divisa. Con delusione, le dita non si scontrano con il metallo freddo della montatura. Non ha voglia di tornare indietro, ma osservando le spalle larghe dell'agente muoversi adagio davanti a sè, pensa di approfittarne per rimanere da solo e fumarsi una sigaretta per conto proprio. Quindi "Ehi, ho dimenticato una cosa in macchina. Vai avanti, ti raggiungo" gli dice e senza interessarsi della risposta, si dirige nell'altra direzione. 
Ashton fortunatamente sembra dargli ascolto perché il silenzio percosso unicamente dai rumori cittadini torna a circondarlo. Louis abbassa la testa sui propri passi, giocando con le chiavi nelle tasche dei pantaloni che ha modificato clandestinamente perché gli stringano appena certi determinati punti. Percorre le strisce pedonali che tagliano il cemento e comanda l'auto di aprirsi. Gli occhiali sono appoggiati al cruscotto in bella vista, Louis li afferra e li sistema sul naso, arricciandolo appena come di abitudine. Chiude la portiera e si appoggia al fianco dell'auto, incrociando le caviglie e pregustando già il sapore amaro e familiare della sigaretta. 
La fiamma dell'accendino gli illumina le pupille nere mentre lo avvicina al viso, inspira e la prima boccata scende giù calda, ma morbida. D'istinto si lecca le labbra appena il fumo lascia la sua bocca, e sorride perché infondo tolto il suo imbarazzante collega, è una bella giornata. 
Londra è più ordinata del solito, il flusso di turisti sembra essersi calmato in questi giorni e i taxi scorrono fluidi sullo sfondo cittadino. Gli inglesi camminano frettolosi, ma ci sono ancora le eccezioni come quella bella signora che adesso gli passa davanti con gli occhi bassi concentrati su un'agenda e le mani impegnate a scrivere, come se il cellulare che tiene tra la spalla e l'orecchio non fosse già ingombrante. Louis la segue con sguardo assente e pigro, senza reali pensieri nella mente. Ma c'è un lampo che gli corre tra i neuroni, accedendoli uno a uno come lampadine a catena, quando la donna svolta tutto d'un tratto sfidando il traffico cittadino. Gli occhi di Louis corrono ai fari spenti della macchina che corre veloce verso di lei nell'istante in cui i muscoli scattano. Corre verso di lei, si trattano di due metri e la spinge, la spinge forte pensando già ai lividi e alle ferite sulle ginocchia e sui palmi delle mano con cui dovrà avere a che fare per giorni. Non pensa al peggio, all'auto che non si ferma e trova il suo corpo sulla propria strada, all'asfalto che nemmeno sentirà sotto la pelle, macchiato del suo stesso sangue. Perché Louis è un fottuto ottimista anche se non sembra, e lo penserà quando si sveglierà nel letto di un'ospedale, trovando al suo fianco i suoi occhiali da sole intatti. 


 
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"Zayn, sei già lì?"
"No, mamma. Sono bloccato nel traffico. Dicono sia stato investito qualcuno." 


 



 

Buonasera,
dopo pochi giorni, decido di pubblicare il primo capitolo della minilong ispirata al prompt innocente di Chantal: "Pensa a Zayn Malik come un soldato, a Harry Styles come un fiorario, a Niall Horan come un pr, a Liam Payne come un dottore, a Louis Tomlinson come poliziotto. Racconta quello che vuoi", di cui la ringrazio immensamente, nonostante l'assurdità di questa storia. 
Riguardo ad essa, spiego: saranno circa quattro capitoli, massimo cinque, di cui tre sono già stati scritti. La trama è nata come un gioco, ma mi sono così affezionata ai personaggi - spero sarà così altrettanto per voi - che non ho resistito dal continuare e scrivere ed è venuto fuori questo, di cui in verità sono un po' soddisfatta. 
Ho scelto di pubblicare oggi perchè i giorni futuri mi sarà impossibile per motivi personali e perchè sabato parto per lo stage, quindi per due settimane non avrò modo di aggiornare alcunchè e ci tenevo fin troppo a questo lavoro per attendere di pubblicarlo al ritorno. Mi rendo conto che sia un po' azzardato mandare avanti una long appena cominciata e affiancarla con essa, ma sono positiva perchè sono abbastanza avanti con il lavoro. Spero di venire esortata ed incitata ad aggiornare da voi, così da essere fedele agli impegni promessi. 
Con questo non ho altro da dire, se non ringraziare ancora Chantal (Cathlan), Veronica (Acinorev) per il contributo tecnico e chi deciderà di seguire questo progetto. 
Attendo i vostri pareri a riguardo, 

Anqi.



   
 
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