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Autore: potterfanlalla17    25/02/2015    8 recensioni
I pensieri di Nathan in un momento della sua vita in cui vuole qualcosa di più...più di una storia da una settimana e via.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il velivolo oscilla vistosamente, colpa di un vuoto d’aria improvviso.

Il passeggero al sedile 7B si agita convulsamente, sfregando con energia le mani sui braccioli mentre lancia sguardi preoccupati verso le hostess che sembrano non accorgersi di quanto stia accadendo nella cabina passeggeri. Qualche fila più avanti, una donna cerca di tranquillizzare la figlia che singhiozza preoccupata per i continui sobbalzi. Qualcuno alza gli occhi sopra la testa come se si aspettasse che da un momento all’altro le maschere di ventilazione dovessero penzolare davanti a loro.

Tutti sono inquieti per il prolungarsi di quella turbolenza. Tutti tranne il passeggero al 9A. Lui non sembra nemmeno essersi accorto che qualcosa non va, a stento è consapevole di dove si trova in questo momento. Il suo sguardo è fisso nel vuoto oltre il finestrino a lato del suo sedile e chiunque osservandolo con un minimo di attenzione può capire che la sua mente è affollata da fin troppi pensieri.

-Sig. Fillion, le devo chiedere di allacciare la cintura- l’hostess dall’improbabile chignon indica al passeggero il segnale luminoso acceso sopra la propria testa.

-Oh, la cintura. Sì, mi scusi.

Meccanicamente l’uomo aggancia le due estremità del dispositivo di sicurezza e torna a puntare i suoi occhi azzurri fuori dal finestrino. Il viaggio è quasi terminato e non sa come deve sentirsi al riguardo. Certo, è stato lui a prenotare quel volo solo poche ore prima di imbarcarsi, in preda ad un improvviso impulso, o forse sarebbe più corretto dire in preda ad una improvvisa illuminazione.

Il pranzo di Natale a casa dei suoi ad Edmonton quell’anno gli era sembrato più interminabile del solito e soprattutto estremamente vuoto. Per lui, quantomeno. I suoi genitori erano al settimo cielo: tutta la famiglia era finalmente riunita sotto lo stesso tetto, lo stesso identico tetto dove era nata la famiglia Fillion, dove Nathan e Jeff erano cresciuti e dove ora tutti erano tornati più cresciuti…beh, non proprio tutti. Lui no.

Mentre le nipoti gli raccontavano i fatti più importanti degli ultimi mesi, lui si era improvvisamente reso conto che c’era qualcosa in quella scena che lo faceva sentire inadeguato. Si era sentito fermo. Bloccato. Il che era ridicolo, chiaramente.

Nathan Fillion se n’era andato da Edmonton per diventare un attore famoso e ci era riuscito: era diventato quello che sognava, un attore con una serie sua, che andava a gonfie vele da sette anni, con schiere di fan innamorate di lui e pronte a tutto anche solo per un suo tweet. Era ospite di talk show, guest star in spettacoli di successo come The Big Bang Theory…aveva tutto. Eppure, sentiva che non aveva niente, che non era abbastanza.

Già da qualche tempo ci stava pensando: sentiva questo senso di frustrazione salirgli fino in gola fino quasi a soffocarlo. All’inizio aveva pensato si trattasse di Castle, di come la gente oramai lo identificasse con il personaggio che interpretava. Pensava che forse il problema si sarebbe risolto lasciando la serie, ma era stato un pensiero fugace, veloce; gli aveva attraversato la mente come un lampo. Lui non era il tipo da sentirsi legato ed imprigionato da un personaggio: smessi i panni dello scrittore, ogni sera tornava ad essere Nate e non si curava del fatto che i fan potessero chiamarlo Rick o Castle. Molti ancora lo chiamavano Capitano Reynolds e a lui stava più che bene. E in definitiva anche Castle gli piaceva…Malcom rappresentava i suoi sogni da bambino, mentre Castle era lui, solo in versione letteraria. No, non era Castle il problema. Il problema era proprio dentro Nathan.

Ma non l’aveva capito fino a quel pranzo di Natale. Quello che gli mancava davvero era una ragione per continuare a fare quello che faceva. Gli mancava poter tornare a casa da qualcuno a cui importasse quello che stava facendo, a cui raccontare gli eventi della giornata. E sì, gli mancava anche sentire qualcuno raccontare di cose banali e sciocche come un brutto voto a scuola o l’ansia per il ballo di fine anno.

Gli mancava la quotidianità, la normalità. Jeff gli ripeteva in continuazione che la normalità era fin troppo sopravvalutata, che tutti i gesti che compiva ogni giorno non appena si svegliava erano diventati talmente meccanici che quasi nemmeno si rendeva conto di come arrivasse a fine giornata. Ma Nate sapeva che in realtà non era così. Per un motivo che fino a quel momento gli era parso inspiegabile, Jeff non aveva mai manifestato il desiderio di scambiare anche solo per un giorno la propria vita per quella del fratello. Nate, invece, in quel momento lo avrebbe fatto. Cosa si prova a sapere che a casa, la sera, dopo una giornata lunga e magari faticosa, c’è una famiglia ad attenderti? Cosa si prova a sapere che non devi essere sempre al top della forma per chiunque, perché c’è qualcuno che ti conosce e ti ama a tal punto che potresti passare anche tutte le sere in tuta sul divano e andrebbe bene? Cosa si prova a sentirsi finalmente a casa con qualcuno indipendentemente dal luogo in cui ci si trova?

Nate voleva questo: una famiglia come quella in cui era cresciuto, come quella che Jeff aveva costruito. Solo non lo aveva ancora compreso fino in fondo. Dicono sempre che sono le donne a possedere l’istinto naturale a mettere su famiglia, ma non è vero. Anche gli uomini a quanto pare l’hanno. Forse non tutti, ma lui sì. Lui voleva una casa, una famiglia, una vita normale.

E nello stesso istante in cui aveva realizzato quanto questo fosse importante per lui al punto dal farlo sentire inadeguato nella sua stessa famiglia, da farlo sentire solo in mezzo alla sua stessa famiglia, aveva anche compreso che solo una persona avrebbe potuto dargli quella quotidianità e normalità che stava cercando. La stessa identica persona che ogni giorno da anni lo accoglieva la mattina con un sorriso radioso sul volto, poco importava quanto dura era stata la giornata precedente o quanto lo sarebbe stata quella appena iniziata. La sola persona con cui si sentiva sempre a suo agio, accettato per quello che era, con i suoi pregi e i suoi moltissimi, inelencabili, difetti. La persona con cui poteva passare ore a parlare o anche in silenzio perché lo conosceva così bene e così profondamente che non avevano bisogno di dirsi nulla, perché uno sguardo è più che sufficiente.

Possibile che per tutto questo tempo aveva avuto la persona giusta accanto a lui e non se ne era mai accorto? Possibile che davvero avesse sprecato tutto questo tempo in storie vuote e prive di senso quando la donna perfetta per lui era capitata quasi per caso sulla sua strada sette anni prima?

La voce metallica del capitano dell’aereo lo richiama alla realtà: sta per atterrare ad Hamilton, dove Stana avrebbe dovuto passare le feste. Almeno così spera. Non lo sa con certezza, perché i programmi di quella donna cambiano con una rapidità fuori dal comune. È un concentrato di energia in continuo fermento, non può stare ferma, non riesce a programmare cose a lungo termine. Lei si muove, agisce, viaggia. Lei è…il suo opposto, in un certo senso.

Ora che il viaggio è quasi al termine, si sente uno sciocco. Sta piombando da lei, quasi come se fosse il suo principe azzurro pronto a salvarla e farla diventare una regina. In realtà, sarebbe lei a salvarlo se accettasse quello che lui ha da offrirle. Che poi…cosa ha da offrirle? Un passato non propriamente lodevole, una scarsa esperienza nei rapporti seri e a lungo termine, una totale incapacità di comportarsi da adulto nella maggior parte delle occasioni. Ok…detta così, suona male. No, malissimo. Ma il punto, è che in lui c’è molto di più: c’è la capacità di amare a tal punto una persona da sacrificare qualunque parte di sé se fosse necessario; c’è la voglia, quella vera, quella genuina, di costruire qualcosa di importante e duraturo. E soprattutto c’è la forza di cambiare…per lei e grazie a lei. E Stana questo non può non saperlo, non può non capirlo. Lei che lo conosce come nessun altro, forse nemmeno come Jeff e sua madre.

L’aereo è atterrato e il tempo dei dubbi e dei ripensamenti e finito. Prende il suo piccolo bagaglio a mano e si dirige velocemente verso l’uscita dell’aeroporto alla ricerca di un taxi. L’aria è fredda, anzi gelida, ma è dicembre, l’ultimo giorno dell’anno e non si aspettava certo di trovarsi ai Caraibi.

Indica al tassista la sua destinazione chiedendo quanto tempo ci avrebbero messo dall’aeroporto.

-Se non c’è troppo traffico, 40 minuti circa, signore.

Perfetto, pensa Nathan. Non troppo, onde evitare di avere il tempo di cambiare idea all’ultimo minuto e di fare dietrofront.

Sente il suo cuore battere nel petto con un ritmo che sembra scandire i secondi che lo separano da Stana. E forse è anche così, forse lui ha capito prima del suo cervello quello che andava fatto già da tempo.

Quando il taxi si ferma, sente chiaramente mancargli la terra sotto i piedi. Esce dall’abitacolo e rimane per qualche istante impalato in cima al vialetto che porta all’abitazione della famiglia Katic. Pensa che se le cose non dovessero andare come spera, potrebbe perdere anche quello che ha ora con Stana, la loro amicizia, la loro complicità…e sì, persino il lavoro. Ma questo è l’ultimo dei pensieri. Non gli importa della serie e di quello che potrebbero dire tutti gli altri se la produzione dovesse chiudere a causa del suo tentativo fallito. Ora deve pensare a lui, alla sua vita, a quello che vuole davvero. E quello che davvero vuole più di ogni altra cosa al mondo è Stana, poterle dimostrare ogni giorno quanto la ama e chiedere perdono per quanto sia stato stupido a metterci tanto tempo per capirlo.

-Nate?

Ed è proprio Stana ad apparire sulla porta di ingresso, coperta da un pesante maglione bianco come la neve che è caduta copiosa negli ultimi giorni ad Hamilton e che imbianca il giardino intorno a lui.

-Nate, sei tu?

-Sì. Sì, scusa. Sono io.

Fa qualche passo in avanti, mentre la donna con qualche parola in croato prende il cappotto e chiude la porta di casa alle sue spalle.

-Scusami, ti farei entrare, ma…i miei fratelli sono degli impiccioni.

-Certo. Anzi, scusa se sono piombato qui all’improvviso. Non ho nemmeno chiamato.

-Sai, che tu non devi chiamare per piombare da me. Mai. Sia che ci troviamo a Los Angeles sia qui in Canada- il sorriso accogliente della donna lo rincuora, più delle parole. –Posso sapere il motivo del tuo viaggio? Non eri a casa dei tuoi?

-Sì, io ero da loro, ma…non stavo bene.

-Qualcosa non va?- chiede preoccupata.

-In un certo senso, sì.

Nathan sa che è arrivato il momento di parlare, di confessare tutto quello che ha compreso negli ultimi giorni, ma davanti a quegli occhi verdi non riesce a trovare il modo di farlo senza sembrare un idiota o, peggio, un pazzo.

-Va tutto bene a casa con i tuoi? Jeff?- è sempre Stana a cercare di farlo aprire, muovendosi con cautela in un territorio che al momento le è completamente sconosciuto.

-Sì, loro stanno bene. Grazie.

-Possiamo anche stare qui fuori in silenzio se preferisci, ma se hai fatto quasi tante ore di volo forse sei venuto per qualcosa di importante.

-E’ così, infatti. È solo che adesso mi sembra stupido e tremendamente difficile. Avevo preparato un discorso in aereo…no, non è vero, non avevo preparato nessun discorso in realtà. Io ho solo prenotato un biglietto e sono venuto da te.

-Sei venuto da me- risponde la donna avvicinandosi di un passo e continuando ad esaminarlo con quegli occhi profondi.

-Sì. E adesso mi sento un idiota perché non so nemmeno spiegarti il motivo per cui sono qui.

-Non sei un idiota. Il motivo lo sai, solo che per qualche ragione non me lo vuoi dire. Hai paura di me, Nate?

-No. Sei la sola persona al mondo di cui so di potermi fidare. Always- aggiunge poi e forse è proprio quella parola, la parola magica per eccellenza tra Rick e Kate a sbloccarlo.

-Always- ripete lei avvicinandosi ancora di qualche centimetro. Nate comincia a sentire il calore del suo respiro sulla pelle ed è come se quel leggero contatto con lei lo sciogliesse completamente. Fuori e soprattutto dentro.

-Ho bisogno di te, Stana. Ho bisogno di te nella mia vita. Oggi, domani, sempre. Per tutto il tempo che mi vorrai concedere. Ho bisogno di te per sentire che la mia esistenza ha un valore, per sentirmi davvero a casa- Nate scuote la testa incredulo per essere riuscito a dire quelle parole senza bloccarsi di nuovo e senza sembrare patetico. Ok, forse un po’ patetico lo è stato, ma a questo punto poco importa. –So che probabilmente non ti importa e che forse questo cambia ogni cosa tra di noi. So che non è quello che ti aspetti da me, ma avevo bisogno di dirtelo. Di tentare di essere felice con te. Non voglio avere rimpianti. Oddio, sono patetico e anche tremendamente egoista, me ne rendo conto. Vengo fin qui, e ti dico queste cose come se tu mi dovessi qualcosa…scusami. Io non…

Nate raccoglie il suo bagaglio che nella foga del momento era caduto a terra e sorride a Stana, rimasta impassibile davanti a lui.

-Scusami, anche con la tua famiglia. Non dovevo interrompere le tue vacanze. Io…prendo il prossimo volo e torno a casa.

Ma prima che lui possa girarsi, prima che possa anche solo compiere un passo lontano da quella donna, Stana lo afferra per il polso e lo costringe ad avvicinarsi a lei senza mai interrompere il contatto visivo. Solo così Nate può scorgere la luce negli occhi della donna, fino all’ultimo istante, fino all’istante in cui lei posa le sue labbra calde sulle sue, morbide, invitanti come mai le aveva sentite fino ad oggi. Perché tante altre volte ha baciato quella donna, ma non era Stana. Era solo Beckett. Ora invece è quell’incredibile donna che lo sta accogliendo nella sua vita come ancora non era accaduto. Mentre risponde al bacio, Nate sorride involontariamente, labbra contro labbra.

-Benvenuto a casa, Nate- sussurra Stana non appena le loro bocche si separano quel tanto che basta per dar loro la possibilità di respirare. Forse sta piangendo. Forse anche Nathan sta piangendo, non ne è proprio sicuro. Non è sicuro di nulla in questo momento, a parte il fatto che la donna che ama è tra le sue braccia pronta ad iniziare un nuovo capitolo della loro vita insieme.

 

 

 

 

Angolo dell’autrice.

Non so, questa storia è uscita così, dopo mesi forse anni di assenza. Mi andava di scrivere e l’ho fatto. Spero piaccia a voi leggerla, quanto è piaciuto a me scriverla.

Un bacio a tutti.

Laura

   
 
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