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Autore: Targaryen    25/02/2015    8 recensioni
Lothlórien non è più oro ed argento e il canto dei figli dei boschi vive ormai solo nelle memorie degli alberi, sussurri di foglie e radici la cui lingua sfumerà nelle favole che accompagnano il sonno delle fate.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celeborn, Elrond, Galadriel, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Arda'
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Memoria


 

Lothlórien
 
«Oh Lórien! Sulla Riva Citeriore troppo tempo ho passato,
Sbiadita è la mia corona d'elanor dorato.
Ma se adesso di navi dovessi cantare, qual nave vedrei arrivare,
Qual
nave potrebbe ormai portare Galadriel al di là del mare?»
 
 
Lothlórien era il fulgore del sole venuto ad abitare tra i rami di mallorn, era la luna che si rifletteva eterea sui tronchi d’argento ed era il ricordo che vibrava nell’aria portato da melodie di voci soffuse. Era il passato che si affacciava tra i rami ed era il bosco rubato alle terre di Valinor, da tempo immemore cullato nel sogno di pace che la dama coronata di stelle ogni notte tesseva.
A Lothlórien le foglie non cadevano quando sulle vette si addormentava l’inverno e l’oscurità che si allargava sul mondo restava lontana, perché un’antica magia scorreva insieme alla linfa degli alberi e Caras Galadhon non poteva essere corrotta dal male.
Ma nulla può durare per sempre e gli alberi lo sanno meglio degli uomini.
Ebbe inizio un giorno di marzo, quando le creature di Melkor infangarono l’oro dei sentieri avvelenando la terra con il sangue e con l’odio. Gli invasori caddero trafitti da frecce impietose, ma altri ne vennero ed una notte l’odore del legno consumato dal fuoco giunse portato dall’aria pungente del nord. Gli alberi chinarono le chiome e piansero rugiada mentre i fratelli morivano sull’altra riva dell’Anduin, e quando una luce squarciò il cielo oltre gli Emyn Muil sentirono che insieme alla tenebra anche l’incanto si era dissolto. Alla fine dell’estate i venti parvero loro più freddi e le foglie di mallorn tremarono con più vigore, l’acqua sembrò meno dissetante e il suolo meno fecondo.
Una nuova inquietudine nacque nell’anima della dama dei boschi, un desiderio di terre ad occidente che guidò i suoi piedi scalzi portandola ogni notte sempre più lontana, sino a farle raggiungere l’ultima radura e a spingerla a recidere l’ultimo legame.
Immobile sulla linea di confine ora Galadriel tende la mano ed accarezza ricordi, mentre l’orgoglio si fa saggio e il volto del Reame Beato si svela. Nenya è un frammento di stella che abbellisce il suo dito ma che non può più curare la terra, ancora verde agli occhi di Celeborn ma vuota a quelli di lei. Ella vede alberi diafani e volti indistinti e il bosco silente ascolta il battito del suo cuore al di là del mare.
Lothlórien non è più oro ed argento e il canto dei figli dei boschi vive ormai solo nelle memorie degli alberi, sussurri di foglie e radici la cui lingua sfumerà nelle favole che accompagnano il sonno delle fate.
 

Imladris
«Oh Lórien! Giunge l'inverno, l'Ora nuda e spoglia,
Il Fiume fugge via e trascina con sé la foglia.
»


Imladris fu tante cose. Fu la natura selvaggia che si nutriva di pioggia, fu le radici di una speranza che non voleva morire e fu rifugio dall’ombra. Fu casa per coloro che l’avevano perduta, fu tenacia e promesse e fu lacrime che sapevano di mare. Imladris fu colui che ne decise il nome e che per secoli parlò ai suoi boschi con la voce gentile della primavera. Per secoli, prima di concedersi il privilegio del riposo.
Nelle nebbie d’autunno ora Imladris è pietra e memoria, ma gli alberi che abbracciano gli accidentati pendii sanno che presto resterà solo la pietra e che della memoria il tempo cancellerà le tracce dal cuore degli uomini.
Il cambiamento è scivolato sul fiume cavalcando il respiro dell’est, e ha inasprito gli inverni rendendo il sole più pallido. L’antica magia che conservava la valle si è dissolta come le nuvole che la sera si coricano sui campi per ritornare in cielo al mattino, restituendola al tempo e al suo lento fluire. Un giorno anche gli ultimi tra coloro che insegnarono agli Ent a parlare se ne andranno e gli unici a ricordare resteranno l’abete, il larice e il tiglio, e i loro fratelli che nessuno potrà più capire.
Imladris era musica e canti, era le stelle che nascevano dai fuochi e che morivano nel firmamento, e ora si spegne nei passi stanchi di chi avanza smarrito lungo sentieri indistinti, cercando tra i tronchi e le fronde l’oro e l’argento della sua patria ormai vuota e il volto della dama incoronata di stelle.
Gli occhi placidi tradiscono il desiderio di ricongiungersi a lei e agli affetti lontani, sopportabile un tempo ma ora fiamma che ottenebra i sensi. Il mondo è mutato e i colori hanno perduto lo splendore dell’estate nella frenetica corsa dei secoli. Sbiadiscono ad ogni nuovo sole e la voglia di partire si rinvigorisce ad ogni luna.
Gli alberi salutano Celeborn signore di Lórien, ma ricordano una mano gentile che dice loro addio e il nulla stretto nell’altra. Ricordano la mano alzarsi e tutti gli astri del cielo regalarle la luce. Ricordano il miraggio di un mondo al di là del mare, di cui Imladris è solo un pallido eco, e sentono tra le chiome il sapore delle acque che si aprono al tocco dello scafo di Vingilot.
Ricordano, perché questo hanno promesso al figlio di Eärendil, e ricorderanno ancora quando la pietra sarà polvere e la memoria la cresta dell’onda che si abbandona alla sabbia e all’oblio.
 

Eryn Lasgalen
«Cantavo di foglie, di foglie dorate, e sulle foglie l'oro brillava,
Cantavo del vento, ed il vento inca
ntato tra le fronde e le foglie giocava.
Al lume del sole, al raggio di luna, sul mare brillava la schiuma.
Un albero d'oro, ad Ilmarin ermo, su lidi e su spiagge profuma.
»
 

Eryn Lasgalen è la Terra di Mezzo, è i suoi tanti volti e i suoi innumerevoli nomi. E’ il bene e il male che si danno battaglia, è la spada che regala la morte ed è la mano che tocca l’albero e che risana. E’ rifugio ed è prigione, è la tenebra che cala ed il sole che acceca. Eryn Lasgalen è la debolezza dei grandi e il coraggio di chi non ha bisogno di corona, ed è chi resta e chi dice addio.
Eryn Lasgalen non ha mai conosciuto il profumo del mare. Troppe catene montuose devono superare le correnti che gareggiano sulle sue acque, troppe distese di roccia e di pascoli affinché possano svelare agli alberi i segreti dei flutti. E’ il vento che scende dalle Montagne Nebbiose che fa stormire le chiome e l’aria calda che galoppa insieme al popolo dei cavalli.
Eppure, a volte, non serve che il mare si annunci e non sempre il canto nasce con la danza delle foglie. Spesso, per il popolo delle stelle, esso germoglia nel cuore ed è un canto che non ha voce né rimedio.
Eryn Lasgalen trattiene il respiro e ricorda. Ricorda i fasti di un’era in cui c’erano parole tra i rami e in cui le risa celebravano la giovinezza e la gioia. Eryn Galen si chiamava allora, e tutto era verde. Ricorda i secoli bui, popolati dalla solitudine e dal terrore, ma il nome con cui era conosciuto allora lo ha dimenticato. Ricorda il fuoco e il dolore e le lacrime di sangue di coloro che combattevano sotto le sue fronde. Ricorda le radici che facevano spazio ai morti e gli occhi arrossati del suo re dietro ad un velo d’argento. Ricorda, attraverso la corteccia dei grandi alberi, la sua carezza gentile mentre scacciava l’ombra e guariva ferite. Eryn Lasgalen si chiama da allora, e il sole ha ripreso a scaldare la terra e i germogli a crescere ancora.
Ma Eryn Lasgalen sa che nulla può durare per sempre e non si stupisce delle tante stelle che si accendono e che si spengono mentre accompagnano i passi del re. Spesso in primavera il cielo scende tra l’erba, anche se mai lo ha fatto con tanto fulgore.
Insieme a loro Thranduil cammina lungo sentieri che si snodano tra alberi ed ere. Non vi è corona sul suo capo e lo sguardo si sposta da un tronco ad un altro, indugiando sulla quercia resa curva dagli anni e ammirando il vigore del faggio. Esita talvolta, quasi fosse indeciso tra il restare ancora e il partire. Eryn Lasgalen non vorrebbe lasciarlo andare, ma il re del Reame Boscoso si è fermato più a lungo di quanto avrebbe voluto, e ora la musica si è gonfiata nel suo cuore come le bianche vele che lo attendono per condurlo nella patria di cui la sua stirpe non ha mai veduto lo splendore. Non vi è più nulla che lo trattenga, nessun popolo da proteggere e nessuna terra da risanare.
Anch’egli se ne andrà, ma prima di veleggiare ad occidente dirà addio ad ogni albero, ad ogni stelo d’erba e ad ogni creatura della foresta, perché l’amore per la vita che pulsa al ritmo delle stagioni è la più importante eredità di cui i silvani gli hanno fatto dono. Dirà addio alle sue aule, alle colonne strappate alla roccia e alle sale in cui ha gioito e sofferto, e saluterà coloro che non vedranno mai Valinor e il cui ricordo scomparirà dal mondo degli uomini rendendoli trasparenti come spiriti.
Quando le porte di pietra saranno chiuse e ogni lacrima consegnata al vento, Eryn Lasgalen lo onorerà con l’ultima pioggia di primavera e piegherà i rami verso occidente, aspettando che un mondo più povero si desti e affidandone la memoria al sogno degli alberi e ai loro silenzi.
 
_________________

Nota:
Le parti in corsivo, liberamente adattate, sono tratte da L'addio di Galadriel (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell’Anello - Addio a Lórien).

 
 
  
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