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Se
c’era una cosa che David Jost aveva imparato
senza alcuna difficoltà, era quanto Bill potesse essere esagerato
in tutto ciò che faceva.
Sì, esagerato. Eccessivo, insomma. Era uno
di quei particolari che non possono assolutamente
passare inosservati. E difatti l’esaltazione di
un sentimento provato o un’azione compiuta da Bill non era mai passata
inosservata, neanche nel caso – rarissimo, ma pur sempre possibile
– che Bill stesso si adoperasse per tenerlo nascosto.
Non c’era stato bisogno di intraprendere
una relazione per accorgersi di quel fastidioso aspetto del suo
complessivamente altrettanto fastidioso carattere, ma,
dato che ormai il danno era fatto – e per danno s’intende che David
si fosse ormai assuefatto a qualsiasi stranezza facente parte dello sfaccettato
modo di essere di Bill, riducendosi addirittura a trovarlo dolce
–, non vi era più modo di tirarsene fuori.
In effetti, Bill era eccessivo in tutto. E, nel
caso qualcuno non se ne fosse accorto, ci avevano pensato i suoi capelli,
repentinamente passati da un delicato biondo miele a
un aggressivo nero corvino quando il loro proprietario non aveva più di
sei anni, a farlo notare. Ma anche quando aveva deciso
di istigare quegli stessi capelli a lottare contro la forza di gravità,
armati solo di quantità industriali di lacca, o quando si era tatuato
una molto poco casta stella a livello inguine o un complicatissimo “Freiheit’89” su una di quelle sottili e pallide
braccine, o quando aveva improvvisamente deciso che
fosse carino fingere il twincest di fronte a
milioni di fan, giusto per farle “sorridere un po’, povere
creature”. In quel caso David, essendo pur sempre il manager dei Tokio Hotel, non aveva potuto ribattere, perché,
se un Bill estasiato e saltellante significava pubblicità, beh, si
sarebbe sorbito il Bill estasiato e saltellante.
Col tempo aveva imparato ad apprezzare e successivamente amare anche quell’aspetto, ma non era
raro che David si ritrovasse a rimpiangere il proprio carattere mite e la
totale assenza di autorità su un bambinone di un metro e ottanta e con
il cervello dall’ignota residenza.
Quel giorno, Bill era letteralmente schizzato via
da sotto le lenzuola e si era catapultato in un paio di jeans e una maglietta
qualunque, per poi sparire in bagno e uscirne dopo il tempo record di due
minuti e mezzo – decisamente insolito per i suoi
standard –. Dopodichè, non aveva fatto altro che arraffare il
mento di David e salutarlo, oltre che con un inconsueto bacio a stampo –
o forse più a ventosa –, con un velocissimo “Scusascusamasennòarrivoinritardo!!”
David, ancora seppellito sotto coltri infinite di
coperte, aveva tentato di fermarlo con uno strascicato
“Ma dove stai…?”, se non fosse stato che Bill, dopo
essere saltato nuovamente giù dal letto, era sparito all’ingresso
e poi oltre la porta lasciando dietro di sé un’ingarbugliata serie
di parole tra le quali si era distinto solo uno stentato e riecheggiante
“appuntamentooo”.
Il minimo che David aveva potuto fare era stato
ricadere sotto le lenzuola.
In futuro, si sarebbe dato dello stupido. Perché in quel momento non era un problema il fatto
che Bill, dopo diciannove anni di vita e otto di – seppur dubbia –
carriera, non avesse ancora assimilato l’informazione che uscire per
strada a viso scoperto e con la sua solita andatura alla Cappuccetto
Rosso significava orde di ragazzine in preda all’infarto. E il problema
non era neanche che, come sempre, Bill avesse anteposto i propri capricci alla
naturale apprensione del suo compagno, o che fosse scappato di
casa senza dire dove,con chi, perché, per quanto e per come fosse
uscito.
No. Il problema risiedeva semplicemente nel fatto
che, nonostante tutto, lui avesse ancora sonno.
La vita con Bill era una faccenda talmente
complicata e delicata e difficile da descrivere che poteva benissimo essere
riassunta in un'unica parola: imprevedibile. Non che il termine avesse niente di romantico, questo no. Significava, senza
troppi preamboli, che non si poteva mai dire se un giorno Bill fosse in vena di
una snervante sessione di coccole–paroline dolci–diabete o se fosse repentinamente passato allo
stadio del "non toccarmi o mordo". Anche in
questo, Bill era semplicemente ed irrimediabilmente esagerato.
Del resto, David era abituato a cose peggiori di
quella. Per cui, anche quella mattina trovò la forza di dissotterrarsi
dalle coperte e dalla solita inspiegabile apprensione per l'incolumità
di Bill. Anche quella mattina si rassegnò a far
colazione con la sola compagnia delle innumerevoli foto attaccate al
frigorifero con calamite dalle forme più impensate, una delle
caratteristiche di Bill più facili da apprezzare. Ma
quella mattina sentì anche che la casa era diventata stranamente vuota.
Sì, insomma, Bill era sempre stato una
presenza piuttosto ingombrante nella sua vita, prima e dopo che la loro
relazione avesse inizio. Prima perché non era
certo facile tenere a bada un ragazzino con manie di grandezza, poi
perché quello stesso ragazzino era cresciuto e aveva preso un posto decisamente inaspettato nella vita di David.
Generalmente, quando Bill scompariva dalla
circolazione, ciò poteva protrarsi per tempi incalcolabili. E
così fu anche quel giorno, dal momento che
David se lo vide ricomparire a casa, con passo strascicato e la schiena piegata
in una strana angolatura, solo intorno all'ora di pranzo.
Nonostante l'allettante programma di restar
spalmato sul divano e non azzardarsi neanche a pensare di accoglierlo
decentemente almeno fin quando Bill non si fosse
catapultato sui cuscini accanto a lui e gli avesse raccontato le proprie
vicissitudini per filo e per segno, non poté fare a meno di andargli
incontro con espressione interrogativa.
- Beh? – lo apostrofò.
Bill sbatté le palpebre in una malriuscita
imitazione di sorpresa. – Non mi saluti? – ribatté soltanto,
tradendo l'ostentata naturalezza poggiandosi una mano sulla schiena e tentando malamente di raddrizzarsi.
- …ma stai male?
– fu l'unica cosa sensata che a David venne in mente di chiedergli. Bill
assunse un'espressione innaturalmente contratta.
- No! Certo che no – si
affrettò a rispondere, agitando freneticamente la mano libera.
– E' solo… insomma, so che ti arrabbierai – La pausa che
seguì quell'affermazione non contribuì
alla sua già instabile presenza di spirito. –
…per quello che ho fatto. O forse no
– disse poi, indossando la maschera che riusciva ancora a far credere che
stesse seriamente riflettendo.
- Bill, mi piombi tra capo e collo nelle vacanze
di Natale quando stiamo insieme ogni santo giorno, ti
stabilisci arbitrariamente a casa mia e come ogni anno fai liberamente
entra ed esci senza neanche pensare di poter almeno dirmi dove vai –
sospirò l'uomo, conscio che, come tutte le volte che si ripresentava una
situazione del genere, Bill avrebbe rimosso quei piccoli particolari
irrilevanti da lui evidenziati e avrebbe continuato imperterrito a colonizzare
casa sua, facendogli persino dimenticare di quanto in fondo fosse felice di
potergli stare accanto senza che uno staff di centoventi persone gli ronzasse
continuamente intorno. – …dovrei arrabbiarmi? –
- Naturalmente no – David non mancò
di notare che nel tono di Bill mancava quella piccola (infinitesimale, certo,
appena accennata) dose di presunzione che bastava sempre a farlo apparire
convintissimo di ciò che diceva. – Io… insomma, ti
arrabbierai. Sono stato in giro con Tom –
David si limitò ad annuire pensosamente.
– Benissimo – disse soltanto, risparmiandosi la predica che gli era
venuta a noia ormai da parecchi mesi. – C'è altro? –
Il viso del moro si illuminò
e subito dopo David si ritrovò le sue braccia avvolte intorno al collo,
mentre Bill si sporgeva a posare un veloce bacio sulle sue labbra. –
Nient'altro – cinguettò.
Era inutile. Bill poteva anche essere il
più pestifero dei demoni, ma gli bastava tirar fuori quella vocina
flautata e sbattere le palpebre di quei suoi grandi occhioni
per impietosire chiunque. E difatti anche David
dimenticò apprensione e irritazione, concedendosi di intrecciare le dita
dietro la schiena di Bill e tirarlo dolcemente verso di sé. I lineamenti
del ragazzo, però, si contrassero in una smorfia di dolore. –
Dada… - protestò debolmente. David si scostò, corrugando le
sopracciglia.
- Che succede? –
Bill scosse la testa con poca convinzione, sciogliendo le braccia dal suo
collo.
- Niente, è solo… boh, passerà – tagliò
corto, stringendosi nelle spalle per poi allontanarsi senza la solita andatura
saltellante. E David, per l'ennesima volta,
preferì soprassedere. Era del tutto inutile combattere con un Bill nelle
fasi più critiche della sua volubilità.
Perché, se Bill Kaulitz riusciva a
trasformare ogni piccolezza in un dramma, riusciva anche a fare il contrario e
calarsi perfettamente nel ruolo di Colui Che Sta Ai Margini.
Tuttavia, Bill era anche incapace di nascondere
il proprio disappunto per qualcosa, motivo per cui
David, quando, poco dopo aver finito di pranzare, se lo vide raggomitolato sul
divano e abbracciato a un cuscino, non poté fare altro che chinarsi verso
di lui e scostargli un ciuffo di capelli dagli occhi, scoprendo
un’espressione corrucciata. – Ehi – mormorò. –
C’è qualcosa che non va? –
Bill scosse la testa senza molta convinzione,
passandosi nervosamente la lingua sul labbro inferiore. – No, niente
– mormorò con quella sua vocina affranta. – Lo so che sei
arrabbiato con me –
David faticò non poco per trovare un
minimo di spazio libero sul divano. – Ma no, non
lo sono – sospirò, stringendo un ginocchio di Bill. Quest’ultimo non parve affatto
persuaso.
- Sì che lo sei
– mugolò, stringendo più forte il cuscino. – Ti leggo nel pensiero, guarda. In questo momento stai pensando
che sono fastidioso perché ti sto rovinando le vacanze di Natale, poi
che sono un idiota perché me ne vado in giro con mio fratello dopo che
mi sono praticamente rifiutato di mettere piede in
casa mia se non per la notte, poi che… -
- …che adoro farmi
rovinare le vacanze di Natale da te – lo interruppe David con voce
morbida, chinandosi verso di lui per rafforzare la sua convinzione, ma il
sorriso tremulo di Bill durò appena tre o quattro secondi, dopo i quali
tornò la stessa espressione che era spuntata all’improvviso quando
David aveva tentato di abbracciarlo.
- Nononono!
– ululò Bill, facendosi scudo con il cuscino e ritirando le gambe
al petto. – Ehm… no – ripeté più pacatamente,
dandosi una veloce sistemata ai capelli. – Cioè,
non finché non sarò sicuro di ciò che dici –
David si raddrizzò sui cuscini, alzando
gli occhi al cielo. – Ma perché devi fare
una tragedia di tutto quello che…? – Bill tentò malamente di allontanarlo pigiando un piede sulla sua
coscia.
- Su, vai –
piagnucolò, tornando a stringere il suo mucchio d’ovatta.
– Anzi, se vuoi me ne vado io, così avrai
la casa libera fino a Capodanno e… -
- Lascia perdere –
brontolò David interrompendo i suoi sproloqui, per poi alzarsi e
sistemarsi i jeans con un gesto distratto. – Mi sembri un po'… -
- …invadente? Ingombrante? Se vuoi
posso… -
- …sul depresso andante – concluse David, ignorando bellamente i deliri di Bill. Ma bastò incontrare nuovamente quello sguardo
affranto per sentirsi sciogliere. – Senti, che ne dici se, non so…
rimani anche stanotte? Capisco l'impellenza di trascinare Tom in giro per
negozi, ma forse sarebbe meglio se stessi a riposo
almeno durante le vacanze, come tutti gli esseri umani –
Gli occhioni ambrati di
Bill si spalancarono in un'esagerata ma pur sempre tenera manifestazione di
commozione e il ragazzo si lasciò scappare un
sorrisetto da bimbo di tre anni. – Grazie Dada, lo sai che ti amo –
- Sì, a convenienza – ribatté
David senza però trattenersi dl sorridere e chinarsi a posare un bacio
sulla fronte di Bill. – Avanti, riposati. Per oggi mi sembri
sufficientemente KO –
Il tutto si concluse con
un Bill estatico e sorridente che arruffava un po' il copridivano
e strusciava il viso contro il cuscino, chiudendo gli occhi, e con David che
provava l'ennesimo moto di tenerezza per quel ragazzino troppo cresciuto.
Semplicemente, lo guardava e di colpo dimenticava quanto prepotentemente fosse
entrato nella sua vita (e nella sua casa).
Purtroppo era anche la metafora della sua esistenza.
Naturalmente Bill non fece nulla per dissuaderlo
dal farlo rimanere anche per la notte, difatti, appena
nove ore dopo, già stabilitosi sotto le coperte, era intento a fare le
fusa contro il petto di un leggermente assonnato David.
L’uomo, dal canto suo, non poté che
essere felice di aver riottenuto il permesso di stringerlo tra le braccia,
anche se Bill sembrava aver programmi ben diversi dai suoi.
- …le posticipiamo le interviste
post-Capodanno, vero Dada? – stava infatti
mugolando, mentre David faceva scorrere una mano sulla sua schiena
(insolitamente coperta da un enorme maglione di lana) e le sue labbra si
impegnavano a lambire con sempre più insistenza la pelle del suo collo.
- Mmmh… - fu la
sua soffocata risposta. – No, e comunque non
m’importa niente delle interviste, ora – mormorò, permettendo
alla sua mano di scivolare lungo il ventre di Bill e avventurarsi verso
l’orlo del suo maglione. Si lasciò sfuggire un
verso di disapprovazione mista a sorpresa quando il ragazzo gliela
schiaffeggiò via.
- Ommammamia, e che
modi! – berciò Bill, ritraendosi di colpo e mettendo su
un’aria scandalizzata. – Sei incredibile, pensi
solo a quello! –
David avrebbe voluto precisare che, il più
delle volte, era Bill a saltargli alle spalle pretendendo attenzioni anche dopo
dodici o quindici estenuanti ore di lavoro, e che comunque
anche quella volta era stato lui ad inguainarlo fra le sue gambe chilometriche,
ma la momentanea sorpresa gli impedì di farlo.
- Ma veramente stavo
solo… -
- …allungando le mani come un vecchio
arrapato – concluse sibillino il ragazzo,
sporgendosi fino a che i loro visi non si trovarono a pochi millimetri di
distanza. – Sono io che decido quando, dove e se puoi toccarmi –
proseguì con voce esageratamente sensuale, come se avesse voluto
compensare la precedente reazione, ma a questo particolare David non fece caso, perché Bill lo stava accarezzando con
calcolata lentezza tra il petto e le spalle e gli aveva appena schiuso le
labbra con un bacio che annullò immediatamente ogni altro pensiero.
Si accontentò di baciarlo senza sentire il
suo calore tra le mani solo per qualche altro secondo, dopodichè lo
afferrò per le spalle e lo portò sotto di sé, approfondendo
il contatto e premendosi contro il suo corpo. Bill sembrò mettere fine
alle proteste una volta per tutte, ma, David non seppe
né come né perché, un attimo dopo se lo vide sgusciare da
sotto le coperte con uno squittio insolitamente acuto. Quando, ancora mezzo
intontito, alzò la testa, Bill era rotolato
dall’altra parte del letto, piagnucolando qualcosa di poco intelligibile
e arruffando le lenzuola.
- Santo cielo, Bill, ma che hai oggi? –
- Scusa – guaì il ragazzo,
artigliando un cuscino e contorcendosi come un ossesso. – Scusa scusa scusa… Oddio, è solo… mi…
mi fa male qui, tutto il fianco – mugolò, indicandosi il fianco
sinistro.
- Oh. E come… - tentò di domandargli
David.
- E il petto, e… e
anche la spalla. Mi fa male tutto – lo interruppe
bruscamente Bill, mettendo su un’espressione da cane bastonato, al che
David non tardò a sentirsi in colpa.
- Ma scusa, non potevi
dirmelo prima? – Bill sbatté le palpebre, tornando immediatamente
a quota tre anni. L’uomo si avvicinò a lui, allungando cautamente
una mano verso il suo fianco. – Dove hai detto
che ti fa… ahia! – Per la seconda volta Bill gli
assestò un sonoro ceffone sul braccio, costringendolo a ritirarlo.
– Volevo solo guardare, e per dio! – imprecò,
massaggiandosi il punto dolorante.
- Tu vuoi sempre guardare! – lo rimbeccò
Bill, scostandosi ulteriormente. – Ti ho detto
che mi fa male, non toccare, no? –
- Va bene, ho capito
– bofonchiò David, tirandosi la coperta fin sotto il mento e
lasciando ricadere la testa sul cuscino, voltandogli le spalle. Per un paio di
minuti regnò il silenzio più assoluto, e la totale assenza del
benché minimo movimento gli fece immaginare che
Bill fosse ancora immobile dall’altra parte del letto.
- Dada? – sentì poi alle proprie
spalle.
- Cosa? –
- Ma secondo te cos’è che può
avermi fatto male? –
- Se non lo sai tu…
-
- Cioè, male
così, dalla spalla al fianco, su un lato solo… -
- Dato che non ho il beneficio di sapere cos’hai fatto veramente stamattina, non
lo so, Bill – David si costrinse a non aprire gli occhi, ma
immaginò che il ragazzo lo stesse scrutando attentamente. – Avrai
sbattuto da qualche parte, o… avrai fatto una mossa strana, non so –
- E se fosse
un’infezione? –
L’uomo sbuffò, voltandosi sul fianco
sinistro e ritrovando Bill nella stessa identica posizione. – Perché dovrebbe essere un’infezione? –
- E che ne so io?!
–
- Dovrei saperlo io? – Qualche altro
secondo di religioso silenzio. – Magari è un principio
d’infarto – sbadigliò David, rassegnandosi all’idea
che, adesso, Bill gli sarebbe letteralmente saltato addosso strillando che era
troppo giovane per morire di crepacuore e altre
cavolate perfettamente in regola per una persona dal carattere così
esageratamente infernale come il suo.
Invece, inaspettatamente,
Bill tornò a rannicchiarsi tra le coperte, stropicciandosi il naso. –
No, questo no – disse soltanto, con voce stranamente tranquilla. –
Vabbè. Buonanotte – furono le sue ultime parole, prima che David
vedesse la sua testa scomparire sotto le lenzuola.
E l’uomo sperò per Tom che Bill gli
avesse davvero rifilato una balla, perché non sapeva fino a che punto il
gemello Kaulitz numero due avrebbe sopportato il
numero uno in quelle condizioni.
David avvertì qualcosa di molto simile a un vero infarto quando una massa di capelli corvini
sbucò inaspettatamente fuori dalle coperte appena qualche minuto dopo,
proprio mentre cominciava a sentire il piacevole torpore della sonnolenza
avvolgerlo dolcemente.
- Oddio, mi ero dimenticato…! –
proruppe Bill, scrollandosi la coperta di dosso e scattando a sedere sul
materasso, dopodichè David lo vide atterrare sul pavimento e schizzare fuori dalla camera da letto per poi volare in corridoio e
– presumibilmente – chiudersi in bagno, dato il perentorio Slam!
che seguì subito dopo.
L’uomo contò uno, due e poi tre
secondi prima di tirarsi su a fatica e attraversare la camera da letto a piedi
scalzi. Mentre percorreva il corridoio per raggiungere il bagno
si diede dell’idiota dalle dieci alle mille volte, ripetendosi che, diamine,
come al solito si era lasciato sopraffare dalla stanchezza, provocando una
delle numerose reazioni alla Bill. Anzi, peggio, alla Bill in piena fase
d’isterismo.
Si lasciò sfuggire un
profondo sospiro prima di accostarsi alla porta chiusa del bagno e
bussare leggermente. – Bill? – Silenzio. – Dài
piccolo, scusami. Posso entrare? –
Dall’altro lato partì una
sottospecie di ululato che spinse David ad abbassare
la maniglia e spalancare la porta senza chiedere nuovamente permesso, azione sbagliatissima dato lo spettacolo che si trovò
davanti.
Bill, seduto sul bordo della vasca da bagno,
ansimava rumorosamente tenendo sospesa tra pollice e indice
quella che sembrava una garza sporca e stropicciata, mentre l’altra mano
reggeva l’orlo del pesante maglione di lana, tirando la stoffa verso
l’esterno. – Bill, cosa stai…? –
- Brucia!! – frignò il
ragazzo, facendosi aria con l’orlo del maglione. – Brucia come
l’Inferno, cazzo! –
Fu allora che David fece ciò che avrebbe
dovuto fare già diverse ore prima: gli
scostò con decisione la mano dal fianco e alzò l’orlo del
maglione, scoprendo una serie di complicate scritte direttamente inchiostrate
sulla pelle livida e rovente di Bill.
- Diodiodiodio… -
mugolava imperterrito il ragazzo, gli occhi serrati e la mano ben distante dal
corpo, con la garza ancora penzolante tra pollice e indice.
La primissima reazione di David fu di sospirare e
passarsi una mano sugli occhi. – Direi che in un
infarto puoi solo sperarci –
- Vabbè, ma non credevo che avrebbe fatto così
male per così tanto tempo! –
piagnucolò Bill, guardandolo con occhi immensi e già lucidi. Nell’aria si dissolse un
terzo, lento sospiro prima che David tornasse a esaminare
l’intrico nero pece sulla pelle di Bill. Le due scritte seguivano la
forma di una riccioluta B maiuscola i cui estremi toccavano la pelle poco al di sotto dell’ascella e appena sopra il fianco
sinistro.
- “Non smetteremo mai di urlare. Torniamo
alle nostre origini” – lesse lentamente, per poi lasciare andare
l’orlo del maglione di Bill, il quale si lasciò sfuggire un gemito disperato quando la stoffa incontrò la
pelle dolorante. – Se mi avessi detto che
è stata tua madre ad accompagnarti ci avrei creduto più
facilmente –
- Ma è bello
– protestò debolmente Bill, tornando a farsi aria con il maglione.
- Immagino che tu te lo sia già fatto
fotografare – proseguì rassegnato David,
memore delle precedenti esperienze (la più traumatizzante delle quali
era stata il “Freiheit’89”
sull’avambraccio, che pure in confronto a quell’orrore era roba da
ridere). L’espressione colpevole del ragazzo non gli lasciò dubbi.
– Scusami Bill, potresti spiegarmi cosa intendi
per “origini”? Il ritorno alla vita sugli alberi o che? –
Era sicuro che a quel punto si sarebbe lanciato
in una convinta campagna per la difesa delle proprie idee d’avanguardia,
sostenendo diplomaticamente chissà quali punti in favore di quella frase
che sicuramente aveva un significato particolarissimo per lui,
altrimenti non avrebbe certo…
- …non so. Suonava bene –
David impiegò qualche istante per
incamerare l’informazione.
- Bene – disse poi, stirandosi e
lasciandosi andare all’ennesimo sonoro sbadiglio. – Per quanto mi
riguarda, adesso io me ne tornerò alle mie origini, da
cui, tra parentesi, mi hai strappato anche stamattina, e cioè
a letto – Fece per voltargli le spalle, ma poi la sua mente
proiettò una serie di immagini che lo costrinsero a bloccarsi e
rivolgersi nuovamente al ragazzo. – E sappi fin
d’adesso che io al prossimo servizio fotografico non ci
sarò. Buonanotte –
Ancora raggomitolato sul bordo della vasca e con
un’espressione di pura sofferenza stampata in viso, Bill non aprì
bocca, ma si limitò a chinare la testa e sfiorare con le dita tremanti
il livido violaceo che dava bella mostra di sé
sul petto pallido, lasciandosi sfuggire subito dopo un Ahia! che di diplomatico
aveva ben poco.
Quando David
tornò nel suo habitat naturale, sotto le coperte, ebbe soltanto il tempo
di ringraziare il cielo di essere solo
l’amante di Bill, e non il padre o, peggio, il fratello, prima di
scivolare nel mondo dei sogni con l’ennesimo, pesantissimo sospiro, di
certo non l’ultimo di una lunga serie.
Note stanche: …ew ._. Quattro
pagine per una boiata all’ennesima potenza. Ma si può?
Allora, premetto che la fonte d’ispirazione
di questa intelligentissima shot
neanche la nomino, perché è schifosamente ovvia. Prendetevela con
Herr Kaulitz e con la sua insana passione di rovinare
quel bel corpicino che si ritrova.
E’ la prima David/Bill
che scrivo e, sarò sincera, non mi entusiasma. Doveva venire un
po’ diversa, ma mi è uscita così e così la lascio. E’ una coppia che mi intriga,
ma non ci avevo mai scritto su, per cui non ho voluto buttarmi subito sul
drammatico. Diciamo che è stata una specie di
prova generale.
Per inciso, i personaggi non mi appartengono,
questa storia (sempre se storia si può chiamare) non
è stata scritta a scopo di lucro né vuole dare rappresentazione
veritiera dei caratteri di nessuno. Solo il frutto di due desolatissimi giorni
di vacanza.
Per chi
avesse bisogno di prove: http://img254.imageshack.us/my.php?image=tokioflobx0xy5.jpg