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Autore: GangsterPrincess    26/02/2015    0 recensioni
Quando da dodicenne si era trovato davanti a sua madre morta, a suo padre vivo per miracolo... Non immaginava che un giorno avrebbe di sua spontanea volontà cercato di ricordare quegli attimi; tuttavia, prima si costringe come obbiettivo per se stesso, poi per capire lei...
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Miles avanzò nella foresta che attorniava quella che da cinque anni a quella parte era casa sua; procedette giù per il sentiero che, a forza di essere percorso da lui e dal suo lupo addomesticato Arch, si era delineato attraverso la foresta, per raggiungere le cascatelle che si trovavano vicino al lago.

 

Era pomeriggio inoltrato, ammesso che si possa definire un pomeriggio in un mondo dove vige un eterno tramonto roseo e la notte; camminò spedito fino ad una radura che dava sul versante più tranquillo e limpido del lago, dove l'acqua era di un azzurro tenue e ci si poteva specchiare. Ammirò la sua slanciata figura riflessa; era molto magro, per i suoi diciassette anni, probabilmente perché sull'Isola, il pianeta in cui viveva da solo da molto tempo, il clima era piuttosto strano: lui lo sentiva di un afoso insopportabile, ma il suo lupo, che lo aveva accompagnato dal suo arrivo sul pianeta, non dava alcun segno di sentire l'aria umidiccia che Miles avvertiva.

 

Il ragazzo riprese ad osservarsi nello specchio d'acqua; aveva i capelli castano-rossicci portati piuttosto lunghi ed irregolari, dal momento che, come arnesi del giusto tipo, aveva solo un misero coltello per tagliarseli alla meglio; il volto, come accade sempre quando ci si specchia nell'acqua, era sfocato, ma si poteva distinguere in modo chiaro il mare di lentiggini rosse sopra. Si tolse la maglietta, si mosse di qualche passo e la bagnò nell'acqua del ruscello che, poco più in la rispetto al punto in cui era fermo prima, increspava le acque in modo impercettibile. Andava di frequente in quel posto, per prima cosa perché i pericoli che riempivano l'Isola di solito non si avventuravano in quella radura, secondo perché il tramonto, - quello vero, quando il giorno lascia il posto alla notte, non quello perenne che si poteva vedere sempre - di un rosa fucsia, in contrasto con la sfumatura verde-azzurrina che gli alberi assumevano in lontananza, gli riempiva la testa di una piacevole nostalgia, e gli faceva ricordare la sua madrepatria; non con ricordi materiali, più con la sensazione che avesse a che vedere con essa; a dirla tutta, lui non si ricordava niente della sua terra d'origine: non un colore, non un nome di importante capitale o divo del momento. Solo un vaga connessione con il tramonto sul lago.

Lui lo chiamava “Effetto Isola”; piano, soffusamente, ciò che avveniva prima dell'arrivo sul pianeta veniva offuscato. Non l'aveva osservato solo su se stesso, ma su tutte le persone sopravvissute all'incidente e che poi lo avevano abbandonato, per poter lasciare vivo lui.

 

Ogni volta in cui Miles si recava alla radura si sforzava di ricordare un dettaglio della sua vita precedente, anche se il più delle volte senza alcun successo; in tal caso si abbandonava alla pigrizia di sdraiarsi sull'erba, anche quella ormai azzurrina all'apparenza, e guardare il sole spento e rossiccio del pianeta sparire dietro dei monti troppo alti e lontani per un diciassettenne.

 

Smise di lavare la maglietta, che aveva rubato in quelle della scorta della vecchia velicella; le velicelle erano le grandi navi spaziali capienti e lente che il protocollo di colonizzazione dell'Isola aveva in uso al periodo.

Già, quel periodo; non ricordava quasi niente che fosse accaduto prima dell'incidente, ma il momento in cui, cinque anni prima, la sua nave aveva avuto un guasto non rilevato al sistema del timone, e si schiantarono prima contro la base di attracco e poi di rimbalzo con le strutture abitative.

Cercò di ricordare meglio, come ogni sera in cui veniva a guardare il tramonto.

 

In quanti erano rimasti vivi? Una trentina?”; non avrebbe saputo dirlo. Non avrebbe mai e poi mai potuto, era troppo più forte di lui.

L'ultimo era stato due anni fa, forse uno e mezzo... Si, era Malcolm, ed era morto nel sonno”; contava i giorni, i singoli giorni di attesa di un cambiamento, da troppo tempo.

 

Quando si era trovato davanti a sua madre morta, a suo padre vivo ma in gravissime condizioni e alla scia di bruciato, fiamme e sangue che conduceva fino a dove si trovava, non poteva sapere che un giorno si sarebbe trovato a cercare di ricordare quei desolanti dettagli dell'avvenimento più tragico della storia contemporanea: il grande incidente dell'Isola, come lui si immaginava lo avrebbero chiamato i suoi vecchi amici della Terra.

Già, Miles voleva ricordare; giusto per sapere che l'Isola non lo aveva vinto del tutto, giusto per poter dire a se stesso che forse quella forza che gli intorpidiva i muscoli nel sonno per l'umidità, la forza che sfocava le immagini del suo passato non era del tutto perfetta; lo facevo solo per potersi consolare poi, ma non c'era modo di riuscire realmente a ricordare più di quanto in quei suoi cinque anni già aveva tirato fuori dalla sua memoria.

 

Tornando a se stesso, si alzò in piedi e tornò in mezzo alla boscaglia, ripercorrendo al contrario il sentiero. La destinazione: il luogo dove per la prima volta ci fu bisogno nella sua vita di dodicenne di istinto di sopravvivenza; viveva nei vecchi hangar delle unità mobili piccole, all'apparenza una sorta di motocicletta con tre posti dietro, che sarebbero dovute arrivare assieme al carico della sua velicella; per quei cinque anni aveva vissuto nel luogo che aveva visto morire chi di più prezioso possedeva il ragazzo. Si, era solo un ragazzino quando si era imbarcato per la traversata dello spazio fino all'Isola, ma non era affatto una novità per il protocollo di colonizzazione una simile scelta: era frequente che le famiglie che vi partivano, solitamente povere che agivano dietro compenso, portassero con se i propri figli, e dovevano essercene parecchi, prima che la sua nave non si schiantasse con le abitazioni. Fra le trenta persone che sopravvivettero, solo tre, lui compreso, erano minorenni: un quindicenne di nome Dale, che morì due anni dopo l'impatto, di stenti, e Malcolm, con il quale strinse una forte amicizia.

 

Di lui ricordava molto: era con lui che aveva scoperto nelle vecchie cambuse di alcune velicelle in disuso già cinque anni prima delle scorte di cibo liofilizzato e vecchie sementi, che, straordinariamente, forse grazie al clima dell'Isola, erano germogliate in piccoli alberi da frutto in tutto analoghi a quelli terrestri nell'aspetto, ma dai frutti decisamente più aspri.

Malcolm probabilmente morì per qualcosa di inerente all'alimentazione. O almeno, era come si era sforzato di pensare Miles.

 

Era entrato ancora assorto nei suoi pensieri nell'hangar, e si preparava a dormire; utilizzava una piattaforma ovviamente non più in funzione del sistema di ibernamento, trasportata la dall'infermeria, che, gli era stato raccontato nel suo pseudo-addestramento prima di venire sull'Isola, era più o meno frequentemente usata come alternativa al coma farmaceutico.

 

Si rannicchiò su se stesso, con addosso qualcuna delle coperte in fibratech della base, e dopo lunghi minuti passati a non pensare, abbandonò l'ultima strenua resistenza al sonno profondo ma disturbatissimo che da sempre gli provocava la pesante aria dell'isola.



Note autore: Okay, ammetto che non è una gran storia, ma sappiate che più o meno è un sogno che ho fatto la settimana scorsa, in una notte. Non è facilissimo riuscire a tappare le falle del mio subconscio, visto che una notte non è tantissimo. Capeetemi, vi prego.
Comunque, visto che questa specie di sogno/distrazione all'ora di Matematica (la mia prof. ha in tutto e per tutto le caratteristiche di un fungo), è stata prodotta nella più totale stanchezza, possibile ci siano errori, se me li segnate in una recensione mi fate cosa gradita.

 

Alla prossima,
GangsterPrincess AKA RobiLostInWonderland

   
 
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