L’agente
speciale Mick Rawson stava appoggiato
alla porta, come se questa non riuscisse a sostenersi da sola. I
capelli
incorniciavano il viso, facendosi aiutare dalla barba incolta. Le
braccia
muscolose suggerivano un allenamento costante. Inoltre la maglietta ed
i
pantaloncini scuri svelavano il misterioso del suo sedativo notturno.
-<<
Io non corro >> Abelle stava
già tornando nella sua stanza col passo veloce ed un sorriso
malizioso sul
volto. Mick l’aveva acchiappata da una spalla e, facendola
girare, l’aveva
guardata negli occhi.
-<<
Fidati di me; ho provato la stessa
tua angoscia, svegliandomi di notte e urlando in una stanza vuota e
fredda.
Uscire, fare due passi, magari accelerare il ritmo ti permette sia di
stancarti
che di scrollarti di dosso tutte le pesantezze accumulate nella
giornata. Ora
va’ e cambiati. Tra cinque minuti ti voglio scattante davanti
alla mia porta.
>> Abelle acconsentì controvoglia e dieci
minuti dopo stava cercando di
tenere il ritmo di Rawson. Inutile dire che non era
all’altezza, nonostante la
sua dinamicità, quell’uomo la stava distruggendo
fisicamente ed il respiro
sembrava sempre più affannoso e fluido: l’aria
stava attraversando ogni particella
del suo apparato respiratorio, ma ad ogni centimetro in più
sembrava che tutto
diventasse sempre più impossibile. Mick
se ne accorse, ma non rallentò, né si
fermò, anzi sembrava che aumentasse la
velocità nei momenti più duri. Abelle si
concentrò sul respiro, sul sudore che
ormai stava scendendo sul viso, sui suoi capelli che avrebbe dovuto
rilavare
nello stesso giorno e sul fatto che Rawson avesse ragione. Pensare a
non
mollare, a dimostrare la sua potenza muscolare e la sua resistenza
all’agente,
la distraeva dai suoi incubi. E la stancava fisicamente. Venti minuti
dopo
stavano già rallentando l’andatura e si fermarono
sotto un albero, in un parco
sconosciuto. Senza fare qualsiasi movimento riconducibile allo
stretching,
Abelle si buttò, anzi meglio dire si tuffò
sull’erba e rimase immobile per
qualche minuto. Mick
trovò una panchina di
fianco alla pianta ed inizio a rilassare i muscoli e a sorridere,
vedendo la
stanchezza fisica della donna.
-<<
Ma te non corri mai? >>
Ottenne un gemito come risposta e si dovette accontentare. Mosse alcuni
passi e
si sdraiò parallelamente a lei. Abelle sentiva
l’odore semplice e caldo del
sudore; non era troppo forte, da non riuscire a sopportarlo. Si
accostò anche
lei vicino a Mick e lo guardò per un po’ di tempo.
-<<
Non mi piace correre >> ammise
sorridendo. << Lo trovo monotono. >> Mick sollevo le sopracciglia, come se
fosse
rimasto sorpresa, ma poi, riabbassandole, sorrise dolcemente.
-<<
Dovrai iniziare a fartelo piacere,
almeno finché i tuoi incubi non svaniranno. >>
Entrambi notarono che l’atmosfera
stava diventando ormai troppo intima; il buio, il silenzio, lo sfavillo
delle
stelle coloravano le loro sensazioni. Rawson
fu il primo ad intervenire:
-<<
Dovremo tornare indietro, ci serve
un po‘ di riposo. >> Abelle annuì
ed, aiutata dall’uomo, si rialzò in
piedi e lo seguì fino all’albergo. Lo
accompagnò davanti alla camera ed
imbarazzata, lo salutò infantilmente con la mano,
sussurrando un grazie appena
percettibile. Lui
sorrise e le augurò
Sogni d’Oro.
Aveva
avuto di nuovo ragione. La notte era
passata senza incubi, senza sudore e senza urla. La mattina dopo era
carica e
determinata a fare passi avanti nel caso.