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Autore: whitemushroom    27/02/2015    5 recensioni
Un interludio è qualcosa che si trova nel mezzo. Qualcosa di indefinito, specie quando di un'opera si ricordano solo l'inizio e la fine. Ma in questo spazio bianco, avvolto nella nebbia, si muovono i mille tasselli di una storia che cerca solo di portare avanti il mosaico finale. Hilda si trova nel proprio interludio, rapita da un mago che non riesce a comprendere ma che sembra avere per lei molti più progetti per il futuro di quanti la granduchessa ne abbia ella stessa. I sentimenti che prova verso suo marito oscillano, ma forse saranno proprio quelli a tenderle la mano e trarla in salvo quando l'intermezzo rischia di trasformarsi in una tragedia ...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hildagarde Fabool / Lady Hilda, Kuja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Capitolo I - Dialogo di una granduchessa ed un mago pazzo di Tera

“Le serve qualcosa, signora?”
N. 16 gracchia con la sua voce che sembra un ingranaggio bisognoso di un po’ d’olio. Nonostante la mole si muove accanto a me senza sfiorare i margini del tavolo, né fa cadere la caraffa d’acqua che solo adesso mi accorgo essere pericolosamente in bilico. Dovrebbe dare qualche lezione di grazia a Janine e Olivet. “Avrei bisogno di qualcosa per riflettere la luce. Qualcosa tipo un cristallo, ma non troppo grande … puoi aiutarmi?”
“Provvederò, signora”.
Si allontana con il suo fare ondeggiante, quello che non smette di farmi ridere anche adesso che sono passate molte settimane da quando ho messo piede in questo posto per la prima volta. Non riesco proprio a non sorridere quando n. 16 passa per la porta del laboratorio e puntualmente perde il cappello contro quella porta troppo bassa per lui, si china con le sue braccia sottili e se lo rimette in testa. Ormai è un piccolo rito, non riesce proprio ad imparare.
Kuja sostiene che i maghi neri siano stupidi. Io li trovo affascinanti.
Certo, il design è così terribilmente scontato, ma c’è qualcosa di incredibile in quel legno che vive, in quella paglia che si muove, in quegli ingranaggi che a modo loro pensano. Ogni volta che n. 16 schiude la mano per portarmi ciò che gli ho chiesto non riesco a smettere di immaginare i sottili fili che si contraggono come dei tendini sotto quelle dita, allentati da morsetti così piccoli che potrebbero confondersi con una delle mie unghie. Ci sono viti là sotto, e corde e minuscoli cilindri metallici. Ci sono foglie di pos tritate finemente dove le giunture che sostengono la colonna vertebrale si aprono, e cristalli di quarzo azzurro si trovano nel pos per distribuire il peso della creatura sfruttando le sottili onde della pianta.
A pensarci bene la mateva immersa in un bagno di acqua e sali di rame produce delle vibrazioni maggiori; ricordo che da bambina mio padre la usava spesso per rimuovere le incrostazioni di fango e salsedine che puntualmente si formavano sotto lo scafo della barca. Bastava applicarne qualche goccia e i frammenti grigiastri cadevano a pezzi uno dopo l’altro ed il legno tornava come nuovo, mentre il padre di Phil impiegava mezzo pomeriggio per staccarli con il suo scalpello.
Quando provai a suggerirgli il trucco della mateva disse che quelli come noi dovevano bruciare all’inferno oppure finire nella pancia di Leviatano.
Sì, potrei suggerire a Kuja di sostituire il pos con la mateva.
Sono sincera, davanti a questo tavolo, con il lavoro nemmeno a metà, mi chiedo come abbia fatto uno come lui a costruire qualcosa di così complesso. È frivolo, disordinato, irritabile e con la testa sempre da un’altra parte, eppure quando si china sulle sue creazioni ha la precisione di un orologiaio di Toleno. Ieri sera ha insistito per partecipare al progetto, gli avevo chiesto di tritarmi delle foglie di yling mentre pesavo i cristalli di rame … e lui lo ha fatto. Sì, lo ha fatto.
Le ha tagliate della grandezza giusta, proprio come gli avevo spiegato. Solo che erano tutti dannatamente uguali.
Tutti. Dannatamente. Uguali.
Tagliati in forma quadrata, con il lato di mezzo centimetro. Ne ho accostati uno all’altro per provare, e si potevano sovrapporre senza possibilità di errore, non una sfrangiatura, non un bordo fuori posto. Ho aspettato che lui si voltasse per osservare quelle sottili finestre verdi ed impilarle senza altra ragione che non ammirare il gesto perfetto che aveva dato loro quella forma senza nemmeno rispondere al suo “Non vanno bene?”. Ciascuna filtrava la luce disegnando un minuscolo quadrato sul tavolo da lavoro, colorato di una tinta ancora più accesa quando spostai la candela per evocare quel prezioso gioco.
In quel momento mi sono resa conto di quanto tutto ciò fosse inquietante.
Forse è per questo motivo che stamattina ho provato una sensazione di sollievo quando ha annunciato che sarebbe partito per Alexandria e sarebbe stato lontano dal palazzo per tutta la giornata. Per questo ed altro ancora.
Il suono di un cappello di paglia per terra annuncia il ritorno di n. 16 e della sua immancabile palandrana viola che ha visto giorni migliori. “Questo può andare bene, signora?”
Le sue enormi dita si schiudono, lasciando che la candela illumini il palmo ed il suo prezioso contenuto; la luce colpisce a malapena il gioiello che questo si illumina, scintilla, trasforma quel guanto consumato in un caleidoscopio dove decine di minuscoli arcobaleni compaiono come le stelle negli istanti dopo il tramonto. Le centinaia di sfaccettature si colorano di verde e giallo, di rosa ed anche di un azzurro così intenso che per un istante mi copro il viso con le mani, aiutandomi con le dita per filtrare quel gioco di luci e delineare di nuovo la forma poco più piccola del mio pugno. Migliaia di persone ucciderebbero per un oggetto simile.
Il diamante adesso riflette i colori lungo il tavolo la lavoro e la libreria, e solo quando mi ricordo di annuire n. 16 lo allontana da me e lo appoggia nell’unico spazio libero del pianale. Scosto la candela per ammirarne la perfezione. Davanti a questo persino la collezione di gemme di Lady Stella sembra solo una montagna di cocci di bottiglia … non che l’abbia mai trovata interessante, ma sono certa che venderebbe tutte le sue piume per un gioiello del genere.
“Sì, grazie …”
Forse è questa la chiave di cui avevo bisogno. Anzi, più guardo la luce e più ne sono convinta.
Sul tavolo da lavoro il progetto è ancora incompleto. E’ molto più grande di maghi neri come n. 16, almeno il doppio dei semplici prototipi; ho dovuto unire due banchi per stenderlo, perché a differenza di Kuja non posso farlo levitare con un schiocco di dita e le ali di cui è dotato ancora non sono attive. Il secondo paio è opera mia, Kuja non aveva pensato a renderlo più agile. È bastato spostare le due ali originarie all’altezza dell’ultima vertebra cervicale e poi è stato semplicissimo aggiungerne altre proprio a metà della schiena. Lo ha fatto fare a me, dalla condensazione della resina collante all’aggancio, tutto fino alla verifica dell’apertura.
Per un attimo mi sono sentita come Cid.
Ma è stato davvero un attimo. Quello che sto facendo qui è diverso.
Non è tecnica, non sono motori, non sono soltanto ingranaggi, corde, bulloni ed un motore. Questa è magia.
Questa è vita.
E quello sotto di me non è un motore, ma un cuore. Un cuore fatto davvero con carne e muscoli, ma anche con sali, soluzioni e rune; sapevo dell’esistenza di un linguaggio della magia, un codice tramandato dagli antichi sapienti ormai nelle leggende. Non ne ho ancora avuto l’occasione, ma prima o poi quel libro sulle rune che ogni tanto Kuja tira fuori dalla sua biblioteca sarà mio. Questo cuore si attiverà non appena inserirò l’ultimo componente, anche se lui mi ha consigliato di farlo solo quando tutto il resto sarà completo. Il gigante su cui sto lavorando è un vecchio progetto, e lui mi ha chiesto di migliorarlo.
Probabilmente perché si è trattato di un fallimento, e basta trascorrere una manciata di secondi con Kuja per capire che non è il tipo da accettare fallimenti; forse lo ha delegato a me per questo –ed ho come il sospetto che ci stesse pensando sin dal momento in cui mi ha portata via con l’Hilda Garde- anche se alla fine la cosa non mi dispiace più di tanto. Non ho mai potuto fare qualcosa di veramente grande e veramente mio senza … senza dovermi guardare alle spalle, senza voltarmi ad ascoltare i sussurri della gente.
Il ripristino del Progetto Walzer può essere un buon inizio. Da qualche parte dovrò pur ricominciare …
“Signora …”
La voce di n.16 mi riporta indietro. Senza che nessuno glielo abbia ordinato si è avvicinato al tavolo; i suoi cristalli dorati scintillano, immagazzinando le immagini proprio come se fossero degli occhi veri mentre la testa gli scivola dall’alto verso il basso quasi a memorizzare ogni dettaglio del gigante immobile, dal pastrano così simile al suo fino alle ali. La sua mano si avvicina alle piume, quasi timorosa. Si volta verso di me quasi a chiedere una conferma, poi la fa scivolare per tutta la lunghezza fino a ritirarsi nel punto in cui questa si aggancia al corpo, quasi con timore. “… quindi i Walzer ritorneranno funzionanti?”
“Beh, al momento cerchiamo di finirne uno. Se dovesse andare bene potrei pensare di ricostruire anche gli altri. Dovrei ricominciare da zero, Kuja non è riuscito a recuperare nemmeno un pezzo degli altri due”.
“Capisco …”
Per un attimo c’è qualcosa di diverso nella sua voce. Qualcosa di … umano. Non pensavo di poterlo sentire dal simulatore vocale di n. 16. I maghi neri sono come gli antichi golem, dopotutto: hanno tutto, a parte un’anima. Adesso quantificare e definire cosa sia un’anima non è nelle mie capacità e personalmente ho sempre creduto che si trattasse di qualche deduzione filosofica di alcuni religiosi, ma da quando mi trovo qui è evidente che ci deve essere qualcosa che abbia a che fare con l’anima, “qualcosa” che io ho ed i maghi neri no. Eppure gli occhi di n. 16 sembrano davvero fissarmi, ed anche se sono soltanto cristalli sembra quasi che un’ombra vi abbia poggiato sopra le sue ali. Se fosse un uomo potrei definirlo “preoccupato”.
“Non hai nulla da temere. Sono convinta che questa volta andrà tutto a perfezione. Con la modifica che ho in mente la vostra efficienza aumenterà a dismisura, Walzer potrà comandarvi e coordinarvi da una distanza di oltre cento miglia senza che siate costretti ogni volta a passarvi parola o ad ascoltare gli ordini di Kuja. Non avrai bisogno di venire da me tutte le volte a chiedermi cosa mi serve, non sei contento?”
“…”
“È anche troppo evoluto per coordinare tutti voi maghi del palazzo, ma almeno se qualcuno dovesse attaccare questo posto sarete organizzati alla perfezione per difenderlo, soprattutto in caso Kuja fosse via!”
Beh, non mi sembra molto convinto. Non che ci sia qualcosa da “convincere” in un essere senz’anima –anzi, mi sento un po’ idiota nel farlo- eppure i suoi occhi non sono vuoti e spenti come al solito. Sono vivi, strani, e nel suo silenzio sarei pronta a scommettere che c’è qualcosa in tutto quello che ho detto che non approva. Persino le sue mani si agitano come a palpare, a sfiorare qualcosa che non c’è. “Numero 16 … è tutto a posto?”
“Sì signora. Non ci sono malfunzionamenti”.
“Non è questo che …”
“Quando sono andato a prenderle il diamante mi hanno detto che il padrone è tornato e vuole vederla tra un’ora. Sono passati oltre quindici minuti, e non deve far aspettare il padrone” risponde, allontanandosi dal tavolo con un movimento di pancia che per poco non fa cadere le bottiglie ed il tagliere. Prima che riesca anche solo ad ordinargli di fermarsi è già uscito, ha fatto cadere il cappello ed è sparito oltre il portone intarsiato. Nonostante i suoi piedi siano colmi di paglia riesco a sentirlo salire le scale con molta più fretta di quando è uscito per prendermi ciò che mi serviva. È davvero sempre più strano. Dovrò chiedere a Kuja se gli è mai accaduto prima. Tuttavia oggi ho avuto qualche buona idea, quindi non mi dispiace spegnere le candele e chiudere a chiave il laboratorio. Se penso ai piccoli esperimenti fatti in un angolo della mia stanza, di quelli che nascondevo nel cassetto, per un istante mi viene da ridere.
Prima di uscire però prendo il diamante e lo porto con me: ho come il sospetto che n. 16 non abbia chiesto a Kuja il permesso di prenderlo, e non voglio che gli succeda qualcosa per causa mia. Kuja ha delle reazioni poco piacevoli con i suoi servitori, e per quanto siano solo delle bambole animate non mi piace vederle esplodere in mille pezzi soltanto perché hanno obbedito con troppa solerzia ad una mia richiesta. Non n. 16, soprattutto. Kuja mi ha affidata a lui da quando mi ha portata qui, e nonostante i suoi lunghi silenzi e le frasi vuote è davvero l’unica voce che sento qui dentro quando il padrone del palazzo è via. E quando c’è parla anche troppo.

Ogni tanto mi chiedo perché non sono stata rapita da un bell’aviopirata. Quei tizi poco raccomandabili che nelle storie vanno sempre in giro a rapire principesse quasi si tratti di uno sport nazionale, magari di quelli che hanno un assistente di una qualche razza animale che li segue ciecamente. Anche un contrabbandiere andrebbe bene, perché no? Sono sicura che riuscirebbero a rendere molto più interessante una cena.
“… beh, era ovvio che non potesse vincere la competizione! Suvvia, il dottor Tot sarà anche un sapiente, ma è chiaro che non possa ricordare a memoria tutte le battute di Lord Avon! Non li senti gli applausi?” dice, voltandosi verso destra come se vi sia davvero qualcuno alle sue spalle a battere le mani. “Applaudono me, applaudono soltanto me! Si mettono in fila e si spingono tra loro pur di ascoltare la mia voce. Non è fantastico?”
Prenderei la prima dama di Alexandria sotto tiro, fosse anche la principessa Garnet in persona, la legherei a questa sedia e la lascerei ad ascoltare questa voce tanto melodiosa. Quando Kuja attacca con le sue autocelebrazioni finisco per rimpiangere persino le odi in rima alternata che Cid tesseva per le sue aereonavi –e sicuramente anche per le sue amanti.
Sì, decisamente anche farsi rapire da quell’attoruncolo con la coda che aveva recitato (male) la parte di Celestio tre anni fa al teatro centrale di Lindblum sembra un’opzione molto più gradevole. Giuro che se trovo uno di quei libri che narrano di fanciulle rapite da tetri ed affascinanti pirati dell’aria dò loro fuoco.
“Ti piace proprio il suono della tua voce …”
Non sarà la più felice delle risposte da dare ad una persona in grado di disintegrare un’aereonave con un incantesimo, ma per pochi attimi il silenzio che ne segue è una valida ricompensa per il rischio in cui potrei incorrere. Mi sorride, incurvando le labbra su cui –sono pronta a scommetterci la mia sfera di cristallo- ha passato qualche cosmetico perché sono anche più luminose delle mie. Forse la tempesta non è ancora pronta per scoppiare, perché di rimando prende la bottiglia del vino e versa parte del contenuto nel mio calice; lo solleva e me lo porge, invitandomi a prenderlo. “Potrei pensare che invece a te piaccia ascoltarla”.
Rude aviopirata dei bassifondi di Toleno, rapiscimi tu … “Posso puntualizzare il fatto che tu mi abbia portata qui senza darmi possibilità di andarmene?”
“Altresì potrei puntualizzare che il mio palazzo ha un portone, ma che tu non abbia mai cercato di oltrepassarlo”.
“Sai, vi sono svariate miglia di deserto tra il tuo elegantissimo portone ed il primo posto abitabile, ammesso che ve ne siano …”
Non afferro il calice. Appoggio lentamente le mani sulle ginocchia lasciandolo con il bicchiere in mano; lui mi fissa per un po’, ma nessuna traccia di magia si solleva dal suo corpo. Quando non lancia incantesimo non emette nemmeno uno spiraglio, nemmeno un minuscolo flusso di energia … quindi posso ancora considerarmi illesa per i prossimi minuti. “Oh, e io che pensavo ti piacesse rimanere qui. Ti trovo sempre nel laboratorio o nella biblioteca!”
Detesto quel suo sorrisetto di trionfo, specie quando segue una frase pronunciata con l’enfasi di un attore da melodramma. Perché sa che cosa c’è qui e cosa c’è di fuori. Sa che io ho bisogno di tempo, tempo per tutto, per pensare, per capire … e lui ha riempito questo tempo con qualcosa che mi ricorda un campanello argentato, di quelli che ti costringono a voltare la testa durante i giochi, che ti richiamano a casa avvisandoti che la cena è pronta.
Non posso negare che ho sempre sognato un posto come questo.
Mi ricorda una favola. Non la mia preferita, ma una di quelle che non riesci a dimenticare nemmeno volendo. Parlava di una ragazza intelligente, curiosa, mi sembra fosse persino la figlia di un inventore … insomma, per non ricordo bene quale motivo rimaneva prigioniera in un castello magico, dove il principe ed i servitori erano sotto l’effetto di un incantesimo causato (ma guarda un po’) da una Strega offesa. Il principe era diventato una bestia feroce, con tanto di zanne e coda, mentre i servitori erano stati trasformati in oggetti animati che mantenevano pulito ed ordinato il palazzo tutti i giorni (e anche questo mi sembrava davvero idiota da parte della Strega, trasformarli tutti in rane sarebbe stato molto più facile). La fanciulla era affascinata da quel posto perché c’era tutto ciò che desiderava e che nel suo piccolo paese era sempre guardato con sospetto, come libri, oggetti incantati, rose sempiterne … a farla breve, l’unica cosa terribile era il padrone, scortese, sgarbato e con un senso dell’educazione discutibile. Poi ad un certo punto lei provò a fuggire, rimase ferita a causa di mostri feroci all’esterno ma lui la salvò, e così scoccò la scintilla. Adesso non ricordo bene quale condizione illogica avesse posto la Strega per spezzare l’incantesimo, ma sta di fatto che la purezza e la compassione della ragazza fecero rinsavire il principe dal mondo tetro e solitario in cui si era rinchiuso e con un bacio del vero amore l’uomo ed i suoi servitori tornarono normali e tutti vissero felici e contenti.
Ora, escludendo quanto sia illogica questa storia, se tutto quello che mi fosse capitato in questi giorni diventasse un giorno materia di racconti o di canzoni bardiche, a qualche idiota di primo pelo verrebbe quasi da paragonare la mia situazione a quella della favola e magari se ne uscirebbe con qualche scemenza come il “bacio del vero amore” (altra idiozia delle favole. Il vero amore è qualcosa che usano gli uomini per abbindolarti e portarti a letto). Adesso, oltre al fatto che Kuja non ha le zanne e men che mai una coda pelosa, tutto mi verrebbe in mente adesso che non sia dargli un bacio giusto per vedere se si trasforma in un uomo elegante e premuroso. Perché se quello che sospetto è vero quelle labbra potrebbero aver sfiorato quelle della regina Brahne e nemmeno immergendole nell’acido cloridrico potrei levare la sensazione di fango umidiccio in bocca che senza dubbio mi lascerebbe.
Preferirei sul serio baciare n. 16. Almeno ha un paio di pantaloni e non indossa i tacchi.
Il mio silenzio lo ha lasciato ovviamente vincitore e gongolante. La realtà è che in questo momento non saprei dove andare.
Cambiare argomento è l’unica via d’uscita, e grazie al cielo con Kuja è fattibile. “Mi sono permessa di prendere questo dai piani superiori” sospiro, porgendogli il diamante ancora avvolto nel panno. “Se lo stabilizzassi all’interno della gabbia toracica e usassi delle lenti potrei usare la sua capacità di rifrazione per amplificare l’energia di Walzer. I diamanti ed i rubini sono le più sensibili alla conduzione della magia, credo valga la pena provare. Sempre che per te ….”
“Prendine quanti desideri. Te li farò recapitare tutti dopo cena”.
Tutti? “Quanti ne hai …?”
“Quanti ne ho voglia” mi risponde, e mentre porta alla bocca un cucchiaio di budino alle fragole –è il terzo. Non sembra, ma mangia davvero tanto- fa uscire la gemma dal suo involucro e se la porta davanti agli occhi, passandola tra il viso e la candela fino a costringermi a guardare in un’altra direzione per non rimanere abbagliata dalla luce del diamante, che davanti ad un lume simile manda dei raggi che sono ben maggiori di quelli prodotti nel laboratorio. Inizio a sentire la magia pizzicarmi dentro e l’attimo dopo la pietra abbandona la sua mano e levita pigramente fino all’apice della fiamma. Questa aumenta di colpo, poi avvolge tutta la cera bianca e come una torcia avvolge il diamante senza però toccarlo, come una corolla di petali chiusa intorno al polline.
L’effetto è indescrivibile.
La gemma ruota su se stessa ed i raggi bianchi e celesti si riflettono nelle decorazioni di vetro che pendono dal lampadario. Lì illuminano a giorno il nostro tavolo di marmo bianco e, prima ancora che io possa aggiungere altro, si lasciano andare contro il vetro della finestra trasformando la stanza in una sottile ragnatela bianca che si muove, si dipana man mano che il gioiello continua a girare trascinando il fuoco con sé. Un piccolo arcobaleno si disegna tra il candeliere e quello vicino, comparendo in aria non come un mero riflesso ma come qualcosa di tangibile ma che non potrebbe esistere in un posto secco come questo palazzo. Kuja guarda sorridente l’arcobaleno, spostandosi a sinistra pur di ottenere una visione migliore. Adesso anche il soffitto è rischiarato da fasci verdi e azzurri. L’unica cosa a non essere illuminata da questo delicato caleidoscopio è il volto cupo di un mago nero che ci serve a tavola, imperscrutabile sotto quel cappello.
Kuja è assolutamente rapito da tutto ciò. “Agli inizi mi chiedevo perché la gente desse tanto valore ai diamanti. In fondo non sono altro che sassi luminosi, no?”
Annuisco. Evidentemente il letto ed un buon libro dovranno aspettare.
“Pensavo che fosse solo perché sono oggettivamente belli, ma in fondo anche un tramonto è stupefacente eppure nessuno combatte per averlo solo per sé. Ti assicuro, la questione mi stava facendo impazzire!”
Questa discussione senza senso sta facendo impazzire ME. E’ scemo o cosa? “È perché sono rari …” rispondo nella vana speranza che finisca il dessert e senta il bisogno di andare a svuotare l’intestino. Speranza che si dissolve mentre lui assume una posa a suo dire melodrammatica, con una mano sulla fronte come se l’argomento fosse della massima complessità. Perché non ne discute con il dottor Tot?
La mano libera prende a tamburellare sul tavolo. “Giusto, giusto, è quella la soluzione! Ma allora mi sono chiesto: se vi fossero più diamanti su Gaya, la gente smetterebbe di desiderarli? Le dame non li indosserebbero più, perché anche la plebaglia può permetterseli? Li userebbero per lastricare le strade non sapendo più cosa farsene? O magari i userebbero per rinforzare le armature dei Plutò, che sembrano fatte della latta più scadente …”
“Un problema immaginario, Kuja. Non ci sono altri diamanti!”
“Tu sai come si crea un diamante?”
“Ci sono delle teorie, niente altro …” o almeno questo è ciò che so. Avevo letto un trattato di una studiosa burmesiana al riguardo, almeno cinque anni fa. Aveva portato avanti uno studio piuttosto interessante su gemme di ogni tipo, avevo letto un intero paragrafo di alcuni tipi che si formano soltanto nel loro sottosuolo e su cui volevo fare qualche piccolo esperimento. Poi i giorni erano passati ed avevo accantonato l’idea, ma ricordo bene il paragrafo dedicato alle gemme più splendenti del mondo. “Si sospetta che nascano dalla roccia più pura, ma solo se questa viene sottoposta ad una temperatura ed una pressione eccezionali. Ho letto che secondo alcuni l’interno del nostro mondo sia composto da rocce roventi più del fuoco, ma la cosa, perdonami, mi sembra un tantino ridicola”.
“No, no, no, è tutto giusto, tutto esatto sin nell’ultima virgola! Sono fortunato, non sempre trovo qualcuno di istruito che possa capirmi!”
Evitiamo di sottolineare la differenza tra trovo e rapisco
“Temperatura. Pressione. Due cose così semplici, così alla portata possono trasformare una roccia nella regina delle gemme, non è magnifico? Due fattori così comuni potrebbero cambiare il senso del mondo. Basta così poco, così poco …”
Poi la mano che fino ad un attimo prima gli sostava sulla fronte scatta in avanti, con un movimento così rapido che non riesco a trattenere un minuscolo salto sulla sedia. La temperatura aumenta in maniera vertiginosa, l’aria inizia a tremolare e tingersi di rosso ed arancio e sento la magia riprendere a martellare, stavolta agitata e furiosa. Il cuore mi sale in gola.
Il palmo preme sul marmo del tavolo come se volesse distruggerlo, la tovaglia ed i tovaglioli prendono fuoco e mi allontano da lì prima che anche il mio abito venga coinvolto in quel minuscolo incendio che in un battito di ciglia fa sparire cena, piatti, fiori, candele e incenso come se una forza bruta si fosse riversata in quel piccolo angolo ruggendo come un drago. Kuja non sposta il braccio nemmeno quando una fiamma gli si avvicina al braccio, continua a premere sul tavolo con uno sguardo diverso, quasi furioso.
Per un istante mi sembra come se davanti agli occhi avesse qualche altra cosa, qualche nemico immaginario ben diverso dal povero mobile che sta subendo tutta la sua furia. I maghi neri non si muovono, come se la reazione del loro padrone avvenisse in un mondo lontano dove loro non sono ammessi. Adesso dovrei cercare di calmarlo, ma qualunque cosa stia succedendo sono felice cdi non essere io il bersaglio di questo lampo di follia.
“Guarda bene …”
La sua voce adesso non ha assolutamente nulla di armonico. Solleva la testa nella mia direzione, e tra i capelli scomposti gli occhi hanno un guizzo che non ha nulla, assolutamente nulla di umano. Mi fissa come un predatore, con un ghigno che mi inchioda al pavimento quando qualunque pensiero razionale mi imporrebbe di uscire dalla porta e chiudermi nella stanza. Sembra una bestia pronta a balzare. “… guarda bene adesso”.
Il calore si allenta, riempiendo l’aria di una scia di vapore. Lui si allontana dal tavolo, sistemandosi i capelli con la mano senza staccare le iridi dalla superficie del mobile, invitandomi a fare un passo avanti.
Cosa che non faccio.
Vedo benissimo anche da qui.
Il tavolo si è incrinato. Tutto ciò che si trovava al di sopra è diventato un mucchio di cenere scura, ed il marmo delle gambe si è annerito fino a non essere poi così dissimile al carbone. Un vaso d’oro che si trovava in un angolo è l’unico sopravvissuto, ma è deformato come un uomo senza spina dorsale, il metallo luminoso piegato su se stesso fino ad essere solo una massa informe il cui contenuto è andato perso nella fiammata. Ma in mezzo a quelle rovine nere c’è qualcosa e, con mio sommo orrore, si trova proprio nel punto in cui quel mago pazzo ha poggiato le dita. Scintilla più della luce del giorno, più della fiamma.
In quel punto, e solo in quel punto, il marmo annerito cede il passo ad una superficie di diamante purissimo. Una massa incastonata lì dentro, nata dalla roccia che fino a qualche secondo fa sosteneva un piatto, un calice e delle posate. Mi osserva con le sue cento sfaccettature, mi sfida anche più del suo creatore, si vanta di essere reale in tutta la sua superiore bellezza. La gemma che n. 16 mi aveva portato è ancora lì a mezz’aria, ma il suo bagliore si è trasformato in un sottile filo di luce davanti a quella costellazione incastonata nel fumo e nel marmo. Fa volare il diamante verso di me, e stavolta lo recupero al volo.
“Basta poco, così poco … pensa, pensa come sarebbe Gaya. Un mondo dove i diamanti non sono unici, un mondo in cui le gemme sono tutte uguali, tutte uguali, tutte dannatamente uguali, comuni e banali. Chi si meraviglierebbe più nel guardare il loro arcobaleno, la loro perfezione, dimmi, chi lo farebbe?”
“Nessuno” sussurro, aiutandomi con lo scaramantico gesto di incrociare le dita dietro la schiena nel desiderio di aver formulato la risposta giusta.
“Esatto …”
L’aria si carica di incantesimi, stavolta totalmente fuori controllo. “… assolutamente NESSUNO!”
Stavolta mi ritrovo a terra, non sono stata così svelta nel reagire ed il freddo parte dalla mia testa quando urto contro qualcosa, il pavimento o una parete, non lo so. Fa male, brucia. È una pioggia di coltelli, la sua magia contro la mia impatta e stritola, spinge e urla. Non mi trascina con sé solo perché ha un altro obiettivo, ruggisce in avanti e passa oltre incatenando un incantesimo dopo l’altro: ho sentito Kuja lanciare magie decine di volte, ma mai per distruggere, e questa è …
L’esplosione che ne segue taglia in due questa ondata, mi proteggo gli occhi; so che qualunque cosa si trovi oltre me sta andando in pezzi e solo quando riconosco l’enorme sagoma di n. 16 –ma quando diamine è arrivato?- mettersi tra me e quell’inferno riesco a riprendere fiato. Volano schegge, volano suoni, vola assolutamente tutto e sparisce in tanti raggi di luce che sembrano spade.
Poi, come è iniziato, il boato sparisce. La magia si placa, felice di essere stata lasciata libera.
Oltre la mole scura davanti a me, a braccia aperte, c’è solo il vuoto.
Non c’è altro oltre ad un alone nero sul pavimento ed uno sul soffitto. Del lampadario è rimasto solo un anello della lunga catena dorata che lo teneva appeso. Le finestre non esistono più.
Un mago nero, quello che stava servendo a tavola è … no.
Kuja si trova al centro di questo nulla, i capelli sparsi in tutte le direzioni; le ultime fiamme dell’incantesimo si spengono tra i suoi palmi, diventano azzurre e poi si ritirano. Le punte dei capelli sembrano rosso fuoco, ma è solo un battito di ciglia perché l’istante seguente sono esattamente come prima.
Sta tremando. “Io le odio …”
Freme dalla testa ai piedi, guardando i reflussi della magia sparirgli tra le dita. “… IO LE ODIO LE COSE TUTTE UGUALI!”
Mi dà le spalle, e non c’è occasione più propizia per avvicinarsi alla porta. Una seconda tempesta è in arrivo, e non voglio trovarmi per l’ennesima volta distesa sul pavimento. Il signore di questo posto ha deciso che la cena è conclusa, dunque non ha altri motivi per rimanere, specie quando il corpo della sua guardia del corpo improvvisata è ricoperto di buchi, ferite e schegge varie.
Trattenendo il respiro, conto i passi che mi separano dal corridoio e trattengo il fiato.
“A proposito dei Walzer …”
Tana per Hilda.
Trema ancora, ma non si volta. E non ho alcuna intenzione di vedere ancora quello sguardo da pazzo almeno fino a domani mattina. “Vedi se riesci ad espandere al massimo il suo raggio di controllo. L’obiettivo è che controlli tutti i maghi, non lo dimenticare. Tra tre giorni potrei aver bisogno di lui”.
“Certamente”, e prima che possa protestare sono fuori da quella stanza. La cena –che a dire il vero non era così terrificante, compagnia a parte- adesso è risalita a metà tra la gola e lo stomaco e, se la conosco, non scenderà prima di un’ora.

Adesso n. 16 è tutto intero. Ha ondeggiato per tutto il percorso dalla sala da pranzo al laboratorio ed ho temuto che cadesse per le scale per almeno dieci volte, ma alla fine la paglia del suo corpo è più salda di quanto pensassi ed una volta arrivati qui sotto è stato semplice ripararlo. Grazie al cielo non ha subito danni terribili, e con qualche pezza di fortuna trovata nella stanza potrei anche riparare tutti i buchi nella palandrana che si è fatto per proteggermi. Adesso una vera principessa dei racconti, una di quelle rapite da un aviopirata, saprebbe sicuramente creare per il proprio servitore un vestito nuovo fatto con le loro bianche manine; purtroppo n. 16 si dovrà accontentare di una toppa bianca ed una blu cucite alla bene e meglio visto che il ricamo è sempre stato il mio nemico giurato.
“Grazie per prima”.
Non risponde. Si lascia passare l’olio nelle giunture senza degnarsi di parlare.
Continua a guardare fisso in un punto, nell’angolo dove Walzer aspetta di prendere vita. La cosa più rumorosa è il mio respiro, ancora veloce e mozzo per lo spavento di poco fa. Il diamante lo ho addosso, l’emozione anche, ma non riesco a concentrarmi al pensiero di quello che ho viso poco fa. Ed anche da un particolare, un piccolo campanello che ha iniziato a suonarmi subito dopo aver abbandonato quella stanza. “N. 16 …” riprendo con un sospiro. Il golem davanti a me è l’unico in grado di fornirmi risposte.
“Kuja vuole che Walzer sia pronto a breve e che riesca a controllarvi tutti… credo di poterlo completare in tre giorni, ma c’è una cosa che non ho capito …”
Beh, in realtà sono tante le cose che non ho capito. A partire da chi diamine sia la persona con cui ho cenato. Però se penso a tutto il lavoro da fare c’è un dubbio che non mi lascia. “… quanti siete voi maghi neri?”.
“Quattordicimilasettecentodue, mia signora. Non ho la stima precisa dei prototipi, ma di sicuro sono al di sotto dei settemilanovecento. Il padrone ne ha diminuito la costruzione in quanto la loro costruzione è svantaggiosa rispetto a noi modelli evoluti. Penso ormai li producano soltanto a Dali”
Ma cosa …?
In questo palazzo ve ne saranno al massimo duecento tra modelli principali e secondari, dove diavolo tiene tutti questi maghi? Se davvero questi si trovano qui per difendere la roccaforte in caso di attacco, cosa se ne … “Dove sono gli altri? E soprattutto cosa se ne fa di quattordicimila maghi?”
Lui continua a guardare Walzer, con gli occhi gialli ancora più luminosi. Se non fosse un essere artificiale direi che sta pensando, ma è un diamine di pupazzo ed io sto impazzendo! Il suo silenzio è l’ennesimo schiaffo della giornata e io non ne posso più!
“Rispondimi, n. 16!”. Mi metto tra lui e l’esperimento, cercando di ottenere di nuovo la sua attenzione. Ho quasi gridato l’ordine, mi rendo conto che il cuore sta battendo fino ad esplodere. Ne ho abbastanza di maghi pazzi, di tavoli che diventano diamanti e di cose che non so e che persino una bambola si rifiuta di dirmi. “Se Kuja non vi ha creato per difendere questo posto, allora qual è il vostro compito?”
Mi si prospettano davanti diversi scenari. Uno peggiore dell’altro. Gli incantesimi di queste creature sono ben poca cosa rispetto a quelli del loro padrone, li ho visti erigere barriere tra le mura ed abbattere le creature che si aggirano nel deserto, ma quattordicimila … Eppure nessuna immagine che io riesca a dipingermi davanti agli occhi riesce a farmi rabbrividire quanto la risposta, che arriva come un colpo di lama al cuore.
“Il nostro compito è morire, mia signora”.


N.d.W

1. Ok, ho riempito otto pagine di Word con un dialogo inutile. Secondo me c'è l'influsso del mefitico Polpettone che ancora aleggia sulla mia tastiera.
2. Mi rifiuto tassativamente di far parlare i maghi neri In QuEsTo MoDo altrimenti io finisco al manicomio ed i pochi lettori di corsa dall'oculista. Mi dispiace per l'adattamento italiano -che a me continua a piacere nonostante tutti i difetti di traduzione- ma credo che scrivere una storia dove ci sono tanti maghi neri in questo modo renderebbe impossibile per chiunque mandare giù questo mattone.
  
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