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Autore: Melian    28/02/2015    8 recensioni
"Larion sforzò la sua vista in quel buio e vide la creatura avanzare, calpestando i cadaveri sul suo cammino come se fossero immondizia. La vide premere la suola della calzatura sul capo di Dmitriy e schiacciarla sotto il calcagno con la facilità con cui si apre una noce."
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Mondo di Tenebra'
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Legame di Sangue

 

 

 

«Ti prego, dammene ancora.»
La sua voce era un gemito sommesso e implorante, mentre Demetrius gli raccoglieva il capo con la mano forte, dalle dita nodose, trattenendolo per i capelli biondi, così chiari da poter essere scambiati per bianchi.
Larion rimase inerme, con gli occhi azzurri sbarrati e fissi sul profilo dell'uomo che gli sfiorava la guancia con la propria, nell'atto curioso e seducente di un amante che indaga ogni più piccola ruga di piacere del proprio compagno. Tremò vistosamente, inarcandosi e tendendo un braccio indietro: cercò di afferrare Demetrius, artigliargli il fianco, instaurare un qualsiasi, urgente contatto.

L'altro, però, gli sfuggì crudelmente.
Demetrius amava piegarlo in quel modo così sottile: gli dava l'impressione di poter essere afferrato e trattenuto, per poi disilluderlo e scivolargli dalle dita come la sabbia delle spiagge bagnate dall'Egeo.
«Mi stai implorando, Larion? Cosa devo fare, con te? Dimmi, vuoi davvero quello che chiedi?»
La voce di Demetrius, invece, era bassa, leggera come una brezza calda; suscitava brividi che Larion non riusciva a dissimulare e di cui Demetrius godeva.
«Dimmi solo di sì e sarai esaudito.», ingiunse con la dolcezza tremenda e paziente del sadico bastardo, che si diverte a torcere i nervi della vittima fino allo spasmo.
Larion si ritrovò a far strisciare i piedi tra le coltri su cui si era afflosciato, smanioso. Soffocò un rantolo quando disse: «Sì.»
Gli occhi di Demetrius si accesero di un barlume divertito e ferino. Premette le dita contro il profilo della spina dorsale di Larion, soffermandosi su ogni singola vertebra, fino a puntellarsi con il bacino contro le natiche del ragazzo, facendo scorrere la mano lungo il profilo dell'anca e poi oltre, verso l'inguine e la sua virilità: la avvolse con la mano fredda e il contrasto tra il suo gelo e il calore febbricitante della carne umana fece mugolare Larion di sconcerto e delizia.
Mentre lo sfiorava, con quelle arti mefistofeliche del seduttore consumato, Demetrius leccò il tragitto di vertebre che prima aveva percorso con i polpastrelli, arrivando a lambirgli la nuca sudata e sorprendendosi ad assaporare quella nota salata.
E poi furono di nuovo le dita a danzare sulla schiena dell'amante e, infine, le unghie affilate come lame che aprivano minuscoli graffi, taglietti precisi che bruciavano per un istante, subito leniti dalla lingua che arrivava a raccogliere il dono benedetto: le dolci scie di sangue che disegnavano sontuosi arabeschi tra i muscoli tesi.
Demetrius dava piacere e prendeva piacere. Quello del Vampiro era tutto lì, nella linfa preziosa, nel calice della vita. Scavava solchi nella carne umana con le sue stesse mani, capaci di essere un eccezionale sollievo, ma anche strumenti atroci. Artigliava, tagliava, graffiava, lacerava e... beveva, leccava, strofinava la bocca contro le sottili ferite, gemendo quanto il suo impudico, giovane compagno umano.
Larion, tremando sulle gambe e le braccia tese, si premette più forte contro di lui, cedendo all'accecante orgasmo che quelle mani e quelle labbra gli avevano procurato.
Demetrius si allungò e il suo petto – duro e freddo come il marmo delle statue greche – trovò la morbidezza della schiena di Larion. La sua mano volò al collo del ragazzo e lo tenne stretto, levandogli l'aria e schiacciando le arterie della gola.
«Adesso, bevi.»
Gli ordinò, prima di affondare i denti nel proprio polso sinistro: dalla ferita lasciata dalle proprie zanne, il Sangue Oscuro si addensò come il succo di un frutto proibito. Il Vampiro accostò il polso alla bocca di Larion e gli fece assaporare l'aroma denso e ferruginoso di quella bevanda proibita, un sorso di eternità tenebrosa.
Larion vi si avventò con tutta l'urgenza di cui era capace e trangugiò ogni singola goccia, riempiendosene la bocca e sporcandosi il mento, lappando come un cane si tuffa sulla ciotola: un passo verso la perdizione, un passo verso l'oscurità.
«Da bravo, Larion. Bevi ancora.»
La voce di Demetrius suonava ipnotica, un ordine talmente perentorio da non poter essere ignorato. Larion scopriva il desiderio insano di mordergli le dita con tutte le sue forze e sentire in bocca il sapore bollente di quel sangue ancora e ancora.
Maestro, signore, padrone, aguzzino, Demetrius faceva l'amore attraverso il sangue, che era, per lui, la sola verità degna di essere perseguita, l'unica via degna di essere percorsa, l'unico conturbante piacere e la poesia ferina di due corpi che si bramano e si trovano.
Il turbinio di immagini, suoni e sensazioni che quel momento portava con sé, percuoteva Larion come un nerbo rovente. Vedeva attimi di una vita che non gli appartenevano, frammenti di un glorioso passato dove il volto di Demetrius era ovunque e in cui riviveva il mito di una Atene fatta di Dei ed eroi. Poi tutto spariva in una girandola di umori e di emozioni che lo lasciavano stordito a languire sul letto, mentre le tende sottili si gonfiavano davanti alla finestra spalancata.
«Non dovrai mai dire nulla di noi, Larion. A nessuno e per nessun motivo. Giuralo.»
Larion si addormentava sempre stremato, mentre la voce di Demetrius lo cullava. Gli apparteneva, non avrebbe mai potuto tradirlo, mai.
Fuori, la luna piena allagava di luce il cielo e si specchiava nel mar Egeo.


 

Quando si svegliava, Larion era sempre solo. Ad attenderlo, trovava un sole cocente e l'aria pregna di salsedine, un profumo che riusciva sempre a metterlo di buon umore.
Ogni mattino osservava le lenzuola sfatte e macchiate di rosso: erano la prova tangibile di quegli incontri travolgenti e feroci, di appetiti cannibalici e segreti.
Tuttavia, il suo Sire non c'era mai: prima dell'alba, quando Venere si intravedeva nel cielo terso, Demetrius scivolava via come un sogno, un'allodola che sfugge il sole, lasciandosi dietro solo l'eco del proprio canto.
Larion si affacciava dalla finestra e contemplava la splendida baia del Pireo, dove il profilo di morbide colline abbracciava il mare di un azzurro cristallino e increspato da docili onde. Lo stridio dei gabbiani risaliva la banchina con una struggente malinconia.
La casa che si era scelto era piccola, ma intima e accogliente, da pescatori: a due piani, aveva una facciata bianca e imposte di legno di un magnifico blu. Il mobilio era essenziale e spesso sistemato in nicchie direttamente scavate nella pietra.
Larion l'aveva presa in affitto da un'anziana vedova che parlava uno strettissimo dialetto greco e che lui, invece, stentava a capire. Le aveva rifilato qualche dracma per l'affitto – e sospettava di aver pagato più del necessario – e la vecchia, quasi tutti i giorni, passava persino a portargli il pesce fresco per il pranzo.
Aggirarsi a piedi nudi sui pavimenti freschi, in quelle calde giornate d'estate, era un piacere per l'anima. Passava, però, ogni singola ora nell'attesa del tramonto, di sentire il passo felpato di Demetrius che scavalcava la finestra: il Vampiro, il loro legame di sangue, riempivano completamente i suoi giorni.


 

***

 

«Sveglia, feccia!»
Una secchiata di acqua gelida e fetida gli si rovesciò addosso e Larion spalancò gli occhi arrossati, boccheggiando e tremando. Raggomitolato in un angolo della lurida cella in cui era tenuto prigioniero, alzò lo sguardo in direzione dell'uomo che, minaccioso, gli stava a meno di un passo di distanza.
«Mi hai sentito? Alzati!»
L'uomo lo afferrò per i capelli e lo sollevò di peso.
Larion gemette di dolore: aveva la gola così secca e riarsa da non riuscire a parlare; l'unico suono che emise fu roco e inarticolato. Smagrito e macilento, con il corpo coperto delle più svariate piaghe e geloni, rischiò di scivolare, prima di riuscire a reggersi in piedi da solo.
«Ti aspettano per l'interrogatorio. E, stavolta, ti conviene parlare, perché non andrò per il sottile. Cammina!»
Il boia lo spintonò e Larion finì contro le sbarre della cella, procurandosi l'ennesimo ematoma sulla fronte. Appena il sangue sgocciolò dalla palpebra, velandogli lo sguardo, e lungo la guancia a mo' di lacrima, Larion fu pienamente cosciente. Quello in cui si era rifugiato poco prima non era altro che un sogno, un sogno remoto ed evanescente di un'estate che non sarebbe mai più tornata, come lontani erano i suoi vent'anni.
Trascinando i piedi e tallonato dal boia, attraversò gli angusti corridoio della prigione in cui era detenuto da un mese, nel cuore del cremlino di Pskovi, accanto alla Chiesa della Trinità. Il freddo lo mordeva alla pari della frusta del suo aguzzino e il vento ululava tra gli interstizi come un lupo feroce. Eppure Dio era lì dentro, incarnato nelle facce austere e crudeli degli uomini inviati dalla Chiesa per condurre la Santa Inquisizione.
Come era potuto finire tra la una manica di sventurati accusati di stregoneria e sodomia, dei delitti più infamanti per cui, nel resto dell'Europa, si erano accesi i roghi?
Sarebbe morto di certo, ma prima condannato a soffrire le più atroci pene, fino a quando non gli avessero spremuto anche il midollo dalle ossa e l'ultimo respiro dalle viscere.
Il boia lo condusse davanti ad una pesante porta di ferro che spalancò: nella sala circolare di pietra, lo sbuffo di calore, proveniente da un forno acceso, fece girare la testa di Larion.
La prima cosa che vide, però, fu un enorme contenitore, simile ad un pentolone, poggiato su una graticola sotto cui ardevano le braci, mentre altri strumenti di ferro – tra cui delle grosse tenaglie – erano lì accanto e mandavano un sinistro riflesso rossastro quando le fiamme li lambivano.
Cheslav Zaytsev e Gordey Pavlov erano seduti davanti ad un tavolo di legno, sprofondati in due alti seggi e nei paramenti che il loro rango e la loro funzione gli conferivano: i due vescovi osservarono il prigioniero avanzare con riluttanza, sospinto dal boia fino al tavolaccio su cui erano stati fissati dei ganci per i polsi e le caviglie.
«Larion Demidov, nemico di Dio e della Santa Chiesa, spergiuro, sodomita e dedito alla stregoneria, sei accusato di aver portato la rovina e la pestilenza sulle nostre terre, di connivenza con il Demonio, di atti impuri con le Streghe durante gli orribili Sabba e di aver rinnegato il nome di Gesù Cristo, figlio di Dio.»
Il Grande Inquisitore Cheslav Zaytsev si alzò mentre pronunciava quelle parole con tono grave. Fissò Larion come la più orrida bestia, socchiudendo le palpebre pesanti.
«Sei immondo agli occhi dei figlio di Dio e questa notte tu renderai piena confessione dei tuoi crimini, così che la tua anima possa essere redenta dall'onta del peccato mortale.»
Larion, il viso scavato dalla fame e dalla sofferenza e gli occhi sottolineati da terribili occhiaie violacee, osservò il Vescovo.
Dopo quindici giorni di tortura, il fatto che Larion fosse ancora capace di resistere ai supplizi aveva un che di straordinario e Dmitriy, il suo carnefice, aveva sviluppato un'autentica passione nello sperimentare nuovi metodi per estorcergli la confessione desiderata. Il suo era un interesse ossessivo e insano.
«Hai la possibilità di confessare adesso, prima che – per il bene della tua anima e della nostra terra – il fuoco estirpi lo spirito maligno che si è impossessato di te.», intervenne padre Gordey in tono basso e affettato, smuovendo la mano grassoccia e ingioiellata. Al contrario di Cheslav, rimase pomposamente seduto al suo posto, come se l'arredamento della sala della tortura non suscitasse nulla in lui, a parte la voglia di essere altrove.
Uomini di Chiesa che non provavano rimorsi, né un qualsivoglia fremito di pietà: Larion si chiedeva per quale motivo potessero ammantarsi del nome di Dio per perpetrare le loro torture.
«Io non ho fatto nulla.», rispose infine Larion con un sussurro.
Le labbra sottili di Cheslav Zaytsev si piegarono in una smorfia di puro disgusto. Stese il braccio e indicò il prigioniero: «Spergiuro! Hai avuto la possibilità di salvarti, possa Dio avere misericordia di te!»
«Sei un tipo ostinato, ma oggi credo che otterremo ottimi risultati.», sussurrò Dmitriy quasi suadente, con un ghigno sulla faccia rubizza e sporca di una barba incolta e nera. Era un uomo alto e massiccio, con mani tozze e forti che picchiavano come magli.
Afferrò Larion e gli legò le mani dietro la schiena con una corda spessa e robusta, attorno a cui aveva attorcigliato un ramo di rovo. Le spine aguzze si conficcarono nei polsi dell'uomo e il sangue rotolò a macchiargli l'avambraccio e i cenciosi polsini della camicia ridotta ad uno straccio. La bella giacca nera, con arabeschi d'oro cuciti a mano in un motivo complesso e ricco, era strappata e logora. Nebulosamente, Larion si chiese se anche le spine della corona di Cristo dovevano essere state affilate con quelle o se si trattasse solo di una specie di macabra pena del contrappasso.
Con uno strattone, quindi, Dmitriy assicurò un capo della corda a quello di un secondo legaccio dotato di carrucola.
Larion sapeva cosa lo aspettava e serrò gli occhi quando il primo strattone della corda gli tese le braccia sopra il capo e lo sollevò di peso da terra, stirandogli ogni singolo muscolo e producendo un dolore lancinante che pizzicò ogni nervo e si irradiò in tutto l'arto. Aveva l'orrenda sensazione che gli stessero per strappare le braccia.
«Sai una cosa? Mi sono meravigliato da morire quando ho scoperto che, al contrario di tutti quelli che ho torturato, hai una straordinaria capacità di guarigione. Deve essere davvero un maleficio del Diavolo e io strapperò dalla tua carne ogni singolo brandello di pelle, fino a che scoprirò il tuo segreto.», gli promise Dmitriy, aprendogli i lembi della giacca sul petto con un gesto violento.
Il dorso di Larion era pieno di cicatrici, lividi ed ematomi, anche se il Sangue Oscuro di Demetrius gli aveva permesso di sopravvivere. Molte ferite, però, si stavano infettando e lo spettacolo non poteva che suscitare pietà e ribrezzo. Un crocefisso d'argento riposava sul suo sterno: era stato un dono di sua madre e glielo avevano lasciato solo perché speravano di esorcizzare il male che Larion, a detta loro, si portava dietro.
Dmitriy, comunque, non era il tipo di uomo da farsi scrupoli e i suoi occhi scuri brillavano di un gioia selvaggia, della ferocia dell'uomo gretto e volgare che sancisce il suo dominio schiacciando gli altri.
«Dmitriy, tutto ciò che questo tribunale deve appurare è la sua connivenza con il Demonio. Egli sa dove si nasconde il mostro che ha portato la pestilenza a Pskov. E noi vogliamo sapere dove si nasconde e distruggerlo.», intervenne Cheslav con tono imperioso. Si era riseduto sul suo seggio e fissava Larion con le mani congiunte davanti al viso. «Procedi senza spendere troppe parole.»
«Subito.», risposte il torturatore e offrì un sorriso storto ai due prelati.
Prese dalla graticola la tenaglia arroventata e si accostò nuovamente a Larion. Gli mostrò l'attrezzo rovente e lo accostò al suo petto, solo perché sentisse il calore del metallo lambirlo.
Larion iniziò a sudare, preda di un tremore che si trasformò in un improvviso moto di ribellione, in uno scalciare convulso. Eppure, più si agitava, più la corda a cui era appeso si tendeva e le articolazioni delle spalle scricchiolavano pericolosamente.
«Dov'è il mostro?», domandò perentorio Dmitriy.
Larion non rispose, deglutendo a fatica.
Il boia si godette il momento in cui la tenaglia incontrò la pelle dell'uomo, serrandola e tirandola fino a che non ne venne via una striscia e l'odore della carne bruciata non gli si insinuò nel naso, deliziandolo.
Le urla di Larion riempirono la stanza, mentre lui ribaltava gli occhi e si afflosciava.


 

***

 

 

«Demetrius, cosa dobbiamo fare?»
Larion misurò a lunghi passi la stanza immersa nel buio: fuori dalla finestra chiusa, la luna piena era velata da una fitta scia di nuvole e il gelo dell'inverno russo si era condensato in una foschia che riempiva le stradine del borgo.
Demetrius sedeva ad uno scrittoio, il viso illuminato solo dalla luce di un paio di candele: bianco come il marmo, con il naso leggermente aquilino, portava i capelli scuri corti e la barba a sottolineargli il mento. I suoi occhi, quando raccoglievano il riflesso della fiamma, per un attimo sembravano iridescenti come quelli di un gatto.
«A che ti riferisci?»
«In città c'è la peste, o qualcosa di simile. Stanno dicendo che l'hanno provocata le Streghe e che ci sia un mostro che infetti i vivi, dopo che si è nutrito di loro. Upier, capisci? Li chiamano così i Vampiri, in Russia.», spiegò Larion con apprensione, sciogliendo l'intreccio delle mani dietro la schiena e fissando il Vampiro con un'intensità troppo urgente per essere ignorata.
«Sei preoccupato, allora.», constatò docilmente Demetrius. Aveva modi pacati e paterni, quelli di un vecchio saggio che ha visto troppo del mondo per esserne toccato o scandalizzato. «Ma non dovresti: ciclicamente, gli umani pensano che le calamità che li affliggono siano causate da magie e mostri... prima o poi, però, smettono.», tagliò corto e tornò alla lettura del libro, disinteressato.
Larion scosse il capo e piantò la mano sulle pagine del volume, allungandosi verso l'altro capo dello scrittoio. Con tono serio, disse: «Stanno dando la caccia alle Streghe, Demetrius. L'Inquisizione è anche qui: hanno intenzione di indagare e processare chiunque sia anche solo sospettato di una qualche stranezza. La gente è superstiziosa e suscettibile: potrebbero denunciarci.»
Demetrius fissò la mano dell'umano e si accigliò. Si alzò lentamente e la sua ombra sembrò prendere vita. lambire e avvolgere Larion come un manto.
«Questo non accadrà. Cercherò un rifugio lontano da qua, inaccessibile a chiunque. E tu verrai con me: avrai il mio sangue a sostenerti, fino a quando la vita di Pskov non tornerà alla normalità.», rassicurò il Vampiro e raggiunse il suo pupillo, avvolgendogli le spalle con il proprio braccio.
«Sì, forse è una soluzione, ma... per quanto? Tu puoi aspettare finché lo desideri, il tempo non ti scalfisce e gli eventi mortali sono solo una variabile passeggera... ma io, io sono umano e ogni giorno per me è prezioso e, se lo perdo nascondendomi, avrò sprecato la mia esistenza. Non sono fatto per questo, per il segreto.», rispose Larion con insofferenza e sfuggì all'abbraccio con un'espressione dolente.
Il Vampiro lo scrutò ancora, lo sguardo fisso di una statua: non batteva le palpebre e, in quel momenti di perfetta stasi, aveva persino qualcosa di orrido, qualcosa di visceralmente innaturale. Quei istanti di immobilità, Larion li odiava: suscitavano in lui un profondo disagio.
Quant'era antico, Demetrius? Un errante nella storia: la attraversava con il passo sicuro e ineluttabile delle creature intoccabili, sempre più uguali a loro stesse, sempre più somiglianti a ciò che sarebbero dovute essere in potenza.
Larion non riusciva a pensarci e, se provava a risalire con la fantasia alle epoche che il Bevitore di Sangue aveva attraversato, si scopriva smarrito e sconvolto: la sua mente rifiutava l'idea di una esistenza tanto lunga da poter essere incalcolabile. Spesso si chiedeva anche come dovesse sentirsi il suo Sire, se trovasse il mondo troppo diverso dai suoi desideri e ricordi, se ne fosse stanco. Eppure, quando Demetrius gli confessava che non pensava mai al sonno dei Vampiri grazie alla sua presenza, lui se ne sentiva sollevato e consolato.
«La tua vita si fonda sul segreto da quando – dieci anni fa – hai bevuto il mio Sangue per la prima volta, ragazzo. Se non sei capace di mantenere un profilo basso e serbare il silenzio, allora ci scopriranno e, se mai dovessero trovarmi quando è giorno, io non potrei difendere me, tanto meno te.»
Larion si passò una mano sul viso, scosso da un improvviso tremito e dal dilatarsi convulso del petto per colpa del respiro accelerato.
«No, non accadrà mai. Io non ti tradirò. Non tradirei il tuo riposo, ho promesso di vegliare su di te quando c'è il sole. Tu sei tutto ciò che io desidero, Demetrius. E non è solo il tuo Sangue che mi spinge a parlare così. Ti sarò fedele, te lo giuro.»

 

***

 

«Parla! Dov'è il mostro?», urlò Dmtriy, gettando le tenaglie nuovamente sulla graticola.
Uno sbuffo di scintille si sollevò nell'aria.
Larion, sulla soglia della perdita dei sensi, non aveva più la dimensione del suo corpo: il dolore era accecante e si irradiava senza sosta ovunque. Lui stesso era divenuto il suo dolore.
Il sangue gli ruscellava sul petto e gli insozzava vestiti. Il puzzo acre e nauseabondo della propria carne bruciata gli faceva venire un conato di vomito.
Eppure... eppure non poteva confessare ciò che quegli uomini volevano. Aveva giurato: avrebbe difeso Demetrius fino alla fine, con lealtà e onore.
Ma perché il Vampiro non era venuto a salvarlo? Forse era rimasto ferito? O lo aveva, semplicemente, abbandonato?
Quel pensiero fu lancinante quanto lo strattone ai capelli che il boia gli diede, costringendolo a sollevare la testa che penzolava di lato.
«Sia messo agli atti che il prigioniero rifiuta di parlare. Che il boia proceda alla compressione.», ordinò il Grande Inquisitore, rimasto diligentemente al suo posto, come se nulla lo toccasse.
Larion, inerme, venne trascinato fino al tavolaccio e il boia gli chiuse polsi e caviglie nei robusti anelli di ferro.
Con una gioia sinistra, Dmitriy raccolse una delle presse dal repertorio dei propri strumenti.
«Direi di cominciare con qualcosa di semplice. Magari le mani... queste belle mani da suonatore, mh?»
Larion batté le palpebre velocemente e lo fissò con odio e sofferenza. Sputò un grumo di sangue e saliva verso il suo carnefice, ricevendone in cambio un violente manrovescio che gli spaccò il labbro. Se solo non fosse stato così debole, se solo non fosse passato troppo tempo da quando aveva rinnovato il suo legame con Demetrius, avrebbe potuto contare sulla forza che il sangue vampiresco gli conferiva.
La pressa gli si avvinghiò alla mano sinistra e il perno strinse e compresse le dita. Dmitriy girò la vite e la mano di Larion tremò convulsamente, man mano che la pressione aumentava. Ci fu un tremendo scricchiolio e le ossa del mignolo e del pollice furono le prime a collassare e spezzarsi, rendendo le dita inanimate, una massa di carne informe.
Larion gridò straziato e fu sul punto di svenire.
Dmitriy lasciò la morsa solamente per afferrarlo per la mandibola, brutalmente.
«Una sola parola e tutta questa sofferenza cesserà.», informò padre Gordey in tono annoiato e la pappagorgia che gli ballonzolava ad ogni sillaba.
“Non lo tradirò, non posso tradirlo.”, fu l'unico, martellante pensiero che attraversò la mente sconvolta di Larion, la sola idea a cui si aggrappava ostinatamente, l'ultimo barlume di coscienza in quel mare di efferatezza. La sua unica consolazione. E non potevano strappargliela.
Davanti agli occhi appannati, vedeva la carrozza, su cui aveva viaggiato assieme a Demetrius , rovesciata dalla furia dei contadini. Avrebbero dovuto lasciare la città, ma qualcuno li aveva denunciati e la violenza della gente era scoppiata, come un bubbone sulla pelle giallastra e insana dei cadaveri degli appestati.
«Sono loro! Bruciateli!», aveva urlato qualcuno e Larion, in quella gracchiante voce accusatoria, aveva creduto di riconoscere la vecchia serva che aveva assunto come governante.
La carrozza, ribaltata su un fianco come un grosso insetto sventrato, era stata aperta da forti braccia e lui era stato strappato dall'abitacolo. Sarebbe stato linciato, se non fossero intervenuti i due Inquisitori che reclamavano il processo in nome della Chiesa. Trascinato via, aveva urlato a squarciagola, ma non aveva potuto vincere il vociare della folla ondeggiante che appiccava il fuoco al veicolo.
Da allora, non aveva più visto Demetrius, non aveva più udito la sua voce familiare che, ogni tanto, si insinuava nei suoi pensieri, tangibile effetto del Legame di Sangue: sì, il Sangue Oscuro gli parlava, gli sussurrava una canzone che era fatta del frusciare sommesso nelle vene e dell'eco profondo del battito cardiaco. Era il balsamo che sanava il suo animo afflitto.
«Mi senti?», il boia lo schiaffeggiò con forza. «Resta cosciente: non ho finito ancora, con te.», Dmitriy si voltò a fissare i due prelati che osservavano la scena con un interesse malcelato.
«Cosa devo farne, di lui, monsignori?»
«Lo spirito del Diavolo è in lui e, dunque, se rifiuta di collaborare, non possiamo che condannarlo al fuoco dell'Inferno.», il Grande Inquisitore accennò eloquentemente al pentolone sulla graticola. La faccia lunga e arcigna si contrasse in una smorfia insoddisfatta. «Senza la sua confessione, saremo costretti a battere palmo a palmo tutte le campagne, pur di trovare la creatura: solo allora la pestilenza cesserà.»
«Con vero piacere.», sibilò Dmitriy, armeggiando con il lucchetto che teneva chiuso il coperchio di quella sorta di pentolaccia. Lo fece lentamente, con gran clangore, in modo che Larion potesse vederlo. «Ascoltami bene, feccia. Adesso voglio che tu sappia cosa sta per accaderti: ti ficcherò qua dentro e ti lascerò cuocere a fuoco lento, come un porco.»
Larion rimase immobile sul tavolaccio, con la mano spappolata da cui grondava sangue. Fissò il boia con uno sguardo vitreo, mormorando a mezza voce: «Ti sono stato fedele, Demetrius, fino alla fine.»
«Cos'ha detto? Sta invocando Satana?», sbottò Gordey Pavlov e tremò di collera, alzandosi e provocando un sommesso scricchiolio del suo scranno, provato dalla mole dell'inquisitore.
Ad un tratto, il fuoco avvampò, per poi spegnersi con un puzzo acre di fumo, come se una brusca corrente d'aria lo avesse alimentato e soffocato in un colpo solo. La cenere e una pioggia di scintille caddero sul pavimento, ultimi barbigli di luce. La stanza piombò nell'oscurità.
«Che succede?», la domanda allarmata di Gordey Pavlov non ebbe risposta.
Larion, inizialmente, non fu sicuro di quello che vide, ma sentì distintamente un ringhio raccapricciante levarsi dalla tenebra e la breve colluttazione di Dmitriy che cadde, con un grugnito, riverso al suolo.
«Chi c'è? In nome di Dio, io...», la voce di Gordey stavolta venne spenta prima ancora che potesse concludere la frase.
Una belva lo aveva appena azzannato e stava guardando il sangue lordare gli abiti talari e tingerli di un intenso porpora. Il risucchio del sangue attraverso le labbra della bestia, non appena si avvento sul collo della preda, si udì distintamente. Il prete stramazzò sopra la scrivania e quella, traballante com'era, si schiantò sotto il suo peso con un fracasso enorme.
«Prega il tuo Dio, piccolo uomo, adesso.», ordinò la belva in tono graffiante e irridente, rivolto a Cheslav Zaytsev.
Il Grande Inquisitore rimase immobile, gli occhi spalancati dal muto terrore. L'ultima cosa che contemplò fu il volto del mostro che gli serrava le mani contro le guance con una forza spropositata e gli torceva il collo: lo schiocco delle vertebre fu netto e secco. L'uomo cadde come una marionetta, il capo ritorto in un'angolatura innaturale.
Larion sforzò la sua vista in quel buio e vide la creatura avanzare, calpestando i cadaveri sul suo cammino come se fossero immondizia. La vide premere la suola della calzatura sul capo di Dmitriy e schiacciarla sotto il calcagno con la facilità con cui si apre una noce. Il sangue sprizzò ovunque, goccioline rosse si nebulizzarono nell'aria e poi caddero, riunendosi alla pozza grumosa di ossa, materia celebrale e carne raggrumata sul pavimento.
Il suo salvatore avanzava come un dio sulla miseria umana: senza esserne minimamente toccato.
«Sei venuto.», sillabò a fatica. Aveva le lacrime agli occhi.
Demetrius spezzò i ganci che tenevano prigioniero il suo pupillo e lo raccolse tra le braccia, mormorandogli: «Perdona l'increscioso ritardo, ragazzo mio.»

 

«Tra poco verrà l'alba e potrò vedere la prima stella del mattino.», mormorò Larion quando Demetrius lo posò sull'erba che copriva la sponda del fiume Velikajaii.
Erano fuori dalle mura del cremlino, finalmente: le Dovmontov Gorod erano alte, imponenti e austere, coprivano tutto il perimetro della fortezza presieduta dalle torri di guardia e proteggevano la cattedrale della Trinità e il suo campanile. La chiesa aveva un corpo massiccio, ma si sviluppava in altezza grazie a piccole torrette sormontate da tetti ritorti e a cupola, appuntiti e ornati da guglie. La cupola centrale era coperta da una lamina d'oro e le stelle vi si riflettevano, attirando inevitabilmente lo sguardo.
Il Vampiro non fiatò. Rimase in ginocchio, con il capo del suo pupillo in grembo. Il suo viso, sfregiato da una bruciatura, costituiva l'unico centro nevralgico dell'interesse di Larion, il suo intero mondo: Larion non avrebbe desiderato posare altrove i suoi occhi.
«Ti hanno ferito. Il fuoco ha rischiato di divorarti: ecco perché sei arrivato solo ora. Mi dispiace. Morirò, vero?», chiese il giovane con una punta di dolente accettazione. Sollevò la mano sana e lambì in punta di dita il viso del suo Sire, un gesto stanco, fiacco: l'arto ricadde per terra, inerte.
«No, non morirai. Io lo impedirò.»
Fu solo una frazione di secondo e Demetrius si avventò sulla gola dello sventurato e gliela aprì con un morso rapido. Il sangue che avrebbe potuto nutrire l'erba, però, lui lo bevve in rapidi sorsi, esercitando tutto il proprio autocontrollo pur di assicurarsi di non prosciugare Larion prima del momento fatidico, di non disseccare completamente quel cuore che batteva già flebilmente.
Larion rimase a rantolare, soffocato dal dolore e, infine, da una sensazione stupenda di piacere e stordimento. Le sue palpebre fremettero e la vista divenne ancor più appannata: i confini del volto di Demetrius divennero labili e gli sembrò di intravedere qualcosa di oscuro e assieme accecante in quei tratti torbidi.
«Adesso bevi un'ultima volta, Larion.», ordinò Demetrius, staccando a fatica la bocca dal suo collo. Richiuse lo squarcio con attenzione e lo cicatrizzò in modo da arrestare l'emorragia.
Sollevò Larion e lo accostò alla propria gola, dove le unghie affilate crearono un taglio sottile da cui stillarono grosse perle di Sangue Tenebroso, pura rugiada.
E Larion ne bevve, prima lentamente come in trance, poi con un'avidità convulsa. Il suo cuore smise di battere mentre ingoiava l'ultimo sorso: l'ultimo passo verso la perdizione, il primo passo verso l'eternità. Esalò il suo ultimo respiro con gli occhi coperti da una patina vacua e la bocca socchiusa.
Tuttavia, qualche momento dopo, il suo corpo venne scosso da un lungo spasmo incontrollato, la sua più intima architettura venne sconvolta e rimodellata e ogni singola ferita rapidamente guarita, senza lasciare alcuna onta sulla pelle immacolata e gelida.
Larion morì alla sua umanità e rinacque nel Sangue Oscuro di Demetrius in quella sofferenza e l'ultimo barlume di umano sentire si estinse per sempre. Rifulse di una nuova, terribile esistenza quando il sangue vampiresco annodò il suo destino a quella di Demetrius nel legame supremo, quello del creatore con il proprio figlio.
Larion spalancò nuovamente gli occhi: erano divenuti di un azzurro ghiaccio, tanto innaturale quanto ammaliante.
Il volto di Demetrius non gli parve mai così splendente di potere e di inesauribile bellezza come un quel momento.

 

 

 

 

 

 

 

___________________

Note dell'autrice:

Questa one-shot rientra a pieno titolo nella serie “Mondo di Tenebra”, tuttavia è considerabile un racconto indipendente, che può essere letto e compreso anche da solo.
Volendo dare qualche riferimento in più, il personaggio di Larion compare per la prima volta nella storia “Eco del Sangue”, quindi mi sono divertita ad immaginarmi come sia divenuto un Vampiro.


Ho fatto una scelta difficile, per quanto concerne l'ambientazione e il periodo storico, poiché – come si sarà notato – si parla di Inquisizione e di Russia e non è stato facile poterne ottenere notizie, tuttavia mi sono “aggrappata” a quelle che ho scovato qui: http://www.mondimedievali.net/Medievalia/cacce02.htm
In questa pagina, infatti, ci sono notizie di alcuni processi tenuti proprio nella città di Pskov e, quindi, ho deciso di renderla lo sfondo dove la storia si svolge, considerando come arco temporale gli anni dal 1580 al 1650.
Tutte le torture utilizzate nel racconto sono supplizi che venivano realmente somministrati, da come potrete leggere nel link.

Ho scelto una trama abbastanza lineare, con inserimento di flashback volti a rendere certe dinamiche e certi personaggi maggiormente delineati.
Mi sono divertita a sperimentare un po' di accenni slash, anche se non sono propriamente una cima, ma anche a cercare di elaborare le torture, cercando di non scadere nello splatter o nel grottesco.


Questa storia, comunque, è stata scritta per i contest:

- “Sangue, slash e fantasy”, indetto da Nemainn sul forum di EFP.
Pacchetto scelto:

Ottavo Pacchetto: SANGUE
Immagine: http://oi58.tinypic.com/28twdg5.jpg
OBBLIGO: Vampiro

Come ho usato il pacchetto? Semplice: il protagonista, Larion, è praticamente ripreso dell'immagine. Inoltre, la storia è un racconto di Vampiri.
Ho persino provato a darmi allo slash.


- “Academy emotions”, indetto da Chara e Fair Lady sul forum di EFP.



Un paio di noticine finali:

 

iPskov: è una città della Russia europea: http://it.wikipedia.org/wiki/Pskov
Il cremlino della città è un nucleo fortificato tipico della Russia: http://it.wikipedia.org/wiki/Cremlino_di_Pskov

   
 
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