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Autore: Laix    01/03/2015    2 recensioni
Gli effetti dell'antidoto temporaneo dell'APTX non sono sempre prevedibili. Non come pensi tu, non a queste quantità, e prima o poi potrebbe DAVVERO accadere qualcosa.
Non smetterò mai di dirtelo, Kudo.
“Le mie ultime frasi nei tuoi confronti sono state antipatiche e ostili. Ti ho anche dato dell'idiota in modo gratuito e sgarbato, e tu non mi hai nemmeno risposto per le rime. Perché non l'hai fatto? Mi sentirei un po' meglio. Perché mi hai sempre trattato con tanta cura, stupido? Ecco, ti ho insultato ancora. Kudo, ti prego... mi devo scusare con te.”
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Fanfic incentrata sull'amicizia Conan-Ai.
Ho inserito subito i 2 capitoli per non slegare il ritmo ^-^
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciaoooo! Questa fanfic l'ho scritta una marea di tempo fa senza mai pubblicarla, anzi, dimenticandola per un certo periodo. Non ricordo da cosa fosse stata ispirata, comunque l'ho ritrovata, sistemata un pochino e messa qui XD Come preannunciato, si concentra sull'amicizia che lega i due finti marmocchi e sulle sensazioni che la caratterizzano, paure nascoste e spirito protettivo. Perciò non vengono trattati come couple (nonostante sia segnata nella descrizione della ff, ma l'ho inserita per precisare i due protagonisti). Spero vi piaccia, aspetto vostre opinioni ^__^ Bye!

 

- Per tua sfortuna, Kudo, non mi stancherò mai di ripetertelo: se esageri con quella roba, prima o poi ci rimarrai secco. -
Conan fece roteare gli occhi con fare esasperato, mentre Agasa gli porgeva tra le mani un panno umido per il sudore. Era visibilmente stravolto in seguito alla trasformazione avvenuta poco prima, come tutte le volte che gli accadeva.
Quella mattina aveva nuovamente preso un antidoto temporaneo dell'APTX e nuovamente era tornato ad essere un piccolo marmocchio in meno di 24 ore. L'efficacia dell'antidoto si accorciava sempre più, come spesso Ai gli spiegava con fare stizzito e saccente, e lui ne prendeva atto, ma quel giorno proprio gli serviva a tutti i costi.
Aveva litigato in modo assurdo con Ran al telefono un paio di giorni prima e non era riuscito a riappacificarsi con lei col solo ausilio di un aggeggio che modula la voce e di un cellulare, doveva farlo di persona. Dal canto suo Ran, furiosa in un modo che Shinichi aveva visto ben poche volte, pareva non volerne sapere di perdonarlo o di concedergli troppa tregua, perciò lui era corso disperato da Ai implorandola di dargli l'antidoto, “solo per questa volta”. Ti prego, Haibara, solo per questa volta, sul serio, poi basta. Ai aveva dovuto fingere che le prime tre o quattro volte (o forse di più?) non fossero esistite e gliel'aveva consegnato, decisamente contrariata e irritata dal suo atteggiamento fin troppo adolescenziale.
- E' inutile che fai quella faccia. Non te lo dico perché mi diverto, ma perché l'ho creato io. E so meglio di te quali sono i rischi, idiota -
- Sì, sì, ho capito... tutte le volte la stessa storia, Haibara... -
- Tutte le volte, dici? Quali volte? Non era soltanto per questa volta? -
Conan sbuffò scocciato e si voltò dalla parte opposta, cercando in fretta qualcosa su cui appoggiarsi, visto che il corpo gli stava pesando come un piccolo macigno... anche se l'aveva già assunto in precedenza, la condizione post-antidoto non smetteva mai di essere un po' stancante e debilitante. Col respiro ancora affannoso si diresse verso un piccolo mobile da parete su cui appoggiò un braccio e dove si prese un attimo di riposo.
- Shinichi, perché non ti siedi per un po' sul divano? - intervenne Agasa.
Il detective si asciugò qualche goccia di sudore dal viso. - E' tutto ok, professore, due minuti e mi passa -
Agasa si strinse nelle spalle e tornò verso il tavolo della sala, sul quale stava sistemando alcune pile di vecchie riviste tecniche.
Ai tornò all'attacco, senza guardarlo, continuando a tenere lo sguardo sul suo computer e muovendo il mouse.
- Stavolta è andata così, Kudo, ma la prossima volta che intraprendi delle bisticciate da ragazzino vedi di tagliare corto e di implorare perdono strisciando ai piedi, se necessario. Non c'è bisogno di rischiare la vita per scusarsi con qualcuno -
Conan aprì la bocca per rispondere, ma l'affanno del respiro glielo impedì fin da subito. Non accennava a diminuire, anzi, e la gola iniziava a bruciare. Deglutì e si appoggiò ulteriormente contro il mobile, abbassando la testa e tentando di dominare la situazione. Aprì gli occhi e, con un certo orrore, vide la stanza vorticare, perciò li richiuse subito. Una goccia di sudore gli corse lungo il naso per poi cascare sul pavimento. Forse era solo un po' di suggestione, ma gli parve che poco a poco l'ossigeno mancasse sempre di più.
- Suvvia, Ai, può succedere... a volte certe questioni sono difficili da risolvere solo tramite delle telefonate, specie se la persona dall'altra parte ha una grande importanza -
- Non ce ne metta anche del suo, professore! Non cambio idea. -
- Okay, okay... - Agasa emise un risolino.
Ai inserì un CD ignoto dentro al computer, pronta a riprendere il suo consueto lavoro. Continuò a parlare mentre apriva e chiudeva le varie cartelle.
- Kudo, non appena ti riprendi bene vieni qui allo schermo, che ti faccio vedere una cosa... forse ti convinci meglio di quel che dico -
Conan riuscì con fatica a voltare lo sguardo verso di lei, senza incrociare il suo sguardo, e la stanza fu di nuovo il confuso scenario di un giramento. Sbatté gli occhi due, tre volte, per levare un fastidioso velo acquoso che gli impediva una vista corretta. Sentì il proprio cuore rimbombare forsennatamente nelle orecchie, mentre la faccia gli bruciava come fosse magma. No, no, era solo un'impressione, qualche secondo e sarebbe tornato alla normalità.
Si girò su se stesso e avanzò un paio di passi lenti verso la piccola scienziata al computer. Quest’ultima, in mezzo al ticchettio della tastiera, udì improvvisamente il rumore di oggetti pesanti trascinati sul legno seguito dai tonfi sordi e frastornanti della loro rovinosa caduta a terra. Lei si voltò all'istante verso la fonte del rumore e, mentre si girava, sapeva già cos'era accaduto. Vide il detective inginocchiato a terra e appoggiato completamente al mobile di legno, sopra il quale si erano trovati gli oggetti che erano ora tutti sparsi davanti a lui, trascinati giù dal suo braccio che non era riuscito a sorreggerlo a lungo. Aveva una mano stretta sul petto, il gesto che fece percepire ad Ai una morsa metallica attorno allo stomaco.
- M... merda... - bisbigliò Kudo in mezzo agli ansimi, stringendo la mano attorno alla maglietta.
Ai e Agasa si precipitarono verso di lui inginocchiandosi immediatamente alla sua altezza, trasformando l'aria di quella casa in una massa condensata di ansia e timore. Ai colpì bruscamente il pavimento col ginocchio e probabilmente se lo sbucciò, ma non riuscì a darci il minimo peso e non se lo ricordò nemmeno dopo. Nonostante tutto la ragazzina riuscì a mantenere un atteggiamento posato e controllato, decisa a compiere primariamente tutto ciò che le sue capacità le permettevano.
- Kudo, okay, ascoltami. Cosa senti esattamente? -
- I miei organi... stanno... -
- Battito accelerato, crampi? -
Lui annuì debolmente, con gli occhi chiusi e stretti per il dolore.
- Okay, professore, mi porti la cassetta dei medicinali. Mentre tu, Ku... -
In un solo secondo, massimo due.
Smise di tenere le palpebre strette e gli occhi tornarono ad essere chiusi in modo naturale, il respiro gli si bloccò di colpo e il suo corpo cadde a peso morto in avanti, addosso ad Ai, la quale lo bloccò con le braccia prima che toccasse terra. La ragazzina rimase alcuni millesimi di secondo così, immobile, con le mani strette alla schiena di lui, il viso che sfiorava i capelli di lui, gli occhi spalancati e fissati su un punto davanti a sé. Era terrorizzata, e lo sguardo altrettanto terrorizzato che lesse negli occhi di Agasa le confermò che era lo stato d'animo esatto per la situazione.
Senza dire una sola parola di troppo, i due si attivarono affinché Kudo riprendesse conoscenza. Nel giro di pochi secondi lo sistemarono sul letto di Ai e gli fecero un veloce controllo per capire come agire. La piccola scienziata portò l'orecchio a pochi millimetri dalla bocca socchiusa del detective, constatando come i suoi timori peggiori stessero prendendo forma. Lei gemette con un ansimo, rialzò la testa e quando parlò la voce le tremava.
- Professore, non... non respira... -
- Calma, Ai, adesso troviamo un modo -
Ai sapeva che prima o poi sarebbe successo, lo sapeva. Lo sapeva. Continua a dargli antidoti come se fossero biscotti, brutta stupida ignorante. Continua, dai, fallo contento, siccome te li chiede con quegli occhioni da cerbiatto disperato, tu daglieli. Daglieli tutti, dagli una scatola intera! E TU, MALEDETTO IDIOTA, PERCHE', PERCHE' CONTINUI A CHIEDERMELI, LO SAI CHE... no, no che non lo sai, IO lo so, ma tuttavia ti accontento sempre, tuttavia io...
- Non sta respirando, professore, e di questo passo... -
- Ti ho detto di calmarti, cerchiamo di ragionare! -
- SONO CALMA! -
- D'accordo, hai ragione, cosa proponi di fare allora? -
Lei chiuse gli occhi e respirò a fondo, riaprendoli di scatto e fissando il detective completamente inerme. Vittima di una crisi dovuta all'antidoto da lei creato. In quel breve attimo di immobilità che si concesse, sentì chiaramente le persiane alla finestra tremare e sbattere leggermente a causa del vento.
E' colpa mia, Kudo. Era colpa mia prima, quando sei tornato all'età infantile, ed è colpa mia adesso, che rischi di andare all'altro mondo. Qualsiasi cosa io abbia fatto ci sono state ripercussioni... su di te, soprattutto... proprio tu, poi, una delle poche persone che abbia mai dimostrato di tenere a me. E che farebbe di tutto.
Le venne in mente un liquido, un medicinale che per via delle componenti avrebbe potuto contrastare quel disastro, perciò lo preparò velocemente e glielo iniettò in vena. Aspettò qualche secondo, forse quasi un minuto. Ma niente. Il respiro non accennava a tornare, il battito diveniva di attimo in attimo quasi inesistente.
Vorrei solo che tutto questo potesse succedere a chi se lo merita. Vorrei che su questo letto non ci fossi tu, ma Gin, ad esempio. Proprio per fare un esempio, eh. Lui sì che si merita qualcosa di simile. Si merita di boccheggiare in cerca di aria, di esplodere da dentro. Si merita di essere fissato da me e schernito dal mio ghigno, mentre marcisce. Ma non tu. Tu sei ben lontano da una simile immagine. Eppure ora ci sei dentro. E sono io l'artefice.
Mentre Ai rifiutava di arrendersi continuando quindi a trafficare in vari cassetti alla ricerca di una soluzione, con il silenzio paradossalmente assordante che la circondava, la porta della stanza si spalancò. Ai si voltò di scatto, pensando con angoscia subito a Ran, che avrebbe di certo chiesto spiegazioni. Ma non era Ran. Era una persona comunque molto simile a lei.
Era Akemi.
La piccola scienziata rimase inchiodata dov'era, con sguardo imbambolato. No, le allucinazioni no, non era proprio il momento...
La fissò. Avrebbe voluto mitragliarla di domande, ma rimase zitta. Avrebbe voluto delle risposte, ma non le cercò. Iniziò a piangere piano e senza fare rumore, senza singhiozzi. Solo lacrime che sostituivano parole.
Akemi la guardò con un debole sorriso. Dalla bocca le usciva di continuo un rivolo di sangue, e solo in quell'istante Ai si accorse dell'enorme macchia rossa che imbrattava la camicia di sua sorella. Akemi ci posò una mano sopra, come per nascondergliela. Rise lievemente.
- Beh, chi voglio prendere in giro? Tu sei troppo acuta per cascarci, sorellina -
- Sei morta da tempo, Akemi -
- Eh, già -
- Per salvare me, per portarmi via da lì. Ma non ha funzionato. Anche in quel caso, è stata colpa mia -
- Non è vero, piccola... che stai dicendo? -
- Saresti dovuta scappare senza di me. Io ti ho solo fatto rimanere prigioniera per un tempo maggiore, e a che scopo? -
Ai abbassò lo sguardo, posando involontariamente gli occhi su quel fantoccio sdraiato che era diventato Kudo. No, per favore, no... le mie ultime frasi nei tuoi confronti sono state antipatiche e ostili. Ti ho anche dato dell'idiota in modo gratuito e sgarbato, e tu non mi hai nemmeno risposto per le rime. Perché non l'hai fatto? Mi sentirei un po' meglio. Perché mi hai sempre trattato con così tanta cura, stupido? Ecco, ti ho insultato ancora. Svegliati, Kudo, mi devo scusare con te. Stavolta lo faccio davvero, anche se ti verrà una ridarella incontrollata per questo.
Mentre le lacrime silenziose si intensificavano e i sospiri non si riuscivano più a trattenere, riguardò Akemi, sentendo sui suoi stessi occhi una membrana di tristezza solida e isolante. Le braccia molli e abbandonate. Strinse un poco i pugni, per poi ridistendere le mani.
- Sei... sei venuta a prendere lui? -
Akemi annuì con fare mesto e sconsolato, come se non le piacesse per niente quell'idea.
- Mi dispiace, Shiho. So che ci tenevi. -
- Tenevo a tante cose, Akemi. Però, certo, posso capire. Ve ne state andando tutti, mentre io rimango. - Strinse di nuovo i pugni e si morse forte un labbro.
- Rimango per fare altri danni a chissà chi. Se continuo così ti rivedrò ancora al prossimo giro... per la prossima vittima... -
Ai sorrise con estrema amarezza, tirando su col naso. Akemi non ricambiò, la guardò invece con espressione grave. La piccola scienziata pensò semplicemente che era tutto sbagliato: la sua defunta sorella era alla soglia della sua porta, ancora ferita e dal pallore mortale, colei che era stata la persona più importante della sua vita. E, combinazione, era venuta per portarsi via la persona che attualmente era la più importante della sua vita. Ma lei non voleva, rifiutava l'idea su ogni livello. Perché sì, Shinichi era proprio l'ultima cosa che avrebbe voluto perdere, l'ultima. Avrebbe dato di tutto per essere al suo posto. Non voleva che andasse così. Si sarebbe aggrappata a lui, se necessario, in qualsiasi modo e in qualsiasi momento.
Ai scosse la testa confusa e smarrita, fissando il pavimento. Di nuovo si concentrò involontariamente sul rumore delle persiane che sbattevano ritmicamente contro la finestra, per via di lievi raffiche di vento.
- Non anche lui, Akemi... ti scongiuro... -
- Mi dispiace, Shiho. So che ci tenevi. - Ripeté con tono identico.
La scienziata sospirò, stanca. Rialzò gli occhi su Akemi, che era appannata e inconsistente, dai contorni un po' sfocati. Forse avrebbe potuto passarci attraverso. Ma era così chiaramente lei, ogni parte di lei era così autentica e stranamente viva che Ai non poté comunque evitare di sorridere, più con il cuore che con le labbra.
- E' tutto così assurdo, e veloce. Ma sono contenta di rivederti, sai. Hai scelto la più orrenda delle circostanze... ma è comunque una sensazione tanto fugace quanto splendida... -
- Ti voglio bene, piccola mia -
Quella frase vibrò nell'aria, come l'onda d'urto di una bomba vicina. Ai esplose in un pianto incontrollato, crollando in ginocchio e coprendosi il viso con le mani, del tutto rassegnata. Non posso e non voglio restare sola così... non di nuovo. Inarcò la schiena verso il basso e pianse, pianse sempre più forte, mentre sentiva Akemi passarle di fianco con lievi passi e superarla, sentiva le gocce di sangue scivolare via dalla sua ferita e schiantarsi al suolo, sentiva fruscii e movimenti sul letto. Lascialo stare, Akemi, ti prego. Non avrei mai pensato di rivolgermi a te in questo modo, ma vai via da qui. Fammi questo favore, Akemi, lascialo giù... e poi fammene un altro, ok? Torna da me e restaci. O portami via con te, chi se ne importa, ma troviamo un modo. Un altro modo qualsiasi... che non sia questo.


  
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