Fanfic su artisti musicali > Panic at the Disco
Ricorda la storia  |      
Autore: The Hopeless Girl    02/03/2015    2 recensioni
«Perché te ne vai, Ross?»
«Te l’ho già detto, Brendon. E l’ho detto anche a Spencer e Jon. Ci stiamo allontanando dall’idea di genere musicale che avevamo all’inizio e a me questa cosa non va.»
«No, Ryan. Non perché te ne vai dalla band. Perché te ne vai da me. Cosa ti ho fatto io? Sono anche io un genere di uomo che non ti piace più? O forse sono cambiato? Dimmelo tu, Ross, perché proprio io non so cosa sia successo per farti lasciare tutto e tutti da un giorno all’altro.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brendon Urie, Ryan Ross
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IF YOU LOVE ME LET ME GO

Quando Ryan sentì suonare il campanello concepì tanti di quegli insulti creativi che ebbe una mezza idea di scriverci una canzone.
Si gettò fuori dalla doccia, afferrò camicia (che venne anche improvvisata asciugamano) e pantaloni e se li infilò alla bell’e meglio, mentre attraversava il soggiorno saltellando una corsetta di precario equilibrio e urlando all’inopportuno visitatore fuori dalla porta: «Sto arrivando, un attimo!»
Arrivato davanti alla porta posò finalmente entrambi i piedi a terra e, prima di aprire la porta, si premurò di chiudersi la cerniera dei pantaloni: anche se bagnato fradicio, doveva mantenere un minimo di decoro!
Spinse la maniglia e spalancò la porta, trovandosi un pugno alzato a venti centimetri dal naso. Batté un paio di volte le palpebre, leggermente sorpreso da quella mano sospesa davanti al suo viso, mentre una voce che riconobbe immediatamente (e che gli procurò una dolorosa stretta spinosa al cuore) disse: «Scusa, stavo per bussare di nuovo.»
Ryan contrasse la mascella e serrò gli occhi, tirando un profondo respiro dal naso, mentre quelle familiari dita serrate si abbassavano, rivelando il viso serio di Brendon.
«Che ci fai qui?» gli chiese Ryan, brusco. Se prima il volto del ragazzo fuori dalla porta aveva un’espressione indefinibile (tra quella di un cucciolo abbandonato e lo speranzoso… qualcosa che non si poteva descrivere a qualcuno che non lo conosceva) ora era certamente ferita.
«Volevo solo… parlarti.»  «Perché mai? Mi pare di essere stato abbastanza chiaro, prima.»
Dall’espressione di Brendon sembrava che qualcuno gli avesse tirato uno schiaffo, un secchio d’acqua gelata in testa e il gatto giù dalla finestra. Contemporaneamente.
Per un attimo Ryan provò pena, per lui, e questo comportò un’ulteriore stretta al cuore, ma fu solo un attimo. Poi si costrinse a indossare di nuovo una fredda maschera d’indifferenza e di allontanare dal suo cuore quello strano dolore pungente.
«Sì, sei stato piuttosto esauriente, con gli altri. Ma io… - si interruppe e si guardò intorno, un po’ imbarazzato - Posso entrare, Ryan?»
Lui ci pensò un attimo, guardando il pianerottolo deserto: non gli pesava dar spettacolo davanti a quella pettegola dell’appartamento di fronte (che probabilmente li stava spiando da dietro la porta, in quel momento) dato che di lì a due settimane avrebbe lasciato la città e, magari, anche lo stato. Ma qualcosa (probabilmente il cugino della sensazione di fredda stretta al petto di prima) lo convinse ad annuire e a farsi di lato, lasciando entrare Brendon nell’appartamento che ormai era familiare al cantante quasi quanto a lui.
Appena richiusa la porta (ebbe la tentazione di lasciarla aperta, per vedere se Brendon gli avrebbe gridato di chiuderla, nonostante la situazione tutt’alto che rilassata) Ryan si lasciò cadere sul divano e con un cenno della mano invitò l’altro a fare lo stesso, dato che fino a quel momento se n’era stato in piedi, impacciato, in mezzo alla stanza.
Brendon si sedette accanto a lui e voltò la testa, aprendo la bocca per parlare, ma non pronunciò alcun suono. Corrugò invece la fronte ed esclamò: «Sei bagnato!»
Era suonato a metà come un’affermazione e per l’altra metà come una domanda, così Ryan accennò col capo alla porta ancora spalancata del bagno: «Hai bussato in un momento decisamente poco opportuno.» gli disse, e Brendon si limitò ad un “oh.” tra l’imbarazzato e il dispiaciuto.
Fino al giorno prima gli avrebbe proposto di concluderla insieme, quella doccia, ma in quel momento no. Non più.
«Bene. - Ryan interruppe quell’imbarazzato silenzio che si era creato - Sei venuto per parlarmi. Parla.»
Brendon prese un profondo respiro e si appoggiò con i gomiti sulle ginocchia, guardando lo spazio vuoto davanti a se e senza proferire parola. Dopo qualche secondo di ulteriore silenzio, Brendon voltò il capo, piantò i suoi occhi scuri ora seri e decisi in quelli di Ryan e disse: «Perché te ne vai, Ross?»
Questa volta fu Ryan a fuggire lo sguardo dell’altro e a tacere, cercando di mostrarsi stizzito quando in realtà si sentiva terribilmente a disagio. Doveva ancora prendere totalmente coscienza di ciò che aveva fatto quel pomeriggio, e spiegare a qualcuno le sue motivazioni (che fossero quelle vere o quelle che aveva deciso di rifilare ai suoi ormai ex-bandmates) era qualcosa di alquanto… confondente, ecco. Soprattutto se questo qualcuno era Brendon. Anzi, le cose, se c’era lui, diventavano ancora più difficili. Perché lui non voleva mentirgli, non a Brendon, al suo Brendon. Ma doveva farlo, se non voleva perderlo del tutto, se non voleva che l’uomo che ora lo amava iniziasse ad odiarlo.
Quindi, quando prese fiato per parlare, aveva già in bocca il sapore delle menzogne che stava per dire.
«Te l’ho già detto, Brendon. E l’ho detto anche a Spencer e Jon. Ci stiamo allontanando dall’idea di genere musicale che avevamo all’inizio e a me questa cosa non va. Se poi ce l’hai con me perché Jon era d’accordo e ha deciso di seguirmi, ti giuro che non ne sapevo niente. Non me ne aveva parlato.»
Eccola qui, la ragione razionale e giustificata, quella maledetta scusa che ha accompagnato scioglimenti e frammentazioni di innumerevoli band. E dietro quelle ragionevoli parole vi si era nascosto anche Ryan, insieme a tutti i suoi segreti che gli annerivano la coscienza ogni giorno di più. Perché le bugie invisibili agli altri sono quelle che ti sporcano di più davanti agli occhi di Dio, o di chiunque altro ti destinasse alla dannazione eterna o a qualunque cosa ci fosse in alternativa.
Brendon scosse la testa, mentre un lieve sorriso dolce e rassegnato al tempo stesso gli si disegnava sulle labbra: «No, Ryan. Non perché te ne vai dalla band. Perché te ne vai da me. Cosa ti ho fatto io? Sono anche io un genere di uomo che non ti piace più? O forse sono cambiato? Dimmelo tu, Ross, perché proprio io non so cosa sia successo per farti lasciare tutto e tutti da un giorno all’altro. Perché mi sembra che fino a ieri non avessi mai disdegnato la mia compagnia. Soprattutto ieri notte.»
Aveva accennato ad uno dei loro momenti insieme senza la benché minima traccia di imbarazzo, come sempre. Ma quella volta nella sua voce non c’era malizia, né desiderio. C’erano sì rabbia e irritazione, ma soprattutto c’era una supplica: lo implorava di tornare da lui, di dimenticare il freddo discorso con cui lui l’aveva lasciato, dopo che Brendon l’aveva seguito fuori dalla stanza nella quale aveva annunciato la sua intenzione di abbandonare la band. O, per lo meno, di dargli una spiegazione.
Ma, ancora una volta, Ryan non poteva dire la verità. Così ricacciò i suoi sentimenti e il crescente senso di colpa in un angolino del suo animo che andava annerendosi sempre di più e disse: «Capiscimi, Brendon, non posso cambiare gruppo, città e anche vita, magari, ma restare con te. Semplicemente non ci riusciremmo e renderebbe tutto molto più difficile.»
Ora Brendon lo guardava con una disperazione negli occhi talmente evidente che di nuovo Ryan si sentì morire dentro e questa volta non poté negare a sé stesso l’evidenza: lo uccideva vederlo soffrire a causa sua. Ma quella sofferenza era necessaria, lo sapeva.
La mano di Brendon si allungò in un gesto automatico ad afferrare la sua e lui, con qualche attimo di ritardo, la ritrasse a sua volta, senza però riuscire ad evitare che le loro pelli si toccassero.
Quel contatto, talmente familiare e tenero, gli fece più male di quanto avrebbe potuto fare un pugno e rabbrividì per tutto il corpo. Dal canto suo, Brendon ritrasse il braccio, ulteriormente ferito, mentre ricominciava a parlare con tono basso ma speranzoso in maniera terribilmente innocente e genuina: «No, non è vero! Possiamo farcela, io e te! Ci amiamo, e il nostro lavoro, per quanto ci coinvolga ed assorba, non può…»
«No, invece. - lo interruppe Ryan, sentendo le parole che stava per pronunciare bruciargli nella mente come ferro incandescente sulla pelle. Era terribilmente doloroso doverle pronunciare, ben sapendo cosa avrebbero comportato, ma si costrinse a farlo. - Noi non ci amiamo. Non ci amiamo, Brendon, e per questo la cosa non funzionerebbe. Mettiamo una pietra sopra a questa storia e andiamo avanti.»
Il dolore nei grandi occhi di Brendon era di quella sofferenza sorpresa che si trova nel viso dei bambini che scoprono che le rose hanno spine che pungono e che a cadere dalla bicicletta ci si ferisce le mani.
Ryan si costrinse a sostenere quello sguardo che lo implorava di rimangiarsi ciò che aveva appena detto e che lo guardava come quei bambini osservano quel fiore che li aveva indotti ad avvicinarsi con i suoi bellissimi petali e poi li aveva feriti con le sue spine.
Si sentì morire quando la bocca che tante volte lo aveva baciato con amore e dolcezza si apriva in una o sorpresa e sussurrava parole confuse: «Io… tu… credevo che…»
«No - continuò Ryan, ignorando il proprio cuore sanguinante che si rifletteva nell’espressione addolorata di Brendon - non era niente. Non era amore. Magari avrebbe potuto sembrarlo ma non lo era: io non ti ho mai amato.»
La fatica che gli era costata per pronunciare quelle parole non fu nulla, in confronto a quella che dovette impiegare per rimanere perfettamente immobile quando Brendon sentì quelle parole e ne comprese a fondo il significato. Gli occhi del cantante batterono più volte, increduli, e poi la sua espressione si sfigurò in una smorfia di dolore che straziò l’animo di Ryan. Non c’era nulla di peggiore del vederlo soffrire così a causa sua.
Pian piano l’idea si radicò nella mente e nel cuore di Brendon, il suo viso si indurì, la mascella si serrò e deglutì vistosamente; mantenne l’autocontrollo e Ryan si sentì morire: avrebbe voluto con tutte le sue forze cancellare il dolore dal suo viso, ricoprire di baci i segni dello schiaffo morale che gli aveva appena inflitto, ma si contenne anche lui, mentre un uragano imperversava all’interno del suo corpo immobile.
Brendon si sollevò lentamente dal divano, i pugni stretti e l’espressione dura, e disse con voce forzatamente calma ma che, un po’, stava tremando: «Bene. Se le cose stanno così, credo sia meglio che io me ne vada. Sei libero di fare ciò che vuoi.»
Ryan si alzò a sua volta e lo fronteggiò, rispondendo con un lapidario: «Bene.»
Si diressero verso l’uscita, muovendosi come lenti e goffi automi in quel silenzio che lasciava le loro menti libere di gridare il loro dolore, assordandoli. Raggiunta la porta, Ryan la aprì e Brendon la sorpassò, tenendo entrambi testa e sguardi bassi, stando attenti a non sfiorarsi.
Arrivato ormai a metà pianerottolo, però, Brendon si bloccò, si voltò e tornò a grandi falcate verso Ryan. Lo afferrò con trasporto per le spalle, avvicinandosi al suo viso tanto da far avvertire all’altro il suo respiro affannato e i battiti irregolari e velocissimi del suo cuore. Il suo sguardo era un tornado di emozioni, sentimenti repressi e parole non dette talmente profondo e impetuoso che Ryan si sentì bruciare fino all’animo da quegli occhi che lo scrutavano con forza, che gli trasmettevano un amore e una supplica talmente grandi da riempirlo fino alla follia, fino al dolore fisico.
«Ti amo, Ryan. - gli soffiò sul viso, in un sussurro disperato, di quelli che si sentono solo al capezzale dei moribondi. Era questo che gli stava facendo? Stava uccidendo la forse unica persona che l’avesse mai amato? - Sei libero di fare, di credere quello che vuoi. Ma io ti amo e non lo dimenticherò mai. Non ci metterò mai una pietra sopra, perché ti ho amato con tutto il mio essere, e anche se tu non ricambi e te ne stai andando, continuerò a farlo, per sempre. Perché io ti amo, George Ryan Ross.»
Non aggiunse altro, gli sfiorò semplicemente le labbra con le proprie in un ultimo, casto, saluto a quel corpo che aveva avuto molte volte e a quell’animo che invece ora sapeva di non aver mai posseduto, e se ne andò. Per sempre.
Ryan richiuse la porta e rimase a guardare stolidamente quel pezzo di legno, sentendosi crescere dentro quell’onda gigantesca di emozioni contrastanti che aveva represso fino a quel momento ma che ora era pronto a travolgerlo. E lo prese in pieno, lo annegò, lo soffocò, gli stritolò il cuore e lo strizzò, facendone uscire ogni grammo di cattiveria, ogni singola bugia, ripassandogliele davanti agli occhi in una macabra sfilata che lo fece sentire un verme.
Tutto questo, si espresse in un’unica, singola lacrima, un tributo ai due cuori spezzati dalle sue azioni che rotolò piano sulla sua guancia, segnando un solco che non sarebbe più stato cancellato o ricolmato.
Quella sola lacrima dolorosa la versò per quell’uomo che aveva lasciato andare via senza sapere la verità. Quella verità che aveva tutto il diritto di sapere, ma che non aveva potuto rivelargli perché questo avrebbe privato Ryan anche del suo amore, e non solo della sua persona. Era una cosa molto egoista, ma ormai Ryan aveva accettato il suo animo cattivo ed egoista, ci aveva stretto un’alleanza che fino a quel momento gli aveva solo procurato vantaggio. Esatto, fino a quel momento.
Quando era aveva fondato i Panic! sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto fare: prendere un talento che li avesse resi una celebrità, farlo affezionare a lui in modo spropositato e poi, quando anche lui fosse diventato abbastanza famoso, frantumargli cuore e spirito lasciando il gruppo, cosicché lui potesse diventare un famoso singolo, mentre la band si sarebbe disfatta.
Era un piano geniale, malvagio ma brillante, ed era funzionato perfettamente: aveva reclutato Brendon, messo al centro dell’attenzione e l’aveva fatto innamorare di sé, tanto che il povero, innocente cantante era giunto ad amarlo.
Solo che qualcosa era andato storto.
Già, il suo infallibile piano aveva, invece, vergognosamente fallito.
Precisamente, era successo la notte precedente, quella che anche Brendon aveva citato durante la loro discussione. Si era svegliato nel cuore della notte, affianco a Brendon che, invece, dormiva beatamente, abbracciato al cuscino e al corpo dell’altro, la bocca semichiusa. Alla vista di quell’uomo che in quel momento pareva un bambino, Ryan aveva avvertito una sensazione allo stomaco mai avvertita prima, un’enorme tenerezza che gli aveva annodato tutte le interiora e una serenità totale che l’aveva rilassato e reso… felice.
E in quel momento si era accorto, con terrore, di amarlo. Di essersi infine innamorato della sua vittima, della pedina che avrebbe dovuto a breve allontanare e spezzare. E la sola idea di doverlo lasciare gli aveva straziato il cuore.
Sarebbe stato tutto perfetto (sarebbe potuto rimanere con loro, stare con Brendon, amarlo e farsi amare) se non fosse stato che quelle sensazioni talmente intense lo avevano spaventato e indotto a fuggire, tornandosene a casa sua senza nemmeno lasciare un biglietto e a farsi rivedere soltanto quel pomeriggio, per dire che avrebbe lasciato la band e Brendon.
Era stato meschino, calcolatore, un vero mostro. Ma alla fine si era comunque dimostrato troppo umano: si era innamorato e aveva avuto paura. E l’unica cosa che il suo animo corrotto gli aveva consigliato di fare era fuggire, dall’uomo che amava e dal gruppo a cui, ormai, si era affezionato.
E ora si trovava solo, nella sua casa, paralizzato dal dolore e con un buco nero scavato da una lacrima che pian piano gli stava assorbendo l’essenza, privandolo di qualunque sensazione all’infuori di una sorda sofferenza.
Sapeva che ormai era segnato: non avrebbe mai dimenticato Brendon e l’amore di lui e per lui, il suo ricordo l’avrebbe perseguitato ogni giorno e sarebbe come stato un tarlo immortale nella sua mente, un costante promemoria della sua perdita.
L’unica cosa che poteva sperare era che l’unica persona che avesse e avrebbe mai amato patisse la medesima sofferenza.
Così, nella luce sempre più assente di quella giornata che moriva insieme al suo essere, sussurrò una preghiera al suo amato, a Brendon, all’angelo che gli aveva fatto conoscere in prima persona il sentimento più bello di tutti e che lui aveva rifiutato per paura: «Se mi ami lasciami andare.»





NOTE DELL'AUTORE:
E ora, piangete.
Okay, ora so che tutti voi mi odiate ma nON È COLPA MIA! Cioè sì, lo è, ma se non fosse stato Blood Candy non avrei mai conosciuto i Panic! la Ryden e i loro casini. Quindi, se ho sentito il bisogno di struggere il mio e i vostri cuori, è solo ed esclusivamente colpa sua.
Bene, dopo aver chiarito... no, niente. Se vi è piaciuta la mia storia e se vi va, lasciatemi una recionsina :3
Okay, mi dileguo! Addio!
The Hopless Girl

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Panic at the Disco / Vai alla pagina dell'autore: The Hopeless Girl