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Autore: CHAOSevangeline    04/03/2015    3 recensioni
Era iniziato tutto per uno sbaglio, per uno scherzo sciocco e organizzato male.
Aveva aperto l’armadietto e trovato un lettera spiegazzata, probabilmente per la fretta con cui era stata infilata tra le piccole fessure della porta metallica.
Non aveva idea di chi fosse il mittente, ma si rese subito conto di essere rimasta affascinata da quel semplice foglio di carta; chi usava ancora le lettere per comunicare?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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A Jessica, che ha letto per prima questa storia e che l'ha aspettata per non so nemmeno quanto tempo.


Adorabili sconosciuti
 
 

Era iniziato tutto per uno sbaglio, per uno scherzo sciocco e organizzato male.
Aveva aperto l’armadietto e trovato un lettera spiegazzata, probabilmente per la fretta con cui era stata infilata tra le piccole fessure della porta metallica.
Non aveva idea di chi fosse il mittente, ma si rese subito conto di essere rimasta affascinata da quel semplice foglio di carta; chi usava ancora le lettere per comunicare?
Quando aprì quello che in realtà era più un biglietto per le poche parole che vi erano scritte sentì un tuffo al cuore, e subito ebbe l’istinto di guardarsi intorno per controllare che nessuno avesse osservato il rossore divampare sulle sue guance candide.
“Mi piaci.”
L’aveva letto come minimo dieci volte prima di convincersi di ciò che c’era scritto.
Aveva stretto con forza la carta e poi si era data un pizzicotto sul dorso della mano.
Decisamente era reale.
E decisamente non capiva.
In fondo al foglio lesse un'altra piccola frase.
“Il mio armadietto è il numero 7 del corridoio A. Se guardi la piantina della scuola non puoi sbagliare.”
Passò le seguenti ore a ripetersi che lei non era il tipo adatto a certe cose, che doveva pensare allo studio e non a un qualche ragazzo.
Pensò che lei era ragionevole e che non aveva la minima idea di chi fosse lui, ma forse il lato da sognatrice che coltivava fin da bambina prese il sopravvento, e decise di rispondergli.
 
 
Non aveva idea di cosa i suoi amici avessero combinato, dopo essersi scambiati quegli sguardi d’intesa nello spogliatoio durante l’ora di ginnastica.
Non lo sapeva e non era nemmeno certo di volerlo scoprire, ma fu costretto a svelare il loro piccolo scherzo controvoglia quando aprì il proprio armadietto e vi trovò una lettera.
Era scritta su un foglio a righe palesemente strappato da un quaderno ad anelli.
Il o la proprietaria dovevano essere stati attenti a fare del proprio meglio per dare alla carta una parvenza meno trasandata possibile, ma il risultato era stato scarso.
Aprendo il foglio si trovò di fronte ad una calligrafia elegante, leggermente rovinata da un alone bluastro di inchiostro. Se avesse trovato una serie di minacce all’interno del foglio sapeva che avrebbe dovuto cercare un mancino. Una mancina, capì dopo aver letto le prime parole.
“Non credi che confessarti a una ragazza senza nemmeno dire chi sei sia un po’ scortese?
Però ammetto che hai scelto un metodo decisamente insolito; penso tu abbia guadagnato qualche punto, così.”
Si guardò intorno sperando che nessuno avesse notato la sua espressione palesemente sorpresa. Subito dopo un sorriso insolitamente divertito gli si stampò sulle labbra.
Certo che la ragazza dell’armadietto 18 del corridoio F sapeva il fatto suo.
 
 
Quando il giorno dopo arrivò a scuola e non trovò alcuna lettera nel proprio armadietto sentì una leggera fitta al cuore; eppure si era lavata il viso con l’acqua ghiacciata fin troppe volte perché fosse stato tutto un sogno.
Dovette aspettare fino al suono della campanella della pausa pranzo per ricevere risposta, e a quell’ora si era già convinta che il suo corrispondente fosse un maleducato per il suo ritardo.
Di nuovo un foglio di carta piegato, questa volta in modo molto più ordinato.
Appena lo aprì si rese conto che la calligrafia era diversa da quella del giorno prima, e che, chiunque ne fosse il possessore, si era impegnato decisamente più di chi aveva scritto la prima lettera.
“Cara anonima del diciottesimo armadietto del corridoio F,
I miei amici mi hanno decisamente lasciato un compito arduo e credimi, gliela farò pagare abbastanza anche da parte tua.
Non so di preciso cosa fosse scritto nel biglietto che hai ricevuto, ma non sono io ad averlo imbucato nel tuo armadietto.
Ti chiedo ancora scusa da parte loro e anche per i miei modi: non credo di essere bravo in certe cose.”
Se da un lato la ragazza ligia al dovere che il giorno prima le aveva fatto presente quanto poco bisogno avesse di un ragazzo tirò un sospiro di sollievo, dall’altro la piccola romantica che era e sarebbe sempre stata sentì due fitte: una più dolorosa di quella che aveva provato quando non aveva trovato nulla nell’armadietto, l’altra semplicemente per aver ricevuto di nuovo risposta.
 
 
Era iniziato tutto per uno sbaglio, per un piccolo scherzo sciocco e organizzato male.
Eppure, una settimana dopo aver scritto alla ragazza dell’armadietto 18 del corridoio F per scusarsi, aspettava con ansia ogni intervallo sapendo di trovare la sua risposta nel proprio armadietto.
Non si erano ancora presentati e lui non si era nemmeno sforzato di identificarla.
Perché? Perché non gli interessava troppo sapere chi fosse, anzi, non gli importava proprio per nulla: non voleva sapere il suo grado di popolarità a scuola, non voleva sapere se fosse bionda o mora, se fosse alta o bassa, se il suo nome suonasse bene o male.
Gli bastava la lei della carta.
“Forse due persone normali si scambierebbero i numeri di telefono, o forse cercherebbero semplicemente di mangiare allo stesso tavolo.
Sai, giusto per evitare di far abbattere una foresta intera solo per la loro corrispondenza.”
Non era certo della ragione, ma leggendo quelle parole se l’era immaginata ridere. Si era immaginato lei che rideva mentre metteva su carta quella battuta, e gli era bastato per sentirla un po’ più vicina.
 
 
“Ti dispiace davvero così tanto se non siamo normali come tutti?
Sai che noia se fosse così!”
Doveva dire di essere davvero felice di aver risposto a quel primo biglietto, ormai settimane prima, ed era fiera di sé per aver dimenticato la timidezza almeno per una volta.
Decisamente scambiarsi lettere con quell’adorabile sconosciuto le faceva bene: il cattivo umore non esisteva più, aveva conosciuto – sempre che così si potesse dire – una persona che la pensava come lei sotto tanti punti di vista e anche se una volta uscita da scuola non aveva più modo di parlargli era tutto perfetto così.
Le sue amiche le dicevano che forse parlava con qualcuno di completamente diverso da chi si immaginava, ma era quasi del tutto certa che la cosa non le creasse alcun problema.
Non aveva mai incontrato l’“adorabile sconosciuto del settimo armadietto del corridoio A”, ma non voleva nemmeno farlo.
Le dava abbastanza emozioni già sulla carta e andava bene così.
“Parleremo anche solo per iscritto, ma ho come l’impressione che tu sia la migliore amica che abbia mai avuto.”
 
 
Era passato un mese.
Se esattamente trenta giorni prima qualcuno gli avesse detto che sarebbe stato protagonista della bizzarra relazione che stava vivendo in quel momento, avrebbe certamente riso.
Ora, invece, aveva come la sensazione che nulla potesse essere più strano di quel suo rapporto e doveva essere sincero nel dire che essere strano non gli dispiaceva affatto.
Era divertente vedere i suoi compagni impazzire nel chiedersi se scrivesse ancora alla vittima del loro scherzo e lo divertiva fantasticare, il pomeriggio, su cosa lei gli avrebbe detto il giorno dopo.
Più di tutto, però, lo divertiva rispondere a quella ragazza peperina che aveva qualcosa di fin troppo sincero da dire a chiunque.
Quella volta era particolarmente arrabbiata con le sue amiche, e considerando l’invettiva con cui gli aveva spiegato il perché della sua rabbia non poteva affatto darle torto.
“Dicono che non so chi sei e non devo fidarmi. Posso capire che si preoccupino per me, ma sono abbastanza matura da sapere quel che faccio!
Sai qual è il problema? Non capiscono niente. Non sanno niente. Fanno cose ben più sciocche di me e pretendono che le ascolti.
Anzi, facciamo prima: nessuno capisce niente.”
Quando aveva finito di leggere, la sensazione che aveva provato era stata una felicità malinconica; lo faceva ridere quella rabbia sfogata in modo infantile, quasi come se fosse una bambina, ma pareva che nelle sue parole ci fosse un’infinita tristezza. E non voleva.
Fu forse la prima volta che si pentì davvero di non sapere chi fosse, perché avrebbe voluto correre da lei.
 
 
L’effetto estraniante che quella corrispondenza aveva sortito su di lei era finito troppo in fretta, per i suoi gusti.
Era sparito con la stessa velocità con cui il suo legame con lui si era rafforzato; il suo legame con l’adorabile sconosciuto a cui indirizzava le lettere.
Inizialmente quel soprannome aveva avuto un senso, ma oramai era solo un nomignolo affettuoso con cui gli si rivolgeva per abitudine.
Forse un richiamo all’inizio di quella corrispondenza che la faceva sentire come allora: sì curiosa, ma forse non ancora del tutto dipendente da quella persona.
Si sentiva sciocca, abbastanza sciocca da aver pensato per un attimo che chiunque avrebbe preferito dare una svolta a quel rapporto o, forse, troncarlo addirittura. Ma lei non era chiunque, e quel pensiero se n’era andato lasciandole nel cuore un senso di malinconia.
“Non ti crucciare troppo per loro. Non ti crucciare troppo per nulla: non ne vale la pena.”
Qualche volta aveva giocato a chiedersi che risposte, di solito, le piaceva ricevere dalle persone. Con lui era impossibile ripetere quell’esperienza: qualsiasi cosa le dicesse andava bene e sorprendentemente la faceva anche stare meglio.
Fu dopo un mese dall’inizio della loro relazione che cominciò a poggiare le labbra sulla carta, immaginando che fossero le sue labbra.
 
 
Aveva sempre creduto di dare all’amore un peso relativamente insignificante; non aveva mai condizionato i suoi pensieri, né tantomeno aveva influito sul suo rendimento scolastico o sportivo che fosse.
Sua madre gli aveva detto – e lo ricordava forse troppo bene – che era solamente perché non aveva ancora trovato la ragazza giusta.
All’epoca non aveva considerato troppo quelle parole, ancora avvolto dalla saccenza giovanile che l’aveva portato a convincersi che lui sarebbe stato diverso da tutti, che si sarebbe distinto dagli abituali comportamenti stereotipati e ripetitivi a cui guardava sua madre.
Era rimasto fermo sulle proprie convinzioni fino a quando non aveva conosciuto quella ragazza. Era stata come una ventata fresca tra le sue idee, che nella loro presunta originalità erano vecchie e ammuffite, uguali a quelle di tutti.
L’aveva salvato dall’essere identico ai suoi compagni che forse, come aveva detto lei, davvero non capivano nulla.
Quando seppe che odiava profondamente il proprio compleanno decise di infilare nella busta che conteneva la propria lettera una piccola collana.
Capì che forse i suoi sentimenti non erano così superficiali, quando iniziò a sperare di poter vedere il gioiello al collo di qualcuno.
 
 
“Non voglio essere presuntuoso, ma forse quest’anno riuscirò a farti odiare un po’ meno il tuo compleanno.
Dici sempre di fidarti di me: prova a farlo anche questa volta.”
Quando aveva letto quelle parole non aveva capito subito cosa intendeva il suo adorabile sconosciuto.
Era sempre così trepidante prima di leggere le nuove lettere che non faceva mai troppo caso alla busta dentro alla quale erano infilate, e non si sarebbe aspettata nulla se non quel foglio di carta.
Trovare la collana la fece raggelare.
Provò un misto di sorpresa, gioia e allo stesso tempo dolore.
Gioia perché era forse la prima volta che qualcuno cercava davvero di impegnarsi per convincerla che il suo compleanno non era un giorno poi così orribile.
Dolore perché ringraziarlo con l’inchiostro non sarebbe stato lo stesso. Sapeva che non avrebbe impresso sulla carta nulla, anche se avesse usato migliaia di parole.
Le sue amiche le dissero ancora una volta che doveva stare attenta.
Non diede loro ascolto.
Dopotutto non capivano nulla.
 
 
Le aveva recapitato la collana pochi giorni prima, sperando con tutto se stesso di vedere quel piccolo ciondolo al collo di qualcuno.
Quando, durante una pausa pranzo, fu sul punto di fermare una ragazza – bloccandosi giusto in tempo per accorgersi che la collana che portava non era la stessa – aveva iniziato a chiedersi sotto quale maleficio quella ragazza l’avesse intrappolato.
Forse più che maleficio sarebbe stato meglio dire incantesimo, visto che quando non si scopriva a struggersi non potendola vedere, la loro insolita relazione lo rendeva esageratamente felice.
“Forse effettivamente odio un po’ meno il mio compleanno, ora, anche se non dovevi arrivare a tanto.
Non ti montare la testa, però.”
Anche quelle parole l’avevano reso esageratamente contento, e le successive non avevano fatto altro che spingerlo a prendere una decisione, forse la più coraggiosa fino a quel momento della sua vita.
Non voleva saperla tra le braccia di qualcun altro senza aver tentato di farsi avanti.
Non voleva essere solo un suo amico, a meno che non fosse stata lei a chiedergli di rimanere tale.
“Ora che ho la tua collana puoi anche fermarmi, se mi vedi.”
Quindi le scrisse ancora.
 
 
La festa di fine anno non era mai stata tanto sfarzosa prima di allora, ma certamente non poteva competere con lei. Era perfetta: non aveva mai avuto i capelli così in ordine, un trucco così elaborato, un abito così bello.
Lei ancora non era convinta della propria bellezza, ma ormai era lì, nel luogo che aveva affollato la sua mente per tanto tempo da qualche giorno a quella parte.
“Voglio vederti. Vieni alla festa di fine anno con me.”
Aveva riso, all’inizio. Riso del fatto di avere per la prima volta un accompagnatore e di non conoscerne l’identità.
Poi si era resa conto di ciò che le aveva chiesto e si era trovata sull’orlo di piangere, perché aveva fatto ciò che lei non aveva avuto il coraggio di fare.
Quindi era lì, ferma su dei tacchi che avrebbero dovuto camuffare qualche difetto fisico e che stavano solamente contribuendo a farle male insieme all’ansia che le rodeva lo stomaco.
Cosa poteva andare storto? Forse non l’avrebbe raggiunta. Forse era stato tutto uno scherzo fino a quel momento e lei c’era cascata, magari anche dirle che la prima lettera era una presa in giro era stato, appunto, uno scherzo.
Troppi forse, troppi se e troppe idiozie nella sua testa in un momento solo.
Magari dal vivo non mi piace, magari scopro di essere inevitabilmente materialista e do più peso all’aspetto che ai sentimenti.
Si fermò e prese un respiro, calmandosi giusto poco prima di sentire una mano sulla propria spalla, lasciata scoperta dal vestito.
Quasi come se avesse capito prima di voltarsi, portò una mano sulla catenina che pendeva dal suo collo.
« Devo dire che ho paura di fare una pessima figura. » sentì dire al ragazzo che in fondo sapeva di conoscere. « Ma considerando il posto e considerando la collana, direi che sei proprio tu. »
Un mezzo sorriso spazzò via dalla mente di lei ogni dubbio, pensiero, problema. Non era troppo alto né troppo basso: era perfetto. Aveva gli occhi del colore perfetto e anche per i capelli valeva la stessa cosa.
Il suo sorriso, poi, era tutto.
Si rese conto in quel momento che tutto le sembrava perfetto perché, alla fine, non aveva importanza.
E come per tanto tempo avevano concordato sulla carta, anche in quel momento stavano condividendo gli stessi pensieri, solo che non lo sapevano.
Lo abbracciò, decidendo che avrebbe detto qualcosa più tardi, quando sarebbe stato il momento giusto per farlo.
 
Era iniziato tutto per uno sbaglio, per uno scherzo sciocco e organizzato male, e grazie a quello scherzo si erano innamorati.
Per questo, se avessero dovuto scegliere, avrebbero deciso di essere le vittime di quel gioco altre mille volte ancora.
   
 
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