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Autore: Shainareth    04/03/2015    2 recensioni
*** Attenzione, spoiler per chi non ha giocato l'episodio 21! ***
Quando mi ero ripromessa di raggiungerlo, mi era sembrata la cosa più semplice e naturale del mondo. Quante altre volte lo avevo fatto, in passato? Tantissime. Adesso che però ce l’avevo davanti e che eravamo rimasti soli, avvertivo un inspiegabile senso di nervosismo. Il che era sciocco, se pensavo al fatto che ci conoscevamo da anni e che fra noi c’era sempre stata una bella amicizia – nonostante Ambra avesse cercato di metterci i bastoni fra le ruote.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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FOTOGRAFIA




La prima cosa che avevo pensato quando, prima di andare a scuola, mamma mi aveva dato quei biscotti e quella foto, sorridendomi in modo alquanto inquietante, era stata che doveva aver frainteso un po’ di cose. Tuttavia, poiché a ben guardare non mi costava alcuno sforzo fare ciò che lei mi aveva consigliato, non questionai oltre e, una volta a scuola, attesi che suonasse la campana dell’intervallo.
   Trovai Kentin seduto sui gradini delle scale tra primo e secondo piano dell’edificio, quando ormai la maggior parte degli studenti era stipata in mensa, dando quasi la sensazione che l’istituto fosse deserto, a parte Armin e Alexy che erano insieme a lui. Stavano ridendo per qualcosa che non avevo potuto sentire e quando mi videro arrivare, Alexy saltò su tutto contento, chiedendomi se sarei andata a pranzare con loro. Perché no?
   «Prima però volevo scambiare due chiacchiere con Kentin», precisai, stringendomi nelle braccia, quasi avessi avuto qualcosa da nascondere.
   «Cappuccetto vuole ringraziare il suo eroe?» scherzò Armin, alzandosi e scendendo i gradini per raggiungermi. Gli assestai uno schiaffetto sul braccio che lo fece ridere, mentre Kentin lo invitava più o meno pacatamente a smetterla di fare l’idiota.
   Alexy, invece, mi lanciò un’occhiata strana, perplessa e confusa, ma non commentò subito. Si limitò a scendere con passo lento, rivolgendomi un sorriso che mi pareva forzato. «Non metteteci troppo, eh», ci raccomandò, lasciando scorrere lo sguardo prima su di me e poi su Kentin. Quindi, senza aggiungere altro, si diresse con Armin verso la parte dell’edificio che ospitava la mensa scolastica.
   Alzai gli occhi su Kentin, rimasto al suo posto a metà della prima rampa di scale, e lui abbozzò un sorriso. «Allora?» chiese, curioso di sapere cosa volessi.
   Quando mi ero ripromessa di raggiungerlo, mi era sembrata la cosa più semplice e naturale del mondo. Quante altre volte lo avevo fatto, in passato? Tantissime. Adesso che però ce l’avevo davanti e che eravamo rimasti soli, avvertivo un inspiegabile senso di nervosismo. Il che era sciocco, se pensavo al fatto che ci conoscevamo da anni e che fra noi c’era sempre stata una bella amicizia – nonostante Ambra avesse cercato di metterci i bastoni fra le ruote.
   Presi un respiro profondo e, mettendo una mano sul corrimano della scala, iniziai a salire. Il lieve rumore dei miei passi sembrò rimbombare nel silenzio dell’istituto, comunicandomi una varietà di sensazioni che non avrei saputo ben definire. Kentin mi seguì con lo sguardo e si spostò sul gradino per farmi spazio accanto a lui. Mi sedetti e mi raggomitolai contro le ginocchia issate al petto, rimanendo in silenzio per qualche istante.
   «C’è qualcosa che ti turba?» mi sentii chiedere. Giustamente.
   Sorridendo con fare vago, mi mossi per aprire la borsa dei libri che avevo portato con me. «No, anzi», lo rassicurai. «Ho una cosa per te», aggiunsi, prendendo con cura una scatola di biscotti. Non erano al cioccolato, ma ero certa che gli sarebbero piaciuti lo stesso. Avevo perso il conto delle volte che, negli anni, io e Kentin ci eravamo smezzati intere confezioni di dolciumi di vario genere.
   «Biscotti danesi», notò lui con un tono soddisfatto che fece ridere entrambi.
   «Te li manda mia madre», gli rivelai, facendogli congelare il sorriso sulle labbra per la sorpresa.
   «Sul serio?» balbettò.
   Mi strinsi nelle spalle. «Pare che tu le abbia suscitato simpatia», spiegai, senza aggiungere che, invece, mio padre aveva manifestato nei suoi confronti un’espressione molto più dubbiosa di quella che era riuscito a strappargli Castiel, con quei capelli lunghi e il suo solito look da rockettaro.
   Kentin osservò la scatola per alcuni attimi, come se non la vedesse realmente. «Anche tu sei piaciuta a mia madre», mi fece sapere, quasi sottovoce, portandosi una mano dietro la nuca. Sembrava imbarazzato e potevo indovinarne facilmente la ragione: quando avevo conosciuto sua madre, il giorno della recita, lei aveva lasciato intendere che Kentin le avesse parlato a lungo di me, per di più in termini talmente positivi che chiunque ne avrebbe intuito il motivo.
   Mi fece tenerezza, proprio come me ne aveva sempre fatta il vecchio Ken, quello che, prima della scuola militare, mi seguiva dappertutto ed esprimeva forse con troppo entusiasmo i suoi sentimenti per me. «Ti va se ce li dividiamo più tardi, dopo la scuola?» gli proposi, dimenticando il nervosismo che mi aveva pervasa quando Armin e Alexy ci avevano lasciati soli.
   Kentin tornò a stendere un angolo della bocca verso l’alto. «Volentieri», rispose. «Ah, no», borbottò un attimo dopo, quasi scocciato. «Ho appena preso appuntamento con i gemelli. Vado da loro a giocare ai videogames.»
   Invece di lasciarmi delusa, quella rivelazione mi riempì il cuore di una gioia inaspettata. Adesso, oltre me, Kentin aveva altri amici. Lo trovavo meraviglioso. «Possiamo vederci domani, allora? O hai da fare?»
   «Sono libero», mi assicurò, tornando a sorridere, ma continuando ad evitare il mio sguardo. Sembrava quasi che, nonostante tutto, la scuola militare non lo avesse guarito del tutto dalla sua insicurezza cronica. In quel momento capii di essere più forte di lui e, in barba a quello che avrebbe potuto pensare qualcun altro al posto mio, la cosa non mi pesò affatto. Anzi, mi dava l’occasione per dimostrargli ancora una volta che, almeno con me, poteva essere se stesso, proprio come faceva con i gemelli.
   «Mamma ti manda anche questa», dissi allora, cacciando fuori dalla borsa un quaderno e aprendolo lì dove qualcosa faceva spessore fra le pagine. Gli mostrai una fotografia e lui, con sguardo meravigliato, perse il sorriso per la seconda volta. «Ce l’ha scattata durante la scena madre.» Non era neanche il caso di specificarlo, a dire il vero, perché, trattandosi di una foto, parlava da sé. «Ne ha fatta una copia anche per te. Puoi prenderla.»
   A dispetto della timidezza, Kentin allungò subito una mano e la prese fra le dita, divorando quell’immagine con gli occhi: non so come, ma mia madre era stata meravigliosamente abile nel riuscire a catturare il momento che più mi aveva emozionata durante tutta la recita, quello in cui, saltando improvvisamente da dietro le quinte, Kentin aveva fatto irruzione sul palco e mi aveva attirata a sé, stringendomi al petto e puntando un pugnale contro Castiel, che interpretava l’antagonista della storia. Che, come tutti sanno, andava a finire diversamente, e cioè con Cappuccetto Rosso divorata dal lupo e solo in seguito salvata dal cacciatore – che poi era un taglialegna, almeno nella versione originale della fiaba.
   Aveva avuto un bel dire, Kentin, quando, prendendomi da parte prima della recita, mi aveva confessato di essere intimorito per un eventuale brutto scherzo giocato da Castiel durante lo spettacolo. Lo aveva fatto pure dopo, quando aveva avuto paura di una ritorsione. Se solo fosse stato un po’ più obiettivo, Kentin sarebbe stato anche molto più sicuro di sé, perché si sarebbe reso conto che, durante la scena in cui Castiel avrebbe dovuto minacciarmi e farmi del male, sia pure per finta, lui non aveva resistito all’impulso di accorrere in mia difesa, accantonando ogni paura per il mio bene.
   In quel momento, aveva preso alla sprovvista anche me. Stretta a Kentin, mi ero resa conto di una cosa di fondamentale importanza: se solo avessi potuto scegliere, sarei rimasta fra le sue braccia per molto, molto più tempo di quello che lui mi aveva concesso. Quella nuova consapevolezza mi aveva stordita per tutto il resto della giornata.
   «Siamo venuti bene», commentò Kentin dopo un po’, celando a malapena un entusiasmo che non gli vedevo più da parecchio tempo, ormai.
   «Molto», confermai, allungando il collo per osservare la foto insieme a lui.
   Lo sentii ridere e alzai lo sguardo per vederlo mentre si portava la mano libera davanti alla bocca. «Hai una faccia, qui…»
   «Sono stata colta di sorpresa», mi giustificai, trattenendo a stento una risata. «Mica era sul copione, la tua entrata in scena…»
   «No, ma pare sia stata apprezzata», dovette riconoscere, per di più con un certo orgoglio.
   «E tu che ti preoccupavi delle conseguenze…» gli feci notare.
   Continuò ad osservare la foto ancora per un po’ e poi, sollevando per la prima volta lo sguardo su di me, mi sorrise con tenerezza. «Grazie.»
   Ho sempre amato gli occhi scuri, soprattutto negli uomini. Eppure, non ho mai capito perché, quelli verdi di Kentin mi sembravano i più belli di tutti. «Dovresti ringraziare mia madre», gli ricordai.
   Lui annuì, rischiarandosi in volto come se avesse preso un coraggio che non si era mai reso conto di possedere. «Posso passare a farlo domani?» Voleva venire a casa mia? Lo aveva già fatto altre volte, soprattutto per questioni scolastiche, ma mai da solo. «Così potremo rendere giustizia a quei buonissimi biscotti danesi. Guai a te se li mangi senza di me.»
   Risi, sentendomi di colpo in imbarazzo. «Metterò l’orsetto di peluche che mi hai regalato a far loro la guardia», promisi.
   Fu un colpo basso, probabilmente, perché Kentin tornò a passarsi una mano davanti alla bocca, questa volta con aria altrettanto impacciata. Quando era tornato dalla scuola militare e aveva visto che avevo conservato il suo regalo, mettendolo per di più in bella mostra sul comò della mia camera, era rimasto quasi senza parole, limitandosi perciò a mostrarsi contento per la faccenda. In quel momento non avevo neanche voluto immaginare cos’avrebbe detto se avesse saputo che, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla sua partenza, con quell’orsetto ci avevo anche dormito. E, lo confesso, in quel momento fui sfiorata dall’idea di tornare a farlo quella notte stessa.
   «Dici che non sarebbe carino se dessi buca a quei due?» mi chiese all’improvviso, tornando serio in volto. Scoppiai a ridere per l’ennesima volta, nascondendo il viso contro la sua spalla perché colta dal dubbio di essere arrossita. Kentin si lasciò contagiare dalla mia reazione, ma non demorse. «Sul serio, potrei essere rimproverato per aver piantato in asso due uomini ed essere uscito, invece, con una ragazza?»
   «E se invece venissi con voi a casa dei gemelli?» gli proposi allora, raddrizzandomi sulla schiena senza però avere il coraggio di tornare a guardarlo. «Così non darai buca a nessuno. Soprattutto a me», ci tenni a precisare.
   «Non mi sognerei mai di farlo», mi assicurò con voce più dolce, porgendomi la foto che gli avevo regalato. «Rimettila nel quaderno, non voglio che gli altri la vedano o… beh, lo sai.»
   Ci avrebbero presi in giro, tanto per cambiare. Più di una volta, in passato, eravamo stati oggetto di pettegolezzi maligni, e se pure un tempo la cosa si era limitata a farmi sospirare, ora mi rendevo conto che aveva ben altro peso sul mio povero cuore. E me ne accorgevo a distanza di tutto quel tempo. Che scema…
   «Me la ridarai più tardi, quando ti riaccompagnerò a casa.» Quella proposta mi indusse a riportare di nuovo gli occhi su di lui, questa volta di scatto. Lo vidi stringersi nelle spalle con fare imbarazzato. «Beh… non posso mica lasciarti tornare da sola. Fa buio presto.»
   Gli risposi con un sorriso che doveva essere assai simile al suo, lusingato e vergognoso a un tempo. Quindi, mentre tornavo a mettere foto e biscotti nella borsa, Kentin si alzò e mi porse la mano per aiutarmi a fare altrettanto. Un contatto che avrebbe dovuto finire lì, e che invece mantenemmo anche dopo essere scesi dalla scala ed esserci avviati anche noi verso la mensa.
   Forse non era vero che mamma aveva frainteso. Solo, ci era arrivata prima di me.





  
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