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Autore: Kaho    11/12/2008    8 recensioni
[Dedicata alla mia amatissima cugina.]
«Neh, Rukia, sai che adesso torniamo a Soul City, vero?»
Rukia sbatté le palpebre, sorpresa dall’uscita. «Ovvio che lo so. E tu sai che dovremo subire qualche punizione non proprio indolore e onorevole, vero?»
Renji annuì, senza apparire preoccupato. «Aha.»
Rimasero per alcuni minuti seduti in silenzio, fissandosi, senza pensare a niente in particolare, godendo la reciproca compagnia.
«Neh, Rukia…»
«Uh?»
«Dovresti andare a salutarlo. Potreste non rivedervi più, sai.»
Rukia, a sorpresa, scoppiò a ridere. «Abbiamo tutto il tempo del mondo, Renji!»
»»La mia immaginaria visione del manga post-saga Arrancar. Perché bisogna solo avere pazienza, con Ichigo e Rukia.
[IchiRuki] [Accenni UlquiHime]
Terza Classificata al concorso IchiRuki indetto dal forum Death&Strawberry.
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Bleach © Tite Kubo.

Fix You © Coldplay.

 

 

 

Dedicata a mia cugina, a cui devo la scoperta di Bleach, Code Geass, eccetera.

A colei che è più otaku di me e la mia Spacciatrice di manga. <3

A Mari.

 

 

 

 

 

But every night I call your name

[Lights will guide you home.]

 

 

 

Rukia sorrideva leggermente, osservando Ichigo mentre appoggiava Orihime a terra, con delicatezza, al contrario di ogni aspettativa.

Guardò la giovane voltarsi con il vestito bianco e gonfio sporco e il viso chinato a terra, mentre mormorava un tremulo: «Arigatou», una gratifica dolcissima per tutte le cicatrici collezionate a Hueco Mundo. Rukia l’avrebbe fatto un altro milione di volte solo per rivedere quel sorriso abbozzato.

Ichigo si era portato una mano dietro la testa e si grattava la zazzera arancione, con quell’atteggiamento teso che assumeva quando doveva trattare con le persone, quando non sapeva cosa dire o fare. Tremendamente stupido, come sempre.

«Di niente, Inoue. Grazie a te per… per avermi medicato, ecco.» bofonchiò alla fine, deviando lo sguardo verso il cielo, d’un plastico azzurro.

Orihime sorrise, le guance rosse, scuotendo piano i lunghi, setosi, capelli chiari, dello stesso colore esotico di Ichigo. Erano così simili, in quel momento. Stesso imbarazzo, stesso sguardo che vagava a terra, stesso mezzo sorriso – la facevano sentire di troppo. Chissà se era così che si era sentita Orihime, quando Ichigo aveva salvato lei.

Senza volerlo, le labbra di Rukia si tirarono in un’espressione tormentata.

Renji, accanto a lei, sbadigliò vistosamente, grattandosi il mento ruvido di barba rossiccia. Lo shinigami la fissava dal basso, seduto su d’un marciapiede, il mento abbandonato sul palmo di una mano e i piccoli occhi scuri indifferenti che vagavano sul suo viso.

«Neh, Rukia, sai che adesso torniamo a Soul City, vero?»

Rukia sbatté le palpebre, sorpresa dall’uscita. «Ovvio che lo so. E tu sai che dovremo subire qualche punizione non proprio indolore e onorevole, vero?»

Renji annuì, senza apparire preoccupato. «Aha

Rimasero per alcuni minuti seduti in silenzio, fissandosi, senza pensare a niente in particolare, godendo la reciproca compagnia.

«Neh, Rukia…»

«Uh?»

«Dovresti andare a salutarlo. Potreste non rivedervi più, sai.»

Rukia, a sorpresa, scoppiò a ridere. «Abbiamo tutto il tempo del mondo, Renji!»

 

Si avvicinò a lui con lentezza, ciondolandosi appena per attirare la sua attenzione.

«Ehi, Ichigo!»

Il ragazzo si voltò verso di lei e sogghignò dall’alto verso il basso. «Yo, Rukia. Sei tutta intera, sì?»

Lei sbuffò, irritata. «Ho qualche graffietto in più solo perché Orihime era dannatamente stanca dopo aver curato le tue, di ferite!» gli rinfacciò, mentre la bocca si piegava a virgola, in una smorfia sarcastica.

Ichigo mormorò un suono sommesso, da scorbutico, che la fece sghignazzare.

«A proposito, non è meglio che Orihime vada a casa a riposare? È da poche ore che tutto è finito.»

Ichigo alzò le spalle e i suoi occhi fissarono il gruppo chiassoso a poche metri da loro, pensieroso.  «Inoue sta bene dove sta.»

Rukia sorrise, cercando di non essere troppo dolce, per non far trapelare la sua commozione.

«Già, hai ragione. È meglio che rimanga in compagnia il più a lungo possibile, ha bisogno della vostra presenza.» Cambiò tono, diventando mordace. «Che animo gentile che hai Ic–

Non finì la frase che una farfalla nera si posò sulla sua spalla.

Lui la osservò per qualche attimo, sorpreso, senza capire cosa potesse significare.

Rukia rabbrividì guardando gli occhi di Ichigo farsi sospettosi e più sottili.

Sapeva che dietro la sua spalla si potevano vedere suo fratello, Renji, Rangiku, Hitsugaya e gli altri aspettarla, pronti per aprire il varco.

All’improvviso, si accorse di avere il cielo sopra la testa e un vago senso di smarrimento la colse impreparata. Sentì il suo corpo tendersi e irrigidirsi per trattenere un brivido, contenendo una paura che le bloccava il fiato (respiro?) in gola.

«Rukia

Che voce irritante. Un tono deciso e roco che la faceva fremere.

«Cosa significa?»

«Stiamo per tornare a Soul City» sussurrò, incerta, facendo scivolare gli occhi lungo la bocca di Ichigo inconsapevolmente, sperando di riuscire a capire dal movimento delle labbra le sue parole perché, al momento, non riusciva ad ascoltare nulla che non fosse un incalzante battito nelle orecchie.

«cosa?» sillabò Ichigo, spalancando gli occhi. «Di già? Non rimanete con noi a festeggiare?»

Rukia sorrise. «Piacerebbe molto a Rangiku-san, ma abbiamo delle colpe a cui rispondere, lassù.»

Gli fece un occhiolino, serena, e di risposta Ichigo la guardò attentamente, facendosi insicuro. «Così mi volevi salutare, eh?»

«Già. Allora… ciao, Ichigo.»

«Ciao…»

Gli diede le spalle e s’incamminò con piccoli passi eleganti verso il portale, già aperto. Ad aspettarla erano rimasti solo Renji e Byakuya, entrambi imperscrutabili e silenziosi. Rukia fu grata di quell’appoggio silenzioso, anche se sapeva di aver mosso in entrambi preoccupazione e sconcerto con il suo atteggiamento giulivo. Non avevano ancora capito. E nemmeno Ichigo, dal tono smorto con cui l’aveva salutata.

«EHI RUKIA!»

La shinigami si fermò a metà strada, gli occhi nascosti dal ciuffo di capelli neri.

Si voltò, incapace di trattenersi dal guardarlo nelle iridi scure, così scure che le ricordarono quelle di una tormenta (ma non c’era il fulmine, fortunatamente; l’Hollow dentro Ichigo era ormai assopito).

Era talmente caldo quello sguardo, che Rukia si sentì improvvisamente debole, ma le piacque; era un debolezza che sapeva di caramelle e dango.

«Sì?»

Ichigo tentennò, la fissò a lungo, intervallando il suo viso alla farfalla nera che le stava accanto, ricordandole che era il tempo degli arrivederci; aveva la bocca semi-aperta, quasi ci fosse qualcosa che gli sfuggiva e volesse, risucchiando aria, comunicare. Rukia ridacchiò.

«Ehi stolto, per parlare devi muovere la mascella, comprendi?» ironizzò beffarda, incrociando le braccia al petto, sfrontata e sicura, atteggiamento che le veniva naturale vicino a Ichigo. Si sentiva protetta da tutto, accanto a lui, perfino dalla propria insicurezza.

Le narici di Ichigo si dilatarono e il ragazzo strinse i denti, scostando lo sguardo, imbronciato.

«Abbi cura di te, pidocchio

Le dita di Rukia fremettero per qualche attimo.

«Vedi di non farti uccidere tu, Kurosaki!»

Se ne andò voltandogli le spalle, nascondendo calcolatamente gli occhi e il viso, in modo che Ichigo non potesse notare le labbra che tremavano incontrollabili.

Nessuno degli altri disse nulla, ma Renji le toccò il braccio e Rukia lo maledì perché non aveva proprio bisogno di nessun conforto, nessun bisogno di compatimento.

Era soltanto irritata dalle parole di Ichigo – sempre preoccupato per lei, per gli altri, e a lui? Doveva pensarci sempre lei, al suo bene! – e, questo lo ammise quando stava per varcare il portale, era un po’ turbata poiché il saluto ‘leggero’ era  stato un po’ più difficile da realizzare di quanto avesse creduto.

Prima che il portale si chiudesse, ancora una volta, come un dejà-vu, sentì la voce roca di Ichigo e il suo nome. Sbuffò, trattenendo le proprie gambe dal muoversi verso la terra.

Dio, come lo pronunciava bene.

 

*

 

When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse

 

«Rukia!»

 

Scattò a sedere, il sudore che le colava gelido lungo la schiena e il respiro affannoso.

Ancora.

«Merda.» mugugnò, strofinandosi la fronte bagnata e dolorante per l’ennesima forte emicrania che le martellava il cervello.

«Signorina Kuchiki?» Alzò appena gli occhi, vedendo una delle cameriere di villa Kuchiki. «Sta bene? L’ho sentita gridare, poco fa.»

Rukia grugnì, sentendosi troppo male per essere gentile. «Sto bene. Vattene via.»

La ragazza non se lo fece ripetere e, obbediente, uscì dalla sua stanza, lasciandola sola con i suoi pensieri. E questo non la rincuorava affatto.

Con un grugnito di insofferenza, si alzò dal futon morbido e caldo, e fu accolta dall’aria tiepida del mattino.

Aprì le finestre per far circolare l’aria nella stanza e prenderne una generosa boccata.

Vide il sole, già sorto, brillare sullo spicchio ceruleo di cielo che intravedeva dalle fronde dei ciliegi, e convenne di dover essere in ritardo sulle le mansioni quotidiane da quarto seggio della Tredicesima Compagnia.

Si morse le labbra, ma una fitta alla tempia più acuta delle precedenti la convinse a prendere con cautela il suo mal di testa e di non affrettarsi: si lavò quindi il viso, indossò la divisa nera da shinigami, prese con delicatezza Sode no Shirayuki, accarezzandola con i polpastrelli, e uscì dalla stanza, richiudendo la porta di carta bianca con delicatezza.

Scesa in cucina, si fece servire del the verde e lo sorseggiò con parsimonia, pensando a ciò che avrebbe dovuto fare quella mattina e che aveva saltato.

Uscendo poi dalla villa, passò al capezzale della sorella, per salutarla, e corse verso il Gotei.

 

Ukitake-taichou non aveva avuto problemi a perdonarle il ritardo e, comunque, l’avrebbe scusata in ogni caso dopo la mole di lavoro che aveva svolto; aveva perfino rinunciato al pranzo – cosa non troppo rara, soprattutto alla sera, quando era troppo stanca perfino per sollevare le bacchette – e aveva svolto la maggior parte dei rapporti in arretrato, guardato le matricole e coordinato l’operato di Kiyone e Sentaro.

Si era fatto tardi; la sera scendeva anche su Soul City, inghiottendo le anime un’altra volta nel buio, pieno di sogni, senza fantasmi di ricordi, se quella sarebbe stata una notte benevola.

Era una sera fredda e Rukia si ritrovò a rabbrividire, uscendo l’ufficio della Tredicesima Divisione. La chiave girò a vuoto un paio di volte e poi, finalmente, la serratura scattò. Controllò di aver chiuso tirando la maniglia e si voltò per tornare a casa.

«Yo.»

Rukia sbatté le palpebre scorgendo nella pallida luce dell’imbrunire la sagoma di Renji, con i capelli rossi sempre più spettinati e il viso spigoloso e scavato. Gli sorrise e si avvicinò a lui sventolando una mano.

«Come stai?» gli chiese allegra, infilando la chiave sotto un vaso, come d’abitudine.

Renji alzò le spalle. «Bah, tuo fratello mi fa sgobbare come un dannato cane.»

Lei rise, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un angolo della bocca dello shinigami si piegò all’insù, divertito dalla sua reazione.

«Ehi, che ne dici di cenare insieme?»

Rukia annuì, prendendolo a braccetto. «Come no, mio cavaliere!»

 

C’era una piccola locanda dove non si faceva che cibo giapponese e, sin dai tempi dell’Accademia, era il locale che Renji preferiva in assoluto. Una volta le aveva confidato, come se fosse un gran segreto, che semplicemente amava l’odore dell’amido degli spaghetti e del pesce fresco, saltato con le cipolle. Rukia ricordava di avergli risposto con sarcasmo, commentando divertita il suo cattivo gusto nel mangiare, ma non si era mai azzardata a lamentarsi del cibo.

Era tanto tempo, rifletté un po’ distrattamente, che non visitava la locanda. La trovarono mezza-vuota e non faticarono a trovare due posti verso la fine del bancone.

Era piccola e all’aperto, come un chiosco, ma il calore delle pentole la scaldò subito, ristorandola dal freddo della notte; l’odore era sempre forte e speziato, come lo ricordava, e come Renji adorava (si era messa a ridere quando lo aveva visto annusare l’aria soddisfatto).

Ordinarono due ciotole di ramen di carne e si lanciarono in buffe imitazioni di loro colleghi (per poco non le andò di traverso un pezzo di naruto quando Renji si mise sotto la divisa un paio di cocomeri, per imitare Rangiku), poi l’atmosfera si rilassò mentre bevano un bicchiere di the caldo e fumante.

Rukia si godette il silenzio, assaporandolo; sapeva di gelsomino.

«Oggi sono stato a Karakura

Presa alla sprovvista, strinse le dita sulla tazza, scottandosi i polpastrelli. «Ah, ? Come stanno i nostri amici?»

Renji la osservava, appoggiato pigramente sul bancone, il mento appoggiato sulla mano, una posa abituale e rilassata con cui diventava il suo Osservatore, il Consigliere, insomma, la postura che assumeva quando non voleva farsi i cavoli suoi.

«Tutto okay. Ora sono tutti all’universotà, o qualcosa del genere…» mugugnò, non troppo convinto delle sue parole.

«Università, idiota, università.» lo corresse precipitosamente lei, prendendo un sorso di the. «Che cosa hanno scelto?»

«Scelto?»

Rukia alzò gli occhi al cielo, esasperata. «Studiano diverse materie, un po’ come qui all’Accademia, solo che lì è più settoriale la divisione, ogni facoltà porta a un lavoro diverso.» spiegò sinteticamente.

Renji sbatté le palpebre, con un’espressione comicamente confusa.

«Eh?»

«Lascia stare.» lo fermò precipitosamente, sbattendo la tazza sul bancone per non perdere la calma. «Ad esempio, Orihime vuole fare l’estetista, o la modella, o – ?»

«Ho capito!» si illuminò Renji, sorridendo stupidamente. Rukia ruotò gli occhi esasperata.

«Bene. Sii sintetico

«Però…» Lo shinigami si grattò il mento, pensieroso. «Non credo che me l’abbiamo detto.»

Rukia assottigliò gli occhi. «Sei inutile!»

«Ehi, Rukia!» protestò Renji, vivacemente. «Sii più gentile! Se proprio vuoi saperlo vai a trovarli, no?»

«E secondo te ho tempo? Ci sono un sacco di cosa da fare, sono passati appena quattro anni da Hueco Mundo e tutto è ancora a squadro! Potessi fare i miei comodi, come fai tu!»

Lui strinse le labbra, irritato. «Ora sei ingiusta, Rukia, e lo sai.»

Lei si morse le labbra, pentendosi subito delle proprie parole, ma non glielo disse. Fingersi arrabbiata era, almeno, una buona scusa per andarsene da lì il più velocemente possibile.

Buttò qualche moneta sul bancone, mormorando un «Tenga il resto», e salutò velocemente Renji, avviandosi per la strada buia che portava alla villa Kuchiki.

Renji rimase immobile contro il bancone.

«E di Ichigo non vuoi sapere nulla?»

Rukia si fermò d’istinto e si morse le labbra. «Hai detto che stanno tutti bene, no? E poi quello stolto qualcosa la sa combinare, alla fine.»

«Inoue mi ha detto» la voce di Renji era alta e chiara e, Rukia ne era sicura, se si fosse girata l’avrebbe trovato nella postura da amico rompiscatole, con gli occhi nerissimi puntati su di lei. «Che secondo Ishida e Chad dorme poco e mangia il minimo, concentrandosi solo sullo studio. E sai chi mi ricorda questo atteggiamento da stressato del lavoro? Qualcuno che Kurosaki chiama ogni dannatissima notte.»

Rukia riprese a camminare spedita.

«Notte, Renji.»

 

*

 

And the tears come streaming down your face
When you lose s
omething you can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?

 

Era stato un allarme improvviso: un forte reiatsu era apparso a Karakura e Rukia era l’unica in grado di poterlo sopprimere nelle vicinanze, dato che i capitani erano in riunione e che gran parte luogotenenti era già occupata.

Entrò, dopo tanti anni, a Karakura nel pieno della notte: l’aria fredda la colpì in viso.

Rukia atterrò su un tetto, bagnando il sandalo di legno con la neve.

La città era completamente bianca; gli alberi cascavano sotto il peso della neve che scendeva ancora a fiocchi grossi,  accumulandosi sull’asfalto, i tetti, le macchine. Era la prima volta che Rukia vedeva Karakura innevata e si sentì a disagio. La neve non era l’elemento che più donava alla città. Questo un po’ la intristì, ma non si permise di ammetterlo.

A riprenderla dalle sue riflessioni fu un’improvvisa esplosione di reiatsu alla sua destra; svelta, Rukia saltò da un tetto all’altro usando lo shunpo.

Quando vide da dove proveniva il reiatsu risucchiò il proprio fiato nuovamente in gola: era la casa di Orihime. E, a meno che l’avesse venduta, non poteva che esserci lei, lì dentro.

Aumentò il passo e trapassò la finestra come se fosse aria.

«ORIHIME

«INOUE

Ebbe il tempo di sbattere le palpebre che nuovamente le si mozzò il respiro: Ichigo era lì, dall’altra parte della stanza, intorno a lui i pezzi di vetro della finestra che aveva sfondato, dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovava lei.

Anche Ichigo la fissava e aveva un aspetto terribilmente sbalordito; aveva gli occhi castani spalancati, i capelli arancioni appena più lunghi, che gli ricadevano sulla fronte disordinatamente, le guance più appuntite e le sopracciglia scure che gli sottolineavano lo sguardo intenso, calamitante.

«Ichigo?» mormorò il suo nome piano, quasi avesse paura che svanisse.

«Ru–

Un grido li richiamò all’emergenza e Rukia si irrigidì improvvisamente, impugnando la zampakuto. «A dopo i saluti, stolto!»

Lui annuì di malavoglia ed entrambi entrarono in cucina, la spada alzata sul capo e lo sguardo minaccioso.

«Inoue stai ben – ?!» gridò Ichigo, ma le parole gli morirono in gola.

Orihime era accovacciata accanto alla figura longilinea di un uomo, che tale sarebbe sembrato se non fosse stato per la pelle completamente bianca e un buco sul petto e un numero tatuato, che lo identificavano con un ex-Espada. Per la precisione, Ulquiorra.

«Ma… cosa…

Orihime piangeva abbondantemente china sul corpo riverso dell’Hollow; aveva appoggiato sul grembo una delle sue mani e sussurrava qualcosa di indefinibile tra i singhiozzi, che Rukia non era certa di voler ascoltare.

C’era qualcosa di intimo nel modo in cui Orihime gli accarezzava le nocche bianche: era disperazione, quella negli occhi della ragazza, e venerazione, quelle carezze sulla fronte, mentre l’Espada rantolava, sputando sangue nero.

«Perché è ancora vivo?» domandò Ichigo, bisbigliando tra sé e sé.

Era esattamente quello che Rukia stessa si chiedeva.

«Rukia», si voltò verso Ichigo, con un’espressione turbata. «Dobbiamo eliminarlo. È pur sempre un Hollow.»

«Ma…» si morse un labbro, sentendo il lamento di Orihime. «Lei…»

«È un morto che non ha avuto pace. Me lo insegnasti tu.»

Il suo viso si ammorbidì. «Vai tu?»

Ichigo annuì e si avvicinò a Ulquiorra, spada in mano.

Inoue gridò, avventandosi sul corpo dell’Hollow agonizzante, mormorando incoerentemente “nononono”, con gemiti sempre più alti e striduli.

«Rukia?» il tono di Ichigo era supplichevole, ma non poteva certo dargli torto. Stavano per dividere (o lacerare?) qualcosa, e lo strappo poteva essere più doloroso della sua stessa distruzione.

Con un sospiro si avvicinò a Orihime, la allontanò dal corpo di Ulquiorra, rassicurandola che avrebbe smesso presto di soffrire, e l’accompagnò a letto. Orihime continuava a piangere, sussurrando «Era buono in  fondo, era così buono Kuchiki-san, lo giuro!», e Rukia, pietosa, le diede qualcosa per farla dormire.

Quando fu certa che Orihime fosse appisolata, ritornò in cucina.

Ichigo aveva già fatto piazza pulita e aveva messo dell’acqua per il the sui fornelli.

«Non devi tonare subito a Soul City, vero?»

«In realtà l’avvistamento di un ex-Espada è piuttosto insolito e preoccupante» esitò per un attimo. «Ma credo che un paio di ore non cambieranno nulla.»

Ichigo annuì e si sedette, facendole cenno di imitarlo.

I muscoli le parevano disubbidienti mentre le sue gambe, vigliacche e indipendenti, la portavano al tavolo; ormai aveva risposto che sarebbe rimasta e così avrebbe fatto.

Si accomodò con calma e con la schiena ritta. Ichigo la fissava.

«Yo.»

Rukia sorrise debolmente. «Ciao. Non dovresti essere a Tokio o in qualsiasi altra città provvista di università?»

Lui alzò gli occhi, sorpreso. «E tu come lo sai?»

«Renji.»

«Ah.» Le parve vagamente irritato, e si chiese se Ichigo la immaginava come una specie di angelo custode che lo spiava. Il pensiero la fece sorridere. «Che hai da ridere?»

Era più bravo ad osservare di quanto potesse sembrare. «Niente, un’idea assolutamente insana e stupida.»

L’acqua, dietro di loro, bolliva.  Ichigo si alzò e spense il fuoco, immergendo delle foglie nel liquido.

«Se vuoi lo faccio io, il the.»

Ichigo scosse la testa e rifiutò gentilmente la proposta. «Nah, saresti capace di  bruciare la cucina di Inoue. Faccio io.»

Rukia sbuffò, oltraggiata, ma non fece commenti preferendo rimanere a guardarlo mentre diligentemente versava il the in due tazze, inusuali e a forma una di kiwi l’altra di WC, un sicuro acquisto firmato Orihime Inoue.

«Sei bravo.»

«Impari un po’ di cucina se vivi insieme a Ishida e Chad.» Le offrì la tazza fumante.

«Grazie.»

«Uh.»

Bevvero in silenzio, guardando le foglie ondeggiare sulla superficie del the, in armoniche onde. Rukia non sapeva cosa dire; non aveva voluto quell’incontro, non in quel tempo. Gli anni avevano mangiato la sua pazienza e ora, avendolo accanto, le risultava difficile anche solo pensare di lasciarlo ancora, di non poter più sentire la sua voce.

Quando Renji le aveva raccontato che la chiamava nel sonno, ogni notte, Rukia si era sentita stupidamente felice. Il suo richiamo l’aveva tormentata per notti e notti, e aveva dovuto stare a casa alcuni giorni per impedire a se stessa di scendere a Karakura e trovarlo.

Aveva sentito la sua voce per giorni e giorni martellarle nelle orecchie come il battito del proprio cuore, occupandole la testa con l’estrema potenza del suo urlo, e Rukia si era trovata schiacciata dal bisogno di sfiorargli casualmente la mano, di vedere il suo imbarazzo, di sentirlo dire scema, o nana, o qualsiasi altro insulto. E di chiamarlo.

«Perché credi che Ulquiorra fosse vivo?»

Rukia sobbalzò appena, riscossa all’improvviso dai suoi pensieri. Ichigo la guardava da dietro la tazza.

«Forse, uhm, forse non era colpito a morte. Forse abbiamo sbagliato qualcosa quando l’abbiamo distrutto, o forse aveva qualcosa che lo ancorava alla sua esistenza… sinceramente, non ne sono certa.»

«Uhm,» Ichigo appoggiò la tazza sul tavolo. «Intendi che, forse, era qui per Inoue

«Beh, l’abbiamo trovato qui. Agonizzante. Nessuno soffrirebbe così per niente.»

Ichigo annuì. «Zucchero?»

«No, grazie.»

Rukia fece tintinnare il cucchiaino sul bordo di ceramica, pensosa. «Orihime… ti ha mai parlato di Ulquiorra?»

Ichigo inarcò le sopracciglia. «Mai. Perché?»

Lei alzò le spalle. «L’hai vista, no? Non è la reazione che avrebbe normalmente una ragazza nei confronti del suo carceriere. Per cui, ecco, mi domandavo se… insomma…»

«Se fossero innamorati?» Ichigo arrossì, distogliendo lo sguardo. «Non… lo so. Ma mi sono sentito un po’ di troppo, prima.»

«Già.» Rukia sospirò. «Anche io. Sarà… difficile per Orihime.»

«Non c’era null’altro da fare.»

«Lo so questo.» sbottò all’improvviso lei, gesticolando. «Ma avrei voluto che Ulquiorra non fosse stato un Hollow e fosse andato nella Soul City, ad aspettarla. Questo avrebbe dato un lieto fine, no?»

Una mano di Ichigo si infranse contro il tavolo, facendolo vibrare sotto le dita di Rukia e spaventandola.

«MA SEI SCEMO?!»

«Non parlare in quel modo così romantico e sensibile, dannazione!» Gli occhi di Ichigo, scurissimi, le tolsero il pensiero. «Non puoi venire qui dopo sei fottuttissimi anni e parlarmi di lieti fini, Rukia! Dove sei stata?! Perché non sei tornata?!»

«Io… avevo da fare.» La risposta tremula non convinse Ichigo e men che meno lei.

«Sei ancora una gran bugiarda.»

Lei assottigliò gli occhi violacei, sbattendo a sua volta una mano sul tavolo, con meno potenza, vicinissima a quella di Ichigo.

«Ichigo tu dovevi vivere la tua vita e io la mia! Sono una shinigami, cavoli!»

«E agli amici? Non ci pensi?» la attaccò subito lui, allungando la schiena e avanzando verso di lei, facendola sentire tremendamente piccola.

«Sì che ci penso!» ribatté, aspra. «Tutte le sere!»

«Ah, si vede come ci pensi! Ti immagino già riverita nella casa di quel riccone di tuo fratello, tutta lussi e sorrisi!»

Il suo tono si fece freddo e formale. «Adesso stai esagerando, Ichigo.»

L’espressione di lui non si ammorbidì affatto. «Sbaglio forse?»

D’un tratto, Rukia si sentì priva di energie. Si lasciò cadere a terra, cercando di rimettere a posto i pensieri, di rimanere fedele alle sue decisioni, di non tremare. Tutto inutile: sembrava che ogni pezzo di lei, costruito con pazienza, fosse stato mescolato in ordine confuso in un secondo, lasciandola spiazzata e impreparata davanti a lui.

«Ichigo… ti prego

«“Ti prego” cosa Rukia?!» Stavolta fu il tono di Ichigo, a farsi più basso e stanco. «Non ti capisco. Non ti capisco proprio. Prima a malapena mi hai salutato quando sei andata via, poi non ti fai mai vedere. Non saresti venuta qui se non avessi pensato che ero via, non è vero?»

Rukia deglutì, ma annuì svogliatamente.

«Perché fuggi?»

Le uscì un gemito sommesso, lamentoso.

«Ichigo io abito nella città dei morti, e tu sei ancora vivo. Capisci?»

Lui inarcò le sopracciglia. «Sinceramente? No, per nulla. Non capisco dov’è il problema, so perfettamente chi sei e in che situazione siamo.»

Rukia si passò una mano tra i capelli, che rimasero impigliati al sudore delle mani, e si guardò attorno, nervosamente. «Ichigo… io ho avuto il mio tempo, la mia vita, sulla terra. E… semplicemente non è ancora il tuo tempo. Vivendo accanto a me non faresti che desiderare di essere un vero e proprio shinigami e io – non voglio, Ichigo. Non voglio.»

«Cosa stai – ?»

«Ah, ma sei proprio stupido!» Rukia si alzò in piedi, e una farfalla nera le si appoggiò sulla spalla. «La vedi questa? Mi viene vicino perché sa che devo tornare a casa, Soul City. La mia casa. Non la tua.»

Ichigo osservò ripetutamente lei e la farfalla.

«Eh?»

Il pugno di Rukia lo colpì in pieno zigomo.

«AHIA!»

«CHE NERVI!»

Rukia camminò a passo d’elefante fino alla finestra, dove si aprì il varco. Si girò appena, di profilo, con un’espressione scocciata.

«Torno a Soul City, state vicini a Orihime. E tu, Ichigo, ti prego, vivi

Gli occhi di lei brillavano nel buio. E, allora, Ichigo finalmente capì.

E, allora, la chiamò ancora nella notte, sofficemente.

«Rukia…»

Quel suono, nei suoi ricordi, sarebbe stato il loro arrivederci più bello.

 

*

Lights will guide you home
And ignite your bon
es
And I will try to fix you

 

Fu improvviso, l’incontro.

Accadde mentre era immersa nella correzioni dei temi sulla tecnica shunpo del gruppo di allievi dell’Accademia che Ukitake-taichou le aveva chiesto gentilmente di istruire.

«Rukia

Era il suo richiamo; stavolta era certa che non era l’eco della sua immaginazione.

Le si smorzò il respiro e si girò immediatamente, scorgendo sulla porta Ichigo, i capelli arancioni corti e l’espressione morbida, più giovane di come lo aveva immaginato tante volte.

Sorrise, trattenendo le lacrime che le pizzicavano gli occhi.

«Ehi, perché non hai i capelli radi e bianchi? Dopotutto mi hai fatta aspettare sessant’anni.»

Ichigo sbuffò e si inginocchiò accanto a lei, sfiorandole una guancia con la punta delle dita. Il suo tocco era caldo ma, soprattutto, reale.

«Eh, tu hai detto a Renji che avevamo tutto il tempo del mondo, no? Ora c’è l’eternità, basterà a compensare l’attesa.»

Fu allora che Rukia pianse, e si sentì un po’ meno vecchia e più leggera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Seguendo ancora Bleach in italiano, non so niente degli spoiler. Ma la saga degli Arrancar, per quanto esaltante per gli Arrancar stessi (Ulquiorra <3 Grimmjow <3), mi ha lasciato molto amaro come fan IchiRuki.

Sia chiaro: non vedo nell’atto eroico di Ichigo che una semplice volontà di salvare la sua amica Orihime.

Rukia è stata l’essenziale della sua vita, il cambiamento; se lei non fosse apparsa, non si sarebbe mai accorto di Orihime. E, Orihime, per crescere, ha bisogno di passare sopra a Kurosaki-kun; per quanto sia sensibile e abbia capito il suo animo almeno in parte, non è riuscita a colmare il vuoto di Ichigo.

Però Tite Kubo è un dannato: un dannatissimo dannato, per la prezisione. Manco un momento con Ichigo e Rukia, solo Orihime! Damn it. – ma almeno ci sono tanti momenti UlquiHime *_*!

Per cui, ho deciso di dare un finale molto, molto mio, post-saga Hueco Mundo. Non so come sia finita la battaglia; per ora, tutti felici e contenti, tutti a casa, ai loro posti. Ma qualcosa, in Ichigo e Rukia, manca. Ah, la distanza! Non affievolisce nulla, anche se il muro è la morte! *si crogiola*

Inoltre volevo fare quella Rukia più sicura, quella anche più matura e paziente; i suoi non sono sorrisi falsi, ma veri, forse un po’ malinconici, ma non è triste: ha lasciato che Ichigo, venuto a contatto con la morte troppo presto anche un po’ per colpa sua, viva la sua vita. Ma, alla fine, si ricongiungono.

Aw, così romanticooo! <3

Ah, non sono certa che gli shinigami mangiano, ma Rukia lo faceva sulla terra no? o era solo perché era dentro un gigai? Ah, i misteri di Bleach! XD

 

Ringrazio il forum IchiRuki [http://deathstrawberry.forumfree.net/?t=33369558] e le BlackBerries che hanno organizzato questo concorso e mi hanno dato l’occasione per rispolverare Ichigo e Rukia. Sarebbe bello avere sempre colpi di genio per Bleach, ma come manga è già talmente emozionante e gratificante che trovo difficile cercare un missing moment che vorrei scrivere e non vorrei rovinare nessun personaggio con l’OOC in un’AU; sono già perfetti! (L)

…ah, giusto: sono iscritta ufficialmente al concorso indetto dal forum. Non ho idea di come fare il collegamento internet senza fare quelle odiose righettine nella grafica, per cui prendete l’indirizzo rosso e fateci un saltino, ya? Thank you! <3

 

Grazie a mia cugina e alla Vale.

1 a 1, mia cara! *mwahaha*

 

Sperando che vi sia piaciuta, un saluto e il solito appello: RECENSITE please! J

 

Bye,

Kaho

  
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