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Autore: lilac    11/12/2008    1 recensioni
Central Maze City, una metropoli come tante dove la corruzione e le ambizioni dei potenti sembrano dettare legge. Le uniche strade per sopravvivere sono l’indifferenza, il cinismo e il disprezzo per i propri simili. Ma, probabilmente, nemmeno queste cose bastano più. L’unica persona in tutta la città che sembra non avere a cuore niente e nessuno si troverà invischiata, suo malgrado, nelle mire del più malvagio e potente criminale istituzionalizzato del paese e, soprattutto, in un disegno ben più grande di lui, che pare coinvolgere l’intera umanità. Tra personaggi misteriosi e misteriosi poteri, scoprirà ben presto qual è il suo destino. Eppure, lui ne è convinto... I supereroi non esistono.
Piccolo Avvertimento: questa storia contiene alcune scene di violenza e linguaggio a tratti colorito.
Genere: Drammatico, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Credits:
- La frase del sottotitolo è dello scrittore Clive Staples Lewis (1898-1963).
- I nomi di alcuni personaggi minori di questa storia sono espliciti riferimenti a noti personaggi dei fumetti, ovvero Batman, Spiderman, Wolverine (X-Men) e L’Incredibile Hulk. Sono quindi proprietà dei loro creatori e degli aventi diritto e sono, in questo caso, semplici citazioni.

Alcuni ringraziamenti doverosi:
A Gianluca: grazie per le consulenze sui tizi in calzamaglia, per l’ispirazione e per la marmellata di fragole;
A Orochimaru: grazie per la consulenza tecnica e/o tecnologica;
A Taisa: a very special thanks (che fa molto rock star XD) per avermi convinto a scrivere la storia ma, soprattutto, per aver dato un volto ai miei personaggi. Ovviamente, [credit supplementare] il disegno che troverete a fine storia è opera sua (chi copia e/o se ne appropria senza permesso se la vede con lei e tanti, tanti auguri u.u).
ATTENZIONE! Trovate un link nel mio account autore per vederlo in anteprima. Ma devo avvertire che è un'immagine fortemente spoiler.
A vostra discrezione^^.

Questa storia è stata scritta per il contest/sfida "My Hero", su Writers Arena.
Grazie, come sempre, a chi ha aperto questa pagina e buona lettura^^.




I SUPEREROI NON ESISTONO
Nessuno mi ha mai detto che il rimpianto si sente come la paura. (C. S. Lewis)



PROLOGO


Central Maze City, sobborgo di Hell’s Court.
18 Dicembre, 7:27 p.m.


È molto veloce per essere un bambino, corre per i corridoi semibui dell’istituto con le ali ai piedi. È terrorizzato. Sente le loro voci dietro di lui e lo scalpiccio frenetico dei loro passi che lo incalza. Sa che cosa vogliono fargli. Ed è terrorizzato. Eppure sa anche dove sta andando; forse, pensa, lì non lo seguiranno.
Singhiozza ansimando e deglutisce a forza il groviglio di saliva che gli opprime la gola, respira l’aria fredda che entra da una finestra del piano terra, con la bocca aperta, fissando il cortile buio. Si volta indietro e li sente.
“Jason! Piagnone cagasotto! Dove scappi, stupido!”
Arriva a malapena alla maniglia della porta che dà sulla corte, ci si aggrappa con tutta la forza e la spalanca. Si getta sotto la pioggia. Fuori è buio e un tuono lo fa sussultare brutalmente. È terrorizzato, ma ha molta più paura di loro.
“Jaaaasoooon?! Dove credi di scappare, ritardato!”
“Che stupido! È uscito in giardino, con questo tempo schifoso!”
Li sente ridere. Le loro voci si distorcono nel frastuono del temporale e la pioggia sembra volerle zittire, ma le sente. Si volta, il chiarore improvviso di un lampo illumina i loro visi grottescamente sfigurati dalle risa, sotto il porticato. Scorge nitidamente quello che hanno in mano. Il cuore gli spicca un salto in petto, accelera i battiti convulso. Uno di loro agita beffardo quella cosa verso di lui, ma quando vede che due di loro s’infilano le cerate, si volta di nuovo e corre; verso il locale delle caldaie.
Si muove rapido, nel buio, ignorando l’odore stantio di polvere, terra bagnata e muffa. Ha paura, ma non vuole che lo trovino. Non gli importa dei topi, delle ragnatele, del rumore sinistro delle autoclavi che sibilano sottovoce il suo nome; un tutt’uno col vento che penetra stridendo dagli infissi. Continua a camminare svelto fra gli scatoloni, accatastati qua e là, e non si volta a guardare le macchine. È terrorizzato all’idea che quei mostri si animino come deformi marionette e si scaglino verso di lui, che lo afferrino con i loro artigli di metallo. Si sente osservato dagli occhi luminosi che lo scrutano come spie e lo seguono verso il locale dei quadri elettronici. Quel posto fa paura; e la signorina Banner lo punirà severamente per essere uscito a quell’ora, con quel temporale. L’istituto ha delle regole, non vuoi finire in mezzo ad una strada, Jason, vero? Gli sembra di sentirla. No, non vuole finire di nuovo in mezzo alla strada, da solo, senza un posto dove andare, senza niente da mangiare. Lì fuori è pieno di gente cattiva che gli fa paura. Ma adesso ha più paura di loro.
È tutto bagnato e sta tremando di freddo. E continua a sentire le grida dei suoi compagni che lo prendono in giro, attutite dalla pioggia.
Un rumore alla sua sinistra lo fa trasalire. Un topo. Ha paura dei topi, una paura terribile. Il vetro di una delle finestre si scuote all’ennesimo tuono. Ha paura dei temporali, una paura del diavolo. Di nuovo, la luce sfolgorante di un lampo illumina per un momento il locale e gli scaffali sembrano quasi piombargli addosso. Singhiozza più forte. È terrorizzato, ma non vuole che lo trovino. Non vuole che lo facciano...
“Che accidenti ci fai tu qui?!”
La voce roca e indispettita che rimbomba dal fondo della stanza lo pietrifica per un momento, si volta di scatto e intravede una sagoma che si staglia sulla porta, in controluce. Fa per fuggire, ma le luci al neon che si accendono improvvise lo abbagliano e lo costringono a chiudere gli occhi. Li riapre dopo un istante, a fatica, e non può fare a meno di osservare il vecchio che si sta avvicinando a lui con aria inquisitoria. Ha una grossa cicatrice che gli attraversa il viso rugoso e due occhi stranamente limpidi; sembrano quelli di un uomo molto più giovane, intrappolato nel corpo sbagliato. Jason lo fissa, improvvisamente titubante, rapito da quegli occhi e da quello sfregio che sembra dividergli in due la faccia; è incapace di scappare.
“Ti ho chiesto che cosa stai facendo qui, mi hai sentito?!” L’uomo insiste. Il tono minaccioso, burbero e il suo aspetto sinistro sembrano contrastare con l’espressione del suo volto, assolutamente pacifica.
“Ti prego, non dirgli che sono qui o lo faranno di nuovo!” piagnucola lui, tornando improvvisamente alla realtà.
“Non dirlo a chi? Cosa vogliono farti?” chiede l’altro spazientito.
“Jimmy e gli altri. Vogliono tirarmela addosso di nuovo! Non lo sopporto! Ho paura! Ti prego, non dirgli che sono qui, ti prometto che me ne vado subito, appe...”
“Che cos’è che vogliono tirarti addosso?”
Jason lo fissa indeciso. Deglutisce per farsi coraggio; il solo pensarci accelera i battiti del suo cuore.
“Marmellata di fragole” confessa in un sussurro, abbassando lo sguardo.
Ora il vecchio si metterà a ridere, lo prenderà in giro, gli dirà che è uno stupido, che avere paura della marmellata è proprio da idioti senza speranza. Se la farà sotto, dalle risate. Poi lo butterà a calci fuori di lì. Ma lui non lo sa, come gli altri; non lo sa quanto fa paura! La sola idea di quella cosa dolciastra e appiccicosa che gli imbratta la faccia e gli impedisce di respirare lo annienta. Lui non lo sa! Nessuno lo sa che vuol dire avere tanta paura! E quelle... cose; viscide, rosse come il sangue, con tutti quei semi che sembrano tanti occhi... Comincia a respirare affannosamente, se la sente addosso, sente di nuovo le loro voci là fuori. Ora il vecchio si metterà a ridere, ora gli dirà...
“Capisco.”
Jason lo guarda sorpreso. Il vecchio sospira e si avvicina a lui.
“E non hai avuto paura a uscire con questo tempo, al buio, e a venire qui?” gli chiede sinceramente curioso, ma sembra più un’affermazione divertita.
Jason nega deciso, scuotendo leggermente la testa. Poi, imbarazzato, ritorna a fissare il pavimento. Giocherellando con un laccio della scarpa allentato, comincia a fare cerchi sul pavimento impolverato. “Un po’” ammette.
Il vecchio sorride per un attimo. La cicatrice si deforma appena, si assottiglia fra le rughe profonde che si contraggono sul suo volto. Ma Jason non lo sta guardando, solleva la testa solo quando sente l’uomo avvicinarsi ancora. Incrocia i suoi occhi e prova una sensazione indescrivibile. Si sente strano, è come se fosse caduto dentro quello sguardo pulito e vivace, e un calore insolito lo avvolge.
“Sai perché quei vigliacchi sono più forti di te?” chiede il vecchio senza particolare emozione.
Jason nega, senza comprendere appieno.
“Perché sanno cosa ti fa paura.”
Ora annuisce; come a scuola, quando la signorina Banner lo rimprovera perché non sta attento, ma non riesce a staccare gli occhi da quelli dell’uomo.
“Vuoi essere più forte di loro?” gli chiede poi con lo stesso tono piatto, sereno.
A quel punto acconsente convinto, ha una buffa espressione determinata e imbronciata. Il vecchio sorride di nuovo, solo per un istante, poi si fa serio. “Allora smettila di avere paura. Tu non sei un vigliacco come quelli.”
Jason ha come l’impressione di aver visto qualcosa, in quegli occhi, sbatte appena le palpebre. “Anche loro hanno paura, che credi?” assicura pacatamente l’uomo.
“Come si fa a non avere paura?” chiede lui, imbarazzato e curioso. Quel vecchio non ha tutte le rotelle a posto, si ritrova a pensare dall’alto dei suoi cinque, lunghi anni.
“Beh, questo devi saperlo tu.”
“Io non lo so! E quelli non hanno paura di niente!” protesta, non troppo convinto e un po’ indispettito.
“Tutti... hanno paura di qualcosa.”
Il vecchio sorride, solo un momento. Poi gli posa una mano sul capo con un gesto affettuoso; la sofferma un istante e gli scompiglia i capelli. Jason sta per dire qualcosa, sta per dirgli che non riuscirà mai a capire di che cosa sta parlando, ma improvvisamente tace. Si sente di nuovo strano, come quando l’ha guardato negli occhi. Ma c’è qualcosa in più, adesso; è come se non avesse più bisogno di capire niente. Le voci, fuori, le sente ancora, ma accenna un sorriso confuso.


CONTINUA...

  
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