Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Ricorda la storia  |      
Autore: Shainareth    06/03/2015    2 recensioni
Gettai un’occhiata distratta al suo quaderno e mi resi conto che gli appunti erano stati scritti soltanto per metà. Alzai lo sguardo e lui distolse il suo, come se volesse nascondermi qualcosa. Nel puntare gli occhi altrove, però, li socchiuse appena. Fu a quel punto che compresi. «Hai tolto le lenti a contatto?» mi azzardai a chiedergli.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



OCCHIALI




Il suono della campanella annunciò la fine delle lezioni e l’aula iniziò a svuotarsi progressivamente. Quel giorno me la presi comoda, come sempre accadeva dopo aver avuto educazione fisica. Non eccellevo di certo nello sport e, sebbene mi fossi riposata durante tutta l’ora di storia, sentivo i muscoli gridare pietà. I miei compagni, invece, sembravano tutti arzilli, come se fossero sempre pieni di energie. Probabilmente ero io, quella strana.
   Mi rimisi in piedi con indolenza e presi a sistemare gli ultimi libri nella borsa. Ero rimasta quasi sola, nell’aula; anche se non li vedevo, dietro di me sentivo le voci di alcuni dei miei amici. Misi la borsa a tracolla e quando mi voltai vidi Armin e Alexy accanto al banco di Kentin. Quest’ultimo non si era mosso dal suo posto e aveva ancora il libro e il quaderno ancora fuori dallo zaino. Se ne stava seduto di traverso sulla sedia, un braccio oltre lo schienale e l’altro gomito poggiato sulla superficie piana del banco, le dita chiuse a pugno a sorreggergli il capo.
   «No, oggi non posso», stava dicendo agli altri due. «Ho già preso un impegno con mia madre.»
   «Allora vengo io da te, così finalmente mi presenti a lei», propose Alexy con fare allegro. L’altro gli lanciò uno sguardo d’avvertimento e lui rise. «Stavo scherzando», lo rassicurò, scendendo dal banco su cui si era appollaiato per osservarlo meglio. «Quanto sei permaloso», si lagnò poi, notando come Kentin continuasse a tenergli il muso. Per vendicarsi, Alexy esibì un sorriso da schiaffi e aggiunse: «Tanto ci ho già parlato il giorno della recita. Sapessi quante cose ci siamo detti…»
   «Sparisci o ti prendo a calci», tagliò corto Kentin, facendolo ridere di nuovo.
   A quel punto, Armin imprecò e levò gli occhi dalla consolle portatile. «Giuro che riuscirò a passare il livello entro oggi», disse fra sé. Quando si rese conto che gli altri due lo guardavano come se fossero in attesa, scrollò le spalle e mise via l’apparecchio. «Va beh, allora noi andiamo», annunciò, iniziando a muoversi verso l’uscita dell’aula. «Ci vediamo domani.»
   «A domani», rispose Kentin con un mezzo sorriso.
   «Un bacio d’addio?» azzardò Alexy ridendo ancora e portandosi immediatamente fuori dalla portata del quaderno che l’altro fu sul punto di tirargli dietro. «Buona giornata, anche a te!» esclamò poi nella mia direzione, facendo un rapido cenno di saluto con la mano prima di sparire insieme a suo fratello.
   Ricambiai sia l’augurio che il gesto, accompagnandoli con un sorriso, benché la mia attenzione fosse stata già attirata da qualcos’altro: sentendo la mia voce, Kentin era sobbalzato, come se non si fosse accorto prima della mia presenza.
   Volse il capo verso di me e strizzò appena gli occhi. «Sei ancora qui?» chiese con voce che mi parve incerta.
   «Lo sai che, dopo ginnastica, mi sento a pezzi», gli feci notare, avanzando con passo strascicato. Vedendo che non si muoveva dal suo posto, mi lasciai cadere sulla sedia del banco avanti al suo. «È successo qualcosa?»
   «No», disse, troppo rapidamente per apparire sincero. Kentin non era mai stato bravo a mentire o a nascondere i suoi reali stati d’animo. Per di più, mi ero accorta che, nel parlare con gli altri, aveva evitato di guardarli a lungo.
   Gettai un’occhiata distratta al suo quaderno e mi resi conto che gli appunti erano stati scritti soltanto per metà. Alzai lo sguardo e lui distolse il suo, come se volesse nascondermi qualcosa. Nel puntare gli occhi altrove, però, li socchiuse appena. Fu a quel punto che compresi. «Hai tolto le lenti a contatto?» mi azzardai a chiedergli.
   Aprì la bocca per negare, ma poi sospirò e si arrese. «Ho dovuto. Prima, durante l’ora di ginnastica, per sbaglio mi hanno dato una gomitata e una delle lenti mi si è spostata», spiegò con una smorfia. «Faceva male.»
   «E perché non hai messo gli occhiali?» Lo sguardo che Kentin mi scoccò fu più eloquente di mille parole: aveva ancora dei complessi riguardo alle lenti spesse che aveva portato fino a diverso tempo prima, quando tutti lo prendevano in giro per il suo look non troppo alla moda. «Che ti importa di quello che potrebbero dire gli altri?» lo rimbrottai, seriamente contrariata. «Troverei molto più ridicolo un bel ragazzo che si ostina a camminare a tentoni, rischiando di andare a sbattere contro i pali o di inciampare a destra e a manca.» Kentin si passò una mano sul volto, manifestando tutto il proprio disagio. «Sei bello anche con gli occhiali», gli assicurai. «E se anche non lo fossi stato… chi se ne frega? Solo un idiota si fermerebbe alle apparenze.»
   Calò il silenzio per alcuni istanti. Poi, sbuffando, Kentin tornò a guardarmi, questa volta con un’espressione che non riuscii a decifrare. In attesa che lui parlasse, sollevai le sopracciglia e lui sorrise, ma senza reale allegria. «A te non è mai importato del mio aspetto.»
   Scrollai le spalle, esprimendo in quel modo tutto il mio disinteresse al riguardo. «Se badassi a questo genere di cose, sarei la migliore amica di Ambra e tu mi odieresti.»
   Riuscii finalmente a strappargli una breve risata. «Per favore, non farmi pensare ad una simile ipotesi o potrei seriamente prendere in considerazione l’idea di tornare alla scuola militare.»
   «Sai rimettere Ambra al suo posto, ormai», gli feci notare.
   «Sì, ma non potrei accettare di essere…» S’interruppe bruscamente, come se si fosse reso conto di essere sul punto di dire qualcosa di troppo. Arrossì e distolse per l’ennesima volta gli occhi dai miei. «Sai…» riprese dopo un momento. «Avrei anche potuto rimanere lì», mi rivelò. «All’inizio è stata dura, ma col tempo mi sono abituato ai ritmi e alla fatica. Non era poi così male.»
   Non riuscii a trattenere la curiosità che mi era salita alle labbra a causa di quell’ammissione. «E allora perché sei tornato?»
   Durante il primo periodo delle superiori, Kentin non era riuscito a farsi neanche un amico per via del suo aspetto e dei suoi modi piuttosto goffi. Il che era un vero crimine, perché se i nostri compagni si fossero presi la briga di conoscerlo almeno la metà di quanto lo conoscevo io, avrebbero compreso che si erano lasciati sfuggire un ragazzo d’oro. Probabilmente lo avevano capito solo adesso che lui era tornato da noi. Era stata questa considerazione a farmi porre quella domanda: se, dopotutto, alla scuola militare non si era trovato male, perché aveva deciso di lasciarla per ritornare in città?
   «C’eri tu», confessò con naturalezza, guardandomi da sotto in su. Si umettò le labbra con la punta della lingua e, in tono un po’ incerto, aggiunse: «Mi mancavi. Lo so, ci sentivamo per telefono e messaggi, ma…»
   «Non era la stessa cosa», conclusi per lui, quasi sottovoce. «Mi sei mancato anche tu», ammisi, non senza imbarazzo.
   «Andiamo, sicuramente avrai fatto diverse amicizie, durante la mia assenza.»
   Mi strinsi nelle spalle. «Mica tanto. A parte Iris e Violette...»
   «E Rosalya?» mi domandò Kentin, stupito dal fatto che non l’avessi inclusa nel numero decisamente esiguo. «Credevo andaste d’accordo.»
   «Quando non vuole costringermi a vestirmi da battona, senza dubbio», replicai d’istinto, facendolo ridere. Stirai le labbra in un’espressione perplessa. «Non ho ancora capito se mi prende in giro o meno. Ha degli atteggiamenti piuttosto strani.»
   «Mah, sarà un po’ come Alexy», ipotizzò Kentin. «Anche lui a volte è un po’ ambiguo.»
   Gli scoccai un’occhiata sarcastica. «Fidati: Alexy è tutto ambiguo.»
   «Ma no, scherza», ridacchiò lui, iniziando però ad essere colto dal dubbio che dicessi il vero. Il modo in cui continuavo a guardarlo lo indusse a schiarirsi la voce. «Beh, e comunque… ci saranno anche diversi ragazzi con cui vai d’accordo.»
   «Armin credo finga di provare simpatia per me, visto che noi due siamo amici», presi a rispondere, seriamente convinta di ciò che dicevo. «Alexy probabilmente mi vede più come una rivale in amore.»
   Mi accorsi di quanto mi fossi sbilanciata solo dopo aver pronunciato quelle parole. Mi morsi la lingua, vedendo Kentin irrigidire le spalle.
   «Lysandre è gentile e preferisce non dimostrare le proprie antipatie, ma non abbiamo molte cose in comune», mi affrettai allora ad aggiungere, sperando di accantonare presto la questione. «E poi c’è Castiel… Seriamente, vuoi che te ne parli?»
   «E poi sono io, quello che si fa i complessi…» non poté fare a meno di osservare Kentin, inducendomi a farmi un esame di coscienza. «Comunque, con Castiel la questione è diversa», mi incoraggiò poi. «È lui che non fa niente per rendersi simpatico. Un po’ come Ambra.»
   «Mh», bofonchiai, non del tutto d’accordo con lui. «Ambra è maligna, Castiel no. Credo che stia lì la differenza.»
   Kentin si mosse sulla sedia, esitò, ma poi si fece coraggio e domandò: «E che mi dici del delegato?»
   «Nathaniel?»
   Non era la prima volta che mi chiedeva di lui. Lo aveva già fatto dopo la recita scolastica, quando ci eravamo ritrovati a parlare da soli, ed era saltato fuori che, durante la sua assenza dal liceo, io e Nathaniel avevamo legato molto. Avevo letto smarrimento sul suo viso e avevo compreso che, forse, i sentimenti del vecchio Ken erano ancora lì, nel suo cuore. Per quanto questo sospetto potesse confortarmi, non avevo voluto darlo per certo. Chi ero, io, per affermare con sicurezza quali erano i pensieri e le emozioni di un’altra persona? Della persona che mi piaceva più di ogni altra, oltretutto. Non avevo voluto illudermi.
   «Lui», borbottò Kentin, iniziando a sfogliare distrattamente il proprio quaderno e fingendo disinteresse per la questione.
   «Siamo amici», gli ripetei.
   «E… lui ti piace?»
   Inarcai di nuovo le sopracciglia. Era una scenata di gelosia, seppur molto discreta? Mi venne da sorridere, per la gioia e l’imbarazzo. «Non te l’ho già detto che rimani tu, il mio preferito?»
   Anche Kentin stese le labbra verso l’alto in un’espressione divertita e sollevata. «Credevo che ci fosse dell’altro», fu costretto a rivelarmi.
   «Macché», gli assicurai. Il che era vero, ma solo in parte. Avevo provato un certo interesse per Nathaniel, all’inizio, però poi avevo cominciato a prendere le distanze, in qualche modo. Più passava il tempo, infatti, più mi sembrava di averlo sopravvalutato, soprattutto riguardo alla questione Castiel.
   Sapevo che in passato fra loro c’erano state delle incomprensioni, e conoscendo tutta la storia con Debrah e quel che era accaduto tempo prima, immaginavo che Nathaniel avesse tutte le ragioni per avercela con Castiel. Tuttavia, non ero mai riuscita a capire il suo accanirsi contro di lui, al punto che, con il tempo, avevo iniziato a trovarlo in parte simile a sua sorella Ambra. Non cattivo, sia ben chiaro; solo molto infantile. Ero certa che, se quei due si fossero chiariti una volta per tutte, avrebbero persino potuto diventare buoni amici.
   La verità, comunque, è che avevo iniziato ad allontanarmi da Nathaniel anche per altre ragioni. Una di queste aveva le graziose sembianze di Melody. Anche lei faceva parte del comitato studentesco e, come Nathaniel, era sempre stata seria e diligente. Proprio quando avevamo iniziato a fare amicizia, avevamo scoperto di aver messo entrambe gli occhi su di lui. Melody era arrivata per prima, ma era anche già stata respinta. Nathaniel, inoltre, aveva iniziato a guardare me con interesse e la cosa, se da un lato mi aveva lusingata e mi aveva fatto piacere, dall’altro mi aveva fatta sentire in colpa nei confronti di quella che era diventata mia amica per metà. Probabilmente è umano provare quel genere di sensazioni, ma in quel momento mi ero sentita soltanto una grandissima sciocca e non avevo saputo che pesci prendere.
   Con Nathaniel, comunque, non era mai accaduto nulla. Continuavamo ad andare d’accordo, facevamo molte cose insieme anche al di fuori dell’orario scolastico, ma finiva lì. Eravamo soltanto amici e se qualcuno avesse creduto che ci fosse altro, fra noi, si sbagliava di grosso.
   Poi era tornato Kentin e lui mi aveva spiazzata. E non certo per il fatto che mi ero ritrovata ad avere a che fare con un ragazzone alto e bello, così diverso dal piccolo, adorabile Ken che avevo conosciuto e amato per il suo carattere dolce e allegro. Il punto era che la sua presenza, la bella amicizia che ci aveva legati in passato, era tornata ad entusiasmarmi più di prima perché… mi era mancato. Proprio come gli avevo detto. A dispetto di quanto potesse apparire o di quanto lui stesso volesse credere, Kentin non era cambiato davvero, anzi; aveva solo smussato alcuni dei tratti infantili del suo carattere, ma di fondo era rimasto lo stesso di prima. Come potevo non volergli un gran bene? Come potevo non essergli affezionata allo stesso modo? Anche più, a dire il vero, proprio perché mi ero resa conto di quanto fosse importante la sua amicizia per me.
   A differenza di quanto mi accadeva con Nathaniel, con Kentin riuscivo ad essere me stessa, perciò mi risultava più facile ridere e dire ciò che mi passava per la testa. Senza contare che la pensavamo allo stesso modo su molte più cose e non amavamo stuzzicare Castiel senza ragione. E ci piaceva passare del tempo insieme agli altri, coltivare le poche amicizie che avevamo anziché prendere tutto troppo seriamente e fossilizzarci su responsabilità troppo grandi per noi che, in fin dei conti, eravamo soltanto dei ragazzini. Non che fossimo degli immaturi, anzi; più semplicemente, preferivamo vivere la nostra età, perché avremmo avuto tutto il tempo per crescere e mettere da parte i giorni spensierati dell’adolescenza.
   Ciò, chiaramente, non stava a significare che non sopportassi più Nathaniel. Il ritorno di Kentin, però, mi aveva aperto gli occhi e mi aveva fatto capire cosa davvero cercassi in un ragazzo: la complicità. Senza, non saremmo andati da nessuna parte.
   Era stato un processo lento e graduale. Incontrare Kentin a scuola mi rendeva felice e mi regalava quel sorriso che non sempre riuscivo a trovare nel quotidiano. Anche se adesso si faceva chiamare col suo nome per esteso, per me rimaneva sempre Ken. Ne avevo avuto la conferma quando, durante una riunione di compagni di classe in camera mia, lo avevo visto sorridere alla vista dell’orsetto di peluche che mi aveva regalato prima di andare alla scuola militare. Me lo aveva lasciato come ricordo, e anche un po’ come pegno d’amore, forse, giacché l’orsetto indossava una maglia con un cuoricino sul davanti. Per non parlare del fatto che, volendo ricambiare il pensiero, sia pure con un po’ di ritardo, mi ero presentata a lui con un altro peluche: lo aveva trovato delizioso e la sua espressione gioiosa mi aveva resa altrettanto felice. Inoltre, cosa che con Nathaniel non accadeva mai a causa dei nostri gusti incompatibili, con Kentin ero libera di fare abbuffate di dolci. Ce li dividevamo sempre, non appena ce ne capitava l’occasione. Proprio come era già accaduto con il vecchio Ken.
   «Posso chiederti un favore?»
   «Dimmi», mi offrii subito. «Ti servono gli appunti di storia?»
   Kentin rise. «Sì, anche», convenne, richiudendo il quaderno. «Da vicino ci vedo, quindi qualcosa sono riuscito ad annotarla. Più che altro, mi sono sfuggite tutte le date e le altre cose che il professore ha scritto alla lavagna.»
   «Ti aiuterò, non preoccuparti», lo tranquillizzai con un sorriso.
   «Sì, beh, dovresti aiutarmi anche con un’altra cosa.»
   «Cioè?»
   «La strada di casa.» Rimasi in silenzio, convinta che scherzasse. «Davvero», aggiunse allora lui, abbozzando un altro sorriso. «Ho paura di finire proprio come hai detto prima: contro un palo. O, peggio, sotto a una macchina. È per questo che ai gemelli ho detto che avevo preso già un impegno con mia madre, non volevo tornare a casa con loro per… non fargli capire che non ci vedo bene.»
   «Ma sarai scemo?» fu l’epica questione che gli posi.
   «Oh, piantala», sbottò seccato, cominciando finalmente a mettere la propria roba nello zaino. «Se non vuoi o sei impegnata con quell’altro amico tuo, pazienza.»
   Forse avrei dovuto sentirmi piccata per quell’insinuazione e, magari, Kentin si sarebbe meritato una rispostaccia. «Quell’altro amico mio», ripetei con voce pericolosamente melliflua, «non l’ho neanche visto, oggi.» Sospirai. «E anche se fosse, pensi davvero che ti lascerei in difficoltà?»
   «Dai, vieni», m’incitò allora, rendendosi conto di aver esagerato. Si alzò in piedi, si issò lo zaino in spalla e si avviò verso la porta. Non fece che pochi passi e subito inciampò malamente nella gamba di uno dei banchi. Il fracasso che ne seguì fu terribile ed io mi precipitai ad afferrarlo per un braccio prima che crollasse a terra, rischiando di finire giù con lui. Riuscimmo a mantenere l’equilibrio per un soffio, e quando ci ritenemmo al sicuro dalla caduta, ci guardammo e scoppiammo a ridere come due bambini.
   «Giuro che domani mi porterò dietro gli occhiali», affermò, rimettendosi ritto sulle gambe.
   «Sarà meglio per te», lo avvisai, benché stessi ancora ridendo.
   «Andiamo, così ti faccio vedere la mia collezione di farfalle», scherzò.
   «Non dirlo ad Alexy o mi tirerà i capelli», ribattei, pronta a seguirlo.
   «Vuoi smetterla con questa storia?»
   «Attento alla porta.»
   «L’ho vista, non sono così orbo.»
   «Ah, no? Allora puoi anche lasciarmi il braccio», gli feci notare.
   «Giusto, è più virile se sei tu ad aggrapparti a me.»
   Sollevai gli occhi al cielo, ma feci proprio come aveva detto. In fondo, anche se non volevo illudermi, non ero così scema da non approfittare di quella fortuna.





  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Shainareth