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Autore: benzodiazepunk    07/03/2015    2 recensioni
I suoi occhi mi incatenano a lui, mi sembra quasi che una forza sconosciuta di qualche tipo mi abbia immobilizzata, rendendomi impossibile qualsiasi movimento. [...] Siamo ormai entrati in una realtà parallela nella quale non ha importanza nulla di tutto ciò che può accaderci intorno, ci siamo solo noi, e l’elettricità fra noi, che tiene fusi i nostri sguardi in un’unione quasi irreale.
[...]
-Non ho paura di te- rispondo in un sussurro, sconvolta dal suo discorso. –Solo, non voglio farmi coinvolgere troppo-
-Lasciati coinvolgere, ti prego- ribatte lui con tono quasi sofferente. –Io l’ho già fatto-
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Una breve storia nata da un sogno, e si sa, certe volte i sogni sono destinati ad avverarsi, altre a infrangersi... chissà cosa ci riserva il destino.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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3 - Love will be forever
 
Un raggio di sole mi costringe ad aprire gli occhi. Non senza una certa fatica riprendo conoscenza, sbadigliando; ma c’è qualcosa di strano intorno a me, mi sento bloccata da qualcosa che mi immobilizza contro il materasso. Apro gli occhi, troppo assonnata per essere preoccupata o anche solo vagamente presente a me stessa, e vedo Loris abbandonato sotto le coperte al mio fianco che dorme profondamente stringendomi in un abbraccio.
Sorrido e arrossisco contemporaneamente, ricordando gli eventi della serata.
Come ho potuto?! Non mi capacito della mia audacia o stupidità che dir si voglia.
Ma nonostante tutto non credo fino in fondo di aver sbagliato; lui è ancora qui, mi abbraccia perciò no, non è completamente sbagliato.
Non riesco a finire il pensiero che Loris apre gli occhi con espressione smarrita. Per un attimo mi perdo ad osservare i suoi occhi, limpidi e belli, poi gli sorrido.
-Buongiorno- lo saluto a bassa voce, e lui mi restituisce il sorriso raggiante.
-Buongiorno. Ho dormito benissimo- afferma, e io non posso fare a meno di ridere della sua affermazione resa un po’ infantile dal sonno che ancora non l’ha completamente lasciato andare.
-Anche io-
-Dici sul serio?-
Annuisco chiudendo gli occhi e assaporando la sensazione di pace che sto provando.
-Forse dovremmo scendere, mi sembra di sentire dei rumori-
Aguzzo l’udito ed effettivamente dalle altre stanze provengono suoni di gente che si sta svegliando. Controvoglia ci alziamo anche noi; mi stiro e Loris mi riprende tra le braccia baciandomi dolcemente. Rispondo al bacio sorridendo.
-Faremo tardi- lo ammonisco divertita.
-Che pignola- mi prende in giro lui senza lasciarmi andare nemmeno per un secondo.
Quando scendiamo, in pigiama e con i giubbotti addosso a combattere il freddo del mattino, Loris mi tiene la mano; mi sento un po’ imbarazzata ma non ho nessuna intenzione di lasciare la sua, non ora che ho capito di provare qualcosa… qualcosa di più di un semplice sentimento di simpatia.
Certo, non sono sicura sia lo stesso per lui; anzi il raziocinio direbbe il contrario, ma dopo le sue confessioni a letto potrò almeno sperare no?
Anche davanti ai genitori, lui non accenna a lasciare la mia mano ed è così per tutto il giorno.
Che siano presenti familiari, adulti, amici e conoscenti, Loris non sembra curarsene. Mi abbraccia, mi posa leggeri baci sulle labbra, e quando non mi tiene stretta non lascia la mia mano nemmeno per un secondo. E sorride, mi sorride in continuazione, sembra così felice da non potersi contenere.
La domenica però passa in fretta, e ben presto arriva il momento di tornare tutti a casa alla nostra routine.
-Ti telefono- mi promette Loris in piedi di fianco alla macchina di mio padre.
-Promesso?- gli chiedo, sentendo l’inquietante sensazione di un addio farsi strada nella mia bolla di felicità.
-Promesso. E io mantengo le mie promesse- mi sorride, e il suo sorriso sincero ha il potere di calmarmi. Incredibilmente, nonostante lo conosca da soli due giorni, mi permetto di credergli.
 
I giorni passano, e le ore passate a casa di Enrica e Roberto sembrano sempre più un sogno lontano piuttosto che la realtà, a maggior ragione perché Loris non si fa più sentire.
Mi sento una stupida, un’ingenua, una ragazzina che si è fatta semplicemente prendere in giro; ma nonostante tutte queste consapevolezze nel mio intimo sto male.
Mi manca.
Un ragazzo che ho conosciuto pochi giorni fa e con cui ho passato solo una manciata di ore mi manca, mi manca come l’aria che respiro, e la sua mancanza mi soffoca, mi blocca, mi paralizza corpo e mente. Mangio poco, non mi concentro, non dormo e piango; a letto, al buio, piango, dandomi della stupida e odiando e amando allo stesso tempo quel ragazzo che mi ha sconvolto la vita senza nemmeno curarsene.
Cosa significava tutto ciò che mi ha detto quella sera? Erano solo bugie? Parole preparate ad arte per aggirarmi e usarmi?
Non voglio crederci, non posso crederci.
La routine della mia vita fa male come una costante spada che mi infilzi le membra; cerco di sorridere, di partecipare alle conversazioni, di essere normale, ma non sempre ce a faccio e temo che la gente intorno a me lo possa notare.
-Va tutto bene?- mi chiede Valentina, in classe.
-Ti senti bene?- mi guarda preoccupata mia madre.
-C’è qualcosa che non va?- insistono le amiche.
Ma io non voglio parlare. Mi sento troppo stupida e troppo ingenua per raccontare quello che è successo, non potrei sopportare saggi consigli e rimproveri velati. So già tutto da me.
In autobus, per la strada, mi guardo intorno con aria smarrita sperando di intravedere Loris in mezzo alla folla; controllo il cellulare ogni minuto con un senso di ansia che cresce piano dentro di me. Mi sento male fisicamente. Profonde occhiaie iniziano a farsi sempre più evidenti e non sorrido più tanto spesso. So che devo fare qualcosa.
La mattina del mio quarto giorno di disperazione silenziosa prendo una decisione.
Devo trovarlo e chiedergli spiegazioni.
Fare qualcosa.
Ciao Enne! Digito sul mio cellulare inserendo come destinatario Enrica. Come va? Ascolta, ho da chiederti un favore. Prendo un respiro profondo e continuo. Avresti per caso notizie del tuo amico Loris? Quello che era in coppia con me nel weekend, sai… mi aveva promesso che ci saremmo scritti, sarò stupida, ma non si è più fatto sentire… e vorrei quantomeno parlargli. Ti ringrazio in ogni caso, un bacio!
Premo il tasto di invio prima di ripensarci e rimango in attesa impaziente.
La sua risposta non si fa attendere a lungo.
Oddio pensavo lo sapessi! Loris è in ospedale, ogni tanto gli capita di dover essere ricoverato… vai a trovarlo, ti spiegherà lui. Se alla reception chiedi di Loris Pirovano ti sanno dire loro dove andare!
Scioccata, resto a fissare lo schermo del cellulare.
Ricoverato?
Allora è malato? Ha qualche problema serio?
Mi accorgo che mi sto mordendo le labbra e mi forzo a smettere. Andrò a trovarlo oggi stesso, non mi importa cosa vuole lui, se gli importa di me o se ero solo una notte brava. Io andrò, sia quel che sia.
 
Il corridoio dell’ospedale che l’infermiera all’ingresso mi ha indicato è spoglio e freddo come tutti gli altri. Le pareti tinte di verde chiaro sembrano schiacciarmi ma so che in realtà è la mia ansia che finirà per soffocarmi, prima o poi. Cammino lentamente, non riesco a decidermi a entrare nel reparto in cui Loris è ricoverato.
Non so nemmeno io di cosa ho paura maggiormente, se della probabilità di scoprirlo gravemente malato o quella di essere respinta.
Spero con tutta me stessa che, se proprio qualcosa di tragico deve succedere, almeno sia la seconda possibilità. Non posso sopportare di pensarlo malato, non voglio che sia vero.
Con circospezione varco finalmente la soglia del reparto e mi ritrovo in un ampio ambiente asettico ma piacevolmente riscaldato; vari ragazzi di tutte le età vagano da una parte all’altra chiacchierando fra loro o stando semplicemente seduti a qualche tavolo a giocare a carte o a leggere. Un ragazzino che non dimostra più di dodici anni mi passa di fianco scrutandomi curioso.
-Buongiorno- Una voce mi fa sussultare. Mi volto di scatto alla mia destra e trovo un uomo di mezza età, vestito semplicemente in giacca e cravatta, intento a fissarmi sorridendo. –Chi cerca?- mi domanda gentilmente.
Sono stupita e disorientata, ma cerco comunque di rimanere presente a me stessa. -Loris Pirovano, mi hanno detto che…-
-Aaah lei deve essere la signorina Chiara!- esclama l’uomo, come capendo all’improvviso qualcosa che comunque io ancora non riesco a cogliere. Sto per rispondergli, per chiedergli come faccia a conoscermi, ma all’improvviso in fondo alla stanza scorgo Loris.
Mi sorride con la sua abituale espressione calma e sicura di sé, e al solo vederlo mi tranquillizzo all’istante. Tutte le preoccupazioni che attanagliavano il mio cuore improvvisamente svaniscono; sta bene, o almeno bene abbastanza da sembrare uguale a come l’avevo lasciato pochi giorni fa, e mi sorride, e questo è già un buon segno.
Non rivolgo nemmeno un’altra parola al gentile signore e mi avvicino a lui, come attratta da una forza sconosciuta e irresistibile, e quando mi ci trovo di fronte capisco che se mi dirà che per me non prova niente, che non vuole impegnarsi, io morirò.
-Ciao- mi saluta semplicemente.
-Ciao- Non so cos’altro aggiungere.
-Mi dispiace di non essermi fatto sentire. Sono stati giorni… difficili. Vieni con me- mi invita prendendomi per mano. Loris attraversa il reparto come se si trattasse di casa sua; saluta tutti, tutti lo conoscono, gira in un altro corridoio con passo sicuro e si ferma alla base di una scala interna deserta. Si siede sul primo gradino e io lo imito all’istante.
-Mi dispiace davvero- ripete a bassa voce, calmo. Apre la bocca per aggiungere qualcosa ma un attacco di tosse gli mozza il fiato. A sentirlo tossire a quel modo mi si gela il sangue nelle vene; la sua non è una tosse normale, è una tosse cattiva, malata.
-Non preoccuparti. Ma tu stai bene?- chiedo preoccupata.
-Oh, sì- annuisce lui con l’espressione quasi rassegnata di qualcuno che convive con una realtà difficile da molto, troppo tempo. –Non è nulla di eccessivamente grave. Solitamente riusciamo a tenerla a bada, ma ogni tanto ho bisogno di un ricovero... finché non troveranno un’alternativa più definitiva. Non sono riuscito a scriverti, volevo farlo quando avessi avuto un po’ di tempo e quando fossi stato bene, ma…-
-Non importa. Ora sono qui- lo interrompo. –Dimmi se vuoi che vada via-
Loris alza su di me uno sguardo allarmato e stupito. -No, certo che no! Rimani, per favore-
Sorrido annuendo, accarezzandogli il dorso della mano con le dita. Loris me la prende e senza dire una parola mi abbraccia, stringendomi a sé.
-Mi sei mancata. Sembrerà stupido ma è così-
-Mi sei mancato anche tu. Non sparire più, io posso starti accanto- affermo, e lui mi stringe un po’ più forte. –Sei sicuro che vuoi che io rimanga? Nel senso, intendo...-
-Ma certo- mi interrompe stringendomi ancora contro il suo petto. Il calore del suo corpo si irradia nel mio e io mi sento sicura, protetta, felice. –Per una volta che sono innamorato- sorride a metà, e io tra le sue braccia mi sento a casa.

Io e Loris ci siamo amati profondamente, disperatamente, fin dal primo momento. La nostra non è stata una storia convenzionale, ne sono consapevole. Forse tanti avranno pensato che fra noi è bruciata solo la passione che prende i ragazzi, che siamo stati legati semplicemente da un affetto giovane e disimpegnato, ma non è stato così.
Il nostro è stato amore. Amore vero.
Loris l’ha sempre saputo, e lo so anche io.
Quando ero ragazza pensavo alla vita come a qualcosa di dovuto, di certo ed eterno; pensavo che avendo ancora così tanti anni davanti a me nulla sarebbe potuto andare storto. Pensavo che le tragedie succedessero solamente agli estranei e non credevo possibile che una persona cara mi potesse essere portata via all’improvviso.
Pensavo che le malattie non avrebbero potuto portarmi via nessuno, tantomeno Loris.
Ma mi sono dovuta ricredere.
La vita non sempre è dorata e perfetta, non sempre le disgrazie capitano agli altri; dobbiamo imparare a far fronte alle tragedie della vita, affrontarle e superarle è qualcosa da cui non possiamo esimerci.
Vedere Loris consumato dalla malattia mi ha segnata nel profondo, è stata una di quelle lezioni che non si dimenticano e che portano a migliorarsi, sempre. Gli sono stata accanto, ogni giorno, ogni momento; non mi importava se i medici non credevano in lui, se i suoi parenti disperavano, se nessuno poteva vedere la luce in fondo al tunnel. Io la vedevo, volevo vederla e gliene parlavo, non gli permettevo di smettere di credere che quella luce esistesse. Non l’ho mai lasciato solo, sono stata la sua spalla così come lui è stato la mia, ci siamo amati incondizionatamente nonostante tutto.
Ora sono seduta sotto il portico di casa mia, immersa nei ricordi; il tramonto che imporpora l’orizzonte mi ricorda tanto la prima volta che ci incontrammo, nonostante oggi sia marzo inoltrato e l’inverno sia finito già da un po’.
Sospirando mi alzo dalla sdraio e mi dirigo verso casa, dove un bambino dai capelli castani corre intorno al divano lanciando urletti di gioia ed eccitazione.
-Ragazzi, basta giocare! È quasi ora di cena- affermo con tono dolce. Mi stupisco sempre di quanto sia diventata dolce e materna la mia voce da quando Francesco è nato; un tempo non l’avrei mai creduto possibile, se la me diciottenne potesse vedermi ora sarebbe oltremodo stupita, se non direttamente scioccata.
-Ma-aaamma!- esclama il bambino, saltando dal bracciolo del divano direttamente tra le mie braccia. Ridiamo insieme e mentre lo sollevo un paio di braccia forti mi stringono da dietro.
-Resto sempre senza parole da quanto sei bella- mi sussurra piano l’uomo che fino a poco fa stava correndo come un ragazzino per la stanza, inseguendo un bambino di quattro anni.
Mi volto stretta nel suo abbraccio e fisso i miei occhi nei suoi.
-Non starai cercando di sedurmi? Loris…- domando ammiccando.
-Ma certo- mi risponde mio marito. –Una volta che sono innamorato…-
  
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