Autore
originale: Mai
Kusakabe
Traduzione:
Lilian Potter
Pairing:
Marco/Ace
[Shonen-ai; raiting giallo]
Disclaimer: Tutti
i diritti
ad Eiichiro Oda, nessuno scopo di lucro.
Consiglio: Se
siete dei veri
masochisti ascoltatela con una canzone deprimente. Da parte mia è un
consiglio
raro, dato che non lo faccio mai per paura di distrarmi dal testo; ma
per una
volta l’ho fatto ed ho scelto FORGIVEN,
dei WITHIN TEMPTATION, ed è
stato
meravigliosamente straziante visto pure quanto era appropriata per
questo
contesto. Se vi fidate e volete vivere angst puro, allora la consiglio
anche a
voi.
NOT
YET
Il
mondo si congelò.
Per
un momento niente si mosse, niente fu udibile.
Silenzio,
quiete, vuoto; tutto si ruppe in un improvviso boato di rantoli
soffocati, urla
ed esclamazioni sia di terrore che di trionfo, e il peggior incubo di
tutti,
quello che lo affliggeva dalle profondità della sua coscienza da quelle
scorse
settimane, si prese ogni aspetto della realtà.
Lì,
il sogno, il brillante futuro che si era convertito in incertezza
momenti fa,
andava ora in frantumi mentre Ace stava lì, congelato per eterni
secondi, una
ferita spalancata di carne fusa, sangue a fumo aperta nel suo stomaco
e, quando
il marine si ritrasse dopo il suo attacco, le gambe di Ace cedettero e
lui
cadde sulle ginocchia.
Marco,
il corpo freddo e così pesante che non avrebbe dovuto essere in grado
di
reggersi da sé, sentì il suo cuore fermarsi per un intero secondo prima
di
vedere, l’orrore finalmente prevalendo sullo shock e l’incredulità,
come Akainu
si approcciava a colpire un ancora respirante Ace.
Notò
appena Jinbe fermare momentaneamente l‘uomo, i suoi occhi muovendosi
disperatamente intorno mentre urlava, ancora una volta, a qualcuno di
rimuovere
le sue manette. Allo stesso ragazzo che aveva rimosso quelle di Ace di
farlo.
E
dopo era lì, accanto a Vista a bloccare il prossimo attacco
dell’ammiraglio, la
sua attenzione molto più focalizzata su quello che ora era dietro di
lui che
sul suo avversario.
-Come
abbiamo potuto permettere che accadesse…?!- fu quello che disse, in
assenza
della possibilità di esprimere quello che aveva veramente bisogno di
dire. Non
poteva voltarsi, non poteva inginocchiarsi al suolo, non poteva
avvolgere le
sue braccia intorno ad Ace e almeno provare a scusarsi, per far sapere
all’altro quanto rimpiangeva, così tanto che non era neppure in grado
di fare
mente locale, quel momento di distrazione, di quell’allegria prematura
che ora
era costato loro tutto, lui, così caro.
Non
poteva perché doveva assicurarsi che quel bastardo di fronte a lui non
si
avvicinasse ancora ad Ace, che non potesse portar via persino i suoi
ultimi
pochi e preziosi momenti da lui.
Perché
la voce di Ace si stava velocemente affievolendo, così rapidamente che
non c’era
niente che nessuno potesse fare per riportarlo indietro.
Sentì
un ovattato suono di caduta, e seppe che l’unica cosa a tenere ancora
sollevato
Ace adesso era il suo fratellino.
-…Mi
dispiace, Rufy…- La voce di Ace gli arrivò come un quasi inudibile
respiro ora,
e Marco non permise a sé stesso di esitare mentre spingeva lontano il
marine
dall’uomo caduto, non permise a sé stesso di rischiare di lasciare
un’altra
opportunità all’ammiraglio di attaccare solo perché lui potesse udire
le ultime
parole di Ace.
Pugno
di Fuoco non glielo avrebbe mai perdonato se avesse rischiato che
qualcosa
accadesse al suo fratellino per quel desiderio egoista.
Quindi,
Marco si concentrò nel tenere il marine a bada, i suoi sforzi sventati
dalla
parte della sua mente che insisteva nel restare focalizzato sulla voce
di Ace,
quella voce che non si esprimeva a parole e che era ora così fioca che
dovette
sforzare i suoi sensi per sentirla al di sopra delle altre che
riempivano il
campo di battaglia.
Fino
a che quella voce non ci fu più.
Una
lacrima solitaria ruppe il suo tentativo di ricacciarle indietro, e le
agonizzanti grida di Cappello di Paglia Rufy fecero eco a quelle che
infuriavano dentro di lui.
Avvantaggiandosi
di quel momento di schiacciante terrore che lo sconvolse
nell’innegabile realtà
che Ace, Ace, era adesso morto,
Akainu ruppe la sua guardia, caricando dritto verso il fratello minore
di Ace
con l’ennesimo pugno di magma creato per disseminare morte.
Marco
quasi non reagì in tempo per prevenire che lo stesso attacco che si era
preso
la vita di Ace facesse lo stesso con quella di suo fratello.
E
lui si concentrò con tutta la sua volontà nel proteggere il ragazzo,
perché se
si lasciava sprofondare nel pensiero di come facilmente poteva bloccare
l’attacco, di come avrebbe potuto fare esattamente la stessa cosa per
Ace se
non fosse stato ammanettato con l’algamatolite, sarebbe crollato e non
sarebbe
più stato in grado di rialzarsi.
Invece,
urlò a tutti di proteggere il ragazzo, perché il Babbo aveva già dato
il suo
ultimo ordine e non poteva farlo.
Ma,
quando Jinbe portò via il novellino e il Babbo attaccò Akainu, Marco
non riuscì
a spingersi ad aiutare. Non ancora.
Si
voltò verso l’adesso relativamente calmo posto, i suoi occhi scivolando
sulla
figura adesso sdraiata di Ace e sul suo sorridente e calmo viso.
Se
non fosse stato per tutto il sangue e il fumo che proveniva dalla
ferita che,
se pulita, avrebbe permesso di osservare il suolo attraverso essa, non
ci
sarebbe stata la minima differenza con l’espressione dormiente che il
giovane
uomo assumeva nel sonno, la testa appoggiata sul petto di Marco.
Fu
solo l’adrenalina, l’adrenalina e la ferma determinazione adesso
istaurata nella
sua mente di non lasciare che il sacrificio di Ace fosse vano a
mantenerlo in
piedi.
Non
cadde sulle ginocchia, non cullò il corpo senza vita del suo amante tra
le sue
braccia, non baciò il suo insanguinato e sorridente viso e non scoppiò
in
lacrime. Si limitò ad osservarlo per il più lungo secondo della sua
vita, si
voltò e si diresse dove poteva sentire la voce del fratellino.
Marco
non cadde a pezzi in quel momento e in quel luogo, ma sapeva che, una
volta che
fosse caduto, sarebbe stato veramente difficile per lui rialzarsi
nuovamente.
E
non sarebbe, per sempre, stato più lo stesso. Una grande parte di lui
rimase
indietro nel roccioso e freddo suolo della Piazza Oris di Marineford, e
non
sarebbe mai più tornato indietro.
FINE
Sono
inevitabilmente commossa.
Non
credo di essere in grado di fare grandi commenti su questa one shot,
perché
davvero non ne ho le forze: se le è prese tutte questa storia. E se a
me è
bastato così poco per crollare, non
posso che ammirare la forza e la determinazione di Marco nel violentare
così sé
stesso e la sua coscienza per proseguire, per non abbandonarsi a una
disperazione che lo opprime. Senza contare il rispetto
e l’amore nei
confronti di Ace che guidano queste sue azioni, e il devastante senso di colpa e l’impotenza che lo
divorano.
Era
molto tempo che non pubblicavo una Marco/Ace di Mai, e sono felice di
essere
tornata con questa. Tradotta come premio traduzione per Virgilio;
spero che anche tu riterrai di aver fatto un’ottima
scelta.
Traduzione
eseguita dall’inglese, che non padroneggio quanto lo spagnolo: prego di
essere
riuscita comunque a trasmettervi tutte le sensazioni originali nel
rispetto
dello stile di Mai, e vi invito a segnalarmi eventuali errori o
imperfezioni.
Spero
deciderete di lasciare una recensione, e ringrazio in anticipo chi lo
farà:
Mai
se lo merita, questa storia se lo
merita. Ne sono fermamente convinta.
Alla
prossima.