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Autore: Mai Kusakabe    07/03/2015    2 recensioni
-Come abbiamo potuto permettere che accadesse…?!-
La battaglia di Marineford ha segnato profondamente innumerevoli persone, e il comandante della prima divisione della flotta di Barbabianca è tra queste. Molti degli avvenimenti sono stati narrati, tuttavia nessuno potrà mai raccontare di come Marco si sia sentito proprio lì, sul momento, mentre la speranza si sgretolava di fronte ai suoi occhi. [Marco/Ace]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese, D., Ace
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Autore originale: Mai Kusakabe
Traduzione: Lilian Potter
Pairing: Marco/Ace [Shonen-ai; raiting giallo]
Disclaimer: Tutti i diritti ad Eiichiro Oda, nessuno scopo di lucro.
Consiglio: Se siete dei veri masochisti ascoltatela con una canzone deprimente. Da parte mia è un consiglio raro, dato che non lo faccio mai per paura di distrarmi dal testo; ma per una volta l’ho fatto ed ho scelto FORGIVEN, dei WITHIN TEMPTATION, ed è stato meravigliosamente straziante visto pure quanto era appropriata per questo contesto. Se vi fidate e volete vivere angst puro, allora la consiglio anche a voi.

 

 
NOT YET

 

 

 

Il mondo si congelò.

 

Per un momento niente si mosse, niente fu udibile.

 

Silenzio, quiete, vuoto; tutto si ruppe in un improvviso boato di rantoli soffocati, urla ed esclamazioni sia di terrore che di trionfo, e il peggior incubo di tutti, quello che lo affliggeva dalle profondità della sua coscienza da quelle scorse settimane, si prese ogni aspetto della realtà.

 

Lì, il sogno, il brillante futuro che si era convertito in incertezza momenti fa, andava ora in frantumi mentre Ace stava lì, congelato per eterni secondi, una ferita spalancata di carne fusa, sangue a fumo aperta nel suo stomaco e, quando il marine si ritrasse dopo il suo attacco, le gambe di Ace cedettero e lui cadde sulle ginocchia.

 

Marco, il corpo freddo e così pesante che non avrebbe dovuto essere in grado di reggersi da sé, sentì il suo cuore fermarsi per un intero secondo prima di vedere, l’orrore finalmente prevalendo sullo shock e l’incredulità, come Akainu si approcciava a colpire un ancora respirante Ace.

 

Notò appena Jinbe fermare momentaneamente l‘uomo, i suoi occhi muovendosi disperatamente intorno mentre urlava, ancora una volta, a qualcuno di rimuovere le sue manette. Allo stesso ragazzo che aveva rimosso quelle di Ace di farlo.

 

E dopo era lì, accanto a Vista a bloccare il prossimo attacco dell’ammiraglio, la sua attenzione molto più focalizzata su quello che ora era dietro di lui che sul suo avversario.

 

-Come abbiamo potuto permettere che accadesse…?!- fu quello che disse, in assenza della possibilità di esprimere quello che aveva veramente bisogno di dire. Non poteva voltarsi, non poteva inginocchiarsi al suolo, non poteva avvolgere le sue braccia intorno ad Ace e almeno provare a scusarsi, per far sapere all’altro quanto rimpiangeva, così tanto che non era neppure in grado di fare mente locale, quel momento di distrazione, di quell’allegria prematura che ora era costato loro tutto, lui, così caro.

 

Non poteva perché doveva assicurarsi che quel bastardo di fronte a lui non si avvicinasse ancora ad Ace, che non potesse portar via persino i suoi ultimi pochi e preziosi momenti da lui.

 

Perché la voce di Ace si stava velocemente affievolendo, così rapidamente che non c’era niente che nessuno potesse fare per riportarlo indietro.

 

Sentì un ovattato suono di caduta, e seppe che l’unica cosa a tenere ancora sollevato Ace adesso era il suo fratellino.

 

-…Mi dispiace, Rufy…- La voce di Ace gli arrivò come un quasi inudibile respiro ora, e Marco non permise a sé stesso di esitare mentre spingeva lontano il marine dall’uomo caduto, non permise a sé stesso di rischiare di lasciare un’altra opportunità all’ammiraglio di attaccare solo perché lui potesse udire le ultime parole di Ace.

 

Pugno di Fuoco non glielo avrebbe mai perdonato se avesse rischiato che qualcosa accadesse al suo fratellino per quel desiderio egoista.

 

Quindi, Marco si concentrò nel tenere il marine a bada, i suoi sforzi sventati dalla parte della sua mente che insisteva nel restare focalizzato sulla voce di Ace, quella voce che non si esprimeva a parole e che era ora così fioca che dovette sforzare i suoi sensi per sentirla al di sopra delle altre che riempivano il campo di battaglia.

 

Fino a che quella voce non ci fu più.

 

Una lacrima solitaria ruppe il suo tentativo di ricacciarle indietro, e le agonizzanti grida di Cappello di Paglia Rufy fecero eco a quelle che infuriavano dentro di lui.

 

Avvantaggiandosi di quel momento di schiacciante terrore che lo sconvolse nell’innegabile realtà che Ace, Ace, era adesso morto, Akainu ruppe la sua guardia, caricando dritto verso il fratello minore di Ace con l’ennesimo pugno di magma creato per disseminare morte.

 

Marco quasi non reagì in tempo per prevenire che lo stesso attacco che si era preso la vita di Ace facesse lo stesso con quella di suo fratello.

 

E lui si concentrò con tutta la sua volontà nel proteggere il ragazzo, perché se si lasciava sprofondare nel pensiero di come facilmente poteva bloccare l’attacco, di come avrebbe potuto fare esattamente la stessa cosa per Ace se non fosse stato ammanettato con l’algamatolite, sarebbe crollato e non sarebbe più stato in grado di rialzarsi.

 

Invece, urlò a tutti di proteggere il ragazzo, perché il Babbo aveva già dato il suo ultimo ordine e non poteva farlo.

 

Ma, quando Jinbe portò via il novellino e il Babbo attaccò Akainu, Marco non riuscì a spingersi ad aiutare. Non ancora.

 

Si voltò verso l’adesso relativamente calmo posto, i suoi occhi scivolando sulla figura adesso sdraiata di Ace e sul suo sorridente e calmo viso.

 

Se non fosse stato per tutto il sangue e il fumo che proveniva dalla ferita che, se pulita, avrebbe permesso di osservare il suolo attraverso essa, non ci sarebbe stata la minima differenza con l’espressione dormiente che il giovane uomo assumeva nel sonno, la testa appoggiata sul petto di Marco.

 

Fu solo l’adrenalina, l’adrenalina e la ferma determinazione adesso istaurata nella sua mente di non lasciare che il sacrificio di Ace fosse vano a mantenerlo in piedi.

 

Non cadde sulle ginocchia, non cullò il corpo senza vita del suo amante tra le sue braccia, non baciò il suo insanguinato e sorridente viso e non scoppiò in lacrime. Si limitò ad osservarlo per il più lungo secondo della sua vita, si voltò e si diresse dove poteva sentire la voce del fratellino.

 

Marco non cadde a pezzi in quel momento e in quel luogo, ma sapeva che, una volta che fosse caduto, sarebbe stato veramente difficile per lui rialzarsi nuovamente.

 

E non sarebbe, per sempre, stato più lo stesso. Una grande parte di lui rimase indietro nel roccioso e freddo suolo della Piazza Oris di Marineford, e non sarebbe mai più tornato indietro.

 

FINE

Sono inevitabilmente commossa.
Non credo di essere in grado di fare grandi commenti su questa one shot, perché davvero non ne ho le forze: se le è prese tutte questa storia. E se a me è bastato così poco per crollare, non posso che ammirare la forza e la determinazione di Marco nel violentare così sé stesso e la sua coscienza per proseguire, per non abbandonarsi a una disperazione che lo opprime. Senza contare il rispetto e l’amore nei confronti di Ace che guidano queste sue azioni, e il devastante senso di colpa e l’impotenza che lo divorano.
Era molto tempo che non pubblicavo una Marco/Ace di Mai, e sono felice di essere tornata con questa. Tradotta come premio traduzione per Virgilio; spero che anche tu riterrai di aver fatto un’ottima scelta.

Traduzione eseguita dall’inglese, che non padroneggio quanto lo spagnolo: prego di essere riuscita comunque a trasmettervi tutte le sensazioni originali nel rispetto dello stile di Mai, e vi invito a segnalarmi eventuali errori o imperfezioni.

Spero deciderete di lasciare una recensione, e ringrazio in anticipo chi lo farà:
Mai se lo merita, questa storia se lo merita. Ne sono fermamente convinta.

Alla prossima.

 

  
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