Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: JoiningJoice    07/03/2015    2 recensioni
Durante l'ultima battaglia tra le rispettive fazioni, Jean raggiunge Annie per chiederle la verità sulla morte di Marco. Lei gliela racconta.
Marco si asciugò le lacrime con la manica della maglia. - Credevo mi odiassi. - rivelò, senza alcuna ragione particolare. La sua voce suonava come quella di un bimbo piccolo.
- Io non odio i deboli. - mormorò lei, sorpassandolo e aprendo la porta dell'edificio a cui Marco si era appoggiato – un vecchio capannone in cui venivano stipate scorte di ogni genere. - Ma quelli che non mi danno retta sì. -
Marco le sorrise. Era un sorriso tremulo e stupido, e Annie sbuffò di fronte a quella smorfia, ma Marco seppe che l'aveva apprezzato onestamente dal modo in cui scosse la testa. Sapeva che era per nascondere un sorriso spuntato sulle sue, di labbra – così poco abituate a quell'apparizione. Decise che Jean poteva aspettare.

Marco/Jean one-sided con accenni di Marco/Annie.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Annie Leonhardt, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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I'll tell you my sins (and you can sharpen your knife)




- Devi dirmi la verità. -

Chiasso, rumore di una battaglia. Annullò quel rumore troppo lontano, concentrandosi sul recuperare il poco respiro che aveva e sui passi attenti e calcolati di fronte a lei, seguiti dallo stridio metallico della spada contro il pavimento.

Non aveva obiettato, pur consapevole che ciò non avrebbe portato a nulla di buono. Quel ragazzo meritava una spiegazione, pur ignorando che ciò l'avrebbe fatto soffrire più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Alzando il capo da terra aveva sorriso piano, pronunciando poi la verità che lui si aspettava di sentire.

Inutile dirlo, non gli era piaciuta.


* * *


Le prime parole che lei gli rivolse non furono nulla di memorabile. Lui le capitò davanti durante il primo giorno – e lei, il naso aquilino affondato dentro a un libro, gli sembrò solo una delle tante possibili persone a cui chiedere informazioni circa la direzione da prendere per raggiungere lo spogliatoio maschile. Certo, l'aveva notata di sfuggita di nuovo durante lo smistamento – difficile non farlo, con quel volto bello in maniera assolutamente particolare e con quei capelli biondi... per non parlare del modo in cui l'istruttore aveva ignorato totalmente il suo sguardo duro e stoico e l'aveva risparmiata dalla ramanzina a cui aveva sottoposto tutti loro. Ma smise di pensare a lei nel momento in cui si fece avanti per aiutare il ragazzo alla propria sinistra a rialzarsi dalla caduta causata dalla testata dell'istruttore, nonostante la riluttanza di quest'ultimo. Voleva dare la migliore impressione di sé, e quella era la sua occasione.

Il ragazzo però lo mollò sulla porta del dormitorio, insistendo riguardo il recarsi da solo in infermeria. Marco comprese il suo essere nervoso – lo erano tutti, al momento. C'era come un crepitio nervoso che rendeva l'aria frizzante, satura di aspettativa. L'istruttore aveva parlato di disertori e morti, e le domande che tutti si ponevano era proprio riguardo chi sarebbe stato il primo a mollare la presa, e chi il primo a rimetterci le cuoia.

Marco non aveva intenzione di fare nessuna delle due cose. La vita militare poteva essere faticosa, spesso anche crudele, ma la fatica non lo spaventava e alla crudeltà avrebbe pensato quando questa sarebbe arrivata. Si cambiò di nuovo in abiti civili per la cena, osservando il posto accanto al suo letto: era occupato da una sacca da viaggio ancora chiusa e nessun ragazzo. Si chiese distrattamente se il grande assente fosse il ragazzo che aveva cercato di aiutare, ma venne continuamente distratto dalle chiacchiere degli altri ragazzi in vena di fare amicizia quanto lui.

Li conobbe tutti rapidamente – Thomas, Mylius, Nac e Dazz, Eren e Armin, Reiner e Bertholdt, Connie e infine Jean, il suo compagno di letto e apparentemente il ragazzo a cui l'istruttore aveva dato una testata degna di essere ricordata per sempre. La sera stessa corse verso il loro letto paonazzo in volto e ansimante, lasciando Marco indeciso sul da farsi.

- Ti senti bene? - chiese, allungando il collo verso l'esterno e verso di lui, che si ritrasse come colto sul punto di commettere un crimine. Scosse la testa, apparentemente più agitato di quanto non fosse stato durante la cena, alla mercè di una discussione parecchio accesa con Eren.

- Sì, sto bene. - mormorò, procedendo poi a buttarsi sul materasso e gettarsi la sottile coperta sulle spalle. Non c'erano tracce di bendaggi sulla fronte, ma Marco preferì chiedere, e a quel punto Jean si voltò a fissarlo con una furia tutta nuova in corpo.

- Lentiggini. - sillabò, facendosi sempre più avanti. - Chiariamo una cosa. Non sono venuto qui a socializzare, e tu mi stai disturbando. Buonanotte. -

Mentre si voltava per coprirsi nuovamente, Marco realizzò di essersi fatto una prima impressione di Jean. E non era da lui, ma questa prima impressione poteva essere rapidamente riassunta in poche, semplici parole.

Ma che stronzo.


*


Al quarto mese di addestramento gli capitò di dover sfidare Annie per la prima volta in un combattimento corpo a corpo. La ragazza aveva ormai qualcosa di più di una vaga fama a precederla, avendo messo al tappeto praticamente tutti quelli abbastanza stupidi da provocarla dall'inizio del corso, e Marco ringraziava ogni giorno che lei non l'avesse ucciso quando lui le aveva chiesto indicazioni il primo giorno. Aveva imparato da un livido particolarmente violaceo sul fianco di Connie che nessuno interrompeva Annie mentre lei leggeva. Nessuno.

- Quindi, uh. - mormorò, nel posizionarsi di fronte a lei con il pugnale di legno in mano. Quindi, uh. Grande dialettica, Bodt. - Oggi siamo io e te, eh? -

Lei rispose con un'unica scrollata di spalle e zero cambiamenti d'espressione. Non guardò nemmeno nella sua direzione fino a quando Marco non scattò in avanti – e a quel punto scomparve, letteralmente scomparve sotto lo sguardo di Marco. L'attimo di panico provato di fronte a quella rapidità gli costò il duello, dato che lei ricomparve proprio in quel momento, afferrando il suo braccio e portandolo dietro alla schiena. Il dolore alla spalla torta fece sì che Marco emettesse un urlo gutturale, mollando la presa sul pugnale – che rotolò nel terreno polveroso dove lei lo raccolse, mollando la presa su di lui.

- Di solito si limitano a spostarsi dalla mia carica. - mormorò, massaggiandosi la spalla urtata. - Non era necessario che mi disarmassi. -

Annie alzò gli occhi al cielo, girando poi il pugnale per rivolgerlo dalla parte dell'impugnatura a lui. Marco lo fissò perplesso.

- Non hai intenzione di attaccarmi? -

- Sei uno di quelli idioti che ci provano seriamente? -

Quello attirò l'attenzione di Marco. Erano le prime parole che lei gli rivolgeva dal primo giorno, e faticava leggermente a comprenderne il significato. Si grattò la nuca in un tic involontario, guadagnandosi una seconda occhiata al cielo.

- Questi duelli non mi interessano. Trovati un altro partner, Bodt. -

Beh, ricordava il suo nome. Fu abbastanza perchè Marco decidesse di trotterellarle dietro un altro po' dopo aver raccolto il pugnale lasciato cadere da lei sul terreno con un gesto annoiato.

- Come mai non sei interessata al corpo a corpo? Sembri brava a combattere. -

Un sospiro, nessuna risposta effettiva. Fu sul punto di insistere, quando qualcuno lo tirò indietro – qualcuno con capelli biondo cenere e un'espressione evidentemente impanicata dipinta sul volto.

- Lentiggini, l'istruttore sta venendo da questa parte e se non fingo nemmeno di star impegnandomi mi farà lo scalpo. - Oh, Jean. Marco sorrise comprensivo; Jean poteva avergli dato l'impressione di uno stronzo – impressione non del tutto errata – ma era un essere umano abbastanza decente da avere intorno, a parte per quei momenti di depressione in cui si convinceva di far schifo e nulla poteva convincerlo del contrario. Oh, e l'abitudine di chiamarlo Lentiggini. Marco sperava sarebbe passata dopo una settimana o due di convivenza forzata, ma no – si era solamente accentuata.

- Non mi chiamo Lentiggini. - volle fargli notare, mentre afferrava le sue braccia per bloccarle lontano dal suo corpo e dal pugnale. Jean strinse i denti e lo fissò. - Il mio nome è Marco. -

Il ginocchio di Jean si alzò rapido verso il suo inguine, ma Marco lo lasciò andare all'improvviso e si tirò indietro, facendolo quasi crollare a terra. L'istruttore passò accanto a loro e li superò con un'espressione leggermente soddisfatta sul volto, e Jean si girò a guardare Marco con un'espressione di totale sufficienza.

- Tu sei uno di quegli scemi che fanno sul serio, vero? - domandò. Di nuovo quelle domande nel giro di così poco? Marco scosse la testa, di nuovo perplesso.

- Cosa intendi? -

Jean gli sorrise sarcastico. - Il duro lavoro raramente paga. Hai intenzione di farti un culo così fino a crepare? -

Marco fissò il pugnale nel proprio pugno a bocca aperta. Era questo che intendeva Annie? Che era un idiota per il semplice fatto che aveva provato a dare di più del necessario? - Io... voglio servire il Re. - mormorò solamente. Era il suo mantra personale, una motivazione su cui aveva costruito praticamente tutta la sua adolescenza. Se bastavano le parole di un semisconosciuto ad abbatterla, che cosa aveva veramente?

Per qualche motivo, quella frase aveva fatto ridere Jean. - Beh, scrivimi quando starai pelando patate a Sua Maestà. Io ho intenzione di diventare ricco e basta. - rivelò. Si fece poi più serio, come se avesse esaurito il sarcasmo tutto d'un colpo. - Tu non mi piaci, Bodt. Non ti capisco. -

Mentre si allontanava, Marco decise di non fargli notare un numero abbastanza rilevante di cose. Primo: nella visuale delle cose dell'intero mondo, impegno equivaleva a risultati, e il solo fatto che Jean stesse cercando di ottenere un risultato era segno di quanto ipocrita fosse la sua logica di “Il duro lavoro raramente paga”. Secondo: poteva sembrare un idiota, ma aveva in corpo abbastanza orgoglio da non lasciare che la frase di due sconosciuti abbattesse le certezze di una vita.

Terzo: lui ed Annie erano praticamente opposti, ma si sentiva attirato da entrambi in maniera pericolosa.

Quarto: Jean era stato probabilmente sincero nell'ammettere che non gli piaceva, ma aveva usato il suo cognome, nessuna menzione di lentiggini.


*


- Penso che dovresti provare ad aprirti un po' di più alle persone. -

Ecco, l'aveva combinata grossa. Sua madre avrebbe seppellito le sue ossa in giardino, poco ma sicuro. Magari gli avrebbero consegnato anche la sua divisa, se ne fossero rimasti abbastanza pezzi non impregnati del suo stesso sangue. Beatrice e Isaac si sarebbero ricordati di portare dei fiori sulla sua tomba, e di non lasciare che il loro cane ci passasse sopra? Sperava di sì.

Eppure, lo sguardo che Annie gli rivolse in risposta gli apparve più perplesso che arrabbiato. - Come, prego? - domandò, come se non avesse capito. Marco dubitava che avrebbe mai avuto abbastanza coraggio da ripetere la stessa frase, quindi cambiò tattica.

- Ti ho visto parlare con Mina e Sasha. Mi sono detto “Ehi, allora anche Annie vuole farsi degli amici” - Un sopracciglio biondo scattò in aria alla menzione del fatto che Marco l'aveva osservata. - E ho pensato che, ecco, avrei potuto aiutarti. -

Lei assunse un'espressione ancora più perplessa. - Perchè mai dovrei volere il tuo aiuto? -

Marco aveva quattordici anni, ora, ed era alto un metro e settanta. Di fronte agli occhi penetranti della ragazza, si sentì piccolo quanto un cucchiaino da caffè. Uno di quelli che sua madre conservava e utilizzava solo in presenza di ospiti. Uno di quelli che probabilmente non rivedrai, dato che Annie ti ucciderà seduta stante. - Perchè mi piace aiutare le persone. - ammise, abbassando le spalle sempre di più, terrorizzato.

A dir poco sorprendente, Annie non l'aveva decapitato sul posto. Si era limitata a scrollare le spalle in maniera familiare, tornando a pulire l'alta pila di scodelle di fronte a lei. Un anno di addestramento, e Marco era giunto alla conclusione che il turno in cucina sarebbe stato molto più piacevole se fosse riuscito a far socializzare Annie con gli altri.

- Non sono qualcuno che puoi aiutare, Bodt. -

Il suo cognome sulle sue labbra aveva uno strano sapore. Era disgusto? Marco afferrò l'ultimo piatto della pila e lo calò nell'acqua calda, pulendo i resti della cena con un panno. - Questo non puoi dimostrarlo. -

Ok. Quella da dove diavolo gli era uscita?

Annie interruppe il suo lavoro per rivolgergli un'occhiata che sì, questa volta ballava da qualche parte tra il furioso e l'omicida. - Torno subito. - sussurrò Marco, ma dovette suonare come un fischio, perchè la sua voce aveva improvvisamente deciso di raggiungere acuti inimmaginabili. Si sottrasse a quello sguardo per correre verso l'ingresso, dove Jean e Christa cercavano di trasportare le vivande appena arrivate all'interno della cucina.

- Credo Annie voglia uccidermi. - dichiarò a Jean, sollevandolo del peso di varie cassette d'arance. Jean sbuffò.

- E dov'è la novità? -

- Nei dormitori non è così musona. - rivelò Christa, abbandonando il sacco di patate a terra e asciugandosi il sudore della fronte. - Non parla con nessuno, ma non cerca nemmeno di allontanarci quando la approcciamo. -

- Forse ha paura dei ragazzi. - ghignò Jean, sedendosi su un secchio rovesciato e aprendo il sacco di iuta abbandonato da Christa, che si sedette di fronte a lui.

- Jean, non parlare male di Annie. - lo redarguì. Jean mise il broncio, ma smise di parlare. Christa aveva un'ascendente pressochè divino su tutti loro; neanche Marco, evidentemente disinteressato in lei, poteva negare la sua bellezza. Evidentemente, si ripetè, evitando di fissare il modo in cui le dita di Jean si alzavano a carezzare la propria guancia da un livido provocato da una caduta da cavallo quel pomeriggio. Fissarle avrebbe portato solo a pensieri che aveva iniziato a reprimere una nottata particolarmente lunga e dolorosa di un paio di settimane prima, e al momento non aveva bisogno di altri problemi. Il fatto che l'antipatia che Jean provava nei suoi confronti avesse iniziato a scemare gradualmente non aiutava.

- Se c'è qualcuno che può approcciarla, quel qualcuno sei tu. - annuì Christa, sempre di supporto. Marco le rivolse un sorriso triste.

- Ci ho provato, ma non voglio provocarla più del necessario. - guardò la piccola e temibile figura davanti al lavabo. - I suoi calci fanno male. -

- Ti sei offerto di aiutarla con i suoi problemi, non di essere suo amico. - Gli sguardi di Christa e Marco si voltarono rapidi verso la voce che aveva espresso quel pensiero, facendo alzare le spalle a Jean. - Che c'è? Credete che sia davvero così cretino da non capirci nulla di queste cose? -

- È più una questione di sensibilità. - mormorò Christa. E tu non sei esattamente la persona più sensibile che conosciamo, completò Marco mentalmente. E tuttavia, Jean aveva ragione: Marco non ci aveva davvero provato. Si riavvicinò ad Annie con rinnovata fiducia – e le mani pronte a parare un cazzotto che fortunatamente non arrivò.

- Annie? -

- Sì? -

Nessun “Credevo avessi esaurito la voglia di farti uccidere per una sera”, era già qualcosa. Tossì leggermente, iniziando ad asciugare i piatti e le scodelle con lei. - Riguardo il discorso di prima... pensavo che se non ti va di fare amicizia con qualcuno, posso... posso sempre provarci io. A fare amicizia con te. -

Annie chinò il capo e continuò ad asciugare i piatti con lenti movimenti circolari. Il suo ciuffo biondo ricadeva in avanti, impedendo a Marco di vedere il suo volto; ma qualcosa nel suo sospiro e nella generale arrendevolezza della sua posizione gli sussurrò che non sarebbe morto, non quella sera.

- Per quel poco che ne so. - rispose lei infine, senza guardarlo. - Non è chiedendo a qualcuno di fare amicizia che diventi suo amico. -

- Giusto. - Marco si grattò la nuca. - Ti aspetterò tutte le sere in sala mensa. Potremmo parlare lì. Che ne pensi? -

Marco dovette attendere cinque minuti pieni per una risposta che non si aspettava sarebbe arrivata.

- Non verrò. -

Marco ne era consapevole, ma qualcosa nel suo tono – o forse era solo la voce della propria delusione, intenta ad urlare che doveva dedicare la propria vita a qualcosa di più - gli disse di farlo comunque.


*


- Dove sgattaioli via tutte le notti da sei mesi a questa parte? -

Marco saltò su all'improvviso, quasi colpendo con la testa il fondo del letto sopra al suo. Avere una crescita veloce in quei maledetti dormitori equivaleva alla morte, ed era sicuro di aver sentito Bertholdt piangere di gioia per essersi accaparrato il letto in alto quando aveva toccato il metro e ottantotto. - Non sgattaiolo via tutte le notti. - mormorò, voltando pagina ed evitando lo sguardo felino di Jean, attualmente sdraiato nel materasso accanto al suo in pose al limite della decenza. Lo vide tirare fuori uno dei suoi ghigni a quella risposta. Sembrava quasi che annusasse le bugie. O forse Marco faceva solo schifo a mentire.

- Noooon me la beeeevo. - canticchiò, voltandosi sulla pancia e piazzando una mano sul libro di Marco. Il maggiore dovette alzare il volto per nascondere il rossore sulle guance. La mano era vicino al suo inguine. Troppo vicino. Troppo vicino.

- S...sei di buon umore, stasera. - constatò, riprendendosi il libro e rifugiandosi nell'angolo più lontano del letto. Erano soli nel dormitorio – tutti gli altri erano usciti per la cena, ma l'influenza che circolava al campo era stata perfida e li aveva contagiati per ultimi, e l'infermiera aveva dettato ad entrambi un regime di totale riposo che aveva a dir poco irritato l'istruttore... e giocato decisamente a sfavore di Marco. In assenza degli altri, Jean tendeva a perdere ogni facciata di durezza e si comportava quasi come un bambino dispettoso.

- Avanti, dimmelo. - rise, avvicinandosi all'angolo in cui Marco si era introppolato. - Altrimenti vengo lì e ti infetto. -

- Ho...ho già l'influenza. - mormorò. Fece in tempo ad urlare, prima che Jean fosse su di lui: lo intrappolò contro al materasso con una risata quasi folle, e il libro cadde da qualche parte oltre i materassi e sul pavimento. La testa di Marco fece presto la stessa fine, trattenuta a mezz'aria solo dalla presa di Jean sul suo colletto.

- È per Annie? - domandò Jean. L'ombra di una rivelazione passò sul suo volto. - Vi vedete di notte? -

Marco posò entrambe le mani sul braccio di Jean, ma il sangue alla testa cominciava ad annebbiargli la vista e il senso della percezione. Strinse inutilmente, cercando di far sì che lo lasciasse. - Io non... non mi vedo con Annie. -

Non era venuta nemmeno una volta, e non aveva menzionato quelle sue assenze durante le poche volte in cui si erano parlati. Nessuna scusa, niente di niente. Ma non era quella la cosa che innervosiva Marco: no, era l'idea che Jean considerasse l'idea di lui con una ragazza ad innervosirlo. Non aveva davvero notato come rimanesse in silenzio ogni volta che si parlava di una ragazza? Non era consapevole che in una stanza piena di persone, lo sguardo di Marco ricadeva sempre solamente su di lui? Non vedeva il modo in cui la sua espressione si irrigidiva se Mikasa veniva menzionata, non capiva cosa significassero quelle giornate passate solamente ad attendere che Jean si calmasse da una delle sue crisi di nervi, non...

- Non capisci davvero quanto sei importante per me? -

Non poteva più sopportarlo. Era da tempo ormai che aveva realizzato che non si trattava solo di una reazione o attrazione fisica – ogni lato di Jean era nella sua mente, costantemente. C'erano i suoi lineamenti rigidi, e il suo tono di voce eternamente provocatorio. C'erano le lacrime che aveva versato addosso a Marco mormorando quanto si odiasse e quanto pretendesse di più da se stesso, e c'era la sensazione dei suoi capelli contro le dita – il modo in cui andavano da rigidi e ispidi sulla nuca a soffici e setosi dove non erano stati rasati, simili alla personalità di Jean, e Marco la cercava come non aveva mai cercato nient'altro al mondo.

La trovò, scoprendo anche che il tempo sembrava essersi fermato nello sguardo perplesso ed impaurito di Jean, e scoprendo quanto fosse facile far sì che si chinasse verso di lui, e scoprendo quanto maledettamente bene le sue labbra coincidessero con le proprie. Fu appena un tocco – Jean non premette contro di lui, Marco non sentì nessuna scossa elettrica attraversare i loro corpi. Fu appena un tocco – e quando quel tocco scomparve gli occhi verdi di Jean furono lì per riempire quel tocco di sconvolto disgusto, e Marco seppe di aver rovinato la parte più bella della sua vita per sempre.

- Mi dispiace...- sussurrò, ma era troppo tardi. Jean si era allontanato da lui allo stesso modo in cui varie notti gli si era avvicinato – rapido, inaspettato. Lo fissò caracollare verso la porta incapace di fermarlo e incapace di pronunciare parole che non fossero infinite ed inutili scuse, e lo fissò chiudersi la stessa porta alle spalle.

Riuscì ad alzarsi da quella posizione solo quando il collo non ne potè più, quando ogni lacrima fu versata e i suoi occhi furono rossi e gonfi di pianto. Eppure, fuggendo da quel letto e da quella stanza che ora sapeva avrebbe odiato per sempre, scoprì di avere ancora molte lacrime da piangere – e che il cielo aveva deciso di compatirlo, piangendo tutte le sue lacrime sotto forma di una pioggia scrosciante e infinita. Era seduto sotto una minuscola tettoia che lo riparava appena dall'acqua, ancora impegnato a piangere, quando venne trovato. Da lei, di tutte le persone.

- Ehi. - mormorò, cercando di suonare il meno patetico possibile. Lei fissò a lungo il suo volto rosso dal pianto, prima di rispondere.

- Ehi. -

Avrebbe dovuto odiarla? Decise di no. La colpa era sua, e sua solamente. Aveva baciato Jean a causa delle sue provocazioni, ma avrebbe potuto baciarlo in qualunque momento e per qualunque ragione. Annie era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

- Sono andati tutti a dormire. - spiegò lei. Non ce n'era alcun bisogno, ma Marco lo trovò confortante. - E credono che sei in infermeria, quindi non ti stanno cercando. Neanche a quello coi capelli rasati da scemo. -

Suo padre una volta gli aveva detto che la bellezza era relativa; ciò che è bello per noi apparirà orribile o insignificante a qualcun altro. Non potè non scoppiare a ridere amaramente, di fronte all'affermazione di Annie – che in cambio aprì appena la bocca, di nuovo sconcertata dal suo comportamento.

- Incredibile. - mormorò, ripetutamente. Annie sospirò.

- Non sopporto quelli che piangono, e non sopporto quelli che ridono come degli isterici mentre piangono. - rivelò. Marco la fissò sorpreso. - Entra ad asciugarti, principessa. Non ho intenzione di caricarti di peso e trascinarti fino al tuo letto, quando sverrai. -

Marco si asciugò le lacrime con la manica della maglia. - Credevo mi odiassi. - rivelò, senza alcuna ragione particolare. La sua voce suonava come quella di un bimbo piccolo.

- Io non odio i deboli. - mormorò lei, sorpassandolo e aprendo la porta dell'edificio a cui Marco si era appoggiato – un vecchio capannone in cui venivano stipate scorte di ogni genere. - Ma quelli che non mi danno retta sì. -

Marco le sorrise. Era un sorriso tremulo e stupido, e Annie sbuffò di fronte a quella smorfia, ma Marco seppe che l'aveva apprezzato onestamente dal modo in cui scosse la testa. Sapeva che era per nascondere un sorriso spuntato sulle sue, di labbra – così poco abituate a quell'apparizione. Decise che Jean poteva aspettare.


*


Per qualche strano motivo, ritrovarsi faccia a faccia con lui dopo aver passato un paio d'ore seduto accanto ad Annie senza pronunciare una sola parola fu incredibilmente facile. Si scambiarono soltanto un saluto annoiato in corridoio e poi andarono per strade separate. Jean non era lì quando Marco era tornato, dopo aver salutato Annie. Marco non si chiese dove avesse trascorso la notte.

Annie tornò quella sera stessa – questa volta Marco aveva portato con sé una candela e un telo da appendere di fronte alla finestra. - Puoi leggere, se vuoi. Ho visto che ti piace. - spiegò. - E il telo dovrebbe impedire di vedere la luce della candela. -

La terza notte, lei portò con sé due libri. Marco prese quello che lei aveva lasciato per terra senza troppe domande.

I giorni divennero settimane. Le cose tra lui e Jean sembravano essersi silenziosamente appianate – nessuno dei due tirò fuori l'argomento, e nessuno dei due tentò l'approccio fisico con l'altro, nemmeno durante le crisi di pianto di Jean. Qualunque cosa avesse fatto la notte in cui lo aveva baciato doveva aver cancellato dalla sua memoria l'avvenimento.

Marco giunse alla conclusione che se lui l'avesse affrontato di petto e ne avessero parlato, probabilmente avrebbe fatto meno male di quel silenzio finto.

Annie non gli chiese mai perchè l'avesse trovato a piangersi via l'anima fuori dai dormitori, e Marco non le domandò cosa ci facesse a vagare attorno al bosco a quell'ora, e da sola. Iniziarono a conversare durante i loro incontri – perlopiù dei libri letti, almeno all'inizio. Durante il giorno parlavano solo quando necessario, mai di loro spontanea volontà. Sembrava che Annie stesse nascondendo un segreto dagli altri – quello dei suoi incontri serali con Marco – e dal mondo intero – qualcosa che non sapeva neppure Marco.

Avevano raggiunto una parvenza di stabilità che si rivelò precaria e apparente solo la notte in cui Marco commise l'errore più grosso della sua vita. E anche Annie.

- Sei mai stata innamorata? - le domandò. Annie chiuse piano il libro che stava leggendo, lasciando un dito lungo e bianco tra le pagine per tenere il segno, poi scosse la testa.

- Come fai a saperlo, se non sei mai stata innamorata? - domandò di nuovo. Annie sbuffò, chiaramente imbarazzata dalla domanda. - Qual è la persona verso cui hai provato i sentimenti più forti che tu abbia mai provato? -

Annie ci pensò su. - Mio padre. - rivelò infine. Marco strinse i denti, e gli sembrò di vedere l'ombra di un sorriso sulle labbra di lei.

- Ok, non è divertente. -

- Non ho mai detto che avrebbe dovuto esserlo. - Marco la fissò finchè lei non si sistemò per essere voltata nella sua direzione. - Non sto parlando di amore. Sto parlando d'odio. Ed è la cosa più forte che abbia mai provato, per tua sfortuna. -

Marco chiuse gli occhi, sentendo qualcosa salirgli dal profondo. Prima di potersi trattenere era esploso a ridere, di fronte a un'attonita Annie. - Oh, non ho mai odiato nessuno. Ma ho visto delle persone odiare qualcuno. Non sono sicuro sia la stessa cosa. -

- Gli ho rotto il braccio perchè insisteva che mi allenassi praticamente ventiquattro ore al giorno, ogni giorno. - rivelò lei. Lui scosse la testa.

- Come sospettavo, non ci siamo. -

Come invitandolo a sfidarla, Annie rimase a guardarlo da sopra la candela. Anche Marco si sistemò davanti alla luce, prendendo fiato. Quello era qualcosa che non aveva mai raccontato a nessuno, o ripetuto ad alta voce.

- Quando avevo cinque anni mia madre mi portò a fare un giro al mercato della mia cittadina. - cominciò, stringendo le ginocchia tra le braccia. - Che si teneva proprio vicino ad una chiesa del Culto delle Mura. Non ricordo come scappai dalla sua presa, ma prima di rendermene conto ero fuggito e andavo verso la chiesa. Credo centrasse il suono delle campane, volevo vederle da vicino. Raggiunsi la piazzata davanti alla chiesa, e fu allora che lo vidi. - Mimò un cappio attorno al collo. - Un uomo in procinto di essere, beh, condannato a morte per impiccagione. Ci saranno state decine e decine di persone a guardare, e molte di loro scagliavano pietre contro il corpo del ragazzo, segnato da lividi e sangue. Avrà avuto la mia età ora. Ero terrorizzato.

- Mia madre mi raggiunse subito dopo, chiedendomi di andare via nel panico, ma io volevo disperatamente capire. Proprio quando stava per portarmi via, la folla si chiuse attorno a noi e un altro ragazzo uscì dalla chiesa, seguito da quello che credo fosse suo padre, un prete e un boia. Il boia si diresse verso il ragazzo in procinto di essere condannato, mentre il prete spiegava che entrambi i ragazzi si erano sporcati del peccato di sodomia, ma che il più giovane era stato purificato, mentre il condannato rifiutava di pentirsi del peccato commesso.

- Anche a quella distanza e nonostante l'età, ricordo molto bene i dettagli. Ricordo le braccia di mia madre strette attorno a me, e che tremava. Ricordo le lacrime sul volto del ragazzo “purificato”, e il suo sguardo correre ad incontrare quello del ragazzo lapidato. E ricordo la mano del boia stringersi attorno alla leva che azionò la piattaforma, ma poi non ricordo più nulla. Divenne tutto buio. -

Solo allora Marco si rese conto di star piangendo lacrime calde e lente, che andarono ad unirsi sotto il suo mento. - Il boia indossava una giacca della Polizia Militare. - rivelò. - Pochi giorni dopo decisi che quello che avevo visto era sbagliato. Che volevo impedire che una cosa del genere accadesse di nuovo. Che volevo essere migliore. -

Chinò il capo. Per qualche motivo, piangere di fronte all'espressione disinteressata di Annie era molto più difficile che farsi scoprire a piangere da lei. Ma lì, al buio, poteva sfogarsi. Lì, al buio, poteva ammetterlo. Almeno a sé stesso.

- Che idiota sono stato a innamorarmi di lui. -

- Jean. -

Marco alzò la testa al suono di quel nome. Annie lo fissava serissima in volto – la luce della candela danzava sulle sue occhiaie e sui suoi capelli.

- Ti sei innamorato di Jean. - ripetè. Non era una domanda, ma un dato di fatto, e Marco non sentì di dover annuire. Si limitò ad asciugarsi le lacrime un'altra volta, cercando di trovare il lato divertente della situazione. Non ce n'erano.

- Beh, hai qualche segreto che potrebbe ucciderti da condividere con me? -

Annie aprì la bocca, poi la richiuse. Marco guardò rapito le sue dita avvicinarsi alla fiammella tremante, lente, infinitamente lente. E poi, lei rispose.

- Sono un Titano. -

L'attimo dopo, la luce si spense. Ci volle un momento perchè il cervello di Marco comprendesse ciò che Annie aveva detto – e in quel momento, nel buio, Marco sentì due labbra sconosciute e dolci posarsi sulle sue con prepotenza, col solo intento di farlo tacere e dargli un ulteriore motivo per essere sconvolto. Rimase nella morsa ferrea delle labbra e delle mani di Annie attorno al colletto della sua camicia, urlando piano e sfogando tutta la propria paura. Non capiva. Che diavolo stava dicendo? Che diavolo intendeva? Era un umano quanto lui, era bella e forte e fiera e aveva bisogno di respirare...

- Annie! - strillò, allontanandola da sé. La vide di nuovo nella luce della luna – doveva aver strappato il telo nel tentativo di trovare un appiglio che non fosse il corpo di lei, al buio. Era terrorizzata. Non l'aveva mai vista così. - Annie. - ripetè, in un filo d'aria. Lei ansimò. - Che diavolo stai dicendo? -

Lei non volle spiegarglielo immediatamente. Minacciò di ucciderlo – lo minacciò ripetutamente, ma Marco seppe che era troppo spaventata per farlo veramente. La Annie a cui era abituato era una donna matura e sicura delle proprie decisioni – questa nuova Annie tremava ad ogni rumore, e si guardava attorno con la frequenza di un animale in gabbia. Quando finalmente si calmò, si era fatta quasi l'alba, e la gola di Marco era secca per le ripetute promesse di non rivelare nulla di ciò che lei avrebbe detto. E quando finalmente ebbe le spiegazioni che voleva, desiderò di non averle mai chieste.

- Non dirai nulla a nessuno. -

- Non dirò nulla a nessuno. - ripetè lui, ma lo sguardo di lei rivelò di sapere che un giorno l'avrebbe fatto. E quel giorno, lei sarebbe stata pronta ad impedirglielo.

- Mi dispiace. - sussurrò, debole. E continuò a ripeterlo, ininterrottamente. Marco contò almeno tre tipi diversi di scuse – per il bacio, per la rivelazione, per il solo problema che Annie doveva considerare la propria esistenza.

- Annie. - ripetè. - Io non dirò nulla a nessuno. -

Per qualche motivo, questo sembrò calmarla. Abbastanza perchè gli consentisse di uscire dal capannone, comunque, nella luce pallida del mattino inoltrato.

La salutò nell'ombra dell'ingresso dei dormitori, e quando girò l'angolo che l'avrebbe portato alle stanze dei ragazzi scoprì che Jean era stato lì per tutto il tempo in cui lui ed Annie si erano salutati. Non vi badò. Nella sua testa correvano nuovi termini e nuove scoperte – troppo dolorose, e troppo cariche d'odio, e pura notte se confrontate con il tramonto che era la sua amicizia con Jean.


*


Sapeva che Annie non poteva essere sola, ma non chiese mai chi fossero i suoi collaboratori. Non avrebbe potuto indovinarlo comunque, dato che lei non rivolgeva le proprie confidenze a nessuno; e per qualche distorto, malato motivo, mantenne il segreto. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Ormai conosceva vagamente il giorno della sua morte, e quel giorno coincideva con quello in cui avrebbe detto la verità su Annie e i Titani, quindi perchè anticiparlo?

Non ci furono più incontri nel capannone, ma Marco trovò comunque il modo per fermarla nei corridoi e interrogarla circa il suo stato attuale. Annie aveva speso buona parte dei suoi mormorii spaventati lamentando quanto doloroso fosse il segreto, quanto dolorosa fosse la trasformazione, quanto qualunque cosa, compresi i volti dei suoi compagni, fosse per lei fonte di dolore.

- Non voglio uccidere. - gli aveva rivelato. - E non voglio usare i miei poteri. - Era stato l'unico momento di quel racconto in cui Marco aveva trovato le forze necessarie a risponderle.

- Ti prometto che non dovrai più farlo. - aveva risposto, pur sapendo che era qualcosa al di fuori dal suo controllo. Non sapeva quando e se Annie avesse intenzione di utilizzare i suoi poteri, ma sapeva che un giorno avrebbe dovuto farlo. E quando quel momento sarebbe arrivato sarebbe stato lì per lei.

Le sue spiegazioni gli avevano donato un modo tutto nuovo di vedere il mondo. Ora quell'addestramento non importava, e quelle chiacchiere leggere tra amici non importavano, e i risultati non importavano. Era consapevole di quanto diretto ed inquisitorio fosse lo sguardo di Jean sulla sua schiena nei momenti in cui quella sua neonata apatia si mostrava. Era un cambiamento troppo sottile perchè chiunque potesse notarlo – chiunque tranne lui.

La bomba che aveva ticchettato a lungo tra loro due esplose dopo l'esame finale, a tre mesi dalla fine dell'addestramento. A quel punto era già piuttosto chiaro chi di loro sarebbe entrato nella Polizia Militare, e Marco era stato abbastanza distratto dai propri pensieri per buona parte della prova, più impegnato a fare da esca che ad abbattere obiettivi di suo. La cosa non era passata inosservata, ed Eren e altri amici l'avevano fermato per assicurarsi che stesse bene ad esame finito. Jean era tra di loro. Il discorso che era seguito li aveva accompagnati fino a quando non erano tornati ai carri che li avrebbero riportati al campo principale, dove lui e Jean si erano separati dal resto dei ragazzi.

- Mi urta dirlo, ma Eren ha ragione. Saresti un ottimo capitano. -

Marco si voltò a fissare Jean, alla sua sinistra. Era diventato più alto di lui di qualche centimetro, e guardarlo dall'alto gli dava una strana sensazione. O forse centrava il fatto che Jean gli avesse rivolto la parola per nessuna ragione particolare per la prima volta in tanto tempo.

- Non so. - ammise. - Io credo che tu saresti un capitano migliore. -

- Uh? -

Alzò le spalle, sorridendo piano. - Non prendertela, ma non sei esattamente ciò che definire forte. -

- Ma che cazzo...? -

- Quindi sai relazionarti con le altre persone deboli e guidarle in battaglia. Sai sempre cosa fare. Capisci cosa intendo? - Marco trovò il coraggio di fissarlo negli occhi, nonostante lo sguardo di Jean stesse indagando ogni suo movimento nel tentativo di capire cosa diavolo intendesse. - Anch'io sono debole. La maggior parte delle persone lo sono, e una decisione presa da qualcuno che sa esattamente come mi sento, qualcuno al mio stesso livello...beh, io la seguirei. -

La risposta del compagno fu un silenzio imbarazzato. Si grattò la testa. - Io non so mai che decisione prendere, Marco. - mormorò poi in un soffio. Per un motivo che non comprese appieno, suonavano quasi come delle scuse.

- Neanch'io. - rispose. - È proprio a questo che mi riferivo. Ma credo tu sappia meglio di me cosa fare in determinate situazioni. Se io prendo una decisione si rivela quasi sempre essere quella sbagliata. -

Erano decisamente entrati in una fascia di conversazione più intima e personale, comprese notando il modo in cui le guance di Jean si erano colorate di rosso. Comprese anche che lui non si sarebbe mai davvero scusato esplicitamente, e realizzò che gli andava bene così. Si issò sul carro con un unico salto, e si voltò a porgergli una mano per aiutarlo.

La sensazione della pelle di Jean contro la sua e il modo in cui si aggrappava a lui per un aiuto gli fecero venire voglia di piangere. Il suo bisogno di averlo accanto a sé sfiorava la pateticità, ma se reprimere quel bisogno significava poter definire Jean di nuovo suo amico allora avrebbe ucciso ogni sua necessità con un unico movimento deciso.

Non era nemmeno una questione di cosa lui volesse, si disse. Era una questione di ciò di cui Jean aveva bisogno: un amico. E lui non poteva essere di più. Era abbastanza per entrambi.


*


Quando il Gigante Colossale attaccò le Mura e Trost piombò nel panico più totale, lui non cercò l'attenzione di Annie. In fila di fronte al Generale che stava ordinando loro come difendere la città mentre i cittadini venivano spostati all'interno del Muro Maria, lei gli apparve assolutamente tranquilla e distaccata da tutto ciò che stava accadendo, ma non in maniera sospettosa. Era come se fosse genuinamente preoccupata da quell'attacco, ma più perplessa che spaventata. Tipico di Annie.

Ebbe modo di parlarle solo quando furono sciolti e liberi di farsi prendere dal panico per conto proprio. - Annie? - domandò, fissandola. Lei scosse la testa. Non dire una parola, ne so quanto te.

Era stato nominato Capitano della Diciannovesima Squadra, mentre Jean capitanava la Diciottesima. Difesero l'ala est di Trost al meglio delle loro forze, ma il loro impegno non impedì alla gente nelle rispettive squadre di disperdersi e morire come topi in trappola.

- Perchè lo stiamo facendo? - sussurrò Jean. Davanti ai loro occhi, un essere dal volto deforme e mostruoso guardava divertito le proprie dita sporche del sangue innocente di quello che era stato Nate Anderson, quindici anni. Marco sentì le proprie gambe tremare e cadde a terra, rischiando nel processo di sbilanciarsi in avanti e crollare tra le fauci dei Titani che attendevano sotto la palazzina, famelici. Solo l'intervento di Jean, pronto ad afferrarlo per un braccio e trarlo a sé, lo aiutò a sopravvivere.

- Sei scemo? Vuoi morire? -

Marco non rispose. Osservò il modo in cui i denti di quei mostri scattavano nella loro direzione, e le loro dita tozze e sporche si spingevano al limite della loro possibilità nella speranza di afferrare una gamba, un braccio, qualunque cosa. Anche le sue dita erano sporche di sangue dei propri compagni. Le guardò orripilato. Annie non poteva essere uno di quei...cosi. Doveva essere il frutto di una sua allucinazione, una fantasia malata, qualunque cosa sarebbe stata più plausibile della realtà.

- Marco? Marco, ascoltami, cazzo! - Jean lo scrollò per le spalle, riportandolo alla realtà. - Dobbiamo raggiungere gli altri. Ce la fai senza farti ammazzare? -

- Certo. - sussurrò, ma non si rialzò subito. Chinò il capo contro il petto di Jean, continuando a mormorare quella parola per assicurarsi di pensarla veramente. Lui lo lasciò fare. Per un momento ebbe anche l'impressione che stesse carezzandogli i capelli, e chiuse gli occhi per assaporare ogni secondo della sensazione morbida delle dita contro la sua nuca. Ne aveva bisogno.

- Marco, mi stai facendo male. -

Si rese conto allora di aver affondato le dita nel braccio di Jean, e di starlo stringendo fino ad affondare le unghie nel tessuto. - Scusa. - mormorò, lasciandolo andare. Jean però non scostò la mano dalla sua nuca.

- Dobbiamo andare. - ripetè, la voce ferma e lo sguardo verde fisso nel suo. Marco pensò alla conversazione che avevano avuto pochi mesi prima – a segreti nascosti che corrodevano dentro fino a renderti insensibile e allontanarti da tutto e da tutti, e a necessità seppellite in una notte di pioggia scrosciante.

Lui e Annie erano più simili di quanto a lei avrebbe fatto piacere sapere.

- Sì. - questa volta si alzò in piedi. Non avrebbe baciato Jean, nonostante sembrasse l'unica cosa giusta da fare in quel momento – nonostante per un solo momento gli fosse sembrato che Jean stesso glielo stesse domandando, in silenzio. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo dopo, perchè loro sarebbero sopravvissuti a quell'inferno, e sarebbero sopravvissuti assieme.

Alzò lo sguardo verso il cielo, nuvole cariche di pioggia all'orizzonte.

L'idea di perire lapidato ed impiccato era molto meno spaventosa, ora che aveva osservato da vicino la morte.


*


La situazione era sembrata essere migliorata dopo l'arrivo di Mikasa, ma poi era ripiombata in un caos incredibile. Aveva sentito persone mormorare che quello che stava accadendo era tutto un modo di ridurre le bocche da sfamare all'interno delle Mura, che il Governo si era alleato coi Titani e aveva deciso di ucciderli tutti, che l'Apocalisse era giunta in terra.

Nessuna di queste opzioni era troppo lontana dalla realtà.

- Ora cosa facciamo? -

Annie era visibilmente stanca. Le occhiaie sotto i suoi occhi azzurri erano più visibili del tutto, e aveva traccia di sangue e terra ovunque. Si chiese se lui fosse conciato nella stessa maniera.

- Ora seguiamo gli ordini. - rispose lei, senza distogliere lo sguardo dalla battaglia in corso in prossimità del cratere nel muro esterno di Trost. Marco fu sul punto di chiederle a cosa esattamente si stesse riferendo – e se la comparsa di un nuovo essere umano in grado di trasformarsi in Titano, Eren, fosse parte di un qualche piano – ma venne interrotto dall'azione repentina di Armin, che afferrò due bombole e corse via urlando il nome di Eren.

- Che diavolo sta facendo quel pazzo? - strillò Jean, mentre Marco si alzava a rincorrere Armin e a fermarlo. Lui lo scostò via, ansimando pesantemente.

- Eren non riuscirà a chiudere la breccia! - riuscì a dire mentre Jean, Connie e Annie – gli unici membri del 104esimo corpo di addestramento oltre a loro – si avvicinavano. - Ha bisogno del mio aiuto. Devo raggiungerlo, Marco. -

Marco si voltò verso Jean ed Annie, cercando in entrambi un appoggio o un diniego. Lei non disse nulla, ma Jean fece un passo avanti.

- Ti copriremo. - mormorò, chinandosi ad agganciare al meglio la propria manovra. - Ma mi devi un favore. -

Il volto di Armin si aprì in un sorriso grato, e il ragazzino annuì. Aspettò che si prepassero per la missione prima di seguirli verso la cinta di mura esterne. Le figure di Eren e il resto dei soldati si fecero presto più chiare e delineate – Marco agganciò i cavi alle Mura e si lasciò cadere al di sopra delle Mura, tra Annie e Connie.

- Dov'è Jean? - domandò, l'agitazione crescente in corpo. Fu Connie ad individuarlo a terra, e ad individuare il Titano che si dirigeva nella sua direzione, ma non fece in tempo a comunicarlo a Marco: lui era già partito di nuovo verso Jean, nello scatto più adrenalinico e dettato dalla follia che avesse mai avuto.

- JEAN! STA CALMO! -

Vide Jean voltarsi e correre via dal Titano alle sue spalle in un unico movimento rapido, portando con sé la Manovra funzionante che era riuscito a rubare al cadavere di qualcuno più sfortunato di lui. Atterrò vicino a lui, svelto a correre nella direzione opposta a quella presa da Jean. Poteva vederlo nella strada parallela alla sua, in quei momenti in cui una viuzza laterale le collegava. Era disperatamente consapevole che la sua era stata una mossa azzardata e idiota – il gas non era abbastanza per allontanarsi in fretta dal Titano, e presto avrebbe smesso di correre e si sarebbe arreso. Presto sarebbe morto...

...O almeno così pensava.

Lei non urlò come aveva fatto lui per attirare l'attenzione del Titano. L'aveva probabilmente ritenuta una scelta idiota – come ogni scelta di Marco, ma era comunque scesa ad aiutarlo. La vide, un fulmine che scendeva rapido verso la collottola del Titano e poi rimaneva stabile in aria mentre l'essere ruggiva, troppo stupido per realizzare la propria morte. Lei gli atterrò sul capo e scese a terra, verso di lui.

- Sei stata magnifica. - esclamò lui, ancora troppo preso dall'adrenalina per misurare i propri termini come faceva sempre. Lei alzò un sopracciglio, ma sorrise.

- Consideralo un favore che mi restituirai. - dichiarò.

Marco non comprese da dove era spuntato il secondo Titano; accadde tutto in una frazione di secondo. Le sue fauci si allungarono verso Annie, e lui si gettò in avanti per impedirglielo, spingendola via e mandandola dritta distesa lontana dal pericolo. Qualcosa di terribilmente caldo si chiuse attorno a lui – ma non del tutto. Poteva ancora vedere Annie rialzarsi e urlare qualcosa di incomprensibile, e potè vederla correre nella sua direzione e affondare le lame nel collo del Titano, agitata quanto lo era stata in quel capannone. Il calore scomparve subito dopo, sostituito da un dolore troppo grande e troppo forte per poterlo descrivere.

Marco chiuse gli occhi in un tentativo inutile di ridurre quella sensazione, e scoprì di non avere più un occhio destro.

- CHE DIAVOLO HAI FATTO?! - la voce di Annie aveva raggiunto nuovi acuti. Si chinò verso di lui, gli occhi sbarrati in un'espressione disgustata e spaventata allo stesso tempo. - PERCHE' DIAVOLO MI HAI AIUTATA? MI SAREI POTUTA RIGENERARE, TI HO SPIEGATO COME FUNZIONA! PERCHE' L'HAI FATTO? -

Immerso nel dolore, troppo impegnato a osservare la vita scorrergli via e inzuppargli i vestiti, Marco desiderò di poterle sorridere. Aprì la mascella piano, privo di qualsivoglia comando sulla lingua che scivolò a destra in maniera disgustosa. - Non...usare...poteri. - riuscì a sillabare. Sforzarsi di parlare non aiutò a lenire il dolore, ma doveva farlo prima di perdere conoscenza. Doveva confortarla prima di morire – perchè sarebbe morto, ed era così stupido e inutile che Annie se ne stesse lì a guardarlo quando c'era la possibilità che un altro mostro arrivasse presto...

- Fa male. - riuscì a dichiarare. Annie fece la cosa peggiore di tutti – scoppiò a piangere contro di lui, portandosi una mano tremante al volto per contenere quello che per lei doveva essere il primo pianto in troppi anni. O forse no. Forse era questo che stava facendo la notte in cui Marco aveva baciato Jean – era scappata dai dormitori per piangere come lui, troppo testarda per mostrarsi debole di fronte a chiunque.

- Sei un idiota. - singhiozzò lei, scuotendo la testa. - Un idiota, un idiota, un idiota. -

Lui desiderò di poterle sorridere di nuovo.

Un'ombra oscurò la loro visuale, lontana ma ben visibile. Marco realizzò che si trattava di Jean e Connie, impegnati a risalire verso le Mura. Sentì la voce di Jean urlare – qualcosa riguardo all'offrire da bere ad Eren dopo tutta quella stronzata, dato che era riuscito a chiudere la breccia.

Pensò a capelli ispidi e prese troppo strette su braccia troppo deboli. Pensò a quel momento di poche ora prima in cui gli era sembrato che Jean fosse baciarlo – e nonostante baciarlo la prima volta fosse sembrata una decisione terribilmente stupida, desiderò essere stato stupido molte, molte più volte.

- Jean. - sussurrò. Si rese conto di star piangendo di una gioia che non avrebbe dovuto provare, lunghe lacrime miste a sangue dall'unico occhio rimasto.

La mano di Annie non lasciò andare la sua fino a quando entrambi non ebbero smesso di piangere, e il suo mondo non fu che il buio deciso e totale della morte.


* * *


Il racconto era terminato – e Annie aveva scoperto che le lacrime sul volto di Jean non le davano alcuna soddisfazione. Lo guardava crogiolarsi nella sua beata ignoranza, e non sorrideva, né provava piacere.

- Lui era innamorato di te. - aveva mormorato poi, per concludere al meglio quella narrazione. - E tu sei sempre stato troppo stupido per rendertene conto. -

Jean aveva osservato la propria spada. Al di fuori della cella in cui il cristallo di Annie era stato trattenuto per tutto quel tempo infuriava la battaglia decisiva tra Titani e Legione Esplorativa, ma lui aveva deciso di allontanarsene. Aveva bisogno che lei gli dicesse la verità su tutta quella faccenda, e l'aveva ottenuta.

Non aveva risposto alla provocazione, né aveva detto alcunchè. Si era allontanato piano, dandole le spalle pur consapevole che lei era libera di attaccarlo in qualunque momento. Quando si era rivoltato, Annie aveva avuto l'impressione di vedere qualcosa di nuovo in lui – una rinnovata fermezza, una nuova convinzione.

Forse era questo che Marco aveva visto, per tutto quel tempo.

Nel momento della loro morte, sia Jean che Annie furono in grado di vedere nell'altro ciò che la persona più importante della vita di entrambi aveva visto in loro.




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Canzoni ascoltate durante la stesura: Annie (Safetysuit), Laughter Lines (Bastille), Take me to church (Hozier), Icarus (Bastille)

Non ho molto tempo per parlare di questa storia – il mio pc non è in condizioni ottimali, ma volevo scrivere quest'ultima storia prima di sparire un po' dalla circolazione. È una storia che volevo scrivere da tanto, dato che sono innamorata della Marco/Annie quanto lo sono della Marco/Jean – e soprattutto dato che per me l'idea della Marco/Jean onesided in canon è TUTTO. Quindi consideratela la mia idea pressochè definitiva di come possa essere andata per questi tre durante e prima di Trost, nonostante abbia mischiato elementi del manga e dell'anime riguardo la morte di Marco.

Spero sia stata per voi una buona lettura. Ci risentiamo presto! (spero)

- Joice




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