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Autore: Sylence Hill    08/03/2015    0 recensioni
[REVISIONE]: Possibili cambiamenti nel nome dei capitoli e aggiunts o tagli in alcune parti della storia!
Lei: nuova arrivata, tipa dura, lingua tagliente, leale con gli amici.
Lui: bad boy, due occhi come l'oro, mani dure come l'acciaio.
Loro: Gente strana che nasconde più di un segreto.
Ciò che Lei sta cercando può rivelarsi un percorso più insidioso di quanto pensasse.
Il Passato che torna, Misteri da svelare, un Amore da vivere.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Spero che questo capitolo, anche se corto vi piaccia. Ringiazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, e anche gli scorsi recensitori.
Grazie mille davvero.
Baci, 


Sy Hill



Capitolo 40

 
Memories
 
 
Stentavo a crederci. Dopo aver atteso tutta la vita, attraversato periodi neri, scoperto realtà sconosciute, finalmente eravamo al lago. Era una distesa d’acqua argentea sotto i raggi della Luna di Van Gogh, che increspava la superficie di tanti riflessi simili a diamanti. Tutt’intorno, gli alberi della Foresta creavano una sorta di abbraccio, i tronchi piegati a formare un arco, le chiome spoglie ricurve verso il lago; ricordava tanto la forma di un’arena.
Quello che più mi lasciò basita fu la riva del lago. Era circondato di lucciole, tanti piccoli puntini di luce che ondeggiavano e danzavano, componevano un anello luminoso così particolare da lasciare senza fiato: la luce che di solito emettono le lucciole è verde fosforescente, ma queste erano azzurre, quasi argentee.
Era uno spettacolo davvero emozionante.
Il problema fu che non appena mettemmo piede sulla distesa di sassolini e ghiaia che costituiva la riva, queste si agitarono e ci circondarono.
Le lucciole di natura non sono aggressive, ma queste volavano verso di noi con l’intento di colpirci.
E accadde una cosa strana. Non appena colpii una di quelle creaturine fastidiose, si bloccò: con una piccola scossa, divenne un sassolino volante che galleggiava nell’aria. Sembrava essere sotto l’effetto del pietrificus totalus.
Ebbi timore di aver usato il mio Talento inconsciamente, ma mi accorsi che le mie braccia erano percorse da rivoli di Energia, proprio come quando ero in prossimità del Portale. A quanto pareva, riflettei, ero una specie di bussola che riconosce i luoghi di Potere.
Solo allora mi accorsi che anche le altre lucciole di erano fermate: non bloccate, solo ferme, galleggiando in aria, come sorprese.
Scambiai uno sguardo con gli altri, deglutendo. Avevo i nervi a fior di pelle. Era sorprendente come ogni cosa in tutta LiosLand era magico.
Raddrizzai le spalle. Fino a quel momento avevo retto ogni tipo di attacco psichico, di certo delle piccole lucine svolazzanti non mi avrebbero fermato.
Mossi qualche passo verso il lago, aspettando un altro sciame pronto all’attacco. Al contrario, esse mi lasciarono passare. Lentamente si spostarono fino a creare un tunnel in direzione del Lago.
«Sy?» mi sentii chiamare da Bastian.
Lancia un’occhiata alle mie spalle. «Dimmi.»
«Stavo riflettendo…»
«Come tuo solito.»
«…e mi è venuta in mente una cosa. I professori hanno detto che il luogo di maggior potere della Regina è il Lago di Albh, giusto? Allora perché siamo qui?» chiese al mio cenno affermativo.
«Tutti i Laghi di LìosLand sono collegati da flussi sotterranei.» mi venne spontaneo dire. Mi fermai di botto battendo le palpebre. Aprii e chiusi la bocca, come un pesce. Scossi la testa. «Fa uno strano effetto rendermi conto di sapere più cose di prima. Mi ci devo ancora abituare.»
«Flussi sotterranei?»
Annuii, distratta. «Esatto. Sono come dei canali fognari, ma sono collegati tra loro in un flusso continuo. Tramite i vari canali, mia Madre può spostarsi con suo comodo in qualsiasi luogo i laghi siano.»
«Perché hai scelto proprio questo lago?» mi chiese Jake. «Perché non il Lago di Albh?»
«Primo, perché era più vicino e, secondo… quel lago è irraggiungibile adesso. È protetto da una barriera – e per barriera intendo proprio uno sbarramento fisico, materiale – ed è impenetrabile. È anche per questo motivo che è ancora viva.» sussurrai.
«Ma non potrebbero prenderla attraverso i flussi?»
Mi fermai sulla riva del lago, appena qualche centimetro prima che l’acqua argentina mi bagnasse le scarpe e mi girai verso loro.
«Nessuno ne è a conoscenza.» dichiarai, guardandoli negli occhi. Potevo vedere nei loro occhi la consapevolezza del peso che avevo loro affidato.
Red si avvicinò e mi strinse la mano, mentre con l’altra mi avvolse la nuca. Nei suoi occhi dorati una determinazione che mi colpì al cuore. Sapevo di potermi fidare di lui, a dispetto di tutti i litigi che c’erano stati e che ci sarebbero stati in futuro. Niente e tutto rose e fiori tanto meno la nostra relazione. Anzi, la nostra meno di tutte, ma la fiducia…. Quella ci sarebbe stata sempre.
 
 
*   *   *
 
Rosarianna O Sheha POV
 
Un brivido di freddo pervase Aria, mentre Constantine, troppo scosso, perdeva il controllo delle mani e diventava incorporeo. Gli occhi del ragazzo erano diventati cupi come la superficie di una lago in un giorno di pioggia, trasmettevano tutta la loro desolazione, la loro tristezza.
Senza una parola, Aria lo abbracciò, sorpresa che glielo lasciasse fare. C’era stato tanto contatto fisico tra loro nelle ultime ore, e questa libertà di movimento improvvisa la lasciava ancora basita.
Il professore scosse la testa. «Non pensarci ora, ragazzo. Non lasciare che il dolore ti ottenebri. Oltretutto, non è sicuro che siano tutti morti. Per niente. Avete il trasfert, quello vi permette di non utilizzare le Porte dei Mondi e chissà in quale siano capitati quelli che non hanno scelto come destinazione proprio la Terra.»
Aria lo guardò accigliata. «Scelto come destinazione?» ripeté perplessa.
«So che è sconvolgente per una mente acerba come quella umana, ma… sì, esistono altri mondi, al di fuori della Dimensione Terrestre.» li informò la signorina Madlain. «Ad essere precisi, ci sono tante dimensioni quanti sosia esistono di noi.»
«C’è una teoria, anche se gli scienziati non la reputano tale; sostiene che esistono sette sosia per ognuno di noi.» si affrettò a spiegare il professore, vedendo l’espressione perplessa della ragazza. «Quello che gli scienziati non sanno è che sì, esistono delle persone che hanno i nostri stessi tratti somatici, ma ognuno di loro non è del nostro pianeta. Provengono dalle altre dimensioni, sette appunto, in cui esistiamo, ed ognuno di esse ha una vita a sé.» concluse Mr. Drawn.
La signorina Madlain gettò un’occhiata comprensiva verso Constantine. «Vedi, non devi preoccuparti.» Spostò veloce il suo sguardo sulle sue mani trasparenti per poi tornare al suo viso. «Le probabilità di ritrovare i tuoi genitori sono maggiori di quanto ci si aspetti.»
I suoi occhi si spostarono poco più giù, dove le mani di Aria stavano accarezzando in modo inconsapevole il collo del phantom. Era risaputa la loro avversione al contatto fisico, solo quelli della loro stessa specie e i quelli legati a loro dal Bound avevano il mutuo consenso al tocco.
E Constantine si lasciava toccare da Aria anche in quel momento di forte vulnerabilità. Si ritrovò a pensare che, anche se non avesse ritrovato i suoi genitori, la perdita non sarebbe stata così tremenda per lui: aveva già qualcun altro che avrebbe colmato quel vuoto.
Aria accarezzava i capelli di Constantine, lieta che lui glielo permettesse. Voleva calmarlo, voleva fargli riconquistare il controllo che lo aveva sempre caratterizzato, quella fermezza che le aveva fatto da àncora nei momenti di crisi.
Pian piano, il corpo di Constantine si distese, i muscoli contratti dalla tensione si rilassarono, le mani ripresero la loro consistenza fatta di carne, ossa e sangue.
Una delle mani si alzò a posarsi su quelle di Aria, sulla nuca. Lei lo interpretò come un segnale di stop, del tipo “puoi smetterla adesso”, e fece per toglierle, ma Constantine ne afferrò una e intrecciò le dita alle sue, carezzandole l’interno del polso col pollice. Le guance di Aria si tinsero di rosso, ma Constantine non la guardò.
«Cosa possiamo fare ora?» chiese infine, spostando le loro mani unite davanti al lui. «Per l’amica di Aria, intendo.»
Gli astanti rimasero sorpresi dal cambiamento di argomento, comprendendo che il ragazzo aveva affrontato abbastanza batoste per quel giorno e voleva evitarne altre.
«Beh, per quanto ne sappiamo, i ragazzi sono a LìosLand. Non dovrebbero avere problemi, hanno la testa sulle spalle e i loro Talenti a disposizione. Abbiamo fornito loro le conoscenze utili allo scopo prima che partissero. Inoltre, hanno Sylence con loro che, come ci ha ampiamente provato, ha un legame con la Madre e delle conoscenze che Ella le ha trasmesso prima di lasciarla.» spiegò il professore.
«Io voglio accertarmi di persona che sta bene.» stabilì Aria. «Non accetto delle supposizioni su basi cosi astratte. Da quello che mi avete detto, LìosLand è immensa, ancora più grande dell’Australia, e potrebbero essere precipitati in qualsiasi parte.» Si alzò in piedi e Constantine con lei. «Io voglio andare a LìosLand, e spero che voi mi aiuterete ad arrivarci.»
 
 
Constantine’s POV
 
Aria guardò Constantine che ricambiò il suo sguardo. La determinazione di quella piccola rossa lo lasciava ammutolito. Non sapeva più come comportarsi con lei, anche perché aveva già adottato dei cambiamenti nel suo modo di relazionarsi con le persone che non aveva mai avuto prima di lei. Lasciarsi toccare da lei, toccarla di sua spontanea volontà, consolarla e lasciarsi consolare… non ci era abituato e non n’era incline a tali slanci d’affetto.
Perché era affetto, si rese conto. Stava iniziando ad affezionarsi ad Aria senza che lui non potesse farci niente. Era come la vecchiaia – nel senso lato del termine – che prima dà avvisaglie con i primi acciacchi e poi ti prende inesorabilmente.
Non sapeva come reagire, lasciava che le cose gli scivolassero addosso, per poi pagare il conto alla fine di tutta quella situazione scombussolata.
«Signorina, non credo che lei si renda conto del guaio in cui si sta cacciando, per colpa della sua testardaggine.» l’avviso l’uomo.
Quando lo aveva visto, dopo che li aveva quasi investiti, aveva percepito subito che c’era qualcosa in lui, come una sorta d’alone che l’avvolgeva dalla testa ai piedi e che offuscava la sua figura imponente. Aveva provato l’istinto di allontanarsi, di fare un passo indietro, ma si era controllato per tempo.
«Non m’interessa.» dichiarò Aria.
«Lei non sa che posto può essere diventato LìosLand…»
«Lei lo sa, invece?» ribatté la ragazza.
L’uomo incassò il colpo. Abbassò lo sguardo per qualche secondo, prima di tornare a guardare Aria negli occhi, offuscati dal rammarico e dal dolore.
Constatine si sentì in empatia col professore; quel senso di disagio che ti pervade non avendo idea di quale sia l’immagine della realtà che hai sempre vissuto è soverchiante.
«Mi dispiace.» si scusò Aria, tirandosi indietro alcune ciocche rosse. «Non volevo battere quel tasto, ma… cercate di capire: Sy è mia amica, mi ha aiutato nelle situazioni peggiori, mi ha dato la forza per rialzarmi quando non ne avevo più neanche per piangere… è mia sorella. E anche se non sono un elfo, un Lhàkoros o un phantom, userò qualsiasi mezzo per raggiungere Sy e esserle d’appoggio, in qualunque modo.»
Il coraggio della piccola rossa aveva il potere di lasciarlo esterrefatto e suscitargli un impeto d’orgoglio mai provato. La sua determinazione fu la leva che gli accese dentro il desiderio di esaudire il suo desiderio, per quanto pericoloso esso fosse.
D’altronde, ci sarebbe stato lui a proteggerla, nulla le avrebbe fatto anche un solo graffio.
Strinse la calda, piccola mano della sua. «Ho bisogno che mi diate un’immagine precisa del posto in cui devo andare.» pretese.
Entrambi i professori, ormai alle strette, sospirarono e, dopo essersi scambiato l’ennesimo sguardo, annuirono.
Il professore disse: «Visto che insistete tanto,  non ci rimane altra scelta, se non quella di accompagnarvi.» Annuì determinato, sotto gli sguardi sorpreso dei due giovani. «A quanto pare andremo tutti in gita in montagna, e questa volta sarà per davvero.»
 
 
Sylence Lillian Hill’s POV
Mi inginocchiai sulla riva, immergendo le mani nell’acqua: a dispetto di quanto sembrasse, era calda e densa, come affondare la mani in una crema. L’energia che essa conteneva mi risalì dalla punta delle dita, nei palmi, nelle vene. Mi pervase, donandomi il suo potere restauratore, proprio come una sessione di cura sotto le mani di Bastian. Le fatiche del corpo e della mente venne sommerse e lavate via.
«Immergete le mani, lasciate che vi curi.» mormorai agli altri.
Il Cerchio si fece avanti e, ad uno ad uno, tuffarono le mani: vidi il sollievo e una nuova botta d’energia pervadere le loro membra, i visi che rispecchiavano il sollievo riprendendo colore, distendendo le rughe dovute ai momenti di tensione, le ombra scomparire sotto un rossore genuino.
Presi la pietra più piatta e liscia che trovai e mi rialzai, stringendola nel pugno. La racchiusi fra i due palmi, l’avvicinai alla bocca e, nell’Antica Lingua, sussurrai: «Porta a Colei che mi ha Generato, la Notizia della mia Venuta. Che il Nuovo Sangue e l’Antico Sangue si ricongiungano, infine
Tirai indietro il braccio e con un movimento del polso, lanciai la pietra di piatto sull’acqua. I suoni che ne nacquero dai ripetuti tocchi sulla superficie cristallina del Lago erano paragonabili ai suoi nei cristalli al venti, un tintinnio così soave da far piangere. I cerchi circoncentri si espandevano incastrandosi l’uno con l’altro creando un quadro di forme geometriche splendide, armoniose, che avevano una melodia propria, una composizione fatto da Madre Natura in persona.
La pietra perse lo sprint iniziale e con un leggero tonfo affondò nell’acqua del lago.
«Che cosa hai detto, qualche momento fa?»
Mi voltai verso Jake. «Un messaggio. Dovremmo avere la risposta tra breve. Nel frattempo, perché non mangiamo qualcosa? Ho una fame da lupi.»
«Dio, ragazzi, una sessione alle terme non poteva essere migliore!» Rafe si stiracchiò, facendo gocciolare le mani ancora bagnate sulla faccia.
«Concordo.» si aggiunse Bastian.
Ci sedemmo a cerchio e dopo aver raccolto qualche ramo abbastanza grande da essere bruciato, Red accese un fuoco. Tutti con una mela e una bottiglina d’acqua per parte, incominciammo a mangiare. Ci scambiamo poche parole, troppo immersi nei nostri pensieri per poter parlare.
Finalmente avrei contrato mia madre. Ancora non ci potevo credere. Nella mia mente, sapevo che da lì a pochi minuti sarebbe apparsa, immersa nelle spumeggianti acque argentee del lago, la figura misteriosa che era la mi genitrice, ma nel cuore non sentivo ancora quel legame che avrei dovuto stringere con lei molti anni prima.
È davvero brutto da dire, ma finché non l’avessi incontrata in carne e ossa, finché non le avessi parlato, non l’avessi toccata, non avrei mai creduto alla sua esistenza.
Sarei stata San Tommaso.
«Che cosa hai intenzione di fare?» mi chiese Jake ad un certo punto.
Lo guardai titubante. «Non lo so. Voglio dire, siamo qui.» Indicai con un cenno della testa tutto quello che avevo intorno. «Ho atteso tanto il momento in cui l’avrei incontrata per la prima volta. E ho tante di quelle domande che mi scoppia la testa. Credo che dopotutto, io non stia vivendo questo momento nel modo giusto. Insomma, sto per conoscere mia madre,» tentai di metterci un po’ di enfasi, ma mi uscì molto fiacca la frase, «l’altra parte di me, ma nella mia testa è come se l’avessi già vista. Come se avessi già parlato con lei.»
«Per quello che ti è successo?» chiese Bastian. «Del piccolo… “incidente”?» disse facendo virgolette.
Annuii. «Lei mi ha dato un’infinità d’informazioni, che però non sono tutte sbloccate, solo quelle essenziali per arrivare fino a qui. E, in tutto quel marasma di roba, c’erano anche alcuni ricordi.» Il mio sguardo si perse nel vuoto, mettendo a fuoco quelli che erano alcuni istanti di vita quotidiana che mia Madre aveva  condiviso con me. Momenti in cui era sulla Terra, poco prima di averla lasciata.
Il periodo della sua gravidanza e della mia nascita.
 
*   *   *
Albhany’s Memories
 
«Abby?»
La voce di Xavier le fluttuò intorno, riscuotendola dal torpore a cui si era lasciata andare. Lo vide appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte che la guardava con i suoi occhi scuri illuminati dell’amore che sentivano reciprocamente.
«Perdonami, stavo assopendomi. È cosi bello sentire il sole sulla pelle…» mormorò.
«Sei bellissima.» le disse. «Ora più che mai. Non avevo idea che la gravidanza di desse un aspetto così… radioso. Sembri emanare una luce tutta tua.»
Abby gli regalò un sorriso dolcissimo. Gli tese una mano, chiedendogli di avvicinarsi. «È tua figlia che illumina la giornata, non io.» Chinò la testa per ricevere il bacio dal suo uomo.
«Si capisce che sarà uguale a te, quando crescerà.» le disse Xavier, sedendosi sulla panca sotto la finestra. La stanza della bambina era stata già arredata e il bianco era il colore che spiccava di più. Le tende di pizzo, i mobili laccati, il letto intagliato, il comodino e anche la panca sotto la finestra, era tutto di un bianco puro, ma non freddo. Niente avrebbe potuto essere freddo in quella casa.
Abby si accarezzò il pancione ormai ben visibile al sesto mese di gravidanza.
«Io spero che sia uguale a te.» asserì la donna.
«Con la testa fra le nuvole e le mani perennemente sporche di terra?» scherzò Xavier, passandosi una mano tra i capelli disordinati.
Abby si lasciò distrarre un attimo dalla visione del corpo forte del suo uomo, la flessione elegante dei muscoli, la forza delle braccia, la torsione del petto.
«No,» disse poi. «Vorrei che fosse di sani principi, generosa e piena di amore.»
Xavien la fissò con gli occhi pieni del suddetto amore. «Non riesco a capire la tua testardaggine. I miei sani principi ne risentono pesantemente. Perché vuoi aspettare? Perché non sposarmi adesso? Io amo te e so che anche tu mi ami, aspettiamo una splendida bambina, perché dovrei aspettare ancora?»
Lei sospirò, allungando una mano ad accarezzare la guancia del suo amato. Le faceva male al cuore dover chiedergli tanto, sapeva che il desiderio di rendere la loro relazione di dominio pubblico, di dire a tutti quelli che poteva che era la sua donna, sia moralmente che legalmente, era forte, ma…
«Non sempre possiamo avere tutto e subito. A volte è meglio aspettare. La pazienza è la virtù dei forti.»
L’uomo grugnì la sua disapprovazione, ma baciò il palmo della mani di Abby.
«Certe volte vorrei entrare nella tua testa e carpirne ogni segreto. Proprio non mi spiego perché vuoi aspettare, ma visto che è questo il tuo desiderio, allora lo accetterò. Ma sappi che non ne sono contento.»
Neanche lei lo era, ma per il suo bene e per quello della bambina era meglio per tutti se nessuno sapeva della loro relazione.
 
*   *   *
 
«Non sono un pezzo di vetro, sai? Posso camminare tranquillamente da sola.» protestò Abby.
«Dopo che hai rischiato, e non solo una, ma uno svariato numero di volte, di cadere, scivolare o quant’altro, rischiando di fare del male a te e a nostra figlia? Scordatelo! D’ora in poi non muoverai un passo a meno che non ci sia io a un minimo di trenta centimetri di distanza.»
Abby sbuffò, ma si strinse nelle braccia del suo uomo, beandosi del suo calore e della sua forza. Sapeva che Xavien aveva ragione: stava rischiando molto negli ultimi tre giorni, ma non era colpa sua. Purtroppo non si poteva imputare colpa a nessuno fuorché alla sua natura. Stava iniziando ad avere cedimenti, mancanze di Energia e botte di calore improvvise che la lasciavano stordita nel peggiore dei modi.
Il suo periodo nel mondo terreno stava volgendo al termine, il suo Paese natale iniziava a mandarle i primi segnali d’allarme, ad avvertirla che doveva fare in fretta a tornare, prima che fosse troppo tardi.
Ma doveva resistere. Era all’ottavo mese, non poteva mollare proprio adesso, doveva dare alla luce sua figlia. Doveva farlo, per il bene di entrambe.
 
*   *   *
 
Strinse forte i dente, sentendo i muscoli contrarsi ormai allo stremo. Dolore ovunque. Alle mani, dove stringeva forte la cornice del letto, alle gambe contratte all’inverosimile, e al ventre doveva e sembrava che un pezzo di vetro le si fosse conficcato nelle carni e continuasse a salire e scendere tra lo stomaco e l’utero.
«Spinga un altro po’, ci siamo quasi!» le gridò l’ostetrica, premendole sull’addome. «È quasi uscita, solo un altro po’.»
Con un ultimo sforzo erculeo, gridando tutto il suo dolore e la sua forza di volontà, Abby spinse fino a che non le parve che il cervello le esplodesse e il peso che sentiva non sparì, lasciandola esausta, sudata, allo stremo.
«Eccola!» disse l’ostetrica, reggendo tra le mani un esserino minuscolo, tutto rosa, congestionato e rugoso. La donna le diede un paio di pacche sul sedere, fissando preoccupata la bambina, che non aveva emesso un solo suono.
In quel momento, entrò nella stanza il neo papà, staccando quasi la porta dai cardini, e fece vagare lo sguardo fino a che non lo posò sulla donna sul letto, valutando in pochi secondi se mettersi a piangere o ringraziare Dio.
«Abby!» la chiamò avvicinandosi al letto. Strinse la donna tra le braccia. Intanto l’ostetrica avvolgeva in un panno morbido la bambina. Aveva constatato che respirava il suo cuore batteva veloce,  forte, ma la bambina si rifiutava di piangere. Decise quindi di portandola dal padre. «Signor Hill, sua figlia.»
L’uomo stordito si voltò a guardare prima la donna e dopo ad abbassare lentamente lo sguardo fino ad incontrare due occhi del colore della tempesta, specchio di quelli della madre. Di solito i bambini nascono con gli occhi azzurri per poi cambiare colore nel corso dei giorni successivi. Ma lei, sua figlia, no, lei era troppo speciale, troppo incredibile per rispettare gli standard.
Lei che lo guardava con uno sguardo intenso, come se sapesse già chi lui fosse e lo stesse studiando, valutando. Lei che allungò una manina verso di lui, aspettandosi un contatto.
Xavien venne pilotato da quello sguardo di tempesta e nuvole e allungò un dito che si fece allegramente stringere dalle ditina di sua figlia.
Solo allora la bimba di decise ad emettere i primi suoni e i gorgoglii tipici dei neonati riempirono la stanza come il suono di tante campanelle al vento, dando il benvenuto al mondo alla piccola Sylence.
 
*    *    *
 
Non riusciva a trovarla. Aveva cercato in tutte le stanze, la bambina dormiva tranquilla nel suo lettino, la cucina era immersa nel silenzio, insolito nella sua casa. Quando si avvicinò alla porta sul retro si accorse di star rabbrividendo. Strano, visto che era piena calura estiva.
Spalancò la porta. Si bloccò sulla soglia. Un pulviscolo bianco gli si posò sulla guancia, irradiandolo con il suo bacio gelido. L’intero giardino era coperto di neve, che cadeva dolcemente al suolo, ricoprendo il suo erboso con il suo candore.
Xavien si accasciò al suolo, mentre il groppo che aveva in gola si serrava e gli occhi si inumidivano.
Quello era il suo messaggio d’addio. Alhbany.
  
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