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Autore: Midnight the mad    08/03/2015    0 recensioni
"Insomnia" perché sì. Perché è roba scritta in notti insonni e momenti del cazzo.
Canzoni perché sì. Perché sono più reali della vita.
Parole perché sì. Perché è l'unico modo di gridare.
Cose diverse tra loro, che vengono un po' quando vogliono. Se volete leggere, leggete.
1. Redundant
2. Basket Case
3. She's a Rebel
4. Uptight
5. Die young
6. Pompeii
7. St. Jimmy
8. Gli anni
9. X-Kid
10. Show must go on
11. Cry to heaven
12. '74-'75
13. Knockin' on heaven's door
14. The forgotten
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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THE FORGOTTEN
 
 Where in the world’s the forgotten?
They’re lost inside your memory...


Tutte le volte che guardava quelle cornici si domandava che fine avessero fatto le foto. Sì, beh, teoricamente erano ancora tutte lì, ma ci sarebbe voluto un bel coraggio per chiamare “fotografie” quei pezzi di carta scolorita. Su ognuna era caduto un velo di polvere, anzi, si sarebbe potuto dire un fiume di polvere, perché i fiumi passano e scorrono e consumano, ed era quello che era successo a quelle foto.
Sospirò. Non c’era niente da fare ormai. Non si sentì in colpa quando decise di buttarle via: dopotutto, ormai si erano rovinate. Non ne restava assolutamente nulla.
“Colpa tua che le hai lasciate qui senza metterci un vetro sopra.” si disse, raccogliendo le prime quattro cornici e guardandosi intorno per cercare una pattumiera, che ovviamente in quella soffitta non c’era. Chi avrebbe voluto buttare via qualcosa, in una soffitta? Le soffitte erano i luoghi degli oggetti che non si aveva il coraggio di buttare via.
E, in effetti, per chissà quanto tempo non aveva avuto il coraggio di buttare via quelle cornici mangiate dai tarli. “Sono della nonna.” si diceva, oppure “sono antiche”, o un sacco di altre cose, ma la verità era che facevano semplicemente schifo e che la casa sarebbe stata molto meglio senza. Così come sarebbe stata meglio senza una buona metà di tutto quello che c’era là sopra. Sì, avrebbe proprio dovuto dare una bella ripulita già da un po’, solo che tutte le volte vedeva le foto e si bloccava.
Ma stavolta non sarebbe successo. Le avrebbe gettate via, punto. Quando addirittura le foto si consumano allora significa che è il momento di cambiare strada. Com’era quel modo di dire che tutte le ragazzine citavano su Facebook sotto le loro foto con la Reflex del padre? “Amo le foto perché non cambiano mai, anche quando le persone lo fanno.” Le foto restavano, ma ora queste avevano deciso di andarsene. Perciò, decisamente, era il momento di dimenticare.
Trovò una vecchia scatola di cartone vuota e gettò le prime quattro cornici. A una si staccò un listello. Si bloccò e le guardò per qualche secondo. In effetti, a pensarci bene, avrebbe saputo benissimo dire che cosa era rappresentato su ognuna di quelle fotografie prima che sbiadissero. Le aveva guardate così tante volte...
Tirò su quella a cui si era rotta la cornice e la osservò meglio. In realtà qualche ombra era rimasta impressa sulla carta. Già, qualche ombra sulla carta, e un paio di granelli nella memoria. Ecco cosa restava dei ricordi. Nella sua testa, e nelle foto. Ma ormai le foto non c’erano più.

...You’re dragging on, your heart’s been broken
as we all go down in history...
 
E la memoria? Dov’era finita, la memoria? Sì, insomma, ogni tanto le cose dovevano essere dimenticate. I ricordi che dovevano essere dimenticati. Che cosa contraddittoria. Fece un mezzo sorriso. Nessuna di quelle storie sarebbero mai passate alla storia, quindi se se le fosse dimenticate lei non ci sarebbe più stato nessuno a ricordarle, senza le foto. E quindi? Si chiese. Dopotutto, anche la storia prima o poi sarebbe stata dimenticata. Era tutta una questione di tempo. Di durare di più. Ma era così stupido voler durare di più, costringersi ad andare avanti, a sopportare di tutto, a stare male?
“L’importante è avere una vita favolosa, non importa che sia lunga, basta che sia favolosa.”
Già. concordò. Guardò di nuovo la foto. Un’ultimo ripasso, e poi basta. Poi avrebbe chiuso.
 
...Where in the world did the time go?
It’s where your spirit seems to roam
like losing faith to our abandon
or an empty hallway from a broken home...
 
Guardò la foto che teneva in mano. Sì, indubbiamente si ricordava. Lei sulle spalle di suo padre. Una giornata in spiaggia, quando era ancora piccola. Nella foto sorridevano tutti e due, se lo ricordava benissimo.
Pescò dalla scatola la seconda fotografia. Il matrimonio dei suoi genitori. Anche lì, sorrisi. Tutti a sorridere, sempre. Nessuno piange, nelle foto. Perché quando si ricordano i momenti si vogliono sempre ricordare belli. E’ un po’ un prendersi in giro, confondere in questo modo i ricordi con la fantasia. Ma tanto, comunque, tutto alla fine va nel dimenticatoio, il tempo se lo porta via e nessuno sa dove lo nasconde.
Terza foto, un compleanno di non si ricordava quanti anni prima. Lei con un orrendo maglione rosa addosso che soffiava sulle candeline. Non aveva mai contato le candeline, in effetti. Ci provò ora, ma era tutto troppo rovinato. Il tempo si porta via anche gli anni.
Quarta foto. Una foto di famiglia, stavolta. Sorrisi, sorrisi, sorrisi.
Chi l’avrebbe mai detto che poi tutto si sarebbe sgretolato così.

...Well don’t look away from the arms of a bad dream;
don’t look away, sometimes you’re better lost than to be seen...
 
Certo, ormai era tutto finito. Insomma, a un certo punto la montagna è stata completamente rosa dalla pioggia e non resta più niente da sgretolare.
Ma per qualche motivo sentiva di dover ricordare almeno per l’ultima volta. Fece un mezzo sorriso. Era praticamente sicura che avrebbe avuto incubi per tutta la notte, poi, ma una notte di incubi in più non avrebbe cambiato niente. Ce n’erano già state così tante...
Prese un’altra cornice. La foto della sua laurea. Lei circondata dai suoi amici, insieme a suo padre. Sua madre non c’era.
Era morta.
Deglutì. Forse era meglio così, pensò. Era quasi felice che sua madre non fosse stata costretta a vedere cosa era successo dopo.
 
...I don’t feel strange, it’s more like haunted.
Another moment trapped in time...
I can’t quite, put my finger on it
but it’s like a child that was left behind...
 
Si costrinse a ripensarci mentre osservava la foto di lei e suo marito nella loro nuova casa. Non si sentiva strana a ricordare quelle cose, l’aveva già fatto così tante volte che ormai erano diventate una specie di abituale ossessione.
Sentì le lacrime riempirle gli occhi. Suo padre aveva odiato quell’uomo sin dall’inizio, ma lei non pensava che fosse solo colpa sua, in fondo. Dopotutto, erano stati in due a distruggersi a vicenda. Entrambi avrebbero dovuto capire da subito che non avrebbe funzionato.
E invece era andata a finire nel peggiore dei modi. Era rimasta incinta, e aveva abortito senza neanche dirglielo. Erano sposati, eppure si era resa conto che non voleva niente che la legasse così tanto a lui.
Quando lui l’aveva scoperto, era finita apparentemente senza particolari problemi. Ma suo padre non le aveva più parlato. “Hai sposato un uomo e anche se non approvo adesso è tuo dovere essere una buona moglie.”
Figurarsi quando aveva saputo dell’aborto.
“Maschilista tradizionalista di merda.” pensò, sentendo riaffiorare la rabbia che però subito dopo sparì.
Perché lei gli aveva voluto bene. Non sapeva come, ma aveva davvero voluto bene a suo padre, prima.
E ora era finito tutto.

...So where in the world’s the forgotten?
Like soldiers from a long lost war
we share the scars from our abandon
and what we remember becomes folklore...
 
Non si erano più rivisti. Quando era morto, non era andata al suo funerale. Non sapeva neanche dove fosse seppellito.
Aveva agito di impulso, inizialmente, poi si era ostinata a mantenere quella rabbia e quell’odio vivi dentro di sé. Una guerra, perché ogni tanto avrebbe voluto riabbracciarlo, riabbracciare un’intera famiglia che la considerava come una pecora nera.
Ma non l’aveva fatto. E forse era stato giusto così.
Aveva cercato ovunque una persona con cui parlare. Le era sembrato che nessuno volesse ascoltarla, all’inizio.
E poi un giorno, in un bar semivuoto, mentre suonava la chitarra per qualche dollaro, si erano incontrate.
 
...Well, don’t look away from the arms of a bad dream,
don’t look away, sometimes you’re better lost than to be seen.
Don’t look away from the arms of a moment,
don’t look away from the arms of tomorrow,
don’t look away from the arms of a moment,
don’t look away from the arms of love.
 
Non era amore, oppure sì.
Era un vivere restando se stessi, guardando ogni secondo. Era un vivere guardando avanti.
Ma ogni tanto bisognava chiedersi dove finivano quelle contraddizioni che erano i ricordi dimenticati, no?
Fece un sorriso triste e raccolse la scatola quasi piena di cornici, uscendo dalla soffitta. Non era più lì che dovevano stare. Non con lei.
Mentre scendeva, non si accorse che una cornice era caduta dallo scaffale e che non l’aveva raccolta.
Era caduta a faccia in giù, quasi a voler nascondere quello che c’era nella foto. Ma non aveva importanza.
 
 
Oppure sì?
  
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