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Autore: Emmastory    08/03/2015    4 recensioni
Chelsea. Un nome comune, una ragazza come tante, ma un segreto che viene dal suo passato. Anche se giovane ed inesperta, è parte di un clan di vampiri. Costretta a nascondersi dagli umani per carpire le loro vere intenzione nei suoi riguardi e in quelli dei suoi simili, si ritroverà, assieme alla sorella Jennifer, a fingersi una mortale, incontrando durante il suo cammino, altre creature magiche del suo stesso calibro. Per sua pura sfortuna, non ogni singolo individuo le sorriderà.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Creature della notte

Capitolo I


Chi siamo


Chelsea Hale. Una ragazza normale, alta, con i capelli neri e gli occhi di un marrone scuro e inconfondibile. Purtroppo, questo risulterebbe essere solo il pensiero di chi non mi conosce. Difatti, la mia famiglia ed io, nascondiamo, ormai da tempo immemore, un segreto di vitale importanza. I miei genitori, David e Dalia, sono dei vampiri, proprio come me e mia sorella Jennifer. Ad ogni modo, ogni singolo vampiro è diverso. Tutti noi condividiamo tratti quali pelle molto chiara, fisico asciutto e una predilezione innata per il buio. Qui a Silverblood, nella città dove viviamo, hanno sempre vissuto indisturbate, intere generazioni di vampiri, ma di recente, la mia famiglia ha scoperto di un evento che non aveva mai avuto luogo prima d'ora. Anche i mortali, ossia gli umani, stanno scegliendo questa città come posto in cui vivere. I miei genitori, continuano a ripetere di essere in grave pericolo, e sono quasi in perenne stato d'allarme, perciò a mia madre è venuta un'idea. Solitamente, una vampira come me, ancora nel periodo dell'adolescenza, non sarebbe affatto tenuta a conoscere i suoi poteri prima dell'età adulta, ma i miei genitori hanno fiducia in me, e vista la situazione, hanno deciso di passarmi parte dei loro poteri. Questa, è una procedura attuabile solo da un  vampiro adulto all'interno di una famiglia, e la scelta su chi dovesse metterla in atto, è caduta su mia madre. Essendo ancora giovane ed inesperta, non sapevo in cosa consistesse, perciò ero un pò nervosa, ma decisi di provare a mantenere la calma. Nel salotto di casa, dove tutti eravamo riuniti, regnava il silenzio. Lo stesso, si ruppe quando mia madre, guardandomi negli occhi, mi chiese di avvicinarmi a lei. Lentamente, feci qualche passo nella sua direzione, e poi mi fermai. Dopo pochi istanti, mia madre tornò a guardarmi, con quei suoi occhi di ghiaccio, che sembravano scrutare anche l'interno della mia anima. Subito dopo, allungò una mano verso di me, arrivando a toccarmi la fronte. Non appena lo fece, avvertii una strana sensazione di calore diffondersi in tutto il mio corpo. Poco dopo, sentii che il bruciore aveva raggiunto anche le mani. Istintivamente, abbassai lo sguardo, fissandolo sui miei palmi. Mentre guardavo, notai che quella che mi sembrava una piccola ferita, risplendeva, ed era alquanto calda al tatto. Dopo pochi istanti, tornai a guardare mia madre, confusa. Lei mi spiegò che quella che avevo sulla mano, non era una ferita, ma bensì un marchio. Ogni vampiro ne possedeva uno, ed era un importante strumento di identificazione. Guardandolo, notai che assomigliava ad una goccia di sangue. Ad ogni modo, tacqui la mia scoperta, e dopo qualche minuto, mia madre aggiunse che il bruciore che avevo avvertito, era un diretta conseguenza del potere che mi aveva passato toccandomi. Inoltre, aggiunse che la forma del marchio che avevo sulla pelle, non era certo casuale, ma al contrario, stava a simboleggiare che io e la mia famiglia, facevamo parte di un nuovo ordine, creatosi prima della nascita mia e di mai sorella, chiamato "Ordine del Sangue." In religioso silenzio, ascoltai ogni singola spiegazione che mia madre mi diede, ma dovetti silenziosamente ammettere di non farcela più. Difatti, a causa di tutte le nozioni appena apprese, mi sentivo come se la mia testa fosse ormai sul punto di esplodere.  Sentivo un dolore pazzesco, quasi insopportabile. Trovai tutto ciò inspiegabile. In fondo, non mi ero mai sentita così prima d'ora. Dovetti, tuttavia, lasciare che il mio dolore passasse in secondo piano, per un motivo ben preciso. infatti, mio padre, che in tutto quel tempo, non aveva proferito parola, si alzò dalla sua sedia, e guardandomi, mi disse che aveva da comunicarmi qualcosa di davvero urgente. A quelle parole, mia madre e mia sorella fecero per alzarsi e lasciare il salotto, ma mio le fermò subito. “Devo parlarvi ragazze.” esordì. Jennifer ed io, non osavamo neppure fiatare. Non ci saremmo mai permesse di interrompere uno dei discorsi di nostro padre. “Come sapete, facciamo tutti parte dell'Ordine del Sangue, ma non siamo affatto al sicuro, visto il recente arrivo degli umani. Dovete mescolarvi a loro e riuscire a nascondervi, qualunque cosa accada.” Dopo aver ascoltato le sue parole, annuimmo. Avendo ormai finito il suo discorso, nostro padre decise di lasciare la stanza. Non appena se ne fu andato, mi riavvicinai a mia madre, e le chiesi se ci fosse un modo per stare a contatto con gli umani, e al contempo, non insospettirli. Lei stessa, trovò la mia domanda alquanto ponderata, e dopo averci riflettuto a lungo, rispose:”Mi duole dirlo, ma voi ragazze dovrete iniziare ad agire e comportarvi come dei perfetti mortali. Attenzione, però, alcuni di loro, sanno essere infidi e sospettosi. Abbiate cura di controllarvi e di non utilizzare i vostri poteri.” Il tono di nostra madre, era diventato piuttosto perentorio. Generalmente, sta ad indicare che è seria, e non in vena di scherzi, ma non potevamo certo biasimarla, in  un momento di tale allerta. I discorsi dei nostri genitori, avevano occupato gran parte della nostra giornata. A me e mia sorella, infatti, bastò guardare fuori dalla finestra per capire che era ormai calata la sera. Dopo quanto era successo nell'intera giornata, eravamo entrambe stremate, così decidemmo di andare a dormire, cosa che, almeno a me, risultò alquanto difficile. Tutte le spiegazioni, i moniti, e le raccomandazione di mia madre, continuavano a ronzarmi in testa, privandomi del sonno. Tentai di lottare perché svanissero dalla mia mente, ma invano. Rimasi sveglia per tutta la notte, intenta a pensare, e ad escogitare piani per evitare che gli umani mi scoprissero. Ogni mia riflessione, sembrava sempre condurmi ad un punto morto. Durante quella notte insonne, capii una cosa. Fingermi umana, al fine di nascondermi dai sospettosi mortali, sarebbe sicuramente stato tutt'altro che facile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 

 


Capitolo II

Il mondo degli umani


La luna, indiscussa e benevola regina dei cieli notturni, è puntualmente costretta a cedere il suo trono ad un astro più brillante, maestoso e importante di lei. Il sole. Noi vampiri, abbiamo un’innata predilezione per il buio, ma stamattina, mi sento leggermente diversa, come se qualcosa dentro di me sia cambiato. Così, con una grande confusione in testa, mi sono alzata dl letto, ed ho iniziato a cercare mia madre. L’ho trovata seduta in cucina, al riparo dalla luce mattutina nella penombra della stanza. “Mi sento strana,” le dissi guardandola. Mia madre aveva lo sguardo fisso sul pavimento della stanza, ma ad un tratto alzò gli occhi e disse:”Va tutto bene Chelsea, non devi spaventarti, i tuoi poteri stanno cambiando.” Invece di chiarirmi le idee, le sue parole mi confusero ulteriormente. “Cambiando? Cosa vuoi dire?” le chiesi, con una vena di paura nella voce. “Devi calmarti, è solo il tuo nuovo potere che inizia a manifestarsi,” rispose. Quando vuole, mia madre sa essere abbastanza enigmatica. Le sue parole, non facevano che aumentare la confusione che avevo in testa. “Quale potere?” osai replicare, con un tono incapace di mascherare il mio terrore. Prima di rispondere alla mia domanda, mia madre si lasciò andare in un sospiro, dopodichè disse:”Quello del Rifugio, cara, tuo padre ha lasciato che te lo tramandassi così che tu potessi portare a termine la tua missione.” Ancora una volta, ascoltai con estrema attenzione e concentrazione, soffermandomi sull’ultima parola che pronunciò. Fu proprio quell’ultima parola, infatti, a rendere ogni cosa più chiara. Dopo circa un minuto di silenzio, mia madre mi intimò di andare a vestirmi, poiché da oggi, sarebbe iniziato il mio cammino verso l’assolvimento del mio importante compito. Obbedii senza protestare e dopo una decina di minuti, ero di nuovo davanti a lei, con indosso una maglietta nera ed un paio di jeans. Notai che stavolta, mia madre non era la sola persona presente in cucina. Assieme a lei, c’era anche mia sorella Jennifer, ed entrambe sembravano avermi aspettato. “Ebbene, qual è il prossimo passo da compiere?” chiese mia sorella, evidentemente impaziente. “Frequenterete la stessa scuola dei mortali, è l’unico modo per avvicinarsi a loro e non destare sospetti.” Rispose, in tono calmo,nostra madre. Entrambe, rimanemmo in silenzio, limitandoci ad annuire. dopodichè, Jennifer ed io ci voltammo, con la ferma intenzione di uscire una volta raggiunta la porta di casa. Avevamo in programma di raggiungere la scuola a piedi, essendo la distanza che la separa da casa nostra, alquanto esigua. Una volta uscite di casa, iniziammo a camminare verso la nostra meta, senza perdere un istante. Camminavamo ormai da una ventina di minuti, quando all’improvviso, notai un grande edificio protetto da un cancello di ferro ancora chiuso. Arrivate davanti allo stesso cancello, mia sorella ed io ci fermammo. Intorno a noi c’era solo silenzio. Ad un tratto, però, entrambe fummo scosse da un tremito. Un impetuoso vento aveva iniziato a soffiare, e ci ritrovammo entrambe costrette a dover sopportare immobili, il freddo che ne seguì. Restammo ferme davanti al cancello per alcuni minuti, e subito dopo, sentimmo un rumore provenire da dietro di noi. Voltandoci di scatto, scoprimmo con sollievo che non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi, essendo quel rumore, causato dai passi di una ragazza che si stava lentamente avvicinando a noi. Quasi istintivamente, volsi lo sguardo verso mia sorella, che mi fece capire, senza dire una parola, che dovevo mantenere la calma. Dopo essersi avvicinata a noi, la ragazza ci guardò entrambe negli occhi e disse:”Ciao, voi due dovete essere nuove in questa scuola. Piacere, io sono Daniella,” Subito dopo essersi presentata, la ragazza mi porse la mano, e io gliela strinsi, mostrandomi felice di averla conosciuta. Poco dopo, fece la stessa cosa con Jennifer, la quale, afferrò la sua mano con una punta di riluttanza. Notando ciò, fulminai mia sorella con un occhiata di rimprovero. Facendo del mio meglio per ignorare la freddezza di Jennifer, tornai a guardare Daniella, e le dissi:”Piacere di conoscerti, io sono Chelsea.” Dopo aver finito di parlarle, notai le labbra di Daniella schiudersi in un luminoso sorriso. Subito dopo, tutte e tre fummo distratte da un forte cigolio metallico, segno che il cancello della scuola, si stava aprendo. Aspettammo pazientemente che il rumore cessasse, dopodichè, ci dirigemmo verso l’entrata della scuola. Eravamo in evidente anticipo, visto che i corridoi erano deserti. Jennifer ed io, non proferivamo parola, preferendo sforzarci di seguire il passo di Daniella, che si muoveva a passo veloce nei corridoi scolastici. Lei stessa, ci condusse davanti alla porta di un aula, ma anche questa, purtroppo, era chiusa a chiave. Voltandosi verso di noi, ci fece segno di aspettarla, e noi non osammo muoverci, limitandoci infatti, a guardarla mentre camminava, allontanandosi lentamente. Entrambe, la vedemmo tornare dopo pochi minuti, accorgendoci che non era sola. Daniella difatti, era accompagnata da un uomo abbastanza alto, e con i capelli scuri. Notando quanto Jennifer ed io fossimo confuse, Daniella ci guardò e disse:”Ragazze, lui è il signor Sanders, uno dei collaboratori scolastici.” Guardando l’uomo negli occhi, mia sorella ed io lo salutammo educatamente, e lo stesso ricambiò il nostro saluto. Poco dopo, Daniella chiese al signor Sanders il favore di aprire la porta dell’aula, dandoci modo di entrare, e liberarci dal peso dei nostri zaini. Il signor Sanders annuì, e si avvicinò alla porta dell’aula. Noi tre ci scostammo, rimanendo ferme a guardarlo mentre armeggiava con un grosso mazzo di chiavi. “Questa porta non vuole proprio saperne di aprirsi.” Scherzò il signor Sanders. Noi tre ridemmo, divertite dalla sua battuta. Ad ogni modo, fece un ultimo tentativo, e finalmente riuscì ad aprirla. Daniella lo ringraziò, e l’uomo le sorrise, voltandole le spalle per tornare al suo lavoro. Senza esitare, tutte e tre entrammo in classe, appoggiandoci ognuna ad un banco diverso, avendo cura di lasciare i nostri zaini in terra, accanto a ciascuno di essi. “E adesso cosa facciamo?” chiesi, rivolgendomi a Daniella. “Niente, i compagni e la professoressa dovrebbero essere qui a minuti.” La risposta di Daniella mi parve esauriente, ma decisi di non commentare. Non avevo nulla contro di lei, e ad ammetterlo, era piuttosto simpatica per essere soltanto una mortale. Non lasciai che questo pensiero mi occupasse la mente, venendo poi distratta dal rumore della porta dell’aula che si apriva con uno scatto fastidioso. Ignorai quello sgradevole rumore, e mi sedetti al mio posto senza fiatare. Ebbi a malapena il tempo di farlo che subito una donna alta e dai capelli lisci entrò in classe. Volgendo il suo sguardo su noi alunni, disse:”Buongiorno ragazzi, sono la signorina Harrison, la vostra nuova insegnante di storia.” Tutti quanti la salutammo sorridendo, ma io, per qualche strana ragione, avevo un brutto presentimento riguardo la professoressa. Continuando a guardarla, infatti, notai che era molto pallida e che aveva gli occhi del mio stesso colore. Inevitabilmente, non riuscii a concentrarmi sulla lezione, poiché nella mia mente, c’era un solo pensiero, ossia quello riguardante l’estrema somiglianza che esisteva fra me e la signorina Harrison. Lentamente, passarono altre due ore di lezione, al termine delle quali, la professoressa fu costretta a lasciare la classe. Al suo posto, fece il suo ingresso nella nostra aula, il professore di educazione fisica, che annunciò che saremmo scesi nel cortile della scuola per una partita di pallavolo. Non appena finì di parlare, mi alzai in piedi e dissi:”signor Donovan, temo di non sentirmi bene.” Segretamente, speravo che il mio naturale pallore lo convincessero, e fortunatamente fu così. A sentire ciò che avevo appena detto, il professore mi guardò e rispose:”Non c’è alcun problema Chelsea, seguirai il resto della classe in cortile, seppur non giocando assieme ai compagni.” Sentendo le sue parole, abbozzai un sorriso, dopodichè mi voltai e raggiunsi Jennifer, seduta in fondo alla classe. La invitai ad alzarsi, dopodichè entrambe ci unimmo a Daniella, scendendo insieme nel cortile della scuola. Una volta lì, Jennifer ed io rimanemmo in disparte, anche dopo i numerosi tentativi di Daniella di convincerci a giocare a pallavolo con lei e i compagni. Proprio mentre era nell’atto di farlo, un ragazzo dai capelli neri si è avvicinato a lei, e guardandomi ha detto:” Ecco un’altra novellina, cosa fai, non ti unisci a noi?” “Lasciala in pace Jason, non vedi che sta male?”mi difese Daniella. Alle sue parole, il ragazzo girò sui tacchi, tornando nel campo di pallavolo. Guardando Daniella, la ringraziai del gesto, e lei sorrise, sostenendo che in fondo Jason era soltanto un idiota a cui piaceva fare il bullo. Comprendendo di non riuscire a convincermi a giocare assieme a lei, Daniella desistette, tornando a parlare con un gruppo di altre ragazze. Vedendo che si era finalmente allontanata, chiesi a Jennifer di raggiungermi, e rimasi ad aspettarla. Quando fu abbastanza vicina, le dissi:”Hai guardato bene la Harrison stamattina? Credo sia una di noi.” Mia sorella non riusciva a credere a quel che le avevo appena detto, così mi rispose:”Chelsea, sei impazzita? Non è possibile, questo posto brulica di umani!” “Non sono impazzita!” replicai. A quel punto Jennifer alzò gli occhi al cielo e mi diede le spalle, allontanandosi da me. Mi sembrava impossibile. Iniziavo ad avere dei sospetti sull’identità della Harrison, e mia sorella, unica persona in grado di farlo, non mi credeva. Ad ogni modo, non volevo arrendermi. Sapevo che i miei sospetti erano fondati, e sapevo di dover trovare il modo di scoprire la verità. Non mi sarei data pace fino a che non l’avrei fatto. le ultime due ore di cui si componeva la giornata scolastica, volsero velocemente al termine, così, al suono della campanella, che decretava la fine delle lezioni, mia sorella ed io ci avviammo verso l’uscita della scuola, dirette verso casa nostra. In quel mentre, notammo che Daniella, al contrario di noi, si stava dirigendo verso un’auto parcheggiata. Ci disse che era l’auto di sua madre, e ci chiese se volessimo un passaggio, ma noi rifiutammo educatamente, avendo altri piani. Quando finalmente arrivammo a casa, nostra madre ci guardò e ci chiese:” Come è andata a scuola, ragazze?” “Bene.” Rispondemmo all’unisono, avviandoci verso la nostra stanza. Una volta arrivate, ci sdraiammo ognuna sul proprio letto, sperando di addormentarci. Ancora una volta, dormire mi fu impossibile. Nella mia testa continuava a balenare un dubbio. Continuavo a chiedermi, infatti, se avessi ragione riguardo alla Harrison, e cosa sarebbe potuto accadere in quel caso, ma ad ogni modo, mi sforzai di liberare la mente, sprofondando poi in un sonno senza sogni.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Capitolo III


Un importante passo


È ancora notte fonda, il cielo notturno è così scuro, che quasi si tinge di nero. Qualche timida stella, si sforza di brillare, ma quei miseri sfavillii non possono nulla contro l’oscurità di quella notte. Dormivo, e nella stanza non c’era alcun rumore, escluso il suono del mio respiro, unito al ritmico battito del mio cuore. D’improvviso, accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata. Fui svegliata di soprassalto da un acutissimo dolore al petto. Mi contorcevo nel letto per via del dolore, urlando con quanto fiato avevo in gola. Così facendo, svegliai i miei genitori, che, aperta la porta della mia stanza, si accorsero subito di cosa mi stesse accadendo. Non riuscivo a fare altro che continuare a lamentarmi, ma ad un tratto sentii mia madre che diceva:”Non è possibile! Sta succedendo davvero!” In quel momento, anche se il dolore era ancora lancinante, era ad ogni modo diventato più sopportabile. In lacrime, chiesi a mia madre cosa intendesse e lei rispose:”Sono i tuoi poteri, Chelsea. Stanno cambiando, lascia che il dolore ti attraversi, non opporre resistenza.” “Non ci riesco!” urlai. “Fallo e basta!” mi intimò mia madre, in evidente collera e con l’occhio invelenito. Così, non avendo altra scelta, smisi di lottare contro il dolore, e d’improvviso, tutto tornò normale. Smisi di tremare, il mio battito cardiaco si regolarizzò, e riuscii di nuovo a respirare normalmente. Tuttavia, un dubbio mi sorgeva spontaneo. Non sapevo cosa mi fosse appena accaduto, perciò ancora impaurita, chiesi spiegazioni a mia madre. Lei, evitando di mostrarsi enigmatica come al solito, mi guardò e disse:”Sei una vampira, e come tale, all’età di sedici anni, hai completato il tuo stadio larvale, raggiungendo quello di vampira adulta. Il dolore che hai provato, è segno che i tuoi poteri sono aumentati. Da ora, dovresti averne il pieno controllo.” “Come ti senti?” mi chiese infine. “Meglio.” Mi limitai a risponderle, non sapendo quali altre parole far uscire dalla mia bocca. Subito dopo, mia madre mi sorrise, mettendomi una mano sulla spalla. Rimase a guardarmi per qualche minuto, poi si volto è lasciò la stanza. Mi ritrovai da sola, con la sola compagni dell’oscurità. Decisi di rimettermi a dormire, ma ebbi appena il tempo di sdraiarmi sul mio letto, che subito iniziai ad avvertire uno strano e fastidioso bruciore in fondo alla gola. Provai a tossire per liberarla, ma non riuscii. Dopo vari e vani tentativi, decisi di alzarmi e dirigermi verso il bagno. Vi entrai lentamente, e notai, sorpresa, un breve ma costante luccichio nello specchio. Voltandomi, scoprii che quello strano sfavillio, non proveniva dall’esterno, come pensavo al’inizio, ma bensì dall’interno della stanza stessa. La fioca luce presente, mi inondò il viso, e fui costretta a sbattere le palpebre, visto il fastidio che mi provocava. Di scatto, poi, mi girai una seconda volta verso lo specchio, e mi accorsi di nuovo di quel luccichio. Ero completamente ignara di ciò che mi stava accadendo, così respirai a fondo, tentando di calmarmi. Poi, d’improvviso, tutto si chiarì. Un guizzo di memoria mi saltò in mente, facendomi ripensare alle parole di mia madre. Quindi, con un breve ma arguto ragionamento, riuscii a trovare la causa dei miei fastidi, e del misterioso luccichio nello specchio del bagno. Mi erano finalmente spuntati dei lungi ed aguzzi canini, che ogni vampiro che si rispetti, dovrebbe avere. La mia scoperta, mi sollevò, poiché finalmente, ogni singolo evento acquistava un senso, ma la mia felicità e il mio sollievo finirono per essere destinati a durare poco. L’intera faccenda, aveva anche una sorta di lato negativo. Pensavo di aver ormai chiarito ogni dubbio esiste stente, quand’ecco che un altro sovrastò ogni mio pensiero. “Perché a me?” pensai. “Perché non a Jennifer?” In fondo, lei era di due anni più grande di me, perciò la logica mi suggeriva che la trasformazione che avevo appena subito, sarebbe certamente dovuta toccare prima a lei, ma la mia stessa logica e lucidità mi tradirono, visto che evidentemente non era così. Sospirando, scossi lentamente la testa, abbassandola subito dopo. Avevo ormai perso anche l’ultima speranza di trascorrere una notte tranquilla, e per l’ennesima volta, mi ritrovai a rimanere sveglia nel mio letto, passando le lente e scorrevoli ore notturne, ad interrogarmi. Fra un pensiero e l’altro, chiudevo gli occhi sdraiandomi esausta, per poi risvegliarmi, e ricominciare quest’infinito e ripetitivo ciclo, solo qualche minuto dopo. Spossata, rinunciai ad affidarmi per una seconda volta ai miei neuroni e alla mia concentrazione, sapendo che ogni mia supposizione, aveva un unico scopo. Sapevo, infatti, che le stesse non avrebbero fatto altro che portare un’interminabile serie di dubbi all’interno della mia vita. Aggrappandomi all’ultimo briciolo di buon senso che mi era rimasto, iniziai a dubitare di me stessa, credendo che ogni vampiro, ogni creatura soprannaturale del nostro calibro, venisse al mondo con ogni possibile certezza riguardo il suo essere, ma mi accorsi che mi sbagliavo. Così, completamente stremata, e incapace di ogni ulteriore ragionamento, che mi avrebbe soltanto privata di ogni mia energia rimanente, giunsi ad un ultima importante conclusione. Le creature a noi simili non scelgono chi essere, ma lo diventano, scoprendo per tempo, il loro destino. Qualche minuto prima di riaddormentarmi, ripensai alla missione che mi era stata affidata, capendo che la stessa risultava essere di vitale importanza, poiché la posta in gioco era davvero alta. Ne andava infatti, della sopravvivenza di tutti i vampiri componenti “L’ordine del Sangue.” Dopo tale pensiero, mi sento fiera di me stessa. Finalmente ho scoperto la complicata connessione fra il nostro mondo, e quello degli umani. Fra i due non può esserci simbiosi, ma uno dovrà sempre, strenuamente tentare di prevalere sull’altro. Un qualunque altro vampiro, diverso da me, riterrebbe la mia scoperta quasi sicuramente ovvia e banale, ma io no. Un altro vampiro non capirebbe che questo si tratta di un passo in più verso le mie origini e il mio essere, ed è da ritenersi quindi, un passo importante.
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo IV


Neve e sangue


Un monotono e ripetitivo gioco astrale, segna l’inizio di una nuova giornata. È inverno, e il cielo assume, come di consueto, un color nero pece. Il freddo pungente fuori dalla mia finestra, lascia che il vento sibili minaccioso, trasportando con sé delle grigie e poco rassicuranti nuvole. Sono certa che fra poco l’aria si vestirà di tuoni, ai quali seguirà una pioggia scrosciante. Mi sbaglio. Alla pioggia che mi aspettavo, si sostituisce la neve. Un candido manto bianco ricopre le strade, gli alberi, e ogni cosa attorno a me. Un mio presentimento, mi porta a credere che quella odierna non sarà una giornata ordinaria. Una strana concatenazione di eventi, fa in modo che io mi renda conto di avere ragione. Tutto è  iniziato in questa grigia e cupa mattinata invernale. Sapendo che, come vampira, ho ormai raggiunto l’età adulta, i miei genitori hanno deciso di portarmi nel bosco vicino casa, che inoltre delimita un confine invalicabile da parte degli umani. Per via della neve, le scuole sono chiuse perciò posso dedicarmi in maniera serena, ad una nuova attività. Mio padre, ha infatti deciso di portarmi con sé nel bosco, per la mia prima battuta di caccia. Lui stesso, mi ha informata del fatto che noi vampiri, con il completamento dello stadio larvale, e il conseguente passaggio all’età adulta, iniziamo a manifestare un sempre crescente desiderio di sangue, che impariamo a controllare con la pratica e il tempo. Ogni vampiro, inoltre, a questa età viene messo di fronte ad una scelta. Può decidere infatti, se nutrirsi di sangue umano o animale. In maggioranza, secondo i racconti di mia madre, scelgono quello umano, e ancora non sa nulla riguardo alla mia scelta. So perfettamente che i miei genitori, vista l’educazione ricevuta da ragazzi, non si sono mai nutriti di sangue umano, ragion per cui, ho deciso di portare avanti questa tradizione. Difatti, ho scelto di nutrirmi d’ora in poi, di sangue animale. In fin dei conti, i miei poteri e il mio istinto, mi guidano e consigliano, e finora, non si sono mai sbagliati. D’altro canto, una scelta diversa farebbe insospettire gli umani, cosa che, la mia famiglia ed io, cerchiamo costantemente di evitare. Così, mio padre ed io, ci siamo addentrati nel bosco vicino casa, dove mi ha illustrato le principale regole da seguire durante la caccia. Inizialmente, un vampiro può e deve affidarsi ai suoi sensi, seguendo attentamente l’odore del sangue intorno a sé. L’utilizzo dei sensi, pian piano decresce, poiché soppiantato dagli istinti del vampiro stesso. Camminavamo lentamente, stando attenti a qualsiasi rumore. Mi lasciavo guidare da mio padre, il quale, dopo ogni passo, lasciava nitide impronte nella neve. Poco dopo, decido di fermarmi. Intorno a noi non c’è anima viva, eppure sono certa di aver sentito qualcosa. “Che ti succede?” chiede mio padre, stranito dal mio comportamento. “Niente, credo solo di aver visto e sentito qualcosa.” Gli rispondo, senza distrarmi. Mentre continuavo a camminare, allontanandomi di qualche passo da mio padre, e decidendo di seguire il mio istinto di vampira, sentii il cuore martellarmi nel petto, seppur solo per alcuni secondi. Ora, i miei occhi avevano cambiato colore, passando dal naturale ed inconfondibile marrone scuro, ad un colore rosso vivo. Di punto in bianco, senza indugiare, iniziai a correre verso un albero proprio davanti a me. Quando lo ebbi raggiunto, mi fermai. Fissai intensamente quell’enorme pianta per alcuni secondi, scoprendo al suo interno, la tana di uno scoiattolo. Non osavo, per nessuna ragione al mondo, staccare lo sguardo dalla pianta stessa, rimanendo in attesa. La stessa, si rivelò breve. Dopo una manciata di secondi, indietreggiai di qualche passo, e subito vidi quel piccolo animale venir fuori dalla sua tana. Sotto lo sguardo attento di mio padre, mi avvicinai prontamente, e utilizzai i miei artigli per recidere la gola alla bestiola. Fatto ciò ne depositai in terra il corpicino, iniziando a berne avidamente il sangue, che fuoriusciva dalla ferita che avevo provocato. Dopo poco tempo, notai mio padre avvicinarsi cauto. Voltandomi verso di lui, mi accorsi che i suoi occhi, avevano ora assunto lo stesso colore dei miei. Mi rimaneva vicino, pur non azzardandosi a disturbarmi. Passò qualche secondo, prima che io liberassi l’ormai morto animaletto dalle mie grinfie, e mi rialzassi da terra. Nell’atto di farlo, abbassai lo sguardo verso il terreno, notando che ora anche la neve, si era macchiata, divenendo quasi vermiglia. Mentre ero ancora intenta a fissare il terreno, mio padre mise una mano sulla mia spalla, dicendo:”Ottimo lavoro, Chelsea, non male come prima preda.” “Grazie,” tardai a rispondere, troppo concentrata sul liquido, che ora aveva formato un disgustoso grumo nella neve. Cingendomi ora un braccio intorno alle spalle, mio padre mi accompagnò amorevolmente fuori dal bosco. Proprio quando eravamo entrambi in procinto di uscirne, dissi a mio padre di sentirmi stanca. Lui quasi non mi ascoltò, definendola una cosa normale, e continuando a camminare al mio fianco. All’improvviso, le palpebre mi si chiusero per via della stanchezza, e non riuscii a vedere che una roccia era nascosta da una soffice coltre bianca. Così, finii per inciampare. Con una velocità fulminea, ed uno scatto degno di un felino, mio padre mi aiutò prontamente a rialzarmi. “Stai bene?” chiese, con un filo di preoccupazione nella voce. Sentendomi privata di tutte le mie forze, biascicai qualche parola, per poi accasciarmi al suolo, svenuta. Non saprei dire precisamente, per quanto tempo rimasi priva di conoscenza, so solo che, quando finalmente mi risvegliai, trovai mio padre ancora accanto a me. Riaprendo gli occhi e guardandolo, realizzai che era rimasto a vegliare su di me, pronto a difendermi da qualunque fiera si fosse avvicinata al mio corpo esanime. Mi ha subito aiutata a rialzarmi, e abbiamo ripreso il nostro cammino verso casa. Il senso dell’orientamento dei vampiri, risulta essere molto sviluppato. Difatti, sebbene stesse ancora nevicando, ogni passo verso casa mi scaldava il corpo. Quando è lontano da un suo simile, o da un luogo conosciuto, un vampiro, generalmente, iniziare a mostrare segni di malessere, condizione in grado di fornire una spiegazione al mio precedente  svenimento. Quando arrivammo a casa, mia madre ci accolse, felice di rivederci ma con il viso in una maschera di preoccupazione. Appena ci rivide, infatti, gridò:”David! Dove siete stati?” A quel punto, con una pazienza del tutto innaturale, mio padre rispose:”Adesso calmati Dalia, ho solo portato Chelsea con me a caccia. Pensavamo lo sapessi, in fondo ti avevamo avvisato.” “Potrete anche avermi avvisato David, ma avete una minima idea di quanto io e Jennifer fossimo preoccupate? Sai bene cosa potrebbe succedere in quel bosco!” proruppe mia madre, lasciando che ancora una volta, la collera si impadronisse di lei. Mio padre, al contrario, non batté ciglio, preferendo di gran lunga non rispondere. Voltando le spalle a mia madre, si ritirò nella sua stanza, dove rimase per tutta la sera. Io invece, decisi di unirmi a Jennifer, che lentamente, si stava anche lei avviando verso la sua. Nessuna di noi proferì parola. Dopo la lite dei nostri genitori, Jennifer era rimasta senza, e dopo ciò che mi era accaduto nel bosco, ero troppo stanca per qualunque discorso a riguardo. Mi lasciai cadere sul letto, sfinita. Dopodichè, aspettando di finire fra le braccia di Morfeo, mi misi a riflettere. Tentavo di capire quale fosse l’ancora oscuro significato che si celava dietro le parole di mia madre, e subito fui scossa da un brivido, a metà fra freddo e spavento. Ad ogni modo, resistetti agli allettanti richiami del sonno per poco, finendo per addormentarmi placidamente. Al momento, una valanga di pensieri bui e negativi affolla la mia mente, ma comprendo di dover portare pazienza, e aspettare domani per vedere cosa accade. Data la mia natura pessimista, tendo sempre a temere il peggio, ma ora taccio nel mio sonno, sapendo di avere poco tempo per godermi la calma prima della tempesta.
 
 
 
 
 
 
 

 


Capitolo V
Segreti fra vampiri
Attorno a me, regna il silenzio. Sono sola, con il buio della notte come unica compagnia. Ancora una volta, il timido brillare delle stelle non può nulla contro l’oscurità notturna. Davanti a me, meravigliata spettatrice, una notte stellata. Questo, è lo scenario migliore che si possa mai presentare agli occhi di una vampira del mio calibro. Osservo, in assoluto silenzio, e con gli occhi che brillano per lo stupore, il panorama che ho davanti. Rimango incantata dalla visto del cielo, che, come ogni notte, assume un colore simile a quello dell’ebano. Spostando lo sguardo, lascio che il giardino di casa entri nel mio campo visivo. Anche lì, nessun rumore. La quiete notturna, è disturbata unicamente dal dolce suono del vento, che rende le foglie degli alberi, e i fili d’erba pregni di rugiada, degli eccellenti ballerini. Ad ogni modo, mi accorgo che manca poco tempo al sorgere del sole, nemico mortale di noi creature notturne. Con riluttanza, quindi, indietreggio di qualche passo, allontanandomi dalla finestra della mia stanza. Dopodichè mi appresto ad uscire, camminando lentamente, per non correre il rischio di svegliare mia sorella Jennifer, che dorme tranquilla, nel letto accanto al mio. Con movenze simili a quelle di un automa, scelgo di dirigermi verso la cucina. Inaspettatamente, lì trovo mia madre. È una donna decisamente mattiniera, perciò non c’è affatto da meravigliarsi se la si trova sveglia così presto al mattino. Non potendo evitare di incrociare il suo sguardo, la saluto con un gesto della mano. Lei ricambia affettuosamente, dopodichè con espressione seria, chiede:”Come mai sveglia a quest’ora signorina?” “Non ho sonno.” Biascico sbadigliando. Mia madre ascolta la mia risposta, e subito dopo annuisce, segno che non si era persa una parola. So bene che oggi mi si prospetta una nuova giornata scolastica, ragion per cui, non perdo un attimo di tempo, e corro subito in bagno a prepararmi. Nel tentativo di sbrigarmi a farlo, decido di fare una doccia, e assisto a come il vapore, generato dall’acqua calda all’interno della stessa, aleggi nella stanza, permeando conseguentemente l’aria. Dopo pochi e rilassanti minuti, esco dalla doccia, sentendomi fresca come una rosa primaverile. Intanto, anche Jennifer si è svegliata, e aspetta pazientemente che io esca dal bagno. Inconsciamente, ho lasciato che la mia permanenza all’interno della stanza, durasse troppo a lungo, così, ne vengo fuori in fretta. Subito dopo, mi dirigo tranquillamente in camera per vestirmi, azione che non mi porta via poi molto tempo. Fatto ciò, afferro il mio zaino, che avevo pigramente appoggiato contro l’armadio della mia stanza. Insicura circa l’aver dimenticato qualcosa, inizio a fare mente locale. Per mia fortuna, pare che io abbia con me tutto il necessario per la scuola, perciò realizzo che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Ora come ora, all’appello manca solo Jennifer, la quale, inguaribile amante della moda, è ancora indecisa su come vestirsi. Sospirando per la noia, la raggiungo, trovandola nella nostra camera, e decido di aiutarla a scegliere, optando per un paio di jeans neri e una maglietta azzurra, ai quali si aggiunge la sua collana preferita, ossia un ciondolo argentato. Semplice e sobrio ninnolo, che, ad essere onesti, non gradisco. Dopo averla aiutata, riprendo da terra il mio zaino, poggiato stavolta, accanto alla porta di casa. Una volta preso, aspetto che Jennifer mi raggiunga, dopodichè esco di casa assieme a lei. Siamo tutte e due pronte per la nuova giornata scolastica che ci attende, ma noto con sorpresa che Jennifer non proferisce parola per tutto il tragitto fino a scuola. Conosco mia sorella, come il palmo della mia mano, e so bene che solitamente non è così taciturna. Così, non riuscendo a sopportare il suo silenzio, la guardo negli occhi e le chiedo:”Jennifer, va tutto bene?” Sfortunatamente, non ottengo risposta, decidendo quindi di smettere di importunarla. Ad ogni modo, continuo a guardarla per qualche istante, accorgendomi di un piccolo particolare. I suoi occhi, avevano ormai cambiato colore, diventando rossi. Colta di sorpresa da quell’evento, mi concedo del tempo per vagare fra i miei ricordi. Poi, d’un tratto, un lampo di genio mi illumina la mente, scioccandomi. Non riuscivo a crederci. Jennifer aveva ormai raggiunto l’età adulta in qualità di vampira, e non me ne aveva detto nulla. La faccenda, mi apparve strana, poiché in fondo, io l’avevo fatto, e ricordo che lei si era mostrata alquanto felice a riguardo. Di colpo, inizio a dubitare di mia sorella. In fin dei conti, il suo silenzio circa la sua recente trasformazione, doveva avere un motivo, così, mantenendo la calma, chiesi:”Perché non me l’hai detto?” “Non volevo spaventarti,” rispose, tenendo basso lo sguardo. “Spaventarmi? Mi è già successo! Replicai. Con sguardo truce, Jennifer mi ignorò, non battendo ciglio e continuando a camminare. Quando raggiungemmo la scuola, e arrivammo in classe, ci accorgemmo di essere di nuovo in anticipo. Così, decisi di avvicinarmi a Daniella, e iniziare a chiacchierare con lei nell’attesa dell’inizio della lezione. Poco dopo, il nostro chiacchierare fu interrotto dall’ingresso in aula della professoressa Harrison. Alla sua vista, quasi meccanicamente, Daniella ed io, andammo a sederci, ognuna al proprio posto. Dopo qualche minuto, vidi la Harrison salire in cattedra, e approfittai dello sguardo che volse al registro, per voltarmi verso Jennifer, facendole capire, con un rapido gesto della mano, che dovevo assolutamente parlarle. La stessa, annuì in silenzio, guardandomi negli occhi per qualche istante. Fortunatamente, le ore scolastiche passarono in fretta, e durante una di queste, un piccolo ma al contempo importante particolare, mi colpì, facendomi trasalire. Difatti, vidi la Harrison alzarsi e abbandonare la cattedra, per poi prendere in mano un bianco gessetto e iniziare a scrivere alla lavagna. Per sua sfortuna, il gessetto le cadde di mano, e fu costretta a chinarsi per raccoglierlo. Quando lo ebbe ripreso in mano, qualche istante dopo, ricominciò a scrivere. Osservavo i movimenti della sua mano destra, mentre ero intenta a prendere appunti, e ad un tratto notai che anche lei, possedeva il mio stesso marchio. La mia solita sfortuna, volle che la professoressa si accorgesse del fatto che io la stessi fissando, così, smettendo di scrivere, si voltò verso di me dicendo:”Qualche problema, signorina Hale?” “N- No” biascicai, in preda alla vergogna. Non appena finii di parlare, la Harrison mi fulminò con un occhiata, tornò a voltarsi verso la lavagna, e riprese la lezione dal punto in cui era stata interrotta. Al suono dell’ultima campanella, impilai i miei libri sul banco, in modo da poterli riporre ordinatamente nel mio zaino. Per riuscirci, dovetti però alzarmi, e nel farlo, incespicai distrattamente nella sedia. Mi lamentai del dolore al ginocchio, e subito vidi Daniella avvicinarsi. “Ti sei fatta male?” chiese, visibilmente preoccupata. “No.” Risposi prontamente, tentando di rialzarmi. Dopodichè, raccolsi in tutta calma i miei libri, avviandomi, assieme a Jennifer e Daniella, verso l’uscita della scuola. Una volta fuori, le nostre strade si divisero. Come di consueto, infatti, Jennifer ed io scegliemmo di tornare a casa a piedi, mentre Daniella fu riaccompagnata da sua madre. Fatti pochi passi, mi fermai, e guardando Jennifer negli occhi le dissi:” Avevo ragione. La Harrison è una di noi.” “Cosa? Non può essere!” rispose lei, incredula. “Non hai voluto credermi. Anche lei ha il nostro marchio.” Ebbi la forza di replicare. “Adesso ti credo.” Mi disse Jennifer, sorridendo. Ad ogni modo, continuammo a camminare, finché non arrivammo a casa. Una volta lì, estrassi dalla tasca della mia giacca, la chiave della porta, e con un gesto rapido e deciso, la aprii. Appena entrai in casa, mi diressi verso la mia stanza, dove finalmente, mi liberai della giacca che portavo. Dopodichè, decisi di raggiungere il salotto, mia stanza preferita dell’intera casa. Giunta lì, mi sedetti al pianoforte, pensando che il suo melodico suono, mi avrebbe aiutata a calmare i nervi. Avevo avuto una giornata pesante a scuola, e sapevo di dover trovare un modo per scrollarmela di dosso. Dopo un profondo respiro, iniziai a suonare, pur senza l’aiuto di uno spartito, poiché in fondo, conoscevo quella struggente melodia a memoria. Avevo imparato a suonare il pianoforte in tenera età, divertendomi, inizialmente, ad ascoltare mia madre, e rubandole quindi, il mestiere con gli occhi. Mantenendo la concentrazione, lambivo i tasti di quello strumento, compiaciuto della melodia che ne risultava. Ero troppo concentrata per voltarmi, ma all’improvviso, sentii un rumore alle mie spalle, ragion per cui, spaventata, decisi subito di smettere di suonare. La mia paura, svanì poco dopo. Mi rincuorai sapendo che quel rumore, era stato causato da mia madre, che era intenta a scendere le scale che portavano in salotto. “Ti ho sentita esercitarti. Perché hai smesso?” chiese. “Mi hai spaventata.” Risposi. Mia madre rise della mia codardia, pregandomi di ricominciare a suonare il pianoforte. Stringendomi nelle spalle, la accontentai, e una volta arrivata alla fine della melodia che stavo suonando, mi alzai in piedi, guardai mia madre negli occhi e le dissi:” Mamma, dobbiamo parlare.” “Di cosa?” mi chiese, evidentemente spinta dalla curiosità. “Riguarda la mia missione.” Sospetto che una delle mie insegnanti sia una di noi.” Risposi. Dopo aver sentito le mie parole, mia madre sgranò gli occhi. “Come si chiama?” chiese, con la voce rotta da un’emozione a metà fra preoccupazione e spavento. “Diana Harrison.” Risposi in tono secco. “Diana!” esclamò mia madre. Colta alla sprovvista dalla sua agitazione, non proferii parola, aspettando che ricominciasse a parlare. “Chelsea, non avrei mai voluto che lo scoprissi in questo modo. Ma c’è qualcosa che devi sapere.” “Cosa?” la interruppi io. “Diana è una traditrice. Molto tempo fa, prima che tu nascessi, fu radiata dall’Ordine del Sangue per aver commesso un gesto orribile.” Ascoltavo mia madre, rimanendo in silenzio, ma le sue parole mi incutevano terrore. “Cosa ha fatto?” trovai il coraggio di chiedere, con voce tremante. “Ha infranto una promessa fatta a tutti noi. Pur avendo scelto di nutrirsi, proprio come te, di sangue animale, ha osato uccidere un’umana innocente.” Alla risposta di mia madre, rimasi pietrificata. Immaginavo, che ormai non ci fosse più traccia di quell’efferato crimine, ma andai comunque in cerca di prove. Affidandomi alla rete, ottenni le informazioni sperate. Lessi infatti, di un caso di omicidio. La vittima era una giovane donna di appena venticinque anni d’età. La profonda ferita che aveva al collo, faceva pensare ad una qualche specie animale. Le autorità competenti, avevano indagato per anni, salvo poi chiudere definitivamente, e senza spiegazione alcuna, il caso. Esaminando una fotografia che ebbi la fortuna di trovare, compresi che la ferita non poteva certamente essere opera di un semplice animale. Nessuna bestia, per quanto grossa e feroce, sarebbe mai riuscita a provocare una ferita di quel genere. Era davvero profonda, e quasi le raggiungeva anche il petto. Disgustata da quell’immagine orripilante, decisi di spegnere il computer e andare dritta a letto. Quella notte, fu per me costellata di paure, domande, dubbi e incertezze. Riuscii a malapena a prendere sonno, poiché ripetutamente svegliata dalla vista, anche onirica, di quell’immagine raccapricciante.
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo VI


Umano ma non troppo


Le ore passano, e la splendente luce solare, sembra giocare nel cielo. La stessa, dopo un certo periodo di tempo, è costretta a svanire, cedendo inevitabilmente il posto alla sua gemella, ossia la luce lunare. È di nuovo notte, intorno a me, silenzio e oblio. Sono sveglia, ma immobile nel mio letto, e tengo gli occhi chiusi. Le stelle, occupano prepotenti il cielo, infinita distesa di aria e nuvole. Fattesi più coraggiose, brillano in tutto il loro splendore. D’improvviso, il silenzio viene rotto da un potente ululato. Non riesco, tuttavia, a trovare una possibile spiegazione a tutto ciò. In questa città, abitata sin dalla notte dei tempi, da vampiri, non si è mai visto un lupo in nessuna occasione. È risaputo che siano animali notturni, eppure non riesco a spiegarmi la presenza di una tale bestia, proprio qui a Silverblood. Solitamente, la quiete regna sovrana, ma ora la notte era stata squarciata da quell’orribile rumore, che aveva agito come la spada di un prode e valoroso combattente.  Di punto in bianco sgrano gli occhi, iniziando a tremare. Naturalmente, penso di essere semplicemente infreddolita, ma presto, mi accorgo di sbagliarmi. La paura si impossessa di me, impedendomi ogni movimento. Lotto contro la mia immobilità, facendo uno sforzo per alzarmi e andare a guardare, anche se solo per un attimo, fuori dalla finestra. Improvvisamente, noto due occhi di un giallo quasi aureo, brillare nel buio. Mortalmente spaventata da quella visione, indietreggio barcollando. Fortunatamente, anche se solo per poche ore, riuscii a dormire. Quando mi svegliai, era già mattina. Una volta scesa dal letto, cammino frastornata per la mia stanza, finché non riesco ad uscirne. Dopodichè, mi dirigo lentamente in cucina, dove auguro buongiorno a mia madre e mia sorella. Quest’ultima, è intenta a bere del latte da un bicchiere di vetro, che quasi le cade di mano. Accortasene, Jennifer lo stringe con più forza, assicurandosi di poggiarlo sul tavolo una volta finito di bere. Abbassando il mio sguardo per evitare di incrociare i loro, decido di saltare la colazione, e andare quindi, dritta a vestirmi. Come al solito, quest’azione non mi ruba molto tempo. In quella grigia mattinata, Jennifer ed io ci recammo, come di consueto, a scuola. per l’ennesima volta, ci accorgiamo di essere in anticipo. Decidiamo quindi, di raggiungere la nostra classe, dove troviamo la professoressa Harrison, completamente sola, ad aspettarci. “Buongiorno ragazze.” Esordì amichevolmente, aspettando che le rispondessimo. Quella mattina, non avevo alcuna voglia di parlare. Dopo aver scoperto il crimine di cui si era macchiata, la mia rabbia era tale da avermi ridotto al totale mutismo nei suoi confronti. Mi limitai, infatti, a fissarla senza rivolgerle la parola. “Qualcosa non va?” chiede lei, guardandomi. “Non è niente, ha solo dormito poco.” Prorompe mia sorella. Subito dopo aver sentito le parole di Jennifer, la Harrison annui. Subito dopo, un sorriso le illuminò il volto. “Oggi conoscerete un vostro nuovo compagno.” Annunciò. Tornando a guardarla, abbozzai un debole sorriso, fingendo interesse per ciò che aveva detto.  Durante la discussione mia e di Jennifer con la professoressa, la classe aveva iniziato a riempirsi, fin quando tutti i nostri compagni furono presenti. Dopo qualche minuto, la porta dell’aula, che fino a quel momento era chiusa, si aprì, e fece il suo ingresso nella classe un ragazzo biondo e con degli azzurri come zaffiri. “Ragazzi, lui è Hunter.” Disse la professoressa, vedendolo arrivare. Regalando un sorriso all’insegnante, Hunter si sedette nel posto vuoto accanto a Jason, rimanendo per tutto il tempo, in perfetto silenzio.Non mi rivolse la parola per tutta la giornata, ma in compenso notai che continuava a lanciarmi occhiate di odio e disprezzo. No riuscivo a capire perché, così, al suono della ricreazione, decisi di avvicinarmi e parlargli. Avrei voluto mostrarmi gentile, ma non ci riuscii. Ero confusa e arrabbiata, poiché aveva trascorso quasi l’intera giornata a fissarmi con sguardo malevolo. La cosa non mi piaceva affatto, e volevo che lo sapesse. Ad ogni modo, non volevo assolutamente litigare con lui. “Tu devi essere Hunter. Io sono Chelsea.” Gli dissi, mascherando la rabbia che provavo. “Si, sono proprio io, come hai detto di chiamarti?” chiese lui, senza staccare gli occhi da me. “Chelsea.” Ripetei, tendendo la mano perché me la stringesse. Lui non osò muoversi, e appena sentì il mio nome, ricominciò a fissarmi con quello stesso sguardo colmo di rabbia. Potevo addirittura percepire la collera ribollirgli dentro. Con un rapido gesto del braccio, mi spinse, facendomi quasi cadere a terra. “Ma che fai!” Urlai guardandolo in faccia, e tentando invano di ritrovare l’equilibrio. Fallendo nel mio intento, mi ritrovai sul pavimento dell’aula, con una gamba dolorante. In pochi istanti, Hunter mi si avvicinò, e guardandomi, disse:” Io so bene chi sei, e anche cosa hai fatto! Ho perso mia madre, ed è tutta colpa tua!” quando finì di parlare, i suoi occhi cambiarono colore, diventando di un giallo talmente intenso da disturbarmi la vista. Dopo pochi istanti, mi diede le spalle, uscendo dall’aula e lasciandomi completamente sola. Sopportando il dolore alla gamba, feci uno sforzo per rialzarmi da terra, dopodichè uscii anch’io dalla classe, chiudendo la porta alle mie spalle. Nei corridoi della scuola, incontrai Jennifer e Daniella, che sembravano preoccupate, ma al contempo felici di vedermi. “Ho sentito delle urla.” Disse Daniella, pallida in viso. “Stai bene?” “Si.” Risposi debolmente. A sentire la mia risposta, entrambe sorrisero, ed io decisi di seguirle nel cortile della scuola. Quel giorno, la sfortuna sembrava perseguitarmi. Non importava dove andassi, Hunter era ovunque. Lo incontrai altre tre volte durante la giornata, e ogni volta, finivamo per litigare. Ad ogni modo, non riuscivo a dare un senso alla collera che provava nei miei riguardi. L’avevo appena conosciuto, e di certo non gli avrei mai fatto del male. Al momento fra di noi non corre buon sangue, e per quanto io cerchi di evitarlo, finisco sempre per litigarci, e dopodichè sentirmi male. Rabbia, collera, e astio, sono sentimenti che non fanno parte di me e del mio animo, perciò provarli, mi provoca un senso di forte malessere. Normalmente, dopo una lite, tento sempre di riappacificarmi con l’altra persona, forse per mia indole, ma tutto questo non accade con Hunter. Per me non è altro che un conoscente, e in cuor mio, ora so che non rimarrà altro che questo. Non ho assolutamente intenzione di scusarmi con lui. Per quel che mi riguarda, può tenere per sé i suoi sentimenti negativi. Io non ho mai osato torcergli un capello. Erano queste le frasi che io, nervosamente seduta in un banco di scuola, mi ripetevo, ripensando al diverbio fra me e Hunter. Mentre questo pensiero mi ronza in mente, un altro sopraggiunge, soppiantandolo. Difatti, mi torna in mente un ricordo ben nitido e preciso, sempre legato a quello spiacevole evento. I suoi occhi. Avevo avuto l’occasione di notare che, durante il nostro aspro litigio, avevano cambiato colore. Da azzurri come zaffiri, era diventati gialli come topazi. La scoperta di quel piccolo particolare, mi intrigava, e riportava alla mia mente un ricordo legato alla notte passata. Il lupo che avevo visto, aveva gli occhi dello stesso colore dei suoi. Appena ne ebbi l’occasione, l’occasione, lo feci presente a Jennifer, la quale, stavolta mi credette senza dubitare delle mie parole. Arrivata a casa, raccontai tutto a mia madre, evitando di tralasciare anche la più sottile informazione. Difatti, guardandola negli occhi, le dissi: “Devo parlarti.” Mia madre annuì, esortandomi a continuare. “Ho sentito uno strano ululato l’altra sera, e stamattina, nella mia scuola è arrivato un mio nuovo compagno di classe. Ci ho litigato, e quando si è arrabbiato con me, ho notato che i suoi occhi erano di un giallo quasi aureo. Cosa può voler dire?” chiesi, alla fine del mio discorso. “Licantropia.” Rispose mia madre, in tono serio. “Quel ragazzo è un licantropo, stagli lontano, Chelsea.” “Abbiamo litigato.” Ripetei, non appena mia madre finì di parlare. Alle mie parole, mia madre sbiancò, chiedendo:” Ti ha fatto del male?” “No, mi ha solo fatta cadere.” Risposi. “Stagli lontano.” Ripeté mia madre, in tono stavolta perentorio. “Fra noi e i membri dell’Ordine della Luna non è mai corso buon sangue, sappilo.” Aggiunse poi, con serietà inaudita. Dopo aver ascoltato ciò che aveva da dirmi, mi limitai ad annuire, abbassando poi lo sguardo, e lasciando il salotto di casa. In quel momento, mi resi conto che troppi dubbi, domande, e pensieri negativi infestavano la mia mente come tarme, perciò decisi di cercare un modo per svuotare la mente e chiarirmi le idee. In quest’occasione, misi da parte la mia passione per la musica, decidendo invece, senza farne parola con nessuno, di uscire di casa e recarmi nel bosco, dove speravo di trovare un briciolo di tranquillità. Così, iniziai a camminare, addentrandomi sempre di più nel bosco stesso. A essere sincera, non avevo una meta precisa. Vagavo alla scoperta dell’ignoto. Mentre camminavo, fra il fruscio delle foglie degli alberi in fiore, e lo scricchiolio dei rami sotto i miei piedi, i miei sensi di vampira mi comunicarono qualcosa. Quello che sentivo era odore di sangue. Decisi, senza esitare, di seguire quella scia, per scoprire dove mi avrebbe condotto. Smisi di camminare, al solo scopo di lanciarmi in una corsa a perdifiato verso la fonte di quell’odore. Finalmente, dopo minuti interminabili, localizzai la fonte dell’odore che avevo sentito, ma ciò che vidi subito dopo, mi fece raggelare. Scorsi infatti, il corpo di una lepre ormai morta, accanto alla quale, notai una persona. Inizialmente, non riuscii a capire chi fosse, ma ero determinata a scoprirlo. Per mia sfortuna, feci un passo di troppo, facendo inavvertitamente scricchiolare un rametto. Quel rumore bastò a distrarre quell’individuo, che subito si voltò verso di me. A quel punto, riuscii a scoprire di chi si trattava. Non ero sola in quel bosco, ma c’era anche la Harrison. Ebbi appena il tempo di notare che aveva appena ucciso quella lepre, e che ne aveva, senza dubbio bevuto il sangue. “Diana!” la chiamai a gran voce, pentendomi di averlo fatto. “Come osi chiamarmi per nome, miserabile ragazzina!” rispose, collerica e con l’occhio invelenito. “So tutto di te, sporca traditrice!” replicai a muso duro. Le parole che pronunciai, ebbero un effetto devastante su di lei. La sua collera finì per tramutarsi in ira cieca, a causa della quale, arrivò a scagliarsi contro di me. Fui quindi scaraventata fra l’erba, ritrovandomi in uno scontro con lei. Mi difesi al meglio delle mie possibilità, ma lei stessa, cogliendomi di sorpresa, lasciò che i suoi artigli penetrassero nella mia carne, provocando quindi, una ferita in prossimità del mio occhio destro. Tentai di fare lo stesso, riuscendo però a ferirla ad un braccio. In un urlo di dolore, la Harrison si allontanò subito da me, ed io ne fui felice, poiché sapevo di avere finalmente una possibilità di fuggire. Con uno scatto felino, mi rialzai subito da terra, ed iniziai a correre, con il solo scopo di uscire dal bosco e tornare a casa sana e salva. Il rivolo di sangue che sgorgava dalla mia ferita mi annebbiava la vista, ma ciò non mi impedì di raggiungere la mia destinazione. La porta di casa, fu aperta da mia madre, che appena mi vide gridò:”Chelsea! Che ti è successo?” “Non voglio parlarne.” Risposi, nel vano tentativo di evitare la discussione. “Non accetterò un no come risposta, ti conviene dirmelo se non vuoi passare un brutto quarto d’ora.” Disse mia madre. Ignorai la sua minaccia, e sospirando, le risposi dicendole un’unica parola. “Diana.” Non appena mi sentì pronunciare quel nome, mia madre mi guardò e notando la ferita al mio occhio, disse:” Ti ha ferita? È stata lei a ferirti? Come ha osato!” Le chiesi di calmarsi, ma non mi diede retta. Per tutta risposta, infatti, urlò:”Calmarmi? Come posso calmarmi quando una sporca traditrice ha osato ferire mia figlia! Quella donna pagherà per ciò che ha fatto!” Quelle furono le ultime parole pronunciate da mia madre quella sera. Per il resto della stessa, infatti, rimase in religioso silenzio, troppo occupata a pensare a ciò che la Harrison aveva osato farmi. C’era inoltre, la possibilità che meditasse la sua vendetta nei suoi riguardi. Non potevo saperlo con certezza, ma potevo essere sicura di una cosa. Una concatenazione di eventi, avrebbe ribaltato la situazione.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Capitolo VII


Verità nascoste


Da ormai qualche ora, il sole è calato, nascondendosi dietro i monti e scomparendo dalla mia vista. In questo giornaliero rituale, neanche un rumore. Solo silenzio. lo stesso, sembra intensificarsi con l’arrivo della notte, che tinge di nero il cielo, punteggiandolo di sfavillanti stelle e lucenti astri. A questo spettacolo, a cui ho l’immenso piacere di assistere, manca l’attrice principale. La maestosa luna. La sua assenza nel cielo notturno, mi rende triste, quasi malinconica. Così, mentre osservo il brillare delle stelle, molteplici pensieri iniziano a ronzarmi in testa come uno sciame di insetti. Mi tornano in mente il diverbio avuto con Hunter, e l’inaspettato incontro con la Harrison. Sono eventi dal significato a me ancora oscuro, difatti non riesco a dare un senso al rancore che lei e Hunter serbano nei miei confronti. Non riuscendo a giungere autonomamente a conclusione alcuna, ho deciso di andare a parlare con i miei genitori. Una volta uscita dalla mia camera, mi dirigo verso il salotto, dal quale sento provenire della musica. Mia madre è seduta al pianoforte, e sta allietando mio padre e mia sorella con una delle sue personali composizioni. Mi avvicino lentamente a lui, ascoltando mia madre suonare, e venendo al contempo deliziata dalla melodia da lei composta. Alla fine della stessa, mia madre decise di alzarsi dallo sgabello del piano, volgendo poi a me il suo sguardo. “Chelsea! C’è qualcosa che hai da dirmi?” chiede, felice di vedermi. “Ad essere sincera sì, ed è qualcosa di davvero importante.” Decisi di rispondere, non sapendo in che altro modo farlo. “Bene allora, sputa il rospo.” Interviene mio padre, con le labbra dischiuse in un amorevole sorriso. Portando le mani dietro la schiena, lasciai che il mio sguardo incrociasse quello di mia madre, dopodichè dissi:”Conoscete la Harrison meglio di chiunque altro, ma perché ce l’ha con me?” La mia domanda, colse impreparati i miei genitori. Entrambi, si scambiarono una veloce e furtiva occhiata, a seguito della quale, mio padre sospirò e rispose:”Come ben sai, io e tua madre siamo padroni dell’Ordine del Sangue, ma prima che tu e tua sorella nasceste, Diana Harrison è stata radiata dall’ordine stesso per aver ucciso un’umana. Da allora, sentendosi oltraggiata, cerca vendetta. Come vedi, ha preso di mira te, ma vuole colpire tutti noi.” “Dobbiamo fermarla!” esclamai decisa. “Lo faremo.” Rispose mia madre, posando su di me il suo sguardo serio. Mostrandomi seria a mia volta, annuii. “Ho un piano.” Annunciai, con un tono che lasciava trasparire tutta la mia sicurezza. “Siamo con te.” Risposero all’unisono i miei genitori. Dopo aver finito di parlare, varcai la porta di casa, con la ferma intenzione di uscirne. “Seguitemi.” Dissi, rivolgendomi ai miei genitori. Subito dopo, senza perdere un istante, corsi fuori casa, diretta verso il bosco. I miei genitori e mia sorella, faticavano a seguirmi. Il mio passo era troppo veloce per loro. Ad ogni modo, non avevo alcuna intenzione di fermarmi o rallentare, poiché in quel momento, ero animata da un unico desiderio. Volevo, una volta per tutte, cancellare la minaccia che la Harrison rappresentava per me e per la mia famiglia. Mi facevo strada in quella buia foresta affidandomi ai miei istinti di vampira. Evitavo ogni singola distrazione, avendo in mente una sola cosa. Eliminare la Harrison. Dal giorno in cui l’ho conosciuta, quella donna non ha causato altro che problemi nella vita mia e dei miei cari, ragion per cui, desidero solo che scompaia. Nel bosco, dove il buio della notte regnava sovrano, il silenzio ci faceva compagnia. Camminavamo spediti, ma con passo felpato, fino a quando io non fui distratta da un odore conosciuto, e indiscutibilmente familiare. Così, iniziando a correre, mi diressi verso la fonte di quell’odore, fino a raggiungere un’immensa radura, dove Diana Harrison, era intenta a consumare il suo pasto, consistente stavolta, nel sangue di una giovane volpe. Alla sua vista, decisi di avventarmi contro di lei, riuscendo ad atterrarla. Per mia sfortuna, riuscì a divincolarsi dalla presa che esercitavo per evitare che mi sfuggisse, inchiodandomi al terreno con la sola forza dello sguardo. Poco dopo, avvicinò i suoi artigli al mio volto, e io non potei far altro che chiudere gli occhi. “É finita.” Pensai, tenendo gli occhi chiusi e abbandonandomi al mio destino. Qualche istante dopo compresi di sbagliarmi. Riaprendo gli occhi per un attimo, vidi mia madre correre verso la Harrison, nel tentativo di difendermi. “Lascia stare mia figlia!” urlò, dopo averla atterrata. Con un gesto quasi fulmineo, mia madre avvicinò i suoi artigli al petto della Harrison, lasciando che gli stessi le lacerassero la carne. In quel mentre, avevo avuto il tempo e la possibilità di scappare, e mi ero riavvicinata a mio padre, non osando muovere un passo. Rimanendo immobile, osservavo mia madre lottare contro quella sporca e ignobile traditrice. Ebbi appena il tempo di vedere che la ferì gravemente al petto, accorgendomi poi che l’erba era ormai macchiata di sangue. Non riuscii a distogliere lo sguardo, e tirando un sospiro di sollievo, vidi mia madre rialzarsi, per poi avvicinarsi a me. Intanto, il corpo della Harrison giaceva inerme sull’erba appena dietro di lei. Mia madre aveva il fiato corto, e appariva debole, motivo per cui, fu costretta ad appoggiarsi a mio padre per camminare. Quella notte, uscimmo dal bosco senza parlare. in fondo,sapevamo bene che non ce n’era alcun bisogno. Le nostre azioni parlavano per noi.
 
 
 



Capitolo VIII


Realtà inaspettate


Per l’ennesima volta, il buio della notte è stato sconfitto dalla luce del sole, che ora splende alto nel cielo. È di nuovo mattina, ciò significa che un nuovo giorno di scuola è in procinto di iniziare. Come di consueto, quindi, Jennifer ed io ci alziamo e ci prepariamo ad affrontarlo. Mentre camminiamo per raggiungere la scuola, non posso, in maniera alcuna, smettere di pensare a quel che è accaduto la notte scorsa. Mia madre, infatti, non smette di ripetere di essere davvero orgogliosa di me. Dice ce non dimenticherà mai la forza, il coraggio e la determinazione che ho saputo mostrare in quel momento. Dal canto mio, so che non finirò mai di ringraziarla per ciò che ha fatto quella notte. Difatti, se non fosse stato per il suo tempestivo intervento, sono quasi sicura che la Harrison avrebbe compiuto la sua vendetta, uccidendomi. Contrariamente a tutto ciò, oggi sono ancora qui, a rimembrare le gesta di mia madre. Vista la situazione attuale, non ho molte occasioni di dirle che le voglio bene, poiché le nostre conversazioni sono quasi sempre basate sul mondo dei vampiri, o in ogni caso, su quello delle creature magiche. Con il trambusto creato da questi pensieri ancora nella mia mente, continuo a camminare verso la mia destinazione. Una volta arrivata a scuola, inizio subito a cercare la mia classe. Dopo pochi passi, la riconosco, apro lentamente la porta, ed entro. Il cigolio della stessa mi fa rabbrividire, e ho così paura da non poter evitare di guardarmi attorno prima di richiuderla alle mie spalle. Nel fare ciò, tengo gli occhi bassi, e quando rialzo lo sguardo, mi rendo conto di essere completamente sola. Tale scoperta non ha effetto su di me, poiché guardando per qualche istante il mio cellulare, capisco che manca ancora del tempo prima dell’inizio delle lezioni. Ignorando completamente la cosa, mi siedo al mio posto, disponendo sul banco i libri che mi servono. Poi, afferrando il mio libro di letteratura, inizio a leggere. Quest’attività, così silenziosa e rilassante, mi aiuta ad estraniarmi dal mondo, aiutandomi a dimenticare ogni problema. In classe non c’è nessuno oltre a me, ragion per cui, nella stanza regna il silenzio, rotto solo dal rumore delle pagine che vengono sfogliate. Dopo circa una ventina di minuti, la mia lettura viene interrotta dal suono della porta dell’aula che lentamente si apre. Abituata al silenzio che mi circondava, quell’innocuo cigolio basta a farmi letteralmente sobbalzare. Ad averla aperta, non era stata altri che Daniella, seguita a ruota da un gruppo di altre compagne di classe. Fra queste, c’era anche Jennifer, che subito si scostò per cedere il posto accanto a me a Daniella. Quest’ultima, mi salutò non appena mi vide, mostrandomi un ampio ed immacolato sorriso. Subito dopo, mi sedette accanto, e mi disse:” Vedo che stai leggendo, scusa se ti disturbo, hai per caso visto Hunter?” “Non stamattina.” Le risposi, scuotendo la testa. Dopo averle risposto, iniziai ad interrogarmi sull’origine della sua domanda. Ad essere sincera, trovavo alquanto strano il suo comportamento. In fondo, ogni volta che Hunter era nei paraggi, non faceva altro che difendermi da lui, mentre ora si preoccupava. Avevo intuito la sua preoccupazione dal modo in cui parlava. Mentre lo faceva, non aveva modo di accorgersi chela voce le tremava, e questo era uno dei più chiari segni che avesse mai mostrato. Dopo aver ascoltato la mia risposta, Daniella tornò a sedersi accanto a me, e notai che continuava a fissare la porta dell’aula con insistenza. Non capivo il perché di tale comportamento, né osavo chiederglielo, poiché temevo di innervosirla o imbarazzarla. Poco dopo, la porta si aprì, e vidi la Harrison entrare in classe, seguita da una ragazza con i capelli color caramello. “Buongiorno ragazzi, questa è Taylor.” “È appena arrivata, siate gentili.” Cinguettò la Harrison, in tono amichevole. Lei stessa, era di un altro stampo, ed io lo sapevo bene, motivo per cui quel tono tanto gentile mi dava letteralmente il disgusto. Chiamando Taylor per nome, le indicai il posto vuoto accanto a Daniella e me, dopodichè, sorridendo, Taylor decise di sedersi accanto a noi due. Le mostrai un sorriso a mia volta, tendendole la mano perché me la stringesse. dopo averlo fatto, mi chiese come mi chiamassi. “Io sono Chelsea.” Risposi guardandola. “Taylor.” Rispose lei a sua volta, regalandomi un luminoso sorriso. Passai il resto dell’ora a chiacchierare con lei. Discutemmo dei nostri passatempi, e ridemmo l’una alle battute dell’altra. Fra una chiacchiera e l’altra, ho scoperto che Taylor ed io siamo incredibilmente simili. Difatti, entrambe amiamo suonare il piano, andiamo bene a scuola, e detestiamo la Harrison. Quest’ultima, si è puntualmente presentata in aula per la nostra penultima odierna ora di lezione. Appena è arrivata, ha annunciato, rivolgendosi all’intera classe, che io e lei dovevamo parlare in privato. Così, senza discutere la seguii lentamente fuori dall’aula. Quando finalmente uscimmo, la guardai e le dissi:”Cosa ci fai qui? Credevo che mia madre ti avesse finalmente ucciso!” “Sciocca ragazzina, ricordi la pozza di sangue in cui ero riversa?” mi chiese, in tono sprezzante. “Si.” Risposi a muso duro. “Bene, non era mio.” Asserì lei, con una calma mostruosa. “Forse non lo sai, ma era sangue di volpe, ecco perché sono sopravvissuta.” Affermò infine, coronando quell’affermazione con un sarcastico e acido risolino. Dopo aver finito di parlare, si tolse il foulard che portava, mostrando la ferita provocatale da mia madre, ormai perfettamente cicatrizzata. Non sapendo cosa dire, mi limitai a fissarla con occhi pieni di rabbia e odio. “Avrai presto mie notizie.” Le sussurrai, ancora in collera. Dopodichè, aprii lentamente la porta dell’aula, e tornare a sedere al mio posto. Dopo quanto era accaduto, concentrarmi sulla lezione di storia risultava essere un compito davvero arduo, se non improponibile. Ad  ogni modo, decisi di provarci, seppur fallendo miseramente. Facendo del mio meglio per evitare gli sguardi della Harrison, posai il mio sul libro di testo, iniziando a leggere il capitolo assegnato e prendendo appunti. In quel momento, perfino la mia scrittura lasciava trasparire i miei sentimenti. Alle innumerevoli domande dei miei compagni, davo ogni volta la stessa risposta. Lasciavo loro intendere di essere semplicemente nervosa, quando in realtà, nella mia mente c’era ben altro. Non sono affatto una persona collerica, ma la stessa in quel momento mi accecava, al punto da non permettermi di distrarmi. Il pensiero della Harrison ancora viva, nonostante quanto era accaduto, era il seme, e la mia rabbia aveva agito da fertilizzante, facendo sì che quell’odioso pensiero mettesse radici nella mia mente, senza più possibilità di essere rimosso in maniera alcuna. Poco dopo, il ridondante suono della campanella, mi distrasse da quel negativo pensiero. Alzando per un attimo lo sguardo dal mio libro di storia, vidi il signor Donovan entrare in classe e prendere posto in cattedra. Si sedette per il tempo necessario a fare l’appello, dopodichè lo vidi alzarsi, e assieme agli altri lo seguimmo in cortile. Una volta lì, Daniella e Jennifer mi seguirono, e le condussi in un angolo dell’ampio e arioso cortile, posto perfetto per parlare senza essere distratte dagli altri compagni. Discussi animatamente con loro per una quindicina di minuti, allo scadere dei quali, Hunter si avvicinò a noi. L’espressione del suo volto non era delle migliori. Aveva gli occhi gonfi, come se avesse pianto, ma camminava con un’aria di stizza. Notandolo, Daniella fece qualche passo verso di lui. “Va tutto bene?” gli chiese, con voce dolce. Quasi urtato dalle sue parole, Hunter alzò lo sguardo, puntandolo sui suoi occhi. “Che ti succede?” Chiesi io, guardandolo. Dopo aver sentito le mie parole, Hunter mi si avvicinò. “Non sono affari tuoi.” Mi disse. Visto il tono che aveva utilizzato nel rispondermi, Daniella tentò di difendermi. “Non ha fatto nulla di male!” intervenne. “Stai zitta!” Urlò Hunter, colpendo Daniella così violentemente, da farla cadere. Poco dopo, quasi senza curarsi del suo gesto, Hunter ci diede le spalle, allontanandosi. Qualche istante più tardi, il mio sguardo cadde su Daniella, ancora stesa sul cemento. Guardandola, notai che era priva di sensi. Così, senza esitare, chiesi a Jennifer di aiutarmi. Con un rapido cenno del capo, Jennifer annuì, andando subito ad avvertire il signor Donovan dell’accaduto. Lo stesso, ci ordinò di restare con Daniella finchè non si fosse ripresa, dopodichè si allontanò. In circostanze normali, non avrei mai osato disubbidire al signor Donovan, ma sapevo di dover fare qualcosa. Quindi, grazie all’aiuto di Jennifer, portai subito Daniella in infermeria. Dopo circa mezz’ora, Daniella rinvenne. “Che è successo?” mi chiese, confusa.” “Sei solo svenuta durante la partita di pallavolo.” Mentii. Sorprendentemente il suo primo pensiero andò a Hunter. Dopo ciò che le era successo, voleva sapere dove fosse. Le risposi che era in cortile, offrendomi di riaccompagnarcela. Senza esitare, Daniella accettò, lasciandosi guidare da me, quando arrivammo in cortile, Daniella si mise subito a cercare Hunter. Non la fermai, né cercai di trattenerla. Mentre la guardavo allontanarsi, mi lasciai sfuggire un sorriso. Dai suoi comportamenti così goffi e distratti, avevo capito che si era innamorata di lui. Inizialmente, non l’avrei mai detto, ma ora sapevo che la realtà era un’altra.


 
 
 
 
 
 
 
Capitolo IX


Il rovescio della medaglia


È appena iniziato un nuovo giorno qui a Silverblood. Il sole splende, ed ha appena vinto la sua battaglia contro le tenebre notturne. Inoltre, stamattina sono sveglia e raggiante di felicità. Il mio istinto di vampira, infatti, mi suggerisce che oggi sarà una giornata magnifica. D’altra parte, la mia natura inguaribilmente pessimista, predice il contrario. Per una volta, ho deciso di mettere a tacere i miei istinti, e di vivere questa giornata al meglio, pur senza forzare gli eventi. Come ogni mattina, io e mia sorella Jennifer ci stiamo recando a scuola, dove io aspetto di incontrare Taylor e Daniella, mie migliori amiche. Per l’intero tragitto fino a scuola, Jennifer ed io camminiamo senza parlare. Ad un tratto, un rumore alle mie spalle mi costringe a voltarmi. Non sono spaventata, ma semplicemente sorpresa. Non vedendo altro che un sasso in strada, lo ignoro e continuo a camminare, supponendo che il rumore sia stato provocato dal movimento di quella roccia, visto il vento. Fatti pochi passi, decido di voltarmi una seconda volta, poiché tardo ad accorgermi di aver distrattamente lasciato che il bracciale che porto, mi scivolasse dal polso. Chiedo a Jennifer di aspettarmi, mentre mi chino per raccoglierlo. Mentre sono nell’atto di farlo, noto un ragazzo avvicinarsi a me. Curiosa di scoprire chi sia, aspetto che si avvicini ancora di qualche passo, dopodichè mi presento. “Sono Chelsea, piacere di conoscerti.” Gli dico, guardandolo negli occhi. “Io invece sono Blake, il piacere è mio.” Risponde, sorridendo e tendendomi la mano. Sorridendo a mia volta, glielo stringo in segno di amicizia, riprendendo poi a camminare. Blake mi cammina accanto, e ad un tratto mi chiede:”Chi è quella ragazza?” riferendosi ovviamente a Jennifer. “Lei è mia sorella Jennifer.” Dopo aver ascoltato la mia risposta, Blake sorride, riprendendo a camminare. Dopo qualche minuto, finalmente arriviamo a scuola, e vengo a sapere da Blake che io e lui saremo compagni di classe. Una volta entrati in aula, prendiamo posto senza parlare. Blake è seduto fra Hunter e Jason, mentre io siedo alla sinistra di Taylor. È soltanto la prima ora di lezione, eppure la stessa Taylor mostra dei comportamenti a me nuovi ed insoliti. Non fa altro che distrarsi, non parla se non attraverso l’uso di monosillabi, e riempie i quaderni di cuoricini invece che di appunti. Non ci metto molto, tuttavia, a capire che lei è innamorata. Evitando quindi, lo sguardo indagatore della Harrison, guardai Taylor negli occhi per qualche istante. Era così distratta dai suoi pensieri, da non rendersi neppure conto che la stavo fissando. Ad ogni modo, attesi il suono della ricreazione, momento in cui, mi avvicinai e le dissi: ”Dai Taylor, dimmi. Chi è il fortunato?” “Hunter.” Rispose. Dopo qualche istante, lui, che era a poca distanza da noi, la salutò con un gesto della mano, e lei ricambiò affettuosamente. Poco dopo, lo invitò ad avvicinarsi, ed Hunter non se lo fece ripetere. Si avvicinò lentamente a Taylor, ed entrambi si strinsero in un abbraccio. Quella era una delle rare volte in cui vedevo Hunter sorridere. “Stiamo insieme da tre settimane.” Disse Taylor, con gli occhi che le brillavano. Hunter si limitò ad annuire, dopodichè decise di allontanarsi da lei. Quando Hunter ci lasciò da sole, Taylor mi guardò e disse: ”Chelsea, forse non lo sai ma… io sono come te.” “Che vuoi dire?” chiesi allibita. “Sono una vampira, proprio come te, ma c’è altro.” “Cosa?” le chiesi, invitandola a continuare. A quel punto, vidi Taylor mordersi un labbro in una maniera tale che, quando riprese a parlare, vidi i segni dei denti su quello inferiore. “Sono un membro dell’Ordine della Notte.” Aggiunse, seria. Dopo averla ascoltata, non seppi cos’altro fare se non annuire. Ad ogni modo, non appena finì la frase, Taylor abbassò lo sguardo, quasi come se provasse paura, e subito dopo, voltandosi, scappò letteralmente via da me. Tentai di fermarla, ma non mi ascoltò. In quel momento, non potevo fare altro che guardarla allontanarsi, scorgendo qualche piccola lacrima rigarle il viso. Quel che avevo appena scoperto, mi aveva scioccata. lo trovavo incredibile, eppure era vero. Taylor, che mi era inizialmente sembrata una giovane e ingenua umana, non lo era affatto. Era una di noi. Faceva parte di un ordine diverso, ma non mi importava, poiché sapevo di aver capito una cosa. Ora esisteva anche un rovescio per questa medaglia.
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo X
Amori proibiti


Il buio e il silenzio, regnano nella notte, in una diarchia benevola e senza contraddizioni. La quiete, tagliente come un pezzo di vetro, è disturbata dall’ululare dei lupi. Io, mera spettatrice, rimango in ascolto, in attesa di percepire qualche cambiamento. Con grande sorpresa, notò che gli ululati cessano, venendo sostituito da un unico e forte suono, al mio udito vagamente simile ad un pianto. Immobile come una statua, guardo fuori dalla mia finestra, vedendo che uno dei lupi che ho sentito, è proprio sotto di essa. Guardando meglio, capisco che si tratta di Hunter. Mi fissa per pochi istanti, per poi distogliere lo sguardo e mugolare come se cercasse aiuto. “Hunter?” lo chiamo, dubbiosa. Sentendomi pronunciare il suo nome, agita la coda. A quella scena, sorrido, e mi basta un cenno della mano, perché capisca quello che ho da dirgli. Senza perdere tempo, esco dalla mia stanza, raggiungo la porta di casa, e la apro, trovandolo lì ad aspettarmi. Con un rapido gesto del braccio, lo invito ad entrare, e subito dopo, lo conduco in camera mia. Una volta lì, ancora sotto forma di lupo, Hunter si scrolla la pioggia dal pelo. Dopo averlo fatto, torna alla sua forma umana. In tutta calma si siede sul mio letto, ed io decido di imitarlo. “Cosa c’è? Perché ululavi?” gli chiesi, tenendo basso il tono di voce. “Mi sento in colpa.” Rispose lui, evitando di guardarmi. “In colpa?” Per cosa?” continuai io, confusa. “Per quel che ho fatto.” Rispose, con un nodo in gola. “So che non sei stata tu ad uccidere mia madre, e inoltre, io non amo Taylor.” Disse infine. “Come?” esclamai incredula. “È così. Io non amo Taylor, il mio cuore appartiene a Daniella!” disse poi. Non appena finì la frase, potei percepire l’accelerazione del suo battito cardiaco, segno che provava davvero dei forti sentimenti. “Non so davvero come dirglielo. Dopo quel che le ho fatto a scuola mi odierà!” disse, sforzandosi di non piangere. Nel tentativo di confortarlo, lo guardai e gli dissi:”Hunter, sta calmo, Daniella non ti odia, anche lei è innamorata di te. Alle mie parole, Hunter sorrise. “Grazie Chelsea, sei una vera amica. Disse infine. Dopo quelle parole, si lasciò ricondurre alla porta di casa, mi salutò, e trasformatosi in lupo, corse verso il bosco. Non potei fare a meno di sorridere mentre lentamente, richiudevo la porta. Dopo averlo fatto, mi diressi verso la mia stanza, e una volta entrata, mi misi subito sotto le coperte. Mi addormentai velocemente, cullata dal rilassante scrosciare della pioggia primaverile. Lentamente poi, un nuovo giorno inizia, e come di consueto, Jennifer ed io siamo in piedi di buon’ora. Pronte per andare a scuola. Lungo la strada, incontro per la seconda volta Blake, che stavolta mi saluta stringendomi in un abbraccio. D’improvviso, mi accorgo che il mio cuore batte all’impazzata, arrivando quasi a martellarmi nel petto. Cerco di ignorarlo, ma diventa progressivamente più difficile. Arrivati in classe, troviamo in cattedra la professoressa Harrison. La cosa, appare strana a tutti noi, poiché oggi non abbiamo alcuna  lezione di storia da seguire. La professoressa, notando il nostro stupore, ebbe cura di chiarire le idee a tutti noi, affermando che si trovava in classe poiché era stata incaricata di sostituire la Galdys, nostra insegnante di lettere. Quasi contemporaneamente, tutti noi ci stringemmo nelle spalle, andando ad occupare i nostri posti. La giornata trascorre veloce. Sono troppo impegnata a prendere appunti e leggere le note sul libro di testo, per accorgermi del tempo che passa. Proprio mentre riassumo il capitolo di letteratura appena assegnato, noto che Daniella ha in mano un foglio di carta ripiegato. È un classico bigliettino. Guardandola, le chiedo di chi sia, ma lei risponde di non sapere chi l’ha scritto, asserendo solo che è per me. Curiosa, aspetto che Daniella lo posi sul mio banco, per poi aprirlo e leggerne mentalmente il contenuto. Quel biglietto, di cui ancora non conoscevo l’autore, diceva:”Io e te dobbiamo parlare, ci vediamo dopo la campanella.” Dopo averlo letto, lo richiusi accuratamente, infilandolo nel mio astuccio, in modo che la Harrison non potesse scoprirlo. Se fosse accaduto, lo avrebbe sicuramente riposto nel cassetto appena sotto la cattedra, e una volta lì non avrei più avuto modo di recuperarlo. Quando la Harrison si muove nell’aula, è capace di falcate e scatti incredibili, ecco perché nessuno di noi ha mai avuto la meglio su di lei e sulla rapidità dei suoi movimenti. Ad ogni modo, al suono della campanella che segnava l’inizio dell’intervallo, mi mossi quasi meccanicamente, seguendo le istruzioni riportate sul biglietto ricevuto qualche ora prima. Mentre camminavo per uno degli ampi corridoi scolastici, incontrai Taylor. Aveva dipinta in volto un’espressione davvero triste. “Cosa ti è successo?” le chiesi, in pena per lei. “Hunter mi ha lasciata.” Rispose, asciugando con un fazzoletto, una lacrima che spontaneamente le solcava il volto. “Mi dispiace.” Le dissi, cingendole un braccio intorno alle spalle, e accompagnandola nel bagno della scuola, così che avesse modo di darsi una rinfrescata. Taylor apprezzò il mio gesto, decidendo di sciacquarsi il viso, in modo che gli altri non potessero notare che aveva pianto. Qualche minuto dopo, uscimmo entrambe dal bagno, e lì la salutai, tornando a camminare per il corridoio. Fatti pochi passi, mi imbattei in Blake. “Ciao! Hai ricevuto il biglietto?” mi chiese, con il volto illuminato da un sorriso. “Si.” L’hai scritto tu?” trovai il coraggio di chiedere, con il cuore che intanto, batteva al ritmo dei miei forti ma confusi sentimenti. “In persona. Ma ora ho qualcosa da dirti.” Confessò. “Cosa?” chiesi, avvicinandomi a lui. “Sono un vampiro, Chelsea, io e te facciamo parte dello stesso ordine.” Disse, aspettando una mia risposta. Le sue parole, mi avevano colta di sorpresa, e conseguentemente ammutolita. “Blake, non so cosa dire.” Biascicai. “Non devi dirmi nulla, fa solo in modo che gli umani non lo sappiano, d’accordo?” rispose, in tono serio ma pacato. Mi limitai ad annuire, e dopodichè salutarlo. In quel momento, sentii di nuovo il suono nasale della campanella, segno che l’intervallo era finito, e che era ora di tornare in classe. Così, a passo svelto mi incamminai, varcando la porta dell’aula quasi in contemporanea con Blake. Entrambi, avemmo appena il tempo di sederci ai nostri posti, pronti a seguire la lezione di biologia, che subito la porta dell’aula si aprì, interrompendola bruscamente. Hunter era appena stato convocato nell’ufficio del preside Crossley. Con una vena di riluttanza nei movimenti, ma senza protesta alcuna, Hunter lasciò il suo posto, uscendo dall’aula per recarsi nell’ufficio del preside. Non appena Hunter uscì dalla classe, avvertii la Harrison di un mio leggero mal di pancia. A quella notizia, la professoressa mi diede il permesso di lasciare la classe. Così, ne uscii camminando lentamente. Una volta fuori, mi diressi verso l’ufficio del preside, trovandone la porta chiusa. Non penso avrei dovuto farlo, ma ad ogni modo, appoggiai la schiena contro il muro, e rimasi in silenzio. Malgrado la porta chiusa, riuscii comunque ad ascoltare la conversazione che Hunter e il preside stavano avendo. “Buongiorno signor Martinez.” Esordì il preside in tono austero. “Buongiorno signor preside.” Rispose educatamente Hunter. “Sa, mi è giunta all’orecchio una voce riguardante una sua sospetta relazione con la signorina Clark, corrisponde forse a verità?” chiese il preside. Prima di rispondere, Hunter deglutì, dopodichè disse:” Si, io e Daniella siamo fidanzati.” “Signor Martinez, apprezzo la sua sincerità, ma mi duole dirle che come membro del Consiglio delle Creature, tale relazione non è accettata. Chiarì il signor Crossley, terminando la frase con un paio di sonori colpi di tosse. Mi aspettavo che Hunter reagisse, e che desse una qualunque risposta al preside, ma invece, si limitò ad annuire, asserendo che aveva ragione. Qualche istante più tardi, sentii la porta aprirsi con uno scatto, e decisi di nascondermi dietro il muro. Per mia sfortuna, Hunter riuscì a vedermi, così mi chiese:” Cosa ci fai qui? Che cosa hai sentito?” “Ho sentito ogni parola, e mi dispiace.” Risposi, con una nota di reale e genuino dispiacere nella voce. “Va tutto bene, ti perdono. L’hai fatto in buona fede no?” mi chiese Hunter. “Si, ma credimi non era mia intenzione origliare.” Risposi, cercando di mostrarmi convincente. “Ora hai lanciato il sasso e non puoi nascondere la mano.” Disse Hunter, in tono scherzoso. Quasi automaticamente, mi lasciai sfuggire una risatina. Mettendo successivamente da parte il mio gesto, Hunter ed io ci recammo in classe assieme. Alla fine delle lezioni, quando fu ora di tornare a casa, salutai i miei amici, e unendomi a Jennifer, cominciai il mio ritorno verso casa. Fra un passo e l’altro, ebbi comunque modo di chiacchierare con Blake, il quale, percorreva la mia stessa strada. Ebbi inoltre occasione di scoprire che Blake abita a tre case di distanza dalla nostra, e ciò non può che rivelarsi positivo, vista l’amicizia che ci lega. Tornata a casa, che si era riempita delle dolci note del pianoforte, raccontai a mia madre del rapporto fra me e Blake. “Penso davvero di amarlo.”Le dissi. Sorprendentemente, le mie parole irritarono mia madre, la quale, subito dopo rispose:”Sei per caso impazzita? Hai un’idea di quante volte si sia messo nei guai con il Consiglio?” “No. Ma in ogni caso, fa tutto parte del suo passato.” Risposi energica. “Io lo amo, e tu non sei nessuno per giudicare l’amore!” aggiunsi infine, sbattendo la porta della mia stanza. Una volta entrata, tentai di soffocare il mio dolore ascoltando della musica, ma quando mi accorsi che questo metodo non stava funzionando come avrei voluto, decisi subito di smettere. Pochi istanti dopo, lancinante dolore emotivo che provavo, mi spinse a compiere un gesto orribile. Mi diressi in cucina, dove trovai un paio di forbici, e una volta tornata incamera mia, mi sedetti in terra appoggiando la schiena contro il muro. Ero devastata. Non avrei voluto farlo, ma in quel momento, il dolore si era impossessato di me, portandomi a non rispondere più delle mie azioni. Così, in un mero e disperato tentativo di sollievo dal dolore, iniziai a tagliarmi. Mi provocai delle piccole ferite sui polsi, rimanendo ferma a guardare il mio sangue sgorgare dalle stesse. Poco dopo, iniziai a piangere, e il sangue si mischiò alle mie amare lacrime. Quella sera, mi rimproverai per essere stata capace di innamorarmi di qualcuno come Blake. Sia il preside che i miei genitori, affermano che sia una cattiva compagnia, ma io non intendo ascoltarli. Al momento, ho solo una certezza. Quello mio e di Blake, è un amore proibito.
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Capitolo XI


I due volti dell’amore


Se n’è ormai andata un’altra settimana, e un nuovo giorno, è in procinto di iniziare. Qualche minuto passa lentamente, mentre io ho il piacere di assistere, dalla mia finestra al magnifico sorgere del sole. Lo stesso, illumina la mia stanza, impeccabilmente ordinata e pulita. Sfortunatamente, non sono riuscita a chiudere occhio per via dell’insopportabile dolore ai polsi, così, ho deciso di alzarmi davvero presto, secondo le mie abitudini di ragazza mattiniera. Dopo aver fatto colazione, decido di vestirmi, poiché il pigiama che ho indosso, sta davvero iniziando a rivelarsi scomodo. Così, apro l’armadio della mia stanza, e scelgo con cura i vestiti da indossare. Senza esitare, mi infilo una maglietta azzurra, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica bianche. In quel mentre, mi accorgo che le ferite sui miei polsi, non si sono ancora del tutto rimarginate. Quella vista, mi appare strana, tanto da rendermi incredula, e indurmi a scuotere la testa. Dopo qualche minuto passato a riflettere, capisco il perché di tutto ciò. Mi ero volutamente provocata quelle ferite, ragion per cui, ora apparivano ancora visibili. Sarebbero senza alcun dubbio guarite, ma ciò avrebbe richiesto un più lungo lasso di tempo. Come tutti i giorni, mi sono preparata per andare a scuola. Mentre camminavo per raggiungerla, ho incontrato Blake, e ci siamo subito salutati. Per paura e vergogna, ho fatto in modo che non scoprisse le mie ferite, e difatti, sono riuscita a tenerle nascoste, seppur solo per poco tempo. Mentre gli parlavo, durante l’intervallo, ho inevitabilmente iniziato a gesticolare, e così lui si è accorto di tutto. Quindi, qualche minuto più tardi, si è offerto di accompagnarmi in infermeria, dove mi ha accuratamente medicato e bendato i polsi. Sorridendo, l’ho ringraziato, e ho passato il resto dell’intervallo assieme a Taylor. Stamattina, porta i capelli raccolti in una lunga treccia, e perciò le faccio i complimenti, ma in realtà, è un altro particolare a colpirmi. Difatti, porta al collo uno splendido rubino cuoriforme rosso e nero. “Bel ciondolo.” Mi complimento, regalandole un sorriso. “Grazie.”risponde lei, sfiorandolo con le dita. “Ad ogni modo, devi sapere una cosa.” Continua lei, facendosi improvvisamente seria. Guardandola negli occhi, non proferisco parola, aspettando che riprenda a parlare. “Questo non è un gioiello come gli altri. È il Rubino Notturno, pietra preziosissima e sacra per i vampiri del mio ordine.” Afferma lei, con serietà inaudita. “È davvero bellissimo.” Le rispondo, continuando a guardarla. A quel punto, Taylor sorride e mi saluta. Sembra avere fretta, ma alla stessa c’è un motivo. deve, come mi dice dopo qualche istante, andare a ripassare per l’interrogazione della Galdys. Comprendendo le sue ragioni, decido di non trattenerla, salutandola con un rapido gesto della mano. Dopo averlo fatto, in anticipo sulla campanella, mi reco in classe, dove trovo Blake, seduto al suo posto, in perfetto silenzio. a prima vista, mi sembra nervoso, così decido di avvicinarmi, nel tentativo di scoprire che cosa lo turbi. “Blake, stai bene?” gli chiedo, guardandolo. “Mai stato meglio.” Risponde lui, senza staccare gli occhi dal suo quaderno zeppo di appunti. “Non si direbbe.” Cinguettò io, intuendo che mente. “Non ti sfugge nulla, vero?” risponde lui, alzando lo sguardo. “Mi hai scoperto. Crossley mi ha convocato, e finirò nel Tribunale delle Creature.” “Cosa?” esclamo io, non riuscendo a credere a ciò che ho appena sentito. “È la verità, Chelsea, mi sono messo nei guai parecchie volte, e stavolta verrò processato.” Disse, abbassando di nuovo lo sguardo, con aria triste. “Ti aiuterò io.” Dico, cercando di confortarlo. “Lo faresti davvero? Grazie Chelsea!” conclude lui, abbracciandomi. Io gli sorrisi, andando a sedermi accanto a lui, in attesa dell’inizio della lezione di italiano. Dopo circa una decina di minuti, la campanella suonò emettendo un trillo acuto e assordante. Subito dopo, vidi la professoressa Galdys salire in cattedra, e aprire il suo polveroso e pesante libro di testo, che lei considerava una lettura leggera. La lezione andò avanti per due, ma ad un tratto venne interrotta dall’arrivo del signor Sanders, entrato in aula solo per comunicare ad Hunter di essere stato, per la seconda volta, nell’ufficio del preside. Dopodichè, quasi come se stessi seguendo un copione, iniziai a fingere un acuto mal di testa, che si rivelò convincente, regalandomi un’opportunità per uscire dalla classe. Per la seconda volta quindi, mi diressi verso l’ufficio del preside Crossley, avvicinandomi poi alla porta, nel tentativo di ascoltare la conversazione fra lui e Hunter. “Signor Martinez!” A quanto pare ci rincontriamo!” sibilò il preside, stavolta acido. “Signor Crossley, so già dove vuole arrivare, e la mia risposta è no. Daniella è troppo importante per me, e il nostro rapporto non può logorarsi a causa sua. Disse Hunter, visibilmente iroso. “Faccia come crede, signor Martinez, ma sappia che la pagherà cara.” Ribatté il preside. A quel punto, sento la porta aprirsi con uno scatto, e decido, in tutta fretta di allontanarmi. Uscendo dall’ufficio del preside, Hunter mi nota, e chiede:”Perché sei di nuovo qui?” “Non volevo che finissi nei guai, così ti ho seguito.” Risposi, avviandomi verso la classe. “Chelsea, aspetta!” urla Hunter, ad una trentina di metri da me. Con una reazione quasi immediata, mi fermo, iniziando a guardarlo negli occhi. “Grazie.” Disse, avvicinandosi a me. Dopo quelle parole, iniziò a camminare accanto a me, diretto verso la nostra aula. Quando tornai a casa, dopo la fine dell’ultima ora di lezione, fui accolta in casa  da Jennifer, la quale, felice di rivedermi, disse:” Ciao Chelsea! Com’è andata?” non risposi, decidendo di ignorarla.  Stanno accadendo troppe cose a scuola, e malgrado Jennifer sia l’unica persona con cui parlarne, esclusi i nostri genitori, decido di non farlo. Anche solo tentare, significherebbe venir tempestata di domande, e dopo ciò che è successo sia ad Hunter che a Blake, le discussioni sono l’ultimo dei miei pensieri. Volevo assolutamente evitare di parlarne, ma sapevo di non poter tacere a lungo. Difatti, dopo aver raccolto il mio coraggio, parlandone con mia madre. La trovai nel salotto di casa, intenta a leggere. Schiarendomi la gola, la distrassi dalla sua lettura. “Dobbiamo parlare.” le dissi, on tono serio. “Ti sto ascoltando.” Rispose mia madre alzando il suo gelido e penetrante sguardo. “Si tratta di Blake. Verrà processato in tribunale, e mi ha chiesto di aiutarlo.” “Cosa pensi di fare?” chiese mia madre, incapace di nascondere i suoi dubbi riguardo quanto sarebbe potuto accadere. “Non lo so, ma gli farò da testimone.” Le risposi convinta. “Chelsea, so che lo ami, ma potrebbe essere rischioso, fa attenzione.” Dopo averla ascoltata parlare, annuii. Pochi istanti dopo, un ricordo riaffiorò nella mia mente. Grazie allo stesso, compresi che l’unico modo di raggiungere il Tribunale delle Creature, è varcare una porta presente nella cantina della casa di ogni vampiro. Così, senza alcuna esitazione, corsi in cantina e iniziai a cercarla. Dopo qualche minuto di ricerche, ne trovai una che non avevo mai visto prima. Era una porta lignea e imponente con sopra una strana incisione. Ad ogni modo, l’istinto mi diceva che era quella giusta. Così, decisi, dopo una leggera esitazione, di entrarvi. Dopo averlo fatto, mi ritrovai all’interno di un enorme sala, dove ebbi subito modo di incrociare lo sguardo di Blake. Sembrava davvero spaventato, e mi fece segno di avvicinami. Non persi tempo, iniziando subito a camminare verso di lui. Con tre falcate, gli fui accanto.”Sei venuta!” esclamò, guardandomi con aria felice. “Te l’avevo promesso , ricordi?” gli dissi io, sorridendogli. Blake sorrise a sua volta. “Perché ti hanno convocato?” gli chiesi. “Vedi quella teca? Al suo interno era custodito il Diamante Cremisi, gioiello prezioso e dal valore inestimabile. La giuria crede che io non abbia il cuore puro, e che quindi l’abbia rubato. Non è colpa mia, aiutami.” Mi supplicò Blake. “Non preoccuparti, andrà tutto bene. Lo rassicurai, standogli vicina. Dopo qualche minuto, il giudice fece il suo ingresso in aula, e in tono austero e perentorio, dichiarò:”Il qui presente Blake Gallaway è accusato del furto del preziosissimo Diamante Cremisi, ma prima della condanna, ascolteremo insieme la testimonianza di Chelsea Hale.” Facendo qualche passo in avanti, mi allontanai leggermente da Blake e mi schiarii la voce. Dopodichè, con una vena di paura nel volto e nel cuore, dissi: ”Signori della giuria, Blake Gallaway è accusato di un ignobile gesto, ma io posso dimostrare che è innocente. Voi tutti lo ritenete un vampiro impuro di cuore, ma se lo fosse davvero, farebbe questo?” conclusi riavvicinandomi a lui. Proprio in quel momento, il mio cuore iniziò a battere come mai prima d’ora, e fu lì che Blake ed io ci scambiammo il nostro primo bacio. L’intera giuria era esterrefatta e incapace di proferire parola.  Tuttavia, quel silenzio mi rendeva nervosa. Ogni singolo membro della giuria, mi fissava con sguardo malevolo. Senza neanche rendermene conto, iniziai a tremare. La mia  paura svanì quando il giudice in persona, guardandomi negli occhi, disse: ”Signorina Hale, ci ha convinti. Un vampiro dal cuore puro non si renderebbe mai colpevole di tale gesto,  e le sue prove sono più che convincenti. Dopo quelle parole, il giudice dichiarò la fine del processo, e sia io che Blake fummo liberi di andarcene. In quel preciso istante, la mia felicità era indescrivibile. Ero appena riuscita a convincere la giuria dell’innocenza di Blake, ed entrambi avevamo confessato i nostri sentimenti l’uno all’altra.Più tardi, al calar della sera, giunsi ad un’importantissima conclusione. L’amore ha due volti, quello che si mostra quando si è innamorati, ma troppo insicuri o orgogliosi per ammetterlo, e quello che si mostra quando si impara a non soffocare né inibire i propri sentimenti. È qualcosa che io e Blake abbiamo reciprocamente fatto per lungo tempo, scegliendo, alla fine, di cedere alla forza del nostro amore.
 

Capitolo XII


Un nuovo ostacolo


Una nuova giornata primaverile sta per iniziare. Fra pochi minuti, avrò la dorata occasione di assistere allo spettacolo offertomi dall’aurora mattutina. Intanto, non riesco a staccare gli occhi dal terso, limpido e azzurro cielo. Il vento soffia dolcemente, facendo danzare miriadi di bianche e immacolate nuvole. Mentre osservo, con gli occhi colmi di meraviglia, il sole sorge, illuminandomi il viso. Volgendo lo sguardo al prato del mio giardino, noto con gioia che un piccolo, gracile ed esile fiore viene baciato dal sole, ergendosi, con il suo fine stelo, fra l’erba fresca e pregna di rugiada mattutina. Mia sorella Jennifer, si sveglia pochi minuti dopo di me, ma non possedendo la mia stessa sensibilità, ignora le meraviglie della natura che ci circonda. Oggi, ha inizio una nuova giornata scolastica, e il pensiero di incontrare le mie amiche e il mio ragazzo, mi rende felice. inoltre, stamattina la fatica di camminare fino a scuola mi viene risparmiata.  Difatti, mia madre apre la porta della mia stanza per venire a comunicarmi che Blake, il mio fidanzato, è passato a prendermi in auto. Mentre finisco di prepararmi per la scuola, la ringrazio dell’informazione, e al contempo penso a quanto sia dolce il gesto di Blake. Ha parcheggiato l’auto proprio di fronte a casa mia, per questo motivo, riesco a vederla non appena ne esco. Una bellissima Spider di un color nero lucente. Non appena mi vede, Blake mi saluta, e mi invita a salirci. Senza esitare, salgo in macchina, e aspetto che accenda il motore per accompagnarmi a scuola. Ovviamente, gli chiedo se anche Jennifer può venire con noi, e lui, data la sua naturale accondiscendenza, risponde che non c’è alcun problema. Per tutta la durata del viaggio, non riesco a staccare gli occhi da lui. Essendo troppo concentrata sui suoi capelli neri, e su quei bellissimi occhi color ambra che si ritrova, non mi accorgo neanche di essere giunta a destinazione. Ad ogni modo, seppur con qualche attimo di ritardo rispetto a lui e Jennifer, scendo dall’auto, varco il cancello scolastico, e mi dirigo subito verso la mia aula. È la prima ora di lezione della giornata, che passeremo studiando letteratura. La stessa, finisce per volare. Il tempo scorre al ritmo delle mie forti emozioni, che mi fanno quasi distaccare dalla realtà. I miei sogni ad occhi aperti, vengono interrotti ed infranti dalla Galdys, la quale, mi rimprovera per la mia disattenzione. “Qualcosa la turba, signorina?” chiede lei, con indolenza. “No, assolutamente no!” ho la sola forza di biascicare, quasi arrossendo in volto per via della vergogna provata. Per mia fortuna, la Galdys decide di ignorare il mio errore, riprendendo subito la lezione. Anche la seconda ora di questa giornata scolastica, passa senza più tornare indietro. Inevitabilmente, arriva l’intervallo, unico momento della giornata che posso passare a chiacchierare sia con Blake che con le mie amiche. Alzandomi dal mio posto, con la ferma intenzione di uscire dall’aula, noto che Taylor è seduta in un banco vuoto in fondo all’aula. Dall’espressione del suo viso, così triste e malinconica, capisco che c’è qualcosa che non va, così mi avvicino per parlarle. “Ciao Taylor! Qualcosa non va?” le chiedo. “Sto bene, sono solo un pò stanca. ”Risponde, tenendo gli occhi fissi sul suo quaderno di inglese. “Taylor, dai, prenditi una pausa, non ti facevo una secchiona!” scherzo, nel tentativo di farla sorridere. fortunatamente, la vedo scoppiare a ridere, e la imito senza neanche pensarci. “Il problema non è lo studio, Chelsea.” Mi dice, smorzando subito la sua stessa risata. “Allora cosa ti succede?” chiedo, stranita dalle sue parole.”Sono solo gelosa, ecco tutto.” “Gelosa? E di chi? Continuo subito dopo averla sentita pronunciare quelle parole. “Non prendertela, ma lo sono di te.” Risponde poi, con uno sguardo da cane bastonato. “E perché mai dovresti esserlo?” mi viene da chiederle. “Non capisci? Tu hai un fidanzato, una sorella, e dei genitori presenti, ed io no. I miei sono sempre fuori per lavoro e non li vedo mai. Sono sola al mondo.” Le sue ultime parole mi colpirono, proprio come una palla di neve in una giornata invernale. “Taylor! Non lo sapevo! Perché non me l’hai detto?” esclamai, esterrefatta. “Non volevo farti preoccupare.” Rispose, abbassando lo sguardo. “Cosa stai dicendo? Sei una delle mie migliori amiche. Il fatto che abbia un fidanzato, non mi allontanerà mai da te.” Le dissi, sforzandomi di rincuorarla. “Lo prometti?” mi chiede, con voce fievole. “Te lo prometto.” Le rispondo, abbracciandola. Dopo qualche secondo, Taylor ed io ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, e la invitai a seguirmi. Uscimmo dall’aula insieme, e la potai subito a conoscere Blake. Loro due si salutarono amichevolmente, e notai con piacere che Taylor, invece di mostrarsi gelosa, apprezzava la sua compagnia. Trovavo l’intera faccenda positiva, ragion per cui, non potei fare a meno di sorridere. Pochi minuti dopo, il “melodioso” trillo della campanella, segnò l’inizio della quarta ora di lezione. Così, veloci come schegge, Taylor, Blake ed io ritornammo in classe. Ad aspettarci, c’era il signor Donovan, nominato sostituto della Harrison per le ultime due ore di scuola. Le stesse, passarono più velocemente del solito. Difatti, spesso le ultime ore di una giornata scolastica sono le più dure da affrontare, ma quelle odierne sembrano essere un’eccezione. A fine giornata, arriva inevitabilmente l’ora di tornare a casa. Con gentilezza, Blake si offre di riaccompagnarmi a casa, ma decido di rifiutare. Lui non si oppone alla mia decisione, salutandomi e avviandosi verso la sua auto. Intanto, mentre cammino, un pensiero inizia a ronzarmi in testa. Non riuscivo a capire la ragione dell’improvvisa assenza a scuola della Harrison. I miei compagni, l’avrebbero sicuramente creduta ammalata, o con qualche problema familiare da risolvere, ma io avevo un orribile presentimento. Quindi, giunsi alla conclusione che stesse tramando qualcosa contro di me. Tentai di non badare a tale pensiero, ma non ci riuscii. Poi, improvvisamente, a Jennifer venne un’idea. Propose di passare per il bosco sulla via del ritorno a casa. Stringendomi nelle spalle, accetto senza protestare, e così ci addentriamo nel bosco stesso. Fatti pochi passi, incontriamo Taylor. Stupita dalla sua presenza, le chiedo cosa stia facendo, pur non ottenendo risposta. “Scappate.” Dice, riferendosi sia a me che a Jennifer. “È qui.” Continua dopo qualche istante, visibilmente spaventata. “Che vuoi dire? Chi è qui?” chiedo, confusa ed impaziente. “La Harrison. Sento il suo odore, ora scappate!” ci prega. Noi non la ascoltiamo. Sia io che Jennifer abbiamo un solo scopo, ossia farla scomparire definitivamente. “Portaci da lei.” chiedo a Taylor. Lei stessa, si limita ad annuire, conducendoci proprio dove vogliamo. Non appena ci vede, la Harrison punta Taylor, e si prepara ad attaccarla, ma io riesco, grazie ai miei rapidissimi riflessi, a ferirla ad un braccio e atterrarla, evitando quindi, che si avvicini a Taylor. “Lasciala a me!” mi urla lei, avvicinandosi e provocando alla Harrison due profonde ferite al petto. Dopo averlo fatto, ignora le sue strazianti grida di dolore, costringendola a guardarla negli occhi. A quel punto, la Harrison la guarda con aria di sfida, e Taylor le mostra il suo ciondolo. Alla vista dello stesso, la Harrison sembra essere letteralmente inchiodata a terra, e noto che lentamente le forze iniziano ad abbandonarla. Poco dopo, riversa in una pozza del suo stesso sangue, giace sul terreno, ormai morta. A quella vista Taylor si inginocchia e le afferra un polso, graffiandolo poi con i suoi artigli. “Se n’è andata.” Dichiara dopo pochi istanti. Jennifer, non possiamo far altro che annuire. Dopodichè, dando un ultimo sguardo al cadavere di quella traditrice, tutte e tre usciamo dal bosco, dirette ognuna verso casa propria. Raggiunta la nostra, vi entriamo, e senza esitare, comunichiamo quasi all’unisono la notizia ai nostri genitori. “Complimenti, ragazze.” Dice nostro padre, in tono fiero. “Ora quella vampira non esiste più, ed è solo merito vostro e della vostra cara amica.” Aggiunge nostra madre, concludendo il discorso. Dopo qualche ora passata a suonare il piano, sono costretta a smettere, poiché la sera è calata, e la luce non è più sufficiente perché io possa leggere correttamente gli spartiti. Mentre mi avvio verso la mia stanza, sento che il mio cellulare inizia a squillare. Rispondendo alla telefonata, scopro che Blake ha organizzato una festa alla quale ha deciso di invitarmi. Ovviamente, non riesco a dirgli di no, finendo per accettare di buon grado. Appresa la notizia riguardante la festa, coro in camera a cercare un vestito adatto all’occasione. Con l’aiuto di mia madre, scelgo un bellissimo abito dorato, e delle strepitose scarpe in tinta. Dopodichè, chiedo a mio padre di accompagnarmi a casa di Blake, dove la festa avrà luogo, e lui accetta senza esitare. Appena arrivata, scendo dall’auto, e mi unisco a Taylor e Daniella. Una indossa un magnifico abito rosso, mentre l’altra ne ha scelto uno color smeraldo. Passo all’incirca una decina di minuti a chiacchierare con loro, dopodichè vengo raggiunta da Blake. Stasera è bellissimo. Indossa una giacca nera ed una camicia bianca, con una rosa all’occhiello della giacca stessa. È questione di un secondo, ed entrambi finiamo l’uno fra le braccia dell’altra. Poi, quasi completamente ignorando la presenza delle mie amiche, Blake mi bacia. “Sei bellissima stasera.” Mi sussurra all’orecchio subito dopo. Ascoltando le sue parole, mi sciolgo come neve al sole. Poco dopo, Blake ci invita ad entrare in casa. Reputo la sua idea di gran lunga migliore di quella di Taylor, che avrebbe preferito restare in giardino. Non appena entro, vengo accolta dai genitori di Blake. Per qualche strana ragione, a me sconosciuta, sua madre mi guarda con disprezzo. Poi, la sento chiedere a Blake di essere lasciata da sola con me. “Tu devi essere Chelsea, sbaglio?” chiede, dubbiosa. “Sono io.” Rispondo educatamente. “Ascolta, mi dispiace davvero dirtelo, ma non credo tu sia la ragazza giusta per mio figlio. Non sei alla sua altezza e lui non ti merita!” Mi disse, facendomi provare la peggior sensazione della mia vita. Sono davvero a terra. Le parole di quella donna mi hanno ferita, ma conservando la mia dignità, evito di risponderle, dandole le spalle e tornando in giardino. Una volta lì, lascio che le lacrime mi solchino il volto, senza il minimo sforzo di ricacciarle indietro. Vedendomi piangere, Blake mi si avvicina. “Chelsea! Che è successo?” Chiede preoccupato. “Tua madre ha ragione Blake, tu non mi meriti, forse qualche altra ragazza è quella giusta per te!” gli rispondo, senza riuscire a smettere di piangere. Poco dopo, Blake mi abbraccia, e mi chiede di guardarlo negli occhi, dicendo: ”Chelsea, ascoltami. Non importa quello dicono che i miei genitori. Io ti amo, e ti voglio nella mia vita!” A quelle parole, lo abbraccio forte stringendolo a me. Dopo qualche istante, ci baciamo. Anche io amo Blake, e sua madre, Blanca Gallaway, è un ostacolo ormai superato. Entrambi sappiamo che indipendentemente da quello che ci accadrà, nulla finirà per frapporsi fra noi e il nostro amore.


 
 
 
 
 
 
Capitolo XIII


Parole e ferite


Un nuovo giorno è in procinto di iniziare. Solitamente, sono allegra e raggiante di felicità, ma oggi non è affatto così. Ad ogni modo, sono in piedi di buon'ora, e la fatica di andare a scuola a piedi mi viene risparmiata. Come tutte le mattine, dopo una sana colazione, corro nella mia stanza a vestirmi. Mentre sono nell'atto di farlo, mai madre apre la porta unicamente per avvisarmi che Blake, il mio fidanzato, è passato a prendermi per accompagnarmi a scuola. Non appena lo vedo, lo saluto, chiedendogli se Jennifer può unirsi a noi. in tono calmo, asserisce che non c'è alcun problema a riguardo. Uscendo di casa, ho l'occasione di vedere la sua auto. Una bellissima Spider nera. Senza perdere un istante, salgo in macchina, e aspetto che Blake accenda il motore. per l'intera durata del viaggio, non riesco a staccare lo sguardo da quei suoi meravigliosi occhi color miele. Non oso parlargli, volendo evitare di deconcentrarlo. Intanto, mentre la strada scivola via, e ci avviciniamo alla nostra destinazione, mi tornano in mente le parole di sua madre. Quelle stesse parole, dure come la roccia e taglienti come un pezzo di vetro, sono riuscite a minare il mio sensibile animo, provocando una ferita che ancora oggi, sanguina. Anche se sta guidando, Blake riesce ad accorgersi che l'espressione del mio volto è mutata, passando da felice a malinconica. "Va tutto bene?" mi chiede, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Si.”Gli rispondo, evitando di incrociare il suo. “Chelsea, so bene che stai mentendo. Ora dimmi, cosa ti succede?” mi chiede, in tono calmo e premuroso. “Sono le parole di tua madre, Blake. Mi ha ferita.” “So quanto male può averti fatto, ma sappi solo una cosa. Mia madre si sbaglia su di noi.” rispose, mutando il suo tono di voce da calmo a serio. A quelle parole, sorrisi. Le stesse, avevano agito da antidoto contro il mio dolore, riuscendo a farlo sparire. Guardando fuori dal finestrino, mi accorsi che eravamo appena arrivati a scuola. Così, non appena Blake fermò l'auto, ne scesi lentamente, dopodiché decisi di avviarmi verso la mia aula. Questo comportava attraversare un lungo corridoio, impresa difficile, visto il poco tempo a disposizione e il peso del mio zaino. Ad ogni modo, strinsi i denti, riuscendo ad arrivare in classe con un minuto d'anticipo sulla campanella. Ora sapevo di poter tirare un sospiro di sollievo, poiché la mia reputazione di studentessa modello era salva. Entrando in aula, incontrai Taylor e Daniella. Le due, quasi all'unisono, mi salutarono. Ricambiai affettuosamente, dopodiché decisi di prendere posto. Ho una manciata di secondi per compiere tale gesto, poichè allo scadere degli stessi, la professoressa Galdys fa il suo ingresso in aula. Imitando i miei compagni, mi alzo per salutarla educatamente, rimettendomi a sedere soltanto un istante dopo. Ad essere sincera, non sono proprio dell'umore per seguire una lezione di letteratura, ma decido di ingoiare il rospo. Per mia fortuna, la Galdys sa bene come mantenere viva l'attenzione dei suoi studenti, riuscendo quindi, a far diventare interessante anche la più tediosa e pesante delle lezioni. Dopo ben due ore, il nasale e ridondante suono della campanella annuncia l'inizio dell'intervallo, che, come di consueto, passo con Taylor e Daniella. Sono le mie migliori amiche, e so bene di poter sempre contare su di loro, anche nel peggiore dei momenti. Tutte e tre, inganniamo il tempo scherzando insieme, o parlando del più e del meno, e se la nostra vita scolastica, non fosse dettata dai richiami di un insegnante, o dal suono di una campanella, rimarrei a discutere con loro per ore. “Come va con il cuore?” mi chiede Daniella, spezzando il silenzio creatosi fra di noi. “Bene.” rispondo, intuendo che allude alla mia relazione con Blake. Dopo averle risposto, le rigiro la domanda, alla quale lei evita di rispondere. Daniella è una ragazza naturalmente sensibile, e c'è da ammettere che in questo ci somigliamo, ma al contrario di me, tende a provare un forte imbarazzo, quando in un qualunque discorso, si finiscono per toccare note così dolenti. Riaprendo la bocca per parlare, Daniella è sul punto di porre lo stesso interrogativo anche a Taylor, ma giocando d'astuzia, riesco ad impedire che lo faccia. Anche se da allora è passato parecchio tempo, Taylor non ha affatto dimenticato quanto sia stato doloroso essere piantata in asso e lasciata da Hunter. Riuscendo ad evitare questo campo minato, propongo loro di ripassare per l'imminente interrogazione di storia dell'ora seguente. Con fare decisamente annoiato, accettano la mia proposta, non evitando di lamentarsi. Ad ogni modo, utilizzando la dialettica, riesco a convincerle, ponendo fine alla loro pigrizia. Con la fine dell'intervallo, le lezioni riprendono, con la stessa fluidità di ogni giorno. Difatti, le noiose e pesanti di ore di storia, seguite da una stimolante lezione di biologia, sembrano volare. Per far sì che il tempo passato fra le mura scolastiche, scorra più in fretta, già da tempo ho preso l'abitudine di concentrarmi su pensieri che mi rendano felice, pur senza distrarmi dai miei doveri scolastici. La campanella dell'ultima ora di scuola, decreta la fine della giornata. Con molta gentilezza, Blake si offre di riaccompagnare a casa sia me che Jennifer, ma quest'ultima rifiuta, asserendo di avere altri piani. Stringendosi nelle spalle, Blake aspetta che io salga in auto, per poi accendere il motore e dare inizio al viaggio di ritorno verso casa. Una volta arrivata, scendo dall'auto, ringraziando Blake del gentile gesto, e mi avvio verso la porta di casa. Notando che ho qualche problema ad aprirla, Blake mi si avvicina, decidendo spontaneamente di darmi una mano. Difatti, è proprio lui ad inserire la chiave nella serratura, e conseguentemente aprire la porta. A quel punto, Blake ed io entriamo in casa quasi contemporaneamente, e lui, notando il tombale silenzio che vi aleggia, si volta a guardarmi, meravigliandosi della cosa. “I miei genitori lavorano, e Jennifer è uscita con qualche amica” lo rassicuro, vedendolo spaesato. “Ora capisco il perchè del silenzio.” risponde lui, terminando la frase con un sorriso. Dopo qualche istante, lo invito ad accomodarsi. “Torno subito.” Lo avviso, dirigendomi verso la mia stanza, così da rimettere a posto lo zaino e la giacca che porto. Subito dopo, mi riavvicino alla porta della mia camera, e afferrandone la maniglia per riaprirla e uscirne, mi ritrovo Blake davanti. “Perchè mi hai seguita?” gli chiedo, con una vena di imbarazzo nella voce. “Chelsea, mi lasci entrare? C'è qualcosa che devo dirti.” rispose lui, mantenendo la calma. Rimanendo in silenzio, mi limito ad annuire, dopodichè lo invito a continuare. “Chelsea, ci frequentiamo da quasi un anno, e sai bene che ti amo, perciò ora chiudi gli occhi.” disse lui, con voce dolce. Obbedii senza porre domande, e mi sentii stringere in un abbraccio. “Bene, ora riapri gli occhi e va a specchiarti.” Continuò Blake, con lo stesso tono. Di nuovo, feci ciò che mi era stato chiesto, e rimasi di stucco nel vedere la mia immagine riflessa nello specchio della mia stanza. Notai infatti, che Blake mi aveva fatto chiudere gli occhi al solo scopo di mettermi al collo un meraviglioso ciondolo. Una catenina argentata, sorreggeva questo piccolo gioiello a forma di diamante. “É bellissimo!” commentai, guardando Blake negli occhi. “Sono contento che ti piaccia.” rispose, con le labbra dischiuse in un luminoso sorriso. Quel regalo, assieme a tutte le piccole attenzioni che mi dedicava, mi fecero capire che tipo di persona fosse Blake. Contrariamente a quanto affermava mia madre, era un ragazzo dolce, simpatico gentile e premuroso. Mi concessi qualche istante per guardarlo negli occhi, prima di sdraiarmi sul mio letto, sfinita dalla pesante giornata scolastica appena passata. prendendomi di sorpresa, fece lo stesso, deponendo un tenero bacio sulle mie labbra. Accecata dai miei sentimenti per lui, lo baciai a mia volta. Dopo qualche secondo, passato a guardarmi negli occhi, Blake iniziò ad accarezzarmi il viso. “Sei bellissima.” Mi ripeteva. “Ti amo.” Gli risposi, senza staccare lo sguardo dai suoi bellissimi e lucenti occhi color miele. Distraendomi per un attimo, guardo fuori dalla finestra, accorgendomi che sulla città è appena calata la sera. Senza badare a tale insignificante dettaglio, Blake ed io continuammo a scambiarci tenerezze l'un l'altra, finendo per suggellare il nostro amore nella maniera più dolce possibile, ossia passando la nostra prima notte insieme. Una lunga e bellissima notte piena di magia, amore e passione, che arde come fiamma viva.
 

 
Capitolo XIV

Conseguenze


Un altro mese della mia monotona vita è ormai passato, eppure il ricordo della mia notte con Blake è ancora fisso nella mia memoria. Tale ricordo, risulta essere incancellabile. Le belle esperienze della vita, tendono ad essere ricordate in eterno, proprio come quella notte. Tuttavia, il nuovo giorno che è appena iniziato, non sembra essere affatto radioso. Fuori c'è un tempo magnifico, ma io son davvero in pessima forma. Un'estrema debolezza mi impedisce di alzarmi dal letto, un fortissimo mal di testa mi annebbia la vista, ed un inspiegabile dolore allo stomaco mi fa venire da vomitare. Sperando di lenire i sintomi, non muovo un muscolo, ma tale rimedio non si dimostra efficace. I minuti passano, e sembra che il dolore che provo si intensifichi, perciò prendo una decisione. Mi sforzo di venire giù dal letto, e raggiungere mia madre in cucina. “Chelsea! Hai un aspetto orribile!” esclama, non appena mi vede. “Lo so, sto malissimo.” “Torna subito a letto.” Ordina mia madre, in tono perentorio. A quel punto, persino il semplice atto di camminare richiede uno sforzo maggiore del solito. Ad ogni modo, le do retta, dirigendomi verso la mia stanza. Una volta arrivata, mi infilo di nuovo sotto le coperte. Dopo qualche minuto, il mio corpo comincia a scaldarsi, e pare che il dolore inizi a scemare. Lamentandomi per via dello stesso, la cui intensità ormai decresce, appoggio il mio cuscino sulla pancia, pur senza ottenere risultati concreti. Dopo qualche minuto, mia sorella e mia madre mi raggiungono. Quest'ultima, mi ha portato una tisana alle erbe. Visibilmente preoccupata per il mio stato di salute, mi chiede di berla, e io obbedisco senza protestare. Il rimedio di mia madre, sembra finalmente sortire un effetto alquanto positivo. Sorridendomi, mia madre si siede sul mio letto, continuando a guardarmi. “Jennifer, per favore esci. Chelsea ed io dobbiamo parlare.” Disse, spostando lo sguardo su mia sorella. La stessa, si stringe nelle spalle, uscendo lentamente dalla stanza, e chiudendo la porta. “Mi nascondi qualcosa?” mi chiede mia madre, guardandomi negli occhi. Vorrei mentire, ma quegli occhi di ghiaccio, così gelidi e penetranti, mi impediscono di farlo, così, dopo un ampio sospiro, le dico:”Mamma, so che potrei scioccarti, ma ho passato la notte con Blake.” “Cosa?” risponde lei, allibita dalle mie parole. “Non è possibile! Non mi dirai…” “Si, sono incinta.” Le rispondo, senza neanche lasciarle il tempo di terminare la frase. Improvvisamente, comincio a tremare. Ha scoperto il mio segreto, e ora temo la sua reazione. Non sono affatto in grado di prevedere ciò che accadrà, motivo per cui, rimango sorpresa dalle parole di mia madre a quella notizia. “Chelsea, nessuna vampira della tua età aveva mai compiuto un gesto simile. Sei ancora giovane, ma congratulazioni.” Dopo aver ascoltato le sue parole, provai un profondo senso di sollievo. Prima che rispondesse, immaginavo si fosse arrabbiata, ma fortunatamente, non è stato così. Ora come ora, rimaneva solo una cosa da fare. Dovevo, in un modo o nell'altro, dirlo a Blake. In fondo, lui era il padre di questo bambino, e anche volendo, non sarei riuscita a nasconderglielo a lungo. L'unica pecca, era che quella odierna risultava essere una mattinata scolastica. Così, aspettai con ansia la fine delle lezioni per dirglielo. Verso le cinque del pomeriggio, lo invitai a casa, e lui accettò di buon grado il mio invito. Non appena mi vide, mi salutò abbracciandomi. Dopo qualche istante, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, e lo condussi lentamente nella mia stanza. “Blake, devo parlarti.” Gli dissi, sforzandomi di non apparire preoccupata. “Di cosa?” chiede lui, seduto sul letto accanto a me. “Prometti che non ti arrabbierai.” Gli rispondo, guardandolo negli occhi. “Lo prometto.” Afferma lui, in tono calmo ma serio. “Blake, saremo genitori. Sono incinta!” rispondo, sorridendo per la contentezza. “Dici davvero? Ma è un miracolo!” risponde, stringendomi in un abbraccio e posando le sue labbra sulle mie. “Ti amo.” mi dice, accarezzando la guancia. Non rispondo, baciandolo di nuovo sulle labbra. Dopo la nostra discussione, andiamo tutti e due in salotto, per ingannare il tempo guardando la televisione. Come di consueto, è ormai giunta la sera, e i miei occhi, fissi sullo schermo, finiscono per chiudersi. Mi appisolo così sul divano, cullata dal battito del cuore di Blake. Poco prima di addormentarmi, sorrido. Un sorriso mi illumina il volto, poichè un pensiero felice mi ha attraversato la mente. Ancora non ci credo, eppure, presto diventerò mamma.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XV


Richieste di aiuto


Quella odierna, sembra essere una tranquilla serata come tante altre. È primavera, ma la pioggia ha appena smesso di scrosciare, e ad essa è seguito un freddo pungente. Il vento, sibila minaccioso, esibendosi in lamenti degni di un lupo, e facendo tremare il vetro della mia finestra. Per nulla spaventata, guardo attraverso la stessa, posando lo sguardo sul cupo ma meraviglioso cielo. Anche stasera, è punteggiato di coraggiose stelle, che brillano sfidando l’oscurità della notte. La calma che respiro e che provo, si trasforma in paura, poiché l’ululato di un lupo, attira la mia attenzione. Ancora una volta, scopro la presenza di un licantropo sotto la mia finestra. Tento di non mostrarmi sorpresa, seppur fallendo nel mio misero tentativo. L’oscurità mi impedisce di vedere, ma all’improvviso, lo sfavillio di due occhi quasi aurei, tradisce il buio. Quel piccolo particolare, mi basta per capire che il licantropo a me dinanzi, è Hunter. Ripetendo le stesse azioni compiute mesi prima, gli faccio capire che posso aiutarlo. Con un rapido cenno della mano, gli chiedo di non muoversi, ma lui sembra ignorarmi. Questa così sospetta indifferenza, mi lascia intendere che stavolta, si tratta di una questione davvero importante. Così, esco dalla mia stanza, con la ferma intenzione di aprire la porta di casa. Dopo averlo fatto, invito nuovamente Hunter ad entrare. Lo stesso pare irremovibile, ma io non sono da meno. Così, con gli occhi bassi e la coda fra le zampe, è costretto ad entrare. Per la seconda volta, lo conduco nella mia stanza. Una volta entrati, entrambi ci sediamo sul mio letto, e proprio in quel preciso istante, Hunter riprende le sue sembianze umane. “Qual è il problema stavolta?” gli chiedo, con voce bassa ma ferma. “Va bene, sarò breve.” Risponde, rimanendo calmo. “Come sai, ho avuto un ennesimo screzio con il preside. Secondo lui, io e Daniella non possiamo stare insieme, perciò ho bisogno del tuo aiuto.” Concluse, guardandomi negli occhi. “Cosa devo fare?” gli chiesi, aspettandomi una risposta. “Devi convincere Daniella a seguirti nel bosco, io sarò lì ad aspettarvi.” Mi disse, in tono serio ma preoccupato. Non volendo deluderlo, mi limitai ad annuire. Subito dopo, Hunter si voltò verso la porta della mia stanza, la aprì, e si diresse verso quella di casa. Visto che era chiusa a chiave, dovetti aprirgliela io, ma ciò non rappresentò un problema. Difatti, per compiere tale gesto, mi bastò un semplice e rapido movimento del polso. Lo lasciai uscire, mentre, per la seconda volta, rimanevo a guardarlo riprendere le sue sembianze lupesche, e allontanarsi sparendo nel bosco. Dopo qualche istante, richiusi la porta di casa, attraversando il corridoio che conduceva alla mia stanza. una volta lì, presi il mio cellulare dal mio zaino, e composi il numero di Daniella. Era ormai calata la sera, perciò pensai che non rispondesse, ma con mia grande sorpresa, lo fece. Evitai quindi di dilungarmi, scegliendo di andare dritta al punto. La invitai a fare una passeggiata assieme a me. Lei accettò di buon grado, facendosi trovare, dopo circa una ventina di minuti, davanti a casa mia. Dopo averla salutata, la invitai a iniziare la nostra passeggiata. “Dove andiamo?” mi chiese, dubbiosa. “In un bosco poco lontano da qui, stammi vicina.” La avvertii. Daniella si limitò ad annuire, iniziando a camminare al mio fianco. “Ci siamo perse.” Continuava a ripetere Daniella, fermandosi di continuo. “Non è vero, ora sta calma.” La rassicuravo, avvicinandomi di tanto in tanto a lei. Dopo pochi passi, lasciai che i miei istinti di vampira avessero la meglio su di me. In tale circostanza, sapevo che sarei riuscita a guidare Daniella nel punto in cui Hunter ci stava aspettando. In quel mentre, iniziai ad interrogarmi sulle sue intenzioni. Ignoravo il perchè di questa sua richiesta, ma ero sicura che tale interrogativo avrebbe presto trovato risposta. Svuotando la mente dai pensieri negativi, mi concentrai su Hunter. Per raggiungerlo, dovemmo addentrarci nella parte più fitta, buia ed oscura del bosco stesso. Dopo qualche istante, mi accorsi che era proprio davanti a noi. Aveva un'aria calma, e la schiena appoggiata contro un albero. “Finalmente siete arrivate.” Disse, rivolgendosi sia a me che a Daniella. “Proprio come volevi tu.” Risposi io, in tono secco. “Perchè sei qui?” chiese Daniella, guardando Hunter negli occhi. “Avvicinati, c'è qualcosa che devi sapere.” Aggiunse Hunter, assumendo improvvisamente un'aria piuttosto seria. Senza protestare, Daniella obbedì, facendo qualche passo in direzione di Hunter. Quando fu abbastanza vicina, lui la abbracciò stringendola a sé, e si scambiarono un bacio sulle labbra. Poco dopo, Hunter si schiarì la voce. “Daniella, so di non avertelo mai detto, ma spero che tu capisca ciò che sto per dirti.” asserì Hunter, studiando il suo volto. La stessa, rimaneva muta e immobile, aspettando che lui finisse il suo discorso. “Io non sono umano, Daniella. Sono un licantropo. Ti amo, e confessartelo è l'unico modo che ho di stare con te. Non voglio che fra di noi ci siano segreti, mai.” Dichiarò Hunter, in tono dolce ma austero. “Neanche io lo voglio.” Rispose Daniella, rompendo il suo silenzio. “Ne sono felice.” disse Hunter. “Ora prendimi le mani.” le chiese, porgendogli delicatamente le sue. Rimanendo immobile, osservo le loro mani intrecciarsi, e dopo pochi istanti, noto che Hunter graffia dolcemente la mano di Daniella. Quest'ultima, si lamenta per il dolore provato, pur senza smettere di sorridere. Si perdono l'uno negli sguardi dell'altra, e all'improvviso, le condizioni di Daniella sembrano peggiorare. Si sforza di non gridare, ma è costretta a stringere i pugni nel tentativo di lenire il dolore che prova. “Daniella sta calma!” urla Hunter, preoccupato. “É del tutto normale, stai per diventare come me. Il dolore sparirà, ma non opporre resistenza.” Le dice, sperando di tranquillizzarla. Fortunatamente, ci riesce, ed ha appena il tempo di vederla trasformarsi in lupo per la prima volta. Dopo qualche secondo, la imita, assumendo le sue stesse sembianze. Da mera spettatrice, rimango a guardare, mentre si siedono l'uno accanto all'altra. ad un tratto, Hunter si avvicina a me, colpendomi lievemente la mano con il muso. Per pochi istanti, rimango interdetta, salvo poi realizzare che quello è il suo modo di ringraziarmi. Volgendo su di lui il mio sguardo, sorrido, voltandomi e iniziando a camminare, allontanandomi da loro. Fatti pochi passi, mi accorsi che il rumore degli stessi era attutito dai loro ululati in lontananza. Sentendoli, non potei fare a meno di voltarmi e sorridere. Sapevo che ora Hunter e Daniella avrebbero potuto continuare ad amarsi. Entrambi, sono ormai spariti nel fitto bosco, e forse non possono sentirmi, ma ad ogni modo, voglio che sappiano una cosa. Anche se a volte, abbiamo avuto contrasti e dissapori, la nostra amicizia non ne ha risentito, e sono davvero fiera della forza della nostra amicizia.
 
 
 
 
 

Capitolo XVI


Gioie e scoperte


Altri tre mesi della mia vita, sono passati senza possibilità di fare ritorno. Lentamente, se ne sono andati anche i secondi che li componevano. A tratti insignificanti, ma ad ogni modo preziosi, secondi che  non riavrò mai indietro. Con lo scorrere del tempo, la mia dolce attesa prosegue, facendosi sempre più evidente. Attualmente, sono incinta di quattro mesi, e a causa della stessa, ho smesso di andare a scuola. Vista la mia attuale condizione, Taylor, Daniella, e Blake sono i miei unici confidenti. Difatti, oltre a loro e alla mia famiglia, nessuno è a conoscenza di questo mio segreto. Non avendo più la scuola e i doveri che concerne, a riempire le mie giornate, è pressoché inevitabile che la noia si impadronisca di me. In momenti del genere, decido di invitare a casa le mie amiche, proprio come ho scelto di fare oggi. Sfortunatamente, Taylor è ammalata e febbricitante, perciò Daniella è stata l’unica a potermi fare visita. Non appena ci incontriamo, mi saluta amichevolmente. Io ricambio affettuosamente, dopodichè la invito a entrare in casa. Daniella viene accolta da mia madre e da Jennifer. Quest’ultima, sta ascoltando nostra madre suonare il piano. Una volta arrivata alla fine della melodia che stava suonando, mia madre si alza in piedi, allontanandosi dal pianoforte. “Daniella! Che piacere rivederti!” esordisce, guardando la mia amica negli occhi. “Anche per me è un piacere, signora Hale.” Risponde lei, con educazione. Dopo aver salutato mia madre, Daniella ed io ci dirigiamo verso la mia stanza. Senza proferire parola, lascio che si accomodi sul letto, imitandola. “Perché non stai venendo a scuola?” mi chiede, sperando di non essere invadente. “Non posso dirtelo.” Rispondo, guardandola. “Chelsea, io e te siamo migliori amiche, sai bene che puoi dirmi tutto.” Mi incoraggia lei, tentando di farmi cedere e svelare il mio segreto. Notando la sua insistenza, sospiro, e decido di vuotare il sacco. “Va bene, ma nessun altro deve saperlo.” Guardandomi negli occhi, Daniella annuì, aspettando che finissi di parlare. “Sono incinta.” confessai, abbassando lo sguardo, in preda alla vergogna. “Davvero? Congratulazioni!” Risponde lei, sorridendo e stringendomi in un abbraccio. Dopo averla abbracciata, la ringraziai. “Hai intenzione di ritornare?” mi chiede, con aria preoccupata. “No.” Le rispondo, in tono calmo. “Non sei sola, vero?” replica, guardandomi negli occhi. “Che intendi?” le chiedo, sperando che si spieghi meglio. “Blake lo sa, sbaglio?” “Non sbagli.” Rispondo, facendo segno di no con la testa. “Bene.” Afferma, annuendo subito dopo. “Ti aiuterò per quanto posso.” Promette, rimettendosi in piedi. “Grazie.” Rispondo, regalandole un sorriso. “Sarà meglio che vada ora.” Mi avverte, mentre esce dalla mia stanza. “Va bene, ci vediamo!” la saluto, con un sorriso sul volto e un cenno della mano. Pochi istanti dopo, in uno slancio di generosità, mi offro di accompagnarla alla porta, e noto con piacere, che accetta di buon grado. Dopo averlo fatto, la saluto amichevolmente. Subito dopo, ritorno nella mia stanza, sdraiandomi sul letto a riflettere. Durante la mia pausa di riflessione, un fiume di pensieri mi attraversa la mente. Lo stesso, vale per le mie emozioni. Sono, difatti, combattuta. Mi sento felice, poiché so bene di stare aspettando un figlio, e custodendo una nuova vita proprio sotto il mio cuore. Al contempo, un sentimento i profonda tristezza mi avvolge. Dopo aver affondato per qualche minuto, il viso nel cuscino, mi rimetto in piedi, approfittandone per specchiarmi. La mia immagine riflessa nello specchio, sembra essere quella di sempre. I miei capelli neri, assieme ai miei occhi nocciola, e ai morbidi lineamenti del mio viso, non sembrano essere stati scalfiti e modificati dallo scorrere del tempo. L’unica differenza, è rappresentata dalla mia condizione. Ora come ora, sono in dolce attesa, e ogni giorno che passa, mi avvicina sempre di più al giorno in cui ammirerò il miracolo della vita prendere lentamente forma davanti ai miei occhi. Di questi tempi, le discussioni che ho con mia madre, non concernono più il nostro mondo, ossia quello delle creature magiche, ma bensì me e il nuovo cammino che intraprenderò, ovvero quello di madre. Onestamente, ammetto di essere una ragazza naturalmente pessimista, ma comprendo di dover avere un approccio più positivo alla vita e alle gioie della stessa. Inoltre, ho avuto modo di discutere della mia condizione anche con Blake. Dopo innumerevoli discussioni, siamo entrambi giunti ad una rosea conclusione. Difatti, entrambi speriamo di accogliere nella nostra nuova vita di genitori, una bellissima bambina.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XVII


Il frutto dell’amore


La fine e quasi invisibile sabbia all’interno della clessidra della mia vita, ha continuato ininterrottamente a scorrere, facendo quindi in modo, che altri cinque mesi passassero, senza più fare ritorno. Quello odierno, risulta essere per me e per Blake, uno dei giorni più felici della nostra vita. Difatti, proprio oggi, abbiamo assistito alla nascita della nostra meravigliosa bambina, la piccola Ester. È appena nata, ciò significa che ha fatto il suo ingresso in questo mondo. Ancor prima che nascesse, Blake ed io abbiamo promesso a noi stessi che ci saremmo presi cura di lei, amandola come merita, e proteggendola da qualunque pericolo. Proprio come noi, pur essendo una vampira, e facendo parte del mondo delle creature magiche, dovrà ad ogni modo adattarsi a quello degli umani. Spiegarle ciò che gli eventuali sospetti nutriti dagli umani, significherebbero per noi vampiri, non sarà certo un compito facile, ma noi, come suoi genitori, dobbiamo assolvere anche questo incarico. Blake ed io, siamo ancora giovani, avendo entrambi appena compiuto diciotto anni, e per tale motivo, i nostri rispettivi genitori, ci reputano poco responsabili, e non ancora pronti ad assumerci le responsabilità che concernono l’arrivo in famiglia di una bambina. Entrambi, siamo di tutt’altro, avviso, e decisi a dimostrare che i nostri genitori si sono fatti di noi un’idea sbagliata. Difatti, sapevamo bene dove un giorno il nostro amore ci avrebbe portati. Per questa ragione, abbiamo agito alquanto ponderatamente. Nei primi mesi di vita, una bambina come Ester, vampira come me e Blake, deve assolutamente evitare, in ogni circostanza, il cibo umano, al quale in genere, viene preferito latte materno misto a sangue. I giorni, intanto, iniziano a passare, e sia io che Blake, stiamo iniziando ad abituarci alla nostra nuova vita. Fortunatamente, riceviamo anche l’aiuto dei nostri, seppur inizialmente titubanti, genitori. Loro stessi, sanno bene di dover entrare a far parte della vita della bambina, anche se, principalmente, mancavano di entusiasmo riguardo l’intera faccenda. Fra le nostre due famiglie, quella più dubbiosa, è risultata essere quella di Blake. Difatti, sebbene ora io e lui stiamo insieme da circa un anno, sua madre non sembra avermi accettato come parte della sua famiglia. Logicamente, avendo rifiutato la mia presenza all’interno della stessa, non vede di buon’occhio neanche la nostra bambina. Certamente, questa sorta di faida esistente fra me e la madre di Blake, non è colpa della piccola Ester, e tale concetto, è proprio quello che io, per lungo tempo, ho cercato di spiegare alla madre di Blake. Ad ogni modo, vista la sua caparbietà, la stessa risulta essere irremovibile riguardo alla sua decisione. Sapere di non essere parte della famiglia di Blake, sta tuttavia avendo delle ripercussioni anche su quella che insieme, abbiamo creato. Senza volerlo, infatti, ho lasciato che il rapporto fra lui e sua madre si inasprisse a causa mia. “Mi dispiace.” Continuo a ripetergli, sperando in una risposta migliore, e diversa dalla solita. “Anche a me.” Queste le parole con cui mi risponde ogni volta che tento di parlare con lui della nostra attuale situazione. Parole che ripete con il solito tono triste e preoccupato, e il solito sguardo triste e avvilito. Essendo una persona sensibile, non amo veder soffrire le persone a me care, anzi, in tale circostanza, mi piange il cuore. Sapere che ora Blake ha il morale a terra per causa mia, è davvero avvilente, e malgrado io provi a mantenere vivo il mio sorriso, nel mero tentativo di lenire il suo dolore, non sembro riuscire in alcun modo nel mio intento. Così, mi accorgo di trovarmi, di nuovo in una posizione di vero e proprio stallo. Ad ogni modo, decido di raccogliere le mie ultime speranze, e fare un ulteriore tentativo per risollevare il morale di Blake, che lentamente, sembra essere finito metri e metri sotto terra. “Ti va di andare nel bosco?” gli chiedo, guardandolo con gli occhi ancora umidi di lacrime piante e mai asciugate. “Si.” Mi risponde, sostituendo i suoi tristi sospiri con un debole sorriso. Mi si avvicina, poggiandomi una mano sulla spalla. “Ne verremo fuori.” Mi rassicura, sussurrando. Rincuorata dalle sue parole, non rispondo. Gli occhi sono lo specchio dei nostri fragili animi, e ora più che mai, trasmettono pensieri profondi, troppo tristi per essere confessati con il dono della parola. Così, nel tentativo di risollevarci, siamo usciti di casa, iniziando la nostra passeggiata nel bosco. Lo splendente sole primaverile, sembra essere, quest’oggi, il sovrano dell’azzurro cielo pomeridiano. Camminiamo da pochi minuti, con la sola compagnia del gentile vento, che soffia accarezzandoci i capelli. Poco dopo, in completo e religioso silenzio, riusciamo a sentire i suoni del bosco che ci circonda. Lo spezzarsi dei rami secchi, il sibilare del vento, il cantare degli uccellini, tutti suoni che ci accompagnano durante la nostra passeggiata. I minuti passano, e la nostra rilassante passeggiata, sembra non aver fine. “Avevi ragione.” Mi dice Blake, inspirando a pieni polmoni l’aria pura ed incontaminata. Senza proferire parola, gli regalo un sorriso. Sapevo che una sana camminata nel verde lo avrebbe aiutato a liberare la mente. È così bello vederlo di nuovo sorridere. Entrambi, abbiamo tolto le briglie ai nostri pensieri e alle nostre emozioni. La felicità è ora padrona dei nostri cuori, ed entrambi non potremmo essere più gioiosi. Stanca di camminare, decido di fermarmi, per poi sdraiarmi sull’erba fresca. Il vento mi scosta i capelli dal viso, e il sole mi bacia. Dopo qualche istante, Blake mi imita, venendo a sdraiarsi accanto a me. Fissa il cielo per qualche secondo, dopodichè, voltandosi a guardarmi, mi bacia dolcemente sulle labbra. Accetto quel bacio con gli occhi che brillano per la felicità, dopodichè decido di rialzarmi, poiché l’erba inizia a pungermi la pelle. Subito dopo averlo fatto, do una mano a Blake, che continua a scivolare sull’erba pregna di rugiada. Il tempo passato l’uno accanto all’altra, ha agito da valvola di sfogo per entrambi. Difatti, ora ci sentiamo molto più rilassati rispetto a prima. Per due vampiri diurni come noi, il contatto con il sole e la natura, sortisce questo tipo di effetto, che spiega l’origine della mia idea riguardante la passeggiata. Dopo esserci rialzati da terra, ricominciammo a camminare l’uno al fianco dell’altra. Attorno a noi regnano la pace e la quiete. Il vento ha smesso di sibilare, e ora come ora, l’unico suono udibile nell’intero bosco è quello dei nostri cuori, che battono quasi all’unisono. All’improvviso, i miei sensi vengono scossi, e i miei istinti si risvegliano. Sto ancora camminando, ma non posso fare altro che fermarmi, poiché sento un ringhio basso e soffocato provenire proprio da dietro le mie spalle. Così, tentando di mantenere la calma, mi volto di scatto, e rimango allibita da ciò che vedo. Davanti a me, un enorme lupo, che non smette di ringhiare fissandomi negli occhi. In tale situazione, il buon senso mi dice di non incrociare lo sguardo di quella bestia, poiché significherebbe sfidarla, ma i miei istinti non sono d’accordo. Difatti, per nulla spaventata, decido di fare qualche passo in direzione della bestia stessa, che intanto, mostra i denti ringhiando sonoramente. Pochi istanti dopo, per qualche strana ragione a me ignota, il lupo inizia ad annusare l’aria, e successivamente, ad allontanarsi da me. In poco tempo, un senso di sollievo attraversa il mio corpo. Lo stesso però, è destinato a durare ben poco, poiché ho appena il tempo di vedere quel lupo avvicinarsi a Blake. Istintivamente, mi frappongo fra i due. L’amore che provo per Blake, mi porta a non voler lasciare che gli accada nulla di male. Dopo essere fortunatamente riuscita ad allontanare la bestia da Blake, mi guardo intorno, realizzando, con un arguto e silenzioso ragionamento, che l’attacco di quel lupo non era stato affatto casuale. Ad ogni modo, rimasi immobile a guardare quel lupo allontanarsi lentamente da me. Osservandone meglio i movimenti, notai che nel lento indietreggiare di quell’animale, non c’era paura, ma indecisione. I miei istinti di vampira, mi portarono a credere che per il comportamento di quel lupo, doveva assolutamente esserci una ragione. Così, scambiandomi una rapida occhiata d’intesa con Blake, decisi di seguirlo. Ci ritrovammo quindi, a camminare dietro a quella bestia, che ci guidò fino alla parte più profonda del bosco. Dopo aver raggiunto la sua meta, il lupo arrestò il suo cammino, tornando a guardarmi. Inizialmente, mi fu arduo capire il perché della situazione, ma ogni cosa risultò più chiara, unicamente nel momento in cui assistetti alla scena che avevo davanti. Difatti, nell’erba proprio dinanzi a noi, giaceva, distesa sul fianco, una lupa intenta ad allattare tutti e tre i suoi cuccioli.Subito dopo, posai lo sguardo sul lupo, che fino a quel momento, era rimasto seduto accanto a me e Blake. In quel preciso istante, capii che quello non era un comune lupo. Gli splendidi occhi color oro che si ritrovava, tradirono il suo vero essere. Difatti, scoprii che il lupo seduto al mio fianco, era Hunter. Distogliendo per qualche secondo il mio sguardo da lui, compresi che la giovane lupa non era altri che la mia amica Daniella. Lo trovavo incredibile. Lei e Hunter, insieme, avevano avuto ben tre cuccioli, eppure lei non me ne aveva mai parlato. Ad ogni modo, adesso lo sapevo. Quella che avevo dinanzi era la verità. Mentre la guardavo, mi lasciai sfuggire un sorriso, dopodichè mi inginocchiai, in modo da poter almeno tentare di accarezzare Hunter. Sorprendentemente, lui mi lasciò fare, strofinando poi il muso contro la mia mano. Poco dopo, notai che Blake stava tentando di imitare il mio gesto, seppur fallendo miseramente. Difatti, si bloccò non appena il suo sguardo incrociò quello di Hunter, il quale, alla sua vista, ringhiò debolmente. In quel momento, ero in piedi accanto ad entrambi, e pur sapendo che la reazione di Hunter era stata minima, non potei fare a meno di allarmarmi e afferrare con forza il braccio di Blake, per aiutarlo a rialzarsi. “Perché lo hai fatto?” mi chiese, stranito dal mio comportamento. “Ti avrebbe morso.” Gli risposi, guardandolo con aria seria. “Ora andiamo, è tardi.” Aggiunsi, con lo stesso tono. Blake, che aveva fino a quel momento ascoltato ogni mia singola parola, si limitò ad annuire, dando le spalle alla giovane coppia di lupi, e iniziando assieme a me, il cammino verso casa. Avendo ormai visitato il bosco innumerevoli volte, conoscevamo perfettamente la via del ritorno. La situazione, quindi, depose a nostro favore, poiché riuscimmo a tornare a casa in pochissimo tempo. Ad aspettarci, trovammo mia madre, mio padre, e mia sorella, ed ultima, ma non per importanza, la nostra bellissima bambina. Mia madre la teneva in braccio, e la stessa, dormiva beatamente. Sembrava che nulla potesse disturbarla, così allungando una mano, accarezzai teneramente il suo tondo e paffuto visetto. Subito dopo, quasi intuendo la mia prossima mossa, mia madre lascia che sia io a prendere in braccio la piccola Ester. Dopo averlo fatto, noto che si sveglia, aprendo quei vispi occhietti marroni che si ritrova. Diversamente da come mi aspettavo, Ester non piange né vagisce. Evidentemente, sa bene di essere fra le braccia dell’unica persona che la amerà per sempre, ossia sua madre. Camminando lentamente per gli ampi corridoi della mia casa, raggiungo la sua stanza, e una volta lì, la adagio tranquillamente nella sua culla, sperando che il suo sonno le faccia capire qualcosa di davvero importante. Blake ed io siamo i suoi genitori, e lei non è unicamente nostra figlia, bensì anche il frutto del nostro amore.
 



Capitolo XVIII


Pericolo in agguato


Ognuna delle mie giornate, si riempie ormai allo stesso modo. Essendo io e il mio ragazzo, genitori di una splendida bimba di tre mesi, siamo spesso e volentieri impegnati a prenderci cura di lei. La nostra piccola Ester, è così fragile e indifesa da necessitare continuamente le attenzioni sia mie che di Blake. Per fortuna, oggi i miei genitori si sono offerti di badare a lei per qualche ora, in maniera tale che io e Blake, riuscissimo a rilassarci almeno per un giorno. Ho quindi proposto a Blake di passare la giornata assieme a me, ma lui ha purtroppo rifiutato, asserendo di avere altri piani. Ha infatti in programma di incontrarsi con alcuni vecchi amici, che non vede dalla nascita di Ester. Essendo perfettamente consapevole delle sue ragioni, non ho tentato in alcun modo di fermarlo, lasciando che si divertisse con i suoi amici. Successivamente, per evitare di rimanere completamente da sola e con le mani in mano, ho preso il cellulare e composto velocemente il numero di Taylor. Contrariamente a quanto è accaduto con Daniella, con la quale sono riuscita a mantenere i contatti anche dopo la nascita di mia figlia, ho sfortunatamente finito per non avere più contatti con lei sin da allora. Ad ogni modo, Taylor consoce bene la mia attuale situazione, e ciò mi porta a credere che non mostrerà astio nei miei confronti, anche se dalla nascita di Ester, non abbiamo avuto più occasione di incontrarci o parlare. A questo proposito, ho infatti deciso di telefonarle, così da invitarla a casa, e passare del tempo assieme a lei. Proprio come mi aspettavo, non le ci è voluto molto per rispondere alla mia chiamata, così come, allo stesso modo, non ha affatto esitato nell’accettare il mio invito. Dopo averle telefonato, ho pazientemente aspettato che arrivasse a casa mia. Così, dopo circa mezz’ora, me la ritrovai davanti alla porta di casa. Con velocità fulminea, la aprii, accogliendo subito Taylor in casa. La stessa, mi salutò amichevolmente, stringendomi in un forte abbraccio. “Come stai?” mi chiese, subito dopo avermi lasciata andare. “Bene.” Risposi, accompagnando la mia risposta con un sorriso e un cenno del capo. Dopo averlo fatto, la invitai ad accomodarsi sul divano. Stavamo entrambe tranquillamente passando il pomeriggio a chiacchierare, quando improvvisamente, alle mie orecchie giunse il pianto della mia piccola Ester. Senza neanche rendermene conto, sobbalzai, suscitando l’evidente preoccupazione di Taylor. “Che succede?” mi chiese, senza staccare i suoi profondi occhi marroni da me. “La bimba deve essersi svegliata. Dammi un minuto.” Le rispondo, calmandomi quasi istantaneamente, e iniziando quindi a salire le scale che portano alla stanza di Ester. Una volta lì, mi avvicinai alla sua culla e la presi in braccio. Guardandola, notai che aveva il viso arrossato e gli occhi gonfi, quasi sicuramente una conseguenza del pianto. La strinsi a me, iniziando quindi a camminare verso il salotto. Scendere le scale con Ester in braccio, non fu di certo un’impresa facile. Mi muovevo lentamente, con la costante paura di farle del male stringendola troppo. Ad ogni modo, quando giunsi all’ultimo scalino, questa paura svanì, e Taylor, che per tutto quel tempo era rimasta comodamente seduta sul divano di casa ad aspettarmi, si alzò in piedi, venendo verso di me. Dopo pochi istanti, notai le sue labbra schiudersi in un sorriso, mentre guardava negli occhi la mia bambina. “È bellissima!” esclamò, in tono quasi euforico. “Come si chiama?” chiese subito dopo, con gli occhi che, brillando, tradivano la sua ormai evidente curiosità. “Si chiama Ester.” Risposi, lasciando che un sorriso mi illuminasse il volto. Dopo avere ascoltato la mia risposta, Taylor sorrise a sua volta, chiedendomi quindi, il permesso di tenere in braccio la bambina. Senza proferire parola, mi limito a stringermi nelle spalle, lasciando che la stringa a sé. Successivamente, muta come un pesce, rimango immobile a guardare Taylor negli occhi. Mentre osservo, rimango meravigliata dalla dolcezza con la quale tiene in braccio Ester, cullandola ritmicamente di tanto in tanto. Mentre è nell’atto di farlo, continua a ripetere che è una bellissima bambina. Ringraziandola dei candidi e dolci pensieri riguardo mia figlia, non posso evitare né fare a meno di sorridere. Ad ogni modo, mi scuso con Taylor ancora una volta, poiché, per qualche strana ragione, avverto un fortissimo mal di testa. Mostrando una leggera preoccupazione per me, Taylor mi rassicura, asserendo, in tono calmo e comprensivo, che non c’è alcun problema. Subito dopo, attraverso il corridoio fino a raggiungere il bagno. Una volta lì, mi bagno i polsi con dell’acqua fredda, il cui timido scrosciare sembra lenire il mio dolore. Anche dopo aver finito di lavarmi il viso, lascio che l’acqua continui a scorrere per una manciata di secondi, allo scadere dei quali, chiudo lentamente il rubinetto del lavandino, ed esco quindi dalla stanza. In quel mentre, vengo distratta dal rumore della porta di casa che si apre. Ad essere appena arrivato, non era altri che Blake, seguito da mia madre. Dopo avermi vista, entrambi mi salutarono amichevolmente. Ancora leggermente infastidita dal mal di testa, rispondo debolmente al loro saluto. Questa mia flebile reazione, suscita la preoccupazione di Blake. “Chelsea, va tutto bene?” mi chiede, avvicinandosi prontamente a me. “Sto bene, ho solo mal di testa.” Rispondo, nel vano tentativo di modificare il mio tono di voce e rassicurarlo. Rinfrancato dalle mie parole, Blake annuisce, poggiandomi una mano sulla spalla, come è solito fare in questi casi. Subito dopo, si avvicina a Taylor e la saluta, limitandosi a farlo con un gesto della mano. Successivamente, notando che Taylor ha in braccio Ester, depone una carezza sulla guancia della bambina, prendendola in braccio subito dopo. Da bravo padre, quindi, saluta nuovamente Taylor, che ora si sta preparando a tornare a casa, e riporta Ester nella sua cameretta. Nella quiete della sua stanza, la bambina si addormenta subito dopo essere stata dolcemente adagiata nella sua culla. Dopo averlo fatto, Blake si avviò silenziosamente fuori dalla stanza, lasciandola dormire tranquillamente. Pochi minuti dopo, Blake tornò nel salotto di casa. Esaminando l’espressione del suo volto, capii che qualcosa sicuramente non andava. Lo interrogai con lo sguardo, senza l’uso della parola. Poi, notando la sua disattenzione, mi arresi, capendo di dover forzatamente ricorrere alle parole. “Qualcosa ti turba Blake?” gli chiesi, attendendo pazientemente una risposta. “Sei tu a turbarmi, Chelsea.” Rispose, in tono serio e secco. “Cosa vuoi dire?” gli chiesi, stranita dalle sue parole. “Il tuo malessere non è comune.” Asserì. In completo e religioso silenzio, restavo ad ascoltarlo, senza capire il significato della frase che aveva pronunciato. Proprio in quel momento, l’ingresso di mia madre nel salotto di casa, ruppe il silenzio. “Blake ha ragione.” Esordì con serietà. “Venite con me, ragazzi. Ho qualcosa da mostrarvi.” Ci disse, con voce e sguardo glaciale. Noi due, tesi come corde di violino, non potemmo fare altro che seguirla. Inaspettatamente, ci condusse nella sua stanza. Una volta entrata, aprì lentamente il cassetto della sua scrivania, estraendone quel che mi parve essere un vecchio e polveroso libro. Immobile e impotente di fronte ai suoi gesti, non osavo porre domande, anche se silenziosamente, mi chiedevo quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Con indefinibile minuzia nei movimenti, prese saldamente in mano quel libro, e ce lo mostrò. “Questo, ragazzi, è il mio diario. Sin da quando ero ragazza, vi scrivevo e annotavo ogni singolo particolare che apprendevo sulla vita e l’esistenza delle creature magiche. Voglio che tu lo legga, Chelsea.”Dopo aver finito di parlare, mi porse quel diario, aspettando che allungassi una mano per prenderlo. Lo presi in mano senza parlare, e mi diressi lentamente nella mia stanza assieme a Blake. Ora avevo un unico interesse, ossia leggere il diario di mia madre. sapevo bene già da parecchio tempo che ne teneva uno, e a dir la verità, il contenuto mi aveva sempre incuriosita. Sono anche consapevole del fatto che in circostanze normali, avrebbe mai lasciato che lo leggessi, perciò, se ha improvvisamente cambiato idea, un motivo deve sicuramente esistere. Ad ogni modo, passai quel pomeriggio a leggere, carattere dopo carattere, e parola dopo parola, le vecchie pagine del diario di mia madre. C’è da confessare che ogni volta mi toccava girarne una, al solo scopo di proseguire nella mia interessata e attenta lettura, la paura e il timore si impossessavano di me. I termini utilizzati da mia madre, per descrivere noi creature magiche erano così aulici, e a tratti desueti, da far nascere un senso di angoscia, se non addirittura di puro terrore. “Non ce la faccio,” ripetevo, nelle brevi pause che mi concedevo fra una pagina e l’altra.” Devi continuare, mi spronava benevolmente Blake, conoscendo bene la serietà di mia madre, e l’importanza che per lei rappresentava quel manoscritto. Comunque sia, andando avanti a sfogliare le ormai vecchie e ingiallite pagine di quel diario, notai che alcune descrivevano abbastanza dettagliatamente, i malesseri dei vampiri e le cause degli stessi. Quelle pagine in particolare, suscitarono il mio interesse, così, evitando di sprecare tempo prezioso, cominciai a leggerle attentamente. Dopo averlo fatto, carpii un’importante informazione. Scoprii, infatti, che il mio malessere poteva avere un solo significato. Difatti, lo stesso può essere, sfortunatamente, indice di un grande cambiamento nella vita del vampiro stesso. Esaminando l’attuale stato delle cose nella mia vita, sono giunta, con l’aiuto di Blake, ad un’amara conclusione. Presto o tardi, le cose per noi cambieranno, e un nuovo ed inaspettato pericolo, verrà fuori dal buio e dall’oblio dove si nasconde.
 
 


 
Capitolo XIX


Un nuovo nemico


Le giornate, che passando caratterizzano la vita di ogni essere vivente, hanno talvolta la tendenza a scivolare via con estrema lentezza, proprio come le gocce di pioggia invernale sul vetro di una finestra. Allo stesso modo, possono scorrere velocemente, esibendo quindi lo stesso comportamento mostrato dai lampi durante un temporale. Ultimamente, le mie giornate sono state piene di dubbi, incertezze e dolore, ma anche di scoperte, gioia e felicità. Onestamente, posso affermare di possedere una doppia personalità. Il mio carattere cioè, si divide in due parti concretamente distinte. Una, è rappresentata da un  lato glaciale e pessimista, mentre l’altra, al contrario, si concretizza nel mio saper essere gentile, scherzosa e simpatica. Così, in un battito di ciglia, altri cinque anni della mia giovane vita sono passati, disperdendosi nel vento primaverile. Ora come ora, mia figlia Ester è una sanissima bambina di cinque anni, che sin da subito, benché non sia ancora in età da trasformazione, sta già dimostrando di possedere una discreta padronanza dei suoi poteri di vampira. Di questi tempi, però, il comportamento di Ester inizia a preoccuparmi. Apparentemente, non sembra mostrare alcun problema, ma è  solita lamentarsi a causa di frequenti brutti sogni, che la disturbano durante la notte da ormai lungo tempo. preoccupandomi per lei, sono andata contro il mio stesso volere, rispettando tuttavia, quello di mia madre. Le ho quindi chiesto di raccontarmi quello che succede all’interno dei suoi sogni. “Non ci ha lasciati.” Risponde impaurita, ogni volta che le pongo tale domanda. “Di chi parli?” le chiedo, ignorando la persona a cui si riferisce. In altre occasioni, Ester rifiutava generalmente di rispondere, essendo decisamente troppo spaventata per farlo. Stavolta, contro ogni previsione, ha raccolto tutto il coraggio che il suo esile corpicino potesse contenere, e l’ha fatto. “La Harrison.” Mi ha risposto, iniziando a tremare per lo spavento subito dopo. Tentando di tranquillizzarla, mi avvicino a lei e la abbraccio. Questo la calma quasi istantaneamente, dandole modo di ricominciare a parlare. “Ha un figlio, ed è pericoloso.” Aggiunge, con la voce e il cuore pieni di paura. “Mi ha parlato.” Trova il coraggio di asserire timidamente. “Cosa ti ha detto?” mi permetto di chiederle sperando di non spaventarla troppo. “Che vuole vendicarsi.” Risponde, con voce tanto flebile da risultare quasi non udibile. Notando in seguito la sua velata paura, lascio che si avvicini, dopodichè la stringo forte a me. Silenziosamente, dichiaro quella discussione conclusa, invitando Ester ad andare a giocare in camera sua. Rimanendo immobile, osservo Ester mentre inizia lentamente a dirigersi verso la sua stanza. Nel giro di qualche minuto, mi ritrovo completamente sola, e decido di cercare mia madre, poiché devo assolutamente parlarle. Sfortunatamente, non la trovo in nessuna stanza dell’intera casa, salvo poi ricordare di non aver controllato nella sua. Difatti, la trovo proprio lì, tranquillamente seduta alla sua scrivania e completamente persa nei suoi pensieri. “Devo parlarti.” Le dico, guardandola negli occhi. “Di cosa?” mi chiede, spostando il suo sguardo su di me. “Si tratta di Ester, ed è davvero importante.” Rispondo, in tono serio. Mia madre mi guarda stranita. “Continua a dirmi che fa brutti sogni, e ha confessato che in unodi questi c’è il figlio della Harrison, che continua a spaventarla.” Aggiungo, dopo qualche istante di silenzio. “Hai fatto bene a darle retta.” Risponde mia madre, in tono austero. “Tua figlia è una Vampira Veggente, e la sua rivelazione è di fondamentale importanza per noi. La Harrison ha un figlio, che ha sicuramente scoperto dell’omicidio di sua madre, e che ora tenterà di consumare la sua vendetta. Sta attenta, Chelsea.” Rimasi ad ascoltare mia madre in un religioso e quasi tetro silenzio, e le parole con cui terminò la frase, mi colpirono. Evidentemente, mi stava mettendo in guarda da qualcosa o qualcuno che ancora non conoscevo. Avendo ad ogni modo letto il suo diario, comprendo che è meglio darle retta, prima che la situazione peggiori ulteriormente. Inoltre, ho fortunatamente avuto modo di fornire i dettagli della situazione anche a Blake. Lui stesso, è rimasto piacevolmente sorpreso dalle capacità di Ester. Difatti, essendo una Vampira Veggente, è l’unica della nostra famiglia a saper leggere il futuro. Il mio istinto, assieme ad uno strano presentimento, mi porta a credere che questa sua capacità tornerà utile ad ognuno di noi. Ad ogni modo, Blake non h potuto fare a meno di provare anche una minima sensazione di spavento, poiché entrambi pensavamo di aver ormai eliminato ogni problema riguardante la Harrison, mentre ora, nostro malgrado, veniamo sfortunatamente a scoprire che la realtà risulta essere completamente diversa. L’intera situazione che attualmente sto vivendo, mi riporta alla mente una frase letta nel diario di mia madre, secondo la quale, noi creature magiche non possiamo mai sentirci al sicuro per un semplice motivo, ossia perché il pericolo è sempre dietro l’angolo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XX


Il vero volto del terrore


Il gioco astrale a cui la maestosa luna ed il meraviglioso sole prendono parte ogni giorno, si è ripetuto per l’ennesima volta, proprio come fosse una sorta di rituale ormai dimenticato. Da qualche tempo a questa parte, sono costretta a svegliarmi spesso di pessimo umore. Tale situazione, ovviamente, trova una più che valida spiegazione. Le mie notti vengono disturbate da fondate paure e preoccupazioni. Ormai da tempo, io e la mia bambina viviamo con la reale e costante paura di essere osservate. In un mero tentativo di tranquillizzarci, Blake continua ad assicurare ad entrambe che tutto andrà bene, e che fino a quando lui rimarrà al nostro fianco, non ci accadrà assolutamente nulla. I forti sentimenti che provo per lui, mi suggeriscono di fidarmi, e infatti lui ha tutta la mia stima e la mia fiducia, ma purtroppo, lui non sa bene quello con cui io ho a che fare sin dall’adolescenza e sin da prima che lo conoscessi, perciò temo che anche investendo tutta la sua buona volontà ne farlo, non sarà certo in grado di proteggerci. Così mentre sono nella mia stanza a riflettere su come venir fuori da questa situazione e affrontare il pericolo che incombe su di noi, Ester vi è appena entrata, con il viso diafano per lo spavento, e il cuore che le martella nel petto. È talmente spaventata da non riuscire a parlare, e le lacrime le solcano inesorabili il viso. “Ester! Cosa ti è successo?” le chiedo, preoccupata. “Sa tutto di noi! Sebastian sa tutto di noi!” urla terrorizzata. Senza porre ulteriori domande, la guardo negli occhi, e negli stesso leggo e percepisco il suo terrore. Abbracciandola, riesco fortunatamente a calmarla, e corro subito a subito a cercare Blake. So bene di dover assolutamente riferirgli tale notizia. Ora come ora, abbiamo tutte le informazioni che ci servono per affrontare il pericolo. Finalmente il nostro nemico ha un nome, e l’unica cosa che resta da fare è scoprire in che modo eliminarlo. Ad ogni modo, cammino nervosamente per i corridoi di casa, cercando Blake. Dopo qualche minuto, lo trovo seduto sul divano nel salotto di casa. Ha un’espressione piuttosto calma in volto, ma la stessa è destinata a durare poco. “Blake,io e te dobbiamo parlare.” Esordisco, in tono alquanto perentorio. Lui, ancora seduto sul divano, scatta in piedi e si dimostra pronto ad ascoltarmi. “Ester ha avuto un’altra visione, e temo che le cose peggioreranno. Dobbiamo muoverci, Sebastian potrebbe attaccare da un momento all’altro!” gli dissi, con la voce irrimediabilmente corrotta dal terrore. “Chi è Sebastian?” mi chiese, dubbioso. In quel momento, mi infuriai. Eravamo tutti e tre in serio pericolo, e quello non era affatto il momento di fingere di non saperlo. “Non è altri che il figlio di quella traditrice. Va fermato, o per noi sarà la fine!” Risposi con rabbia. Proprio in quel preciso istante, Blake mi guardò spaventato. Evidentemente, le mie parole dovevano averlo scosso, ma non c’era tempo per ulteriori preoccupazioni. Dovevamo assolutamente agire. Tuttavia, soltanto una cosa ci frenava dal farlo. Non avevamo la minima idea di come eliminare quell’individuo. Ad un tratto, un guizzo di memoria mi salta in mente, e subito mi ricordo del diario di mia madre. grazie allo stesso, avevo carpito moltissime informazioni, e ed ero sicura che avesse dedicato almeno una pagina ai nemici del nostro ordine. Così, dopo un veloce ragionamento, corsi subito nella mia stanza, dove ritrovai il diario di mia madre. Con il cuore in gola, lo aprii, e iniziai a leggere velocemente il contenuto di ciascuna pagina. Sfortuna volle, che per quanto mi sforzassi, non riuscissi a trovare le informazioni desiderate. Ad ogni modo, decisi di non perdermi d’animo, e continuare nella mia ricerca. Dopo alcuni minuti, che vista la situazione, sembrarono durare eternamente, trovai, in una delle ultime pagine di quel diario, quello che cercavo. Le stesse, attestavano a chiare lettere che i membri dell’ordine, qualora venissero radiati dallo stesso, dovevano automaticamente e senza eccezioni, essere considerati nemici. Continuai a leggere, sapendo che su di me ora piovevano gocce di speranza. Arrivando al fondo della pagina, scoprii che esisteva un unico modo per porre definitivamente fine alla vita di un traditore nemico dell’ordine, ossia colpirlo utilizzando un ramo di un albero sacro ai vampiri, chiamata “Abete dell’Anima Nera.” Dopo aver finito di leggere, richiusi lentamente quel diario, riponendolo con cura su uno scaffale della mia stanza. Avrei voluto tacere la mia scoperta, ma decisi di non farlo, scegliendo quindi di tornare in salotto e dare la notizia a Blake. Finalmente, tutti i tasselli di questo mosaico erano al loro posto. Rimaneva soltanto un ultimo passo da compiere, ossia uccidere Sebastian. Ancora una volta, tuttavia, c’era qualcosa che ci impediva di farlo. Eravamo tutti troppo spaventati per compiere tale azione, perciò decidemmo, di comune accordo, di rimandare qualsiasi decisione al giorno seguente. Avevamo tutti avuto una giornata piena di problemi, ed aggiungerne un altro alla già lunga lista, avrebbe significato commettere un gravissimo errore. Così, lasciando che ogni altra cosa passasse in secondo piano, tentammo di tornare alla nostra vita di sempre. Vista l’ora tarda, decidemmo tutti di andare a dormire, ma la stessa si rivelò un’azione più ardua del previsto. Difatti, quella notte, Ester non fu l’unica ad essere ripetutamente svegliata da raccapriccianti visioni oniriche concernenti Sebastian, ma anche io caddi in quell’ orribile vortice di visioni, che mi tennero sveglia per l’intera notte. Una parte di me, mi consigliava di avvertire subito Blake, ma d’altro canto, sapevo bene di non poterlo fare. Quella notte, fu davvero infernale per me. Avrei davvero voluto avere la forza di chiedere aiuto, ma i miei istinti mi suggerivano di non farlo. Ben presto, i miei istinti si trovarono a dover combattere una lotta impari contro i miei sentimenti. Amavo con tutto il mio cuore Ester e Blake, e non volevo assolutamente metterli in pericolo, ma ero al contempo consapevole del fatto che non sarei mai riuscita una lotta così ardua attraverso l’uso delle mie sole forze. Ad ogni modo, il punto della situazione risultava essere un altro. Ero troppo spaventata per chiedere il loro aiuto, poiché sapevo bene che non mi sarei mai perdonata l’averli feriti o messi in pericolo. Avevo un disperato e assoluto bisogno di aiuto, e se loro non potevano offrirmelo, non mi restava che sperare che ci fosse qualcun altro in grado di farlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Capitolo XXI


Scelte inaspettate


Come in ogni singola giornata primaverile, il sole diviene re dell’ infinito e terso cielo mattutino. Finalmente, dopo vari e vani tentativi, sono riuscita a fare in modo che la parte positiva del mio carattere, soppiantasse quella negativa, riuscendo quindi, a scacciare via i brutti pensieri. Quest’oggi, qualcosa nel comportamento di mia sorella Jennifer mi turba. Stranamente infatti, di questi tempi appare spesso distratta, e pare sovente cadere dalle nuvole. Ho tentato più di una volta di far luce sul suo bizzarro modo di comportarsi, ma senza ottenere i risultati sperati. Inoltre, il fatto che non fornisca risposte o spiegazioni plausibili, che giustifichino in qualche modo i suoi comportamenti, non fa che insospettirmi. Nel mero tentativo di evitare il campo minato rappresentato da tale discussione, Jennifer tenta svariate volte di depistarmi, seppur invano. “Non ho niente.” Mi risponde, senza neanche voltarsi a guardarmi, ogni volta che tocco quella così dolente nota. “Non può essere.” Le rispondo, non accontentandomi di una conversazione così misera, scarna, e priva di dettagli. Vorrei davvero saperne di più sull’intera faccenda, e riuscire finalmente a dare una spiegazione ad ogni cosa, ma mi rendo conto di stare abbastanza evidentemente esagerando. Solitamente, ogni qualvolta mia sorella voglia discutere con me di qualsiasi argomento, si dimostra sempre piuttosto aperta, ma comprendo che se non vuole proprio saperne di parlare, forse è meglio smettere di tempestarla di domande a riguardo, evitando di causarle inutile stress. Finalmente, oggi Jennifer sembra essere tornata quella di sempre, ed io non posso che esserne felice. Effettivamente, c’è da ammettere con grande onestà, che il dover costantemente tentare di decifrare i suoi comportamenti, stava decisamente iniziando a stancarmi. Durante l’intero pomeriggio, infatti, mi ha pregato perché io la raggiungessi nella sua stanza. Come c’era da aspettarsi, ho accettato, parzialmente per l’affetto che mi lega a lei, e parzialmente per una ragione totalmente diversa, ossia per porre definitivamente fine alle sue suppliche. Ad ogni modo, raggiunsi la sua stanza nel giro di pochi minuti. Non appena mi sentì bussare, Jennifer si precipitò verso la porta della sua camera e l’aprì, lasciandomi entrare. “Avanti Jennifer, sputa il rospo, cosa ti succede ultimamente?” le chiedo, aspettando una sua qualunque risposta. “Ebbene Chelsea, non avrei mai pensato di arrivare a dirlo ma, mi sono innamorata.” Queste le testuali parole che utilizzò per rispondermi. Le stesse, mi colsero letteralmente di sorpresa, che si rivelò essere tanta e tale da lasciarmi impietrita. Non avrei mai davvero immaginato che tale notizia mi sarebbe stata riferita proprio da mia sorella, eppure, quella di cui ora stavo vivendo ogni secondo, risultava essere la pura realtà. L’aver avuto, qualche giorno fa, l’occasione di conoscere William, Tyler e Kayla, ossia i tre figli di Hunter e Daniella, era stato già abbastanza sorprendente, ma a quanto sembrava, le novità non parevano aver fine. Ad ogni modo,subito dopo aver ricevuto quella risposta, le chiesi come si chiamasse il ragazzo di cui si era infatuata. “Si chiama Sebastian.” Mi disse, cogliendomi per la seconda volta di sorpresa. “Cosa? Stai per caso scherzando? Hai almeno una minima idea di chi sia?” le chiesi, non riuscendo a capacitarmi della risposta che avevo appena ricevuto. “Non so molto di lui, ma è stato amore a prima vista.” Disse, facendomi infuriare. “Così è questo quello che pensi, vero? Bene, lascia che ti rinfreschi la memoria, Jennifer. Quel ragazzo non è altri che il figlio di quella sporca traditrice della Harrison! Capisci adesso?” finii per urlare, non rendendomene neppure lontanamente conto. Dopo aver silenziosamente ascoltato le mie amare parole, mia sorella mi diede le spalle, sdegnata dal mio comportamento. Ad ogni modo, pur comprendendo quanto lei fosse arrabbiata con me in tale momento, tentai di farla ragionare. “Quel ragazzo è solo un mostro! Ti sta usando per avvicinarsi a me. Se lo lasci fare, non rivedrai mai più me ed Ester!” le dissi, senza neanche prestare attenzione al tono che utilizzai. “Non credo ad una sola parola!” mi rispose, concentrando in quella singola frase, tutta la sua rabbia. Dopo aver finito di parlare, mi diede nuovamente le spalle, lasciando la sua stanza con aria di stizza. Rimasta senza parole, trovai l’intera situazione incredibile. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a credere a quanto era appena accaduto. Malgrado i miei numerosi tentativi di farlo, non trovavo spiegazione all’improvvisa diffidenza di mia sorella nei miei confronti. Passavo le giornate a vagare in enormi e tristissimi labirinti fatti di  pensieri e soliloqui. Continuavo a chiedermi perché non mi credesse, senza tuttavia sapere, che tali interrogativi non avrebbero mai trovato una valida risposta. Le parole che le avevo rivolto, l’avevano ferita, portando mia sorella a perdere ogni singolo grammo dell’ incondizionata fiducia che aveva riposto in me. Ora come ora, ogni tentativo di oppormi al volere di mia sorella, risulterebbe vano. Quelle che ha fatto, seguendo il suo criterio di giudizio personale, sono le sue ponderate ma inaspettate scelte, e le mie, solo vane grida nel buio.
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXII


Dolorose realtà


Lentamente, ossia quasi a voler imitare il timido scrosciare della pioggia primaverile, anche l’ultimo mese di tale stagione è giunto al termine, dando quindi inizio, al primo giorno d’estate. L’atmosfera tipica della stessa, si respira nell’aria. Il sole si fa più caldo, le notti si fanno più fresche, le giornate si allungano, e la vita migliora. Ad ogni modo, non avrei mai potuto immaginare quello che l’inizio della stagione estiva aveva in serbo per me e la mia famiglia. Come di consueto, quest’oggi inganno il tempo passeggiando nel bosco, ma per qualche motivo, tale attività stavolta non mi rilassa. Difatti, non riesco proprio a stare tranquilla, il che è abbastanza comprensibile, visti gli eventi che hanno caratterizzato la mia vita negli ultimi tempi. Sono così tesa e preoccupata, da non poter fare più di due passi senza voltarmi e guardarmi costantemente alle spalle. Questa situazione, può essere facilmente spiegata. Conoscendo la vera identità di Sebastian, il quale risulta essere un vampiro, proprio come me, Blake e mia figlia Ester, e sapendo bene quanto abbia spaventato quest’ultima apparendole dinanzi anche come visione onirica, ora vivo con la costante paura di poter essere attaccata da lui in qualsiasi momento. In questo preciso istante, Blake ed io stiamo camminando l’uno accanto all’altra, mentre lui tiene per mano la piccola Ester, che a sua volta, gli cammina accanto. I nostri passi nel bosco, non producono alcun rumore, poiché lo stesso è attutito dalla presenza dell’erba. Improvvisamente, sono costretta a fermarmi. Un rumore alle mie spalle mi fa trasalire. Voltandomi di scatto, scopro di potermi rilassare, poiché quel rumore, e stato semplicemente causato da mia sorella Jennifer, la quale, camminando con passo felpato, ha inavvertitamente spezzato un fragile ramo camminandoci sopra. “Jennifer! Cosa ci fai qui?” le chiedo, con la voce ancora corrotta dallo spavento. “Chelsea calmati, sono solo venuta per una passeggiata, che c’è di male?” risponde, stranita dalle mie parole. “Lascia perdere.” Rispondo, leggermente seccata dalla sua innocente attitudine. Senza neanche tentare di formulare una risposta, e mandare quindi avanti la nostra conversazione, Jennifer inizia a seguirci. Nessuno di noi tre lo reputa un problema, ragion per cui, continuiamo a camminare. Ad un tratto, noto che Ester si ferma, lamentando un forte mal di testa. Essendo sua madre, faccio quel che posso perché si senta subito meglio, ma ogni rimedio che utilizzo, sembra non sortire effetto. Dopo pochi istanti, vedo un’ ombra stagliarsi sull’erba, e la figura di Sebastian materializzarsi davanti a tutti noi.  “Jennifer! Finalmente ti ho trovata!” dice, rivolgendosi a mia sorella. Felice di rivederlo, lei gli corre incontro stringendolo in un abbraccio. Per sua sfortuna, Sebastian lotta per sciogliersi dallo stesso, prendendo subito di mira Ester. Paralizzata dal terrore, rimango immobile e impotente a guardare, mentre Sebastian prende mia figlia per un braccio, e una volta trascinatala fra l’erba, minaccia di ferirla guardandomi negli occhi. D’improvviso, vengo investita da una forza quasi mistica, che non credevo di possedere, e correndo verso Sebastian, riesco fortunatamente ad impedire che ferisca mia figlia, dandole quindi, la possibilità di fuggire e avvicinarsi al padre, il quale, rivolgendomi una rapida occhiata d’intesa, è pronto a proteggerla. Avendo appena il tempo di accorgermene, sento le forze abbandonarmi, e utilizzo quelle rimaste per guardare mia sorella negli occhi, e indirizzare lo sguardo verso un albero vicino a lei. Il colore del tronco, mi suggerisce che quello è l’Abete dell’Anima Nera. Rimanendo immobile, vedo Jennifer avvicinarsi a Sebastian, per poi raggiunger subito quell’albero. Con una forza che scaturisce dalla rabbia che ora prova, stacca con forza un ramo dallo stesso, e avvicinatasi a Sebastian, lo brandisce minacciosa. “Cosa cerchi di fare? Non puoi farmi del male, io ti amo! Le dice Sebastian, nel mero tentativo di ammansirla. “Mi dispiace, Sebastian. Non posso amare un traditore che ha osato spezzarmi il cuore.” Dopo aver pronunciato quelle parole, che rispecchiavano il suo dolore, la sua rabbia, e la sua forza d’animo, pugnalò Sebastian al petto, utilizzando l’appuntito ramo che aveva in mano. Subito dopo, Jennifer rimase impassibile nel vedere Sebastian venire privato delle sue forze, per poi morire lentamente, macchiando inesorabilmente l’erba di sangue. Jennifer rimase a guardare per pochi secondi, il corpo dell’ormai defunto Sebastian, disteso sull’erba. La profonda ferita che quasi gli squarcia il petto, è fresca e ancora ben visibile. Dopo qualche istante, Jennifer decide di averne abbastanza, dando le spalle al cadavere che ora giace ai suoi piedi. Consapevoli che ormai l’incubo che abbiamo vissuto è finito, usciamo tutti e quattro dal bosco, senza dire una parola. Dopo quanto è successo, le stesse non possono descrivere le nostre sensazioni. Nell’aria, tuttavia, aleggia una certezza. Ancora una volta, le nostre azioni parlano per noi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXIII


Miracoli d’amore


Nel libro della vita, ogni pagina viene lentamente girata, ma mai, neanche nella peggiore delle occasioni, strappata. Una nuova e radiosa giornata ha inizio, ed io non posso fare altro che esprimere, silenziosamente, la mia meraviglia a riguardo. Un altro mese è ormai finito, spegnendosi lentamente, proprio come un fatuo focolare. La mia vita accanto a Blake, scorre tranquilla e senza imprevisti. A volte, non mi trovo davanti a scelte dissimili dal vivere ogni giornata così come si presenta, dovendo, per sfuggire a problemi e difficoltà, attingere alla mia calma interiore. Quello odierno, mi si prospetta come un giorno felice, ma sfortunatamente, lo stesso risulta essere molto triste per mia sorella Jennifer. Difatti, oggi è appena passato un lungo mese dalla morte del suo fidanzato Sebastian. Per questa ragione, è davvero giù di corda, e non ha alcuna voglia di vedere nessuno. È tutto il giorno che è chiusa nella sua stanza a piangere, inondando di lacrime il suo cuscino. Jennifer sa bene di averlo ucciso per evitare che la stessa sorte toccasse a me o a sua nipote Ester, ma tale azione, l’ha nel contempo, enormemente intristita. Ogni volta che trova la forza di parlarne, mi ripete di non riuscire più a vivere con tale peso sul cuore, definendosi colpevole della sua morte. Tentando di confortarla, le rispondo che non deve preoccuparsi, poichè prima o poi, sarebbe accaduto comunque, esortandola a non essere così dura con sé stessa, ma senza risultati. “Tu non puoi capire! Se è ormai morto è soltanto colpa mia! Lo amavo, e non avrei mai voluto farlo!” urla, con le lacrime agli occhi, che le rigano inesorabili il volto. “Jennifer, devi calmarti. Sebastian se n’è andato, e sai bene che non tornerà più indietro.” Le rispondo, mantenendo la calma e avvicinandomi a lei. “Non toccarmi! Non mi serve la tua pietà!” replica con rabbia, uscendo dalla sua stanza e raggiungendo la porta di casa, per poi uscire sbattendola. Rimasta per l’ennesima volta senza parole, riapro la porta, pregando mia sorella di tornare indietro. La rabbia che prova, la porta ad ignorarmi e a continuare a camminare senza voltarsi. Vorrei seguirla e tentare di farla ragionare, ma comprendendo che tale scelta si rivelerebbe inutile, evito di farlo. Per tale motivo, non mi resta altro da fare, se non chiudere la porta, e fingere che nulla sia accaduto. ad ogni modo, non riesco a non rimproverarmi per il comportamento mostrato nei confronti di mia sorella, perciò esco subito di casa, e mi reco nell’unico posto in cui sono sicura di trovarla. Il cimitero. In questo preciso istante, Jennifer è in piedi davanti alla tomba di Sebastian, e si china per depositarvi dei fiori. Improvvisamente, la tristezza la priva della forza di rialzarsi, ragion per cui, si lascia andare ad un pianto dirotto. Io la osservo da lontano, ma non ho il coraggio di parlarle o avvicinarmi. Le sue lacrime bagnano la pietra tombale, penetrando nel terreno. La gelida lapide di fronte a lei riflette i suoi sentimenti. Ha il cuore freddo, ed è affranta dal dolore. Tentando di ignorare lo stesso, si rialza da terra, dando le spalle alla tomba del fidanzato, e iniziando a camminare, con l’unico scopo di lasciarsi lentamente alle spalle l’accaduto. Ad ogni modo, sa bene che tale tragedia si è ormai consumata, corrodendole il cuore e il fragile animo. Proprio mentre è nell’atto di voltarsi, sente una voce alle sue spalle, dirigendosi subito verso la fonte della stessa. Con sua grande sorpresa, trova il suo amato Sebastian proprio dietro di lei. Felice di rivederlo, gli corre incontro, stringendolo in un fortissimo abbraccio. “Sebastian! Sei tornato! Com’è possibile?” si chiede, dubbiosa e stupefatta. “Sono tornato solo grazie a te, Jennifer. Tu non lo sai, ma i tuoi poteri sono più forti di quanto pensi. Possiedi il Potere della Vita, mia Jennifer.” A quelle parole, mia sorella non può trattenersi dal lacrimare per la contentezza. “Non posso crederci! È un miracolo!” dice, con voce rotta dall’emozione. Ero ancora immobile e completamente nascosta alla vista di Jennifer, e dovetti ammettere che nulla avrebbe potuto prepararmi alla prossima frase che avrebbe pronunciato. “Avremo un bambino.” Disse, rivolgendosi a Sebastian, che sorrideva guardandola negli occhi. La notizia che avevo appena ricevuto, suscitò la mia incredulità. Non lo credevo possibile, eppure era così. A breve, Sebastian e Jennifer sarebbero diventati genitori. Sono certa che non esistano parole per descrivere quanto io sia felice per mia sorella in questo momento, ma ciò non importa minimamente. Improvvisamente, vidi Jennifer salutare Sebastian e voltarsi, segno che si stava avviando verso casa. Non appena Sebastian fu lontano da lei, mi avvicinai a Jennifer per salutarla. “Cosa ci fai tu qui? “ mi chiese, con una vena di sorpresa nella voce. “Volevo scusarmi per quanto è successo, così ti ho seguita.” Confessai, abbassando lo sguardo. “Scuse accettate.” Rispose lei, sorridendo. Non appena finì di parlare, la abbracciai, avviandomi assieme a lei, verso casa. Per l’intero tragitto, non dissi una parola. Il fiume di emozioni che avevo provato, me le aveva tolte di bocca, e inoltre, sapevo che non mi sarebbero servite per esprimere la mia gioia.
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXIV


Novità e incomprensioni


Con la stessa tranquillità e lentezza dello scorrere dell’acqua di un fiume, dodici lungi anni della mia vita sono inesorabilmente trascorsi. Quest’oggi, secondo un mio positivo presentimento, è destinato ad essere ricco di novità. Una delle tante, è rappresentata da mia figlia Ester. Avendo ormai compiuto diciassette, è diventata una giovane vampira in età da trasformazione, e io no potrei essere più fiera del traguardo che ha raggiunto. Una seconda, consiste nel mio essere diventata zia di Andrew, il figlio ormai tredicenne di mia sorella Jennifer. inoltre, posso affermare di essere felice di un ultimo evento. Ester ha consolidato e rafforzato la sua amicizia con William, Tyler e Kayla, ossia i tre giovani figli dei miei amici Hunter e Daniella. A occhio e croce, hanno tutti la stessa età, e sono degli adolescenti allegri e spensierati. Fra i tre figli di Hunter e Daniella, spicca William, il maggiore, che possiede uno straordinario potere speciale. Oltre ad essere un licantropo, caratteristica ereditata dai genitori, ha il potere di parlare ai defunti. Tale abilità, inizialmente lo spaventava, ma ora ha finalmente imparato a controllarla, e utilizzarla quindi, solo in buona fede. Onestamente, devo ammettere in tutta onestà che sono felice dell’ottimo rapporto che Ester è riuscita ad instaurare con William. Sono infatti ottimi amici, e quest’ultimo si mostra sempre alquanto protettivo nei suoi confronti. Ad ogni modo, questa nuova giornata invernale  è appena iniziata. Malgrado il freddo pungente, il sole splende timidamente, facendo capolino fra le nuvole. Blake ed io, di comune accordo, abbiamo deciso che non potrebbe esserci giorno migliore per accompagnare Ester nel bosco, e assisterla durante la sua prima battuta di caccia. Nostra figlia è una ragazza molto sensibile e ligia al dovere, ragion per cui, ha promesso di impegnarsi a fondo non appena arriverà nel bosco. Inoltre, proprio come me e suo padre, ha deciso di nutrirsi di sangue animale, portando quindi avanti la tradizione di famiglia. Ad ogni modo, la scelta su chi dovesse accompagnare Ester a caccia, è caduta su di me. Senza perdere un istante, ho condotto Ester nel bosco vicino casa, e facendole da guida, le ho spiegato come utilizzare i suoi poteri, e quando dare retta ai suoi istinti di vampira. Camminavo accanto a lei, dispensando utili consigli fra un passo e l’altro. Tuttavia, dopo qualche minuto, decisi di darle un più libertà, permettendole di agire da sola, seppur seguendola senza perderla di vista. Iniziai a camminare dietro di lei con passo felpato, chiedendomi quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Osservo, senza proferire parola, un corvo posarsi sul terreno davanti a lei. Lasciando che i suoi istinti prendano il sopravvento, Ester si avvicina all’ignaro volatile, e procede ad ucciderlo. Assisto all’intera scena, meravigliandomi delle capacità di mia figlia. Pur avendo ucciso quel corvo e averne bevuto il sangue, Ester era ancora assetata, e la sua sete la spinse nelle profondità del bosco. Sopraffatta nuovamente dai suoi istinti, iniziò a correre in cerca di una nuova preda. Durante la sua corsa, si imbatté in un lupo, che continuava a guardarla negli occhi. Improvvisamente, notai che gli occhi di Ester avevano cambiato colore, diventando rossi. Tale cambiamento simboleggiava la sua sete di sangue, e segnalava un suo imminente attacco. Con velocità inaudita, affrontò la bestia, ferendola al muso. Quest’ultima, anche dopo essere stata ferita, non staccava lo sguardo da Ester. La stessa, dopo aver attaccato e ferito quel lupo, tornò ad essere sé stessa, riconoscendo il suo amico William, malgrado le sembianze di licantropo. Dopo averla guardata negli occhi per qualche secondo, il lupo scappò via, allontanandosi da lei. “Ester! Vieni subito via.” Le intimo, afferrandola per un braccio. “Quello non era un lupo normale, ma…” “Non era nessuno.” Le risposi, conducendola subito fuori dal bosco. Non appena arrivò a casa, Ester corse in camera sua senza rivolgermi la parola. Mentre correva, vidi una lacrima rigarle il viso. Ad ogni modo, rimasi immobile finché non sentii la porta della sua stanza chiudersi con uno scatto. Subito dopo, salii lentamente le scale e la raggiunsi. Una volta entrata, vidi Ester in lacrime, seduta sul suo letto. “Cosa ti è successo?” le chiesi, preoccupata. “Quel lupo era William. L’ho ferito ed è scappato, ma tu non mi hai creduta!” rispose, con voce rotta dal pianto. “Ester, io non lo sapevo. Devi credermi.” “Non voglio ascoltarti!. Urlò, in evidente collera. Subito dopo, uscì dalla sua stanza, lasciandomi da sola. Rimasi interdetta dal suo comportamento, e trasalii al suono della porta di casa che si chiuse con un tonfo. Non riuscivo a crederci. Avevo appena osato dubitare della mia unica figlia, inducendola a scappare di casa. Senza neanche rendermene conto, stavo rivivendo gli stessi eventi di tanti anni prima, in un orribile dejà vu. Con il cuore gonfio di preoccupazione, decisi di raggiungere il bosco, e seguire mia figlia. Ero davvero terrorizzata al pensiero di vedere Ester in pericolo. Per evitare di essere scoperta, la seguii con passo felpato. La fresca neve appena caduta, attutiva il rumore dei miei passi, infondendomi sicurezza. Camminavo guardandomi intorno, e notando le cime degli alberi innevati, e le foglie provate dal gelo. Continuavo a seguire Ester durante la sua fuga, senza osare fermarmi. Con mia grande sorpresa, la vidi rallentare, e dopodichè cadere rovinosamente nella neve. Terrorizzata alla vista di tale scena, inizio a tremare. Mi avvicino subito ad Ester, cercando di aiutarla. Chiamo più volte il suo nome, ma non ottengo risposta. Le prendo le mani, ma non riesco a sentire il battito del suo cuore. Inerme e china verso di lei, lascio che le lacrime mi bagnino il viso. Rialzandomi da terra, inizio ad allontanarmi dal suo povero corpo. Fatico ad accettarlo, ma realizzo che mia figlia è ormai morta. Proprio mentre mi allontano da lei, sento un ululato in lontananza. Mi volto di scatto, rimanendo a guardare, mentre quel lupo si avvicina ad Ester e si sdraia al suo fianco, nel tentativo di scaldarla. Noto con piacere che lo stesso le rimane accanto per tutta la notte, anche quando io decido di andarmene. Non vorrei farlo, ma sono consapevole di dover uscire dal bosco. Il freddo, così avido e pungente, ucciderebbe anche me, proprio come credo sia successo a mia figlia. Tornata a casa, non rivolgo la parola a Blake. Non voglio assolutamente che sappia quello che è successo ad Ester. La considera il suo miracolo, e se sapesse davvero quanto è accaduto, ne uscirebbe sicuramente distrutto. La notte, che arriva fredda e inesorabile, sembra non passare mai. Le ore notturne appaiono infinite. Ad ogni modo, Blake capisce  che qualcosa non va, e pur astenendosi dal porre domande, cerca di confortarmi. “Andrà tutto bene.” Ripete, abbracciandomi. “Lo spero.” Gli rispondo, rigirandomi nel letto, e tentando di addormentarmi. Ci riesco solo dopo ore di vani tentativi, ma riuscire a chiudere gli occhi e dormire tranquillamente dopo quanto accaduto, è un vero e proprio miracolo. Ora come ora, rinfrancata dalle parole di Blake, riesco a far accendere dentro di me un barlume di speranza. Lo stesso, mi porta a credere che mia figlia è ancora viva, e che l’unica cosa da fare è sperare che riesca a tornare a casa sana e salva.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXV


Una nuova era


Le ore notturne passano, soffocando lentamente l’oscurità, e lasciando spazio alla lucente aurora mattutina. Sono completamente da sola nella mia stanza, e osservo il panorama dalla mia finestra. Il cielo, ora divenuto limpido e terso, non mi è di conforto, poiché il mio unico pensiero, è quello di rivedere mia figlia Ester. Un attimo di scoramento, lascia che l’orribile pensiero della sua morte si insinui nella mia mente, ma per fortuna, il mio buon senso, unito ad un’immortale speranza, mi porta a credere che sia ancora in vita. Talvolta, in seguito a delle brutte esperienze, le emozioni provate a causa delle stesse, tradiscono il nostro essere, rivelando lati nascosti della nostra personalità. In questo preciso istante, sono tranquillamente seduta a riflettere, sperando di far scomparire quell’orribile pensiero dalla mia mente. Ad ogni modo, quando mi accorgo che neanche le mie solite, profonde e talvolta filosofiche riflessioni, non sono affatto d’aiuto, prendo una drastica decisione, ossia quella di andare a cercare Ester. “Non andare.” Mi prega Blake, con una vena di preoccupazione nella voce e nell’anima. “Devo farlo, Blake. Non ho altra scelta.” Gli rispondo, violando la porta di casa e avviandomi verso il bosco. Senza perdere un istante di tempo, mi addentro nel bosco stesso, alla continua e strenua ricerca di mia figlia. Mentre cammino, quasi ignorando il pungente freddo e la soffice neve che cade posandosi sul terreno, urlo il suo nome, nella speranza che mi senta, e sappia che la sto cercando. I minuti continuano a passare, e lentamente i miei nervi vengono logorati dalla preoccupazione. Camminando, calpesto la gelida neve, che si sgretola inesorabilmente ad ogni mio passo. All’improvviso, la tristezza ha la meglio su di me, e senza neanche avere il tempo di rendermene conto, inizio a piangere, lasciando che delle lacrime, fredde quanto la mia anima, mi righino il volto. La mia ricerca prosegue, ma con l’andare del tempo, continuo ad indebolirmi. Progressivamente, anche un’azione semplice come camminare, diviene impossibile da compiere. In cuor mio, so bene di essere sul punto di perdere le forze, ma ad ogni modo non demordo. Non do alcuna importanza alla neve che mi circonda, al vento che soffia sibilando minaccioso e pare sfigurarmi il viso, o al corvo che vola in alto nel cielo, gracchiando sonoramente. Questa naturale concatenazione di eventi non ha per me alcun importanza, poiché ciò che davvero m’importa, è ritrovare Ester. Attualmente, nulla sembra poter arrestare il mio cammino, intrapreso con le mie sole forze, unite alla mia incrollabile determinazione. Pur avendo ancora ben fisso in mente il mio scopo principale, ossia quello di ritrovare mia figlia, sono ormai sul punto di perdere, assieme alle mie ormai esigue forze, anche le mie ultime speranze. Guardando dritto davanti a me, e osservando una miriade di alberi spogli dai rami appuntiti, che sembrano voler squarciare il cielo, continuo imperterrita a camminare. Ad un tratto, un’orribile visione mi costringe a fermarmi e arrestare il mio cammino. La scena che ho davanti ai miei occhi è davvero orribile. Nella neve, intravedo un corpo ormai visibilmente congelato. Mi avvicino allo stesso, in maniera tale da esaminarlo meglio, e l’intera faccenda, peggiora nello spazio di un secondo. Ho appena il tempo di accorgermi infatti, che un grosso lupo si sta avvicinando a me, ringhiandomi contro. Per qualche strana ragione, non sembra volere che mi avvicini a quel corpo coperto di neve. D’improvviso, il mio dolore e la mia preoccupazione si tramutano in paura e terrore, che mi immobilizzano, impedendomi qualunque movimento. Dopo pochi istanti, sposto lo sguardo su quell’orribile bestia, che non osa muoversi da quella coltre di neve, quasi a voler proteggere quel che la stessa nasconde. Guardandola meglio, mi accorgo che non è una bestia comune, bensì William, figlio della mia migliore amica. Con inaudita cautela, mi avvicino, con la ferma intenzione di scoprire cosa nasconde la neve. Spostandola con un leggero movimento della mano, scopro con orrore che sotto quel fitto manto bianco è seppellita Ester. In questo preciso istante, il mio stupore e la mia meraviglia risultano essere incalcolabili. Dopo ore di ricerca, sono finalmente riuscita a ritrovare mia figlia, ma sfortunatamente, pare che non ci sia molto da fare per strapparla al suo triste e gelido destino. Dopo qualche secondo, mi accorgo di sbagliarmi, poiché la reazione di William, mi lascia completamente attonita. Non credendo ai miei occhi, lo vedo sdraiarsi sul corpo ormai congelato di mia figlia, nel mero tentativo di proteggerla dal freddo. Con un gesto della mano, tento di fargli capire che Ester è ormai andata, e che non c’è modo di riportarla indietro, seppur fallendo miseramente nel mio intento. William, infatti, non sembra darmi retta, non lasciando Ester da sola neanche per un secondo. Con fare sconsolato, e le lacrime che hanno di nuovo iniziato a scivolarmi sul viso, mi allontano. Proprio mentre sono nell’atto di farlo, sento William, ancora trasformato in lupo, abbaiare. Apparentemente, è deciso a salvare Ester, e non vuole assolutamente che io me ne vada dal bosco. Altri preziosi secondi passano, e proprio davanti ai miei occhi increduli, avviene il miracolo. Ester muove lentamente un braccio, e biascicando qualche parola, iniziando a riprendere i sensi. Dopo pochi istanti, finalmente riapre gli occhi, posando il suo sguardo su me e William, che nel frattempo, è tornato alla sua forma umana. Avvicinandosi a lei, la aiuta a rialzarsi, e fa del suo meglio per evitare che continui a prendere freddo. In quel momento, con il cuore gonfio di felicità, abbraccio mia figlia, non potendo negare il sollievo di averla ritrovata sana e salva. Pochi istanti dopo, ci sciogliamo dal nostro abbraccio, e la vedo avvicinarsi a William. In un questione di meri attimi, i due si guardano negli occhi, scambiandosi per la prima volta, un bacio. Mantenendo un religioso silenzio, avevo appena avuto modo di comprendere che il loro rapporto andava ben oltre la semplice amicizia. In quel momento, ero davvero fiera di mia figlia. Sin da bambina, aveva attraversato miriadi di pericoli, arrivando perfino a rischiare la sua stessa vita, e la scena a cui avevo appena assistito, mi aveva aperto gli occhi e la mente, portandomi a capire una cosa. Il suo amore per William è intenso e reale, e sono sicura che con lui al suo fianco, non potrà accaderle nulla di male. Dopo alcuni istanti di riflessione, prendo una decisione davvero importante. Comprendo infatti, che l’unico modo di mostrare ad Ester quanto io sia realmente fiera di lei, è regalarle il Diamante Cremisi, gioiello sacro ai vampiri del nostro ordine, che porto al collo dal giorno del mio primo incontro con Blake. La chiamo quindi per nome, inducendola a voltarsi verso di me, e la a metterselo al collo. “Abbine cura.” La avverto, in tono serio. Ester non risponde, limitandosi a regalarmi un sorriso. Subito dopo, assieme a me e William, imbocca la strada di ritorno verso casa, e mentre cammino, nel mio cuore si fa largo una certezza. Ora che Ester possiede l’amore corrisposto di William, e il Diamante Cremisi, l’inizio di una nuova era può essere finalmente decretato.


Come al solito, sono tornata con un'altra storia. La complicata e spero appassionante vita di Chelsea e della sua famiglia, uniti da un segreto inconfessabile. Ora come ora, non aspetto che le vostre recensioni. Grazie a chi legge, anche in silenzio,


Emmastory 
   
 
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