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Autore: Hi Ban    08/03/2015    2 recensioni
«Oh, calzini calzini! Perché siete voi, calzini? Rinnegate la vostra puzza, rifiutate la vostra avversione per i buchi cuciti o, se non volete, giurate che vi farete lavare e io non vi butterò! Solo il vostro tanfo mi è nemico, voi siete vo-»
«Che diavolo vuol dire ‘io non vi butterò’?! Sbarazzati di quella merda se non vuoi finirci tu nella lavatrice con la bocca cucita.»
«... Che cosa vuol dire ‘buttare’? Non è una mano, né un pied-»
«Vuol dire che se non la pianti ti butto dalla finestra e raccolgo il tuo sangue con i tuoi calzini.»
«... ryokai.»
Genere: Comico, Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hidan, Shisui Uchiha
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piove anche sotto l'ombrello se Shisui non lo apre'
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12. Zombini




«Ho fame~» la voce lamentosa di Shisui rientrava tra quei suoni che Hidan non poteva sopportare nemmeno per un secondo. Come le unghie sulla lavagna, come quella specie di pernacchia che faceva il contenitore del bagnoschiuma quando non c’era più nulla da far uscire, come il suono della sveglia (erano svariate quelle che aveva fracassato contro il pavimento), come qualcuno che bussava alla porta (lo aspettava sempre qualche disgrazia quando andava ad aprire, sempre), come qualsiasi dannato suono che produceva l’Uchiha.
Quando poi si lamentava anche che era affamato non era umanamente qualcosa di sopportabile, perché l’ameba aveva quella strana impressione che dirlo una sola volta non bastasse mai. O forse riusciva a riempirsi lo stomaco che l’aria che gli entrava in bocca quando lo diceva settantasei volte in più, lo Hie non lo sapeva, ma fatto stava che non era assolutamente in grado a dirlo una volta soltanto.
Ma cosa ci si poteva aspettare da uno che la mattina parlava con lo scarico e gli chiedeva di ricordargli di scaricarlo? Niente, appunto. Il fatto che fosse anche mezzanotte meno dieci la diceva lunga sulle sue capacità mentali residue.
«Hiii-daaaaan! Ho fame! Tanta!»
Un bambino di due anni sarebbe stato meno rumoroso e come paragone doveva rendere abbastanza per far capire quanto effettivamente l’Uchiha stesse urlando in quel momento. In più Hidan si era riscoperto particolarmente intento a voler battere il record a Stick Run che, guarda caso, non era stato lui a fare, ma Shisui in una delle tante volte in cui gli aveva rubato il cellulare. Non era in grado di batterlo – aveva rischiato di scaraventare il cellulare per terra almeno venti volte da quando aveva iniziato – e pertanto il suo odio per Shisui era aumentato a dismisura. In primis perché si permetteva di prendere il suo cellulare ed usarlo a suo piacimento e, in secundis, perché non poteva farsi battere dall’Uchiha. E forse sapeva pure che l’ordine non era esattamente quello.
Mentre cominciava l’ennesima partita, pensò che poteva provare ad ignoralo… magari si zittiva da sol-
«HIE! Hiehiehiehie io ho fame!»
Hidan mise in pausa la partita solo per portare un attimo l’attenzione sull’idiota davanti a lui. L’ameba non poteva davvero essere in piedi sul divano, a braccia conserte e con lo sguardo del bambino a cui era stato fatto il peggior torto al mondo.
Beh, eppure lo era e la cosa lo irritò pure maggiormente. Come poteva sempre comportarsi come un bambino?! Non sapeva che il suo appartamento fosse un asilo o un baby parking.
«Mangia» fu l’unico consiglio che si sentì di dargli Hidan, mentre era ancora abbastanza certo di poter mantenere la calma.
L’Uchiha non parve cogliere la gentilezza e sbuffò sonoramente, per poi ricadere di peso sul divano, lamentarsi per la botta al culo che aveva preso nella foga di mostrare la sua irritazione e richiamare l’attenzione di Hidan con fare più che scocciato.
L’ehi poco silenzioso di Shisui sconcentrò lo Hie, che ovviamente perse. Ed aveva iniziato da cinque secondi, affettando il corpo del povero omino nero nelle lame. Più o meno la fine che si sentiva di far fare a Shisui quando abbandonò con davvero poca gentilezza il cellulare sul divano. In pratica lo lanciò letteralmente di fianco a lui, ma se c’era una cosa a cui Hidan teneva più della sua vita era il suo cellulare, perciò, imprecando, lo riprese e mormorando qualcosa lo rimise in tasca.
Era ordinaria amministrazione che Hidan si scusasse con il suo cellulare quando lo maltrattava, perciò nemmeno Shisui disse niente. In più aveva fame, tutto il resto era secondario.
«Ti ho detto che ho fame» gli ripeté ancora l’Uchiha, per quella che forse era la ventesima volta.
«E io ti ho detto di mangiare!» ringhiò Hidan a cui sfuggiva perché non riuscisse a mettere insieme le due azioni. Se aveva fame mangiava, se aveva sete beveva, se voleva morire andava da lui. Semplice, no?
Shisui spalancò gli occhi e lo guardò come se avesse detto la cosa più stupida del mondo, come se fosse scontato che mangiare, in quel momento, nonostante la sua pancia si stesse rivoltando come un calzino per la fame, non fosse minimamente possibile.
«Hie… Hie, ma sei almeno sveglio?» gli chiese sventolandogli la mano davanti.
E se c’era una cosa che Hidan odiava – ma che in verità odiavano tutto – era l’essere trattato come un idiota. Specialmente se a trattarlo così era un altro idiota.
«Tu sei vivo ancora per poco» Hidan non sapeva nemmeno perché si ostinava ancora a lanciargli dietro quelle minacce che lasciavano il tempo che trovavano. Forse doveva iniziare a passare ai fatti…
«No, seriamente» Hidan era diviso a metà del desiderio di schiaffarsi una mano in faccia e di schiaffarla in faccia a lui. «Non posso mangiare!»
«Perché?» si sforzò di chiedere, perché se non altro poteva trovare ispirazione sul motivo per cui di lì a poco avrebbe appeso il suo intestino al lampadario.
Shisui si tenne la pancia con una mano, come a voler dimostrare che la sua condizione peggiorava di minuto in minuto, poi rispose: «Non…» si fermò.
«Non?» possibile che dovesse anche cavargli le parole di bocca?!
«C’è…» stava tirando su con il naso? Pure?
«Cosa non c’è? Il tuo cervello? La tua dignità? Un po’ di buonsenso? La mia voglia di fracassarti ogni osso? In verità quella c’è-» Hidan fu interrotto dall’ululato che cacciò l’Uchiha. Non era un asilo, era un fottutissimo zoo.
«CIBO! Non c’è CIBO! Niente! Perché tu non vai mai a fare la spesa quando è il tuo turno!» l’Uchiha era esploso nella disperazione più totale, aveva gli occhi sgranati e un’aria poco sana. Hidan continuò ad osservarlo, senza ribattere. Shisui muoveva le mani ad intermittenza, invitandolo a rispondere, ma non giunse una sola parola dal coinquilino. Shisui non aveva minimamente capito che quella altro non era che rabbia silenziosa, la peggiore che esistesse al mondo. Fermentava nell’assenza di una reazione e, quando esplodeva, non c’era kami che potesse salvare la causa di tanta ira.
Lo Hie, dopo qualche momento di stasi incomprensibile per l’Uchiha, si alzò con una certa dignità e si diresse in cucina, seguito a ruota dall’ameba morente di fame.
L’intenzione era quella di aprire la dispensa, mostrargli tutto il cibo che c’era dentro per poi infilarglielo in gola – senza togliere la confezione, in caso l’alimento l’avesse avuta – procurandogli una morte atroce e zittendolo.
Sfregò le mani una contro l’altra, dopodiché poggiò una mano sulla maniglia. Prima di tirarla si voltò verso l’Uchiha, che lo guardava confuso, gli mise l’altra mano dietro al collo e lo attirò verso di sé. Quando fu certo di avere il naso di Shisui che sfiorava il suo, ringhiò poche, brevi parole: «La nostra convivenza finisce qui.»
Prima che l’Uchiha potesse esprimere tutte le sue perplessità, Hidan spalancò di colpò lo sportello della dispensa. Nella foga, quando lo aprì, la confezione di germogli di soia malamente poggiata sul primo ripiano scivolò giù, fino a cadere sui piedi di Hidan e rotolare un altro po’. Shisui ne seguì il tragitto con lo sguardo, mentre Hidan non staccò il suo dal ripiano totalmente vuoto. Vuoto eccetto per i germogli di soia fuggitivi, uno spicchio di limone che chiaramente non doveva trovarsi lì e una busta al fondo…
Con uno scatto repentino la afferrò, per poi scoprire che dentro c’era lo scontrino di quel che un tempo c’era nella busta.
«Sono scaduti…» mormorò Shisui riferito ai germogli di soia; come poche altre volte era successo da quando conosceva il suo coinquilino, poteva intravedere l’aura di malvagità e rabbia che aleggiava intorno a lui.
Hidan, con movimenti meccanici, si portò davanti al frigorifero e lo aprì con altrettanta foga. Questa volta, per la scossa che infierì nell’aprirlo con violenza, a rotolare giù fu una bottiglia di ketchup, che fece più o meno la stessa fine dei germogli.
Shisui la raccolse, aprì la bocca e tentò di spruzzarsi il contenuto in bocca, ma invano.
«È finito…» buttò lì, mentre Hidan rimaneva in trance ad osservare il vuoto presente nel frigorifero. C’era una confezione di latte, qualche confezione di cibo non meglio identificato, ma sostanzialmente si poteva classificare come nulla. Se fosse arrivato qualche scienziato sarebbe stato anche in grado di trovarci una traccia di antimateria lì dentro.
Cadde il silenzio per qualche attimo, dopodiché Shisui fece per dire qualcosa e Hidan esplose.
«E perché non me lo hai detto prima?! Perché non sei andato a fare la spesa tu se hai visto che non c’era niente?! E che diavolo abbiamo mangiato allora negli ultimi giorni?!»
Lo Hie sentiva l’isteria uscire ad ondate dai suoi pori. Finì con l’afflosciarsi di nuovo sulla porta ancora aperta del frigorifero. Non si sentiva più un ginocchio.
«Beh… ho ordinato qualcosa ieri… poi a pranzo in genere non ci siamo…» commentò lui, che pianissimi, ma proprio in maniera inudibile, aggiunse: «Poi era il tuo turno!»
Hidan si rivoltò di scatto, fulminando con la peggiore delle occhiate. Dopodiché sbatté lo sportello dell’inutile elettrodomestico, afferrò i germogli di soia e il ketchup, li buttò nella spazzatura e poi afferrò il collo di Shisui. «La raccolta differenziata- il mio pomo d’adamo» biascicò, ma lo Hie non lo stava ascoltando. Iniziò a spingerlo e Shisui si mosse all’indietro, assecondando quello che sembrava chiaramente un tentativo di omicidio colposo.
«Cosa- Hidapi- assassinio- bruttobrutto-» ad un tratto andò a sbattere contro qualcosa. Un muro o la porta, probabilmente.
Hidan si avvicinò un po’ e Shisui deglutì.
«Mettiti le scarpe. O vieni scalzo, non me ne frega.»
L’Uchiha annuì e fece come gli aveva detto senza nemmeno chiedere cosa, quando o perché.


Un quarto d’ora dopo




Ad Hidan non piaceva andare a fare la spesa. Se poteva evitare di andarci lo faceva ben volentieri, ma dal momento che era andato ad abitare da solo gli era toccato fare quell’enorme sforzo. Per le prime volte, sentendosi un idiota a spingere un carrello in un luogo pieno di gente, aveva tentato di tenere tra le braccia tutto e di uscire dal konbini in fretta. Il tutto si era concluso con lui che aveva attirato l’attenzione ancora di più di come avrebbe fatto con un anonimo carrello. Da quel giorno non ne aveva fatto a meno.
Con la venuta dell’Uchiha, aveva ben sperato che almeno quel problema sarebbe scomparso dalla sua vita – nelle disgrazie bisognava sempre tentare di vedere il lato positivo, no?
Beh, Shisui se ne era uscito con tattici schemini in cui entrambi si spartivano i compiti. Hidan, imperterrito, comunque, aveva tentato di saltare quella mansione. Shisui di tanto in tanto si rendeva conto che se fosse stato per il coinquilino sarebbero anche potuti morire di fame, sfamandosi alla bene e meglio con la moquette, pertanto faceva lui la spesa anche quando non era il suo turno, ma se c’era una caratteristica dell’Uchiha che non poteva cambiare nemmeno a causa di condizioni disastrate era la sbadataggine.
Se si ricordava bene, se non si ricordava si giungeva alla situazione di quella sera, dove, passata la mezzanotte, i due si erano trovati ad uscire di casa per andare a comprare qualcosa di commestibile che non fosse uno spicchio di limone che non era poi nemmeno così giallo.
Dal momento che era già tardi, avevano optato per il konbini più vicino al loro appartamento, posto di cui Hidan nemmeno conosceva l’esistenza e che Shisui aveva visto un paio di volte. Dopo un quarto d’ora di passeggiata non troppo apprezzata da Hidan, giunsero davanti al negozio.
«È questo?» chiese lo Hie e quella era palesemente non una domanda di cortesia, lo scetticismo trapelava da ogni poro.
«Mhmh» confermò lui, annuendo un paio di volte.
Entrambi si trovavano a pochi metri dall’entrata ed osservavano l’edificio che non doveva essere composto da più di tre stanze dalle dimensioni non eccessivamente grandi.
Non era la grandezza ad averli frenati dall’entrare, quanto più l’aspetto del posto.
La luce al neon dell’insegna lampeggiava ad intermittenza ed emetteva sibili sinistri.
All’interno non si intravedeva anima viva, né un possibile commesso né un improbabile cliente – chi avrebbe messo piede in un posto simile, in fin dei conti?
Per essere definito con un aggettivo, per riassumere l’intera faccenda, il konbini aveva un’aria come dire, inq-
«Dove stai andando?» chiese Shisui stranito, quando vide lo Hie fare marcia indietro. «’Sto posto è fottutamente inquietante, me ne vado» borbottò Hidan, lanciando qualche occhiata indietro e ben intento a continuare ad allontanarsi, quando Shisui lo afferrò per un braccio.
«Ma dobbiamo fare la spesa, no?»
«Sì, in un qualsiasi altro posto normale che non sarà questo» chiarì Hidan scettico.
«Ci mettiamo troppo ad arrivare all’altro, è lontano! È anche notte» si lamentò l’Uchiha, tentando di sembrare ragionevole, ma in realtà era disperato: il suo stomaco continuava a dare segni di cedimento con gorgoglii sempre più forti.
«Allora possiamo aspettare fino a domani mattina» borbottò lui, fortemente intenzionato a non muovere nemmeno un altro passo verso quel posto.
Si aspettava che da un momento all’altro la struttura sarebbe stata circondata da un alone bluastro che indicava la malvagità di quel luogo sinistro. Un posto simile chiaramente non poteva proporlo nessuno se non Shisui.
Hidan non credeva a quelle cose, o almeno così continuava a ripetere a se stesso, ma quando c’era qualche aura anomala lui era il primo a sentirla ed il primo ad allontanarsene – anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Da Shisui, anche avvertendo il pericolo prima tempo, non era riuscito a salvarsi.
L’Uchiha scosse la testa un paio di volte e non accennò a voler lasciare andare il braccio del coinquilino.
«Hie, non pensavo tu credessi a questo genere di cose…»br> Hidan si tese involontariamente, irritato.
«Io non credo a-» cominciò, intenzionato a spiegare che non voleva andarsene perché fosse spaventato da quel posto, quanto più perché poteva benissimo essere il ritrovo segreto di un clan della Yakuza, cosa che avrebbe spiegato perché non ci fossero clienti, e pertanto avrebbero inutilmente rischiato la loro vita per comprare due uova. Shisui lo interruppe immediatamente.
«Va bene, non ti preoccupare, capisco» Hidan era più che certo di non starsi immaginando il tono accondiscendente, come se stesse parlando ad un idiota, e nemmeno il sorrisetto che non riusciva a trattenere. Peccato che Shisui non si stesse accorgendo, allo stesso modo, della sempre più palese rabbia che pervadeva lo Hie. Infatti: «Possiamo cercare un altro konbini, ma non è assolutamente un problema se comunque te ne vuoi andare perché hai pa- ah! Questa volta non mi hai beccato!» commentò felice Shisui, dopo aver schivato il pugno poco amichevole che Hidan tentò di tirare al suo braccio.
Il calcio nella gamba però non lo schivò con altrettanta agilità.
«Ma fai male!» commentò scandalizzato Shisui, massaggiandosi il polpaccio dolorante, alternando saltelli a borbottii.
Hidan anche borbottava tra sé e sé, ma erano soprattutto parolacce, improperi irripetibili e promesse di future vendette truci e sanguinolente.
Un attimo dopo erano ancora entrambi a qualche metro dall’entrata; la porta automatica di tanto in tanto iniziava ad aprirsi per poi richiudersi, visto che non c’era nessuno che entrava. Shisui incrociò le braccia al petto e prese ad annuire la solo. Hidan voleva solo fare dietrofront ma sapeva che quel bastardo dell’Uchiha era stato tanto subdolo da mettere la sua dignità in prima linea e pertanto non poteva muoversi di lì se non per andare avanti.
«Ha un aspetto sinistro» commentò poi, annuendo da solo alla sua brillante deduzione, facendo qualche passo in avanti. Hidan non gradì troppo, ma suo malgrado si mosse anche lui. Stare da solo anche a sei metri di distanza dalla possibile casa del demonio mascherata da negozio non era il massimo, era meglio essere con Shisui: in caso fosse uscito il diavolo dal konbini avrebbe potuto offrire l’anima dell’idiota, salvandosi la vita. Una delle rare volte in cui l’Uchiha poteva ritenersi utile, in pratica.
«Grazie Sherlock, non ce ne eravamo accorti» ringhiò letteralmente Hidan.
«Potrebbe essere il nascondiglio della Yakuza!» considerò Shisui con improvvisa foga, che scemò lentamente; scosse la testa in segno di diniego. «Nah, non lo è.»
Hidan alzò gli occhi al cielo; tra l’altro Shisui continuava a fare passi in avanti, perciò erano quasi arrivati alla porta. «E tu come fai a saperlo? Sei forse un indovino?» lo scetticismo dello Hie non trovò la risposta che cercava perché l’Uchiha lo ignorò, continuando a parlare per i fatti suoi.
«Questo è chiaramente uno zombini» disse a quel punto Shisui con fare saputo, grattandosi il mento e guardandosi intorno come chi finalmente ha capito tutto e può osservare la situazione dalla giusta angolatura.
«Un cos-» Hidan non fece in tempo ad informarsi sulla sua nuova idiozia che saltò letteralmente di lato per lo spavento: «Oddio non voglio morire!» Una donna dai capelli lunghi neri, la pelle chiara, lo sguardo poco amichevole – inquietante – e una cassa in mano fece un mezzo inchino e chiese permesso per passare: dall’aspetto poteva solo essere una dipendente – se non la proprietaria – del negozio. O come minimo l’unica cliente che aveva il coraggio di metterci piede. Infatti entrò nel negozio e sparì dietro la prima fila di scaffali visibile.
Il perché fosse dovuta passare proprio in mezzo a loro due quando era pieno di spazio attorno non era chiaro a nessuno dei due. Hidan sentì un brivido di freddo corrergli lungo la schiena e un attimo dopo Shisui ridacchiò – solo lui poteva essere allegro in una situazione simile.
«Konbini degli zombi» chiarì l’Uchiha come se nulla fosse, poi guardò Hidan e sorrise ammiccante: «Siamo in un luogo pubblico, puoi saltarmi in braccio a casa, va bene?» lo prese in giro e Hidan imprecò un paio di volte. Nella foga si era avvicinato leggermente troppo a Shisui, finendogli praticamente addosso. Si staccò di colpo continuando a borbottare.
«Andiamo?» chiese a quel punto Shisui, facendo l’ultimo passo che serviva per far aprire automaticamente la porte dell’infer- del konbini.
«Andare dove? Sei scemo? Cerchiamone un altro! Non hai visto quella specie di fantasma che è entrato lì dentro?» Hidan non era solito farsi prendere dal panico né credere a stupidaggini come luoghi infestati, ma quella sera, complice il fatto che fosse tardi e si fosse anche svegliato presto, non era completamente in sé. Al diavolo pure la dignità, poteva rimetterla insieme con l’attack una volta arrivati a casa.
Shisui fece spallucce. «Nah, va bene questo!»
Quell’umano non aveva alcun istinto di sopravvivenza, quello era certo. Come poteva- come gli veniva in mente- Anche solo pensarci! Entrare! Cosa-
«Non va bene questo, brutto imbecille, puzza di morte da un chilometro di distanza!» fu inutile per Hidan esporgli concitatamente e scurrilmente le sue ragioni per cui quel konbini non andava assolutamente bene, infatti Shisui gli rispose con un vago: «Beh se c’è davvero qualcosa che non va usciamo, no?»
«Pensi che se davvero c’è qualcosa lì dentro una volta entrati ti farà uscire con un ‘arrivederci e buona serata’?»
«Ma di sicuro non ci sarà niente! Poi al massimo li stendiamo con due pugni e via» commentò improvvisamente esagitato, tirando pugni qua e là come dimostrazione.
«Se non fosse… umano?» Hidan digrignò i denti, non felice di dover dire cose del genere ad alta voce ma se c’era anche solo una minima possibilità che ci fosse qualcosa meglio mettere le carte in tavola. Che poi era inutile parlare con quell’idiota perché non sapeva distinguere ciò che era serio da ciò che non lo era.
Shisui infatti scoppiò in una risata esilarata. Adorava beccare il lato facilmente suggestionabile di Hidan: «Ma è ovvio che lì dentro non c’è niente! Cosa ti aspetti di trovare, il fantasma di una carota o del ramen andato a male che cerca vendetta perché nessuno lo ha comprato per tempo?»
«Allora cos’è la stronzata dello ‘zombini’?» il solo dire quella parola fece sentire lo Hie un imbecille più di chi l’aveva creata, ma lui in quel posto non voleva starci nemmeno un momento di più.
Shisui continuò a ridere e si piegò in due, tenendosi la pancia per quanto evidentemente dovesse trovare esilarante la faccenda.
In effetti chiunque conoscesse Hidan l’avrebbe preso in giro fino alla morte nel sentirlo dire una cosa del genere, ma dettagli.
«Gli zombi non esistono, Hidapi, era solo un gioco di parole» commentò lui con fare superiore, ma come si sul dire, il karma gira e un attimo dopo lui sobbalzò per lo spavento: «Ohmiodio Hidan proteggimi non-posso-morire-giovane!»
La stessa donna di prima, con i capelli lunghi e l’aura inquietante che si portava dietro mormorò un nuovo permesso e si inchinò.
Doveva passare di nuovo, chiaramente.
Meno evidente era il perché proprio in mezzo a loro, visto che in quella strada non c’erano nemmeno gatti randagi ad occupare il passaggio.
«Non hai detto che ci possiamo saltare addosso solo a casa?» ringhiò Hidan, visto che Shisui gli era addosso esattamente come prima era successo con lo Hie, solo che l’Uchiha gli si era appeso completamente al collo senza la minima traccia di pudore. Quest’ultimo lo spinse via e si guardò intorno.
«Ok, smettiamola di dire idiozie» commentò ad un tratto Shisui con fare serio.
Hidan era scandalizzato. Era la prima volta che lo vedeva agire con così tanta serietà e sensatezza. Aveva detto qualcosa di furbo. Aveva-
Ding ding.
Shisui, senza preavviso, aveva afferrato il braccio di Hidan e lo aveva trascinato dentro al negozio, facendo suonare quell’inquietante campanello che fece venire i brividi allo Hie.
Quest’ultimo era vagamente scandalizzato. Ci mise anche quindici secondi per far arrivare al cervello la consapevolezza del gesto del coinquilino ed altri sette per realizzare dov’era.
Aveva varcato la soglia. Era dentro allo zomb- konbini.
Di slancio afferrò Shisui per la maglia.
«Smettiamola di dire idiozie? Per passare direttamente ai fatti idioti? Mh?» Al momento Hidan era leggermente fuori di sé, tanto che perfino Shisui se ne accorse.
Non abbastanza, perché non ebbe la lungimiranza di tenere la bocca chiusa.
«S-su, non siamo mica morti! Esageri sempre!» l’Uchiha fu quasi certo di aver visto un paio di stelle sul soffitto quando Hidan gli pestò il piede per fargli capire con esattezza chi stesse esagerando e chi sminuendo eccessivamente.
Quel posto era totalmente deserto, alla cassa non c’era nessuno, ma chi sarebbe voluto entrare per rubare qualcosa in quella specie di bettola del male?
Il locale era piuttosto spoglio, le luci troppo luminose, faceva freddo nonostante fosse maggio, ma, ad onor del vero, sembrava avere scaffali piuttosto forniti. Sembrava. Se poi nei dorayaki c’era carne umana e non marmellata non lo si poteva intuire da una breve occhiata iniziale. Tutto quel che avrebbero comprato l’avrebbe assaggiato prima Shisui.
Hidan si fermò di colpo, valutando la situazione. Se erano entrati tanto valeva fare quel che dovevano fare ed uscire di lì il più in fretta possibile.
«Prendi un cestino» gli ordinò con fare funereo Hidan, senza neanche dargli tempo di ribattere. Shisui annuì incerto e ne afferrò uno dalla pila nell’angolo. Ovviamente ne prese uno rotto, infatti gli rimase solo il manico in mano e il resto si schiantò a terra producendo l’unico rumore in tutta la minuscola struttura.
«Non attirare l’attenzione di tutti i fottuti spiriti che ci sono qui dentro!» sibilò Hidan rabbioso e l’Uchiha iniziò a temere il peggio: e se il suo amato Hidan fosse stato posseduto dagli spiriti di cui aveva negato l’esistenza per farlo entrare solo perché lui aveva fame e voleva della zuppa di miso? Come poteva stabilirlo con certezza? Doveva andare in un tempio a prendere dei talismani? Non aveva tempo! Lo spirito poteva uccidere l’anima di Hidan! Doveva fare qualcosa, agire! E sarebbe comunque stata tutta colpa sua perché l’aveva trascinato lì dentro solo perché aveva fame!
Ovviamente dedusse tutto quello solo dalla visione di Hidan furioso, come se quello non fosse lo stato emotivo che assumeva quattro giorni su tre quando si trovava con lui. Forse bisognava stabilire meglio chi dei due fosse il facilmente suggestionabile.
«Hidan, sei stato posseduto?»
«Che cazzo stai dicendo?»
«Ti ho chiesto se sei stato posseduto!»
«Se lo fossi secondo te lo saprei? Mi usano tipo casa vacanze in affitto e prima mi avvisano così ci do una pulita?»
«Hidapi stai straparlando, vedi che c’è qualcosa che non va?!»
«Sei tu quello che ha qualcosa che non va!»
«C’è qualcuno lì con te?»
E quale miglior modo secondo l’Uchiha poteva esserci per scoprirlo se non chiederglielo direttamente?
Hidan sgranò gli occhi assumendo una delle espressioni più psicopatiche possibili.
«C’è qualcuno lì con te? Ma sei serio? Prova ad offrirgli un tè magari esce fuori di sua spontanea volontà» commentò sardonico lo Hie. Shisui attese qualche attimo, quasi stesse pensando alla risposta, poi annuì convinto. Hidan voleva chiuderlo nel banco frigo e lasciarlo lì a morire tra un filetto di salmone e una confezione formato famiglia di gamberi. «Poi pensi che ti risponderebbe anche?» glielo chiese a suo rischio a pericolo perché le risposte di Shisui in genere avevano una portata distruttiva non prevedibile.
«Beh, sono spiriti, dovrebbero essere sinceri…» suppose l’Uchiha facendo spallucce, per poi aggiungere: «Quello lì con te è sincero?»
Hidan chiuse gli occhi e scosse la testa. Era meglio darsi una mossa ed uscire di lì, prima che quell’idiota facesse incazzare qualche spirito non sincero a cui non piaceva sentirsi dire di esserlo.
«Qui con me non c’è nessuno! Non l’hai forse detto tu, idiota, che qui non c’è niente? Hai ragione, non c’è niente, se c’è qualcuno che ti appenderà per i peli delle nocche fuori dalla finestra e ti strozzerà quando torneremo a casa sarò io, nessun altro! Ora facciamo questa spesa di merda e non rompere ancora le palle.»
Shisui non ci mise un secondo di più a capire che quello era Hidan – gli spiriti non erano sboccati infatti –, perciò, sollevato, prese a camminare infilandosi nella prima fila di scaffali.
Il piano di Hidan era quello di fare il giro dei reparti alla velocità della luce, prendendo la prima cosa che la sua mano avesse raggiunto sugli scaffali ed uscire di lì. Semplice ed indolore, dopodiché il giorno dopo sarebbe andato in un tempio a far lavare la sua anima con qualsiasi ammorbidente avessero a disposizione contro il demonio.
Chiaramente l’Uchiha non la pensava come lui. Decise che era suo dovere morale interessarsi ad ogni prodotto sugli scaffali, come se non avesse mai visto prima né quella determinata marca né una confezione di germogli di soia.
Hidan ringraziò che fossero soli perché altrimenti sarebbe stata una situazione imbarazzante; si comportava come un bambino che metteva piede per la prima volta in un negozio, anche se un qualsiasi marmocchio si sarebbe spaventato ad entrare in un posto come quello.
«Pensi di dover guardare ogni etichetta o puoi muovere il culo e andare avanti?» erano già passati tre minuti e nel cestino c’erano solo tre confezioni di ramen istantaneo ed erano lì solo perché lo Hie magnanimamente aveva deciso di salvarli dall’essere confinati su quegli scaffali.
«Sto solo prestando la giusta attenzione nello scegliere cosa comprare, Hidapi! Vuoi mica che compri qualcosa che può far male ai miei poveri pori?»
Hidan sbuffò, ma quel che ne uscì fu piuttosto un ringhio: «Io sono la cosa più pericolosa per i tuoi pori, perché non sparisci dalla mia vista una volta per tutte?» chiese sibilando e Shisui gli regalò un sorriso a trentadue denti.
Fece effettivamente per allontanarsi nella direzione opposta, ma Hidan lo afferrò per un polso.
«Dove vai?»
«Via, no?» l’Uchiha sorrideva con malcelata soddisfazione e Hidan decise che per la sua sanità mentale avrebbe lasciato che calpestasse un altro pezzo della sua dignità.
«Sì- no- cioè, sì, vattene ma dopo, non ora, idiota» sbottò irritato e tanto bastò a Shisui per ricominciare a guardare il barattolo di sottaceti con estrema cura.
La pazienza di Hidan aveva un limite. «A te nemmeno piacciono i sottaceti, lascia questa merda e vai avanti» detto ciò gli strappò di mano di barattolo, lo rimise sullo scaffale e lo spinse avanti.
«Hie, perché bisbigli?» chiese Shisui, come se non fosse una cosa ovvia.
Hidan alzò gli occhi al cielo, mentre afferrava il ketchup e lo buttava con malagrazia nel cestino, per poi pentirsi perché aveva fatto troppo rumore.
Non c’era davvero nessuno lì dentro, nemmeno un insonne abitante del quartiere a cui era venuta un’improvvisa voglia di funghi e latte scremato e aveva solo quel konbini a disposizione.
Nes-su-no. Motivo per cui Hidan si rifiutava di dare corda alla sensazione che aveva che qualcuno lo stesse osservando.
«Perché non voglio attirare l’attenzione e visto che qui ci siamo solo io, te e il niente bisbiglio.»
«Beh, ma se oltre a me e te non c’è nessuno non c’è nemmeno bisogno di bisbigliare, no?»
Hidan era pronto a spappolare la testa del coinquilino contro lo spigolo dello scaffale, incurante del rumore, quando l’Uchiha puntò la sua attenzione sulle patatine ai gamberetti.
Senza neanche pensarci mise due sacchetti nel carrello, soddisfatto per l’acquisto.
«Controlla la data di scadenza, non voglio morire avvelenato» borbottò Hidan, non potendo evitare di guardarsi indietro di tanto in tanto, perché lui si sentiva davvero osservato.
Era da quando che avevano messo piede lì dentro che sentiva quella strana sensazione ma non aveva trovato niente che la confermasse. Se lo stava immaginando? Era inutile chiedere a Shisui se se ne fosse accorto, era appurato che l’imbecille non sentiva presagi di morte nemmeno quando Hidan era nella stessa stanza con lui con un coltello in mano.
«Non essere così acido, gli spiriti dei morti potrebbero aizzarsi» forse fu il tono in cui Shisui parlò o la strana sensazione che Hidan continuava a sentirsi addosso, ma lo Hie fu percorso da un brivido di freddo e il barattolo di pomodori secchi sott’olio gli scivolò di mano.
Fortunatamente Shisui aveva ottimi riflessi.
«Fa’ attenzione! O gli spiriti-»
«Tu smettila di dire stronzate!» sibilò sfregandosi le mani sulle braccia e imprecando verso ogni possibile cosa gli venisse in mente.
Con uno scatto fulmineo ad un tratto Hidan si voltò a destra, verso lo scaffale e la vide, la presenza che continuava a seguirli. Era la ragazza di prima! L’aveva vista! Era lì! C’era! Non era pazzo, per Jashin, c’era davvero!
Quando era già pronto a raggiungerla per fare nemmeno lui sapeva cosa – Urlarle dietro? Chiederle dove fosse il dentifricio? – Shisui lo tirò per un braccio.
«Prendiamo il latte di cocco?»
Hidan probabilmente lo guardò con tanto odio che concluse da sé che «No, hai ragione, il cocco fa schifo a tutti, mh.»
Ovviamente quando Hidan si voltò di nuovo verso lo scaffale non c’era più nessuno.
Dopo aver convinto Shisui che a nessuno dei due serviva una maschera facciale al mandarino e che no, nessuno dei due aveva bisogno di tisane al rabarbaro – perché diavolo avevano quel genere di cose lì dentro? –, finalmente giunsero all’ultimo scaffale, dopodiché avrebbero potuto pagare.
«Perciò non posso prendere la maschera?»
«No.»
«Sicuro? Migliora la pelle, c’è scritto! Toglie i segni di stanchezza!»
«Anche la morte toglie i segni di stanchezza, il rigor mortis ti ringiovanisce, vuoi provare?»
«E il sandwich agli spaghetti?»
«Credo sia tossico.»
«Ooooh! E questo nuovo tipo di sushi? È strano! Cosa sarà quella roba verdognola sopra?»
«Il cadavere del precedente idiota che ha tentato di comprare questa roba, ora va’ a avanti e usciamo di qui!»
Shisui gonfiò le guance come il peggiore dei bambini terribilmente offesi.
«Sei cattivo Hidapi! Nemmeno gli spiriti vorrebbero avvicinarsi ad una persona senza cuore come te!»
Hidan sgranò gli occhi, non seppe nemmeno lui se per l’isteria accumulata che tentava di esplodere o per l’improvviso brivido di freddo.
«Non sono cattivo, brutto imbecille, sono stanco e questo posto mi fa schifo, ma ovviamente uno come te non poteva scegliere un posto normale nemmeno per fare la spesa!» la rabbia non l’aveva mai saputa contenere molto, sua madre glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento fin dall’asilo, quando spingeva i bambini giù dall’altalena. Almeno quelli smettevano di chiamarlo albino malaticcio, Shisui anche se veniva insultato senza sosta non imparava un bel niente. Sarebbe stato un perfetto oppositore del cane di Pavlov. Non si accorse nemmeno che non stava più parlando a bassa voce; come disse qualche attimo dopo «me ne sbatto se viene qualche spirito a spaccarmi il culo, appena crepo vado a spaccarglielo tre volte di più!» Shisui avrebbe anche riso più forte se le circostante fossero state diverse, le invettive fantasiose di Hidan gli piacevano un sacco.
«Questo posto è normale, sei tu che esageri!»
«Normale? Non ti sei accorto di psycho che ci fissa da quando siamo entrati?»
«Magari pensa che siamo taccheggiatori, tu hai la faccia da delinquente» ribatté con noncuranza. «Tu hai la faccia da decerebrato, non mi pare abbiano chiamato una équipe di psichiatri per casi disperati.»
«Beh, ok, a parte la tipa strana di prima che oh! da vicino mi pare molto più bella e aggraziata e assomiglia a quella del film horror e tu sai come finiscono gli horror Hie? La gente muore, ma prima di farlo gli innamorati si dicono che si amano perciò io dovrei dirtelo ma tu non sei troppo lovey dovey perciò non posso dirtelo e devo morire con il peso sulla coscienza.»
L’Uchiha stava bisbigliando e parlando senza respirare ma sembrava tare abbastanza bene per il resto. Hidan tanto non aveva capito una singola parola.
«Cosa?!»
«Hai ragione, dovevamo bisbigliare, giuro che bisbiglierò sempre all’altro mondo o quando mi reincarnerò o quando-»
«Che-» Hidan non terminò la frase e fu colto da un altro brivido, quasi qualcuno avesse cambiato la stagione, passando da estate ad inverno, avesse lasciato una porta aperta nel bel mezzo di una bufera o gli avesse fatto scivolare un cubetto di ghiaccio sotto la maglia. Che, per inciso, quella si era dimostrata una sensazione più gradevole rispetto a quella inquietante che stava provando, ma il cubetto di ghiaccio lo aveva usato in altre circostante con Shisui, ma non era il momento per rivangare piccolezze come quella.
«Posso esservi d’aiuto?» chiese una lugubre voce alle sue spalle e Hidan fu certo di essere sbiancato; lui era già chiaro di natura, il fatto che avesse assunto una tonalità distinguibile dal solito riuscì a preoccupare anche Shisui.
Lo Hie si fece forza, convincendosi a voltarsi verso la persona che aveva parlato, mentre l’Uchiha se ne stava ancora con una mano mezza tremolante che indicava ciò che c’era alle sue spalle. Che, suvvia, si trattava pur sempre di una persona ma a quell’ora di notte quel genere di atmosfera rendeva tutti poco pacati.
Non si stupì molto quando si trovò faccia a faccia con la ragazza che prima si era ostinata a passare in mezzo a loro due quando c’era il resto del mondo attorno per muoversi.
«No. Finito. Pagare» quell’ultima parola pronunciata da Hidan sembrava più una domanda che un’affermazione ma nessuno ci fece caso.
«Oh. Ehm, voi…» cominciò la ragazza, senza incrociare lo sguardo con nessuno dei due. Rimase qualche attimo a spostare il peso da un piede all’altro, impedendo ai due di capire sia cosa volesse dire o fare sia cosa dovessero fare loro.
«Tu sei Hie san, vero?» mormorò d’un tratto, con i lunghi capelli che le coprivano gran parte del volto. La voce era molto meno inquietante rispetto a come si era presentata prima, probabilmente era dovuto al fatto che la ragazza era parecchio agitata.
«Sì» confermò Hidan, per nulla abituato a trovarsi in una situazione del genere. Come faceva a sapere come si chiamava? Si era forse dimenticato qualcosa? L’aveva già incontrata e si era dimenticato di lei? Non era colpa sua, tendeva a dimenticare le facce se non le vedeva per più di sei volte! Con Shisui era stato ben diverso, stranamente.
«E tu sei Uchiha san» si affrettò ad aggiungere, come se avesse commesso un’enorme mancanza. Shisui annuì, incuriosito.
La ragazza di fece forza e alzò la testa; «Mi chiamo- il mio nome è Fumiko» si presentò con un breve inchino rivolto principalmente verso Hidan. Quest’ultimo non ci lesse grandi significati ma Shisui vide più lontano.
«Ho trovato le chiavi- cioè, ti sono cadute dalla tasca quando uscivi. Vicino all’ascensore. Una settimana fa all’incirca» si fermò varie volte mentre parlava, mostrando quando fosse in imbarazzo. Lo Hie, totalmente ignaro di quanto potesse essere senza tatto, chiese: «Mi segui?» La ragazza avvampò e probabilmente chiese al pavimento di inghiottirla. «No, io- passavo di lì…» borbottò sommessamente e agitatamente.
Hidan nel frattempo stava pensando che era stata davvero una botta di culo andare in quel konbini altrimenti non avrebbe mai trovato le chiavi e avrebbe dovuto farne una copia da quelle di Shisui. Lui era ancora ostinato a cercarle in camera tra i vestiti sporchi, senza neanche prendere in considerazione l’idea di averle perse.
«Ti ho visto quando portavo la spesa all’anziana del piano di sopra» tentò con tutte le sue forze di discolparsi, intenzionata a sembrare una persona normale e non una spostata agli occhi di Hidan. Quest’ultimo annuì, però, senza sembrare molto interessato e rendendo vani i suoi sforzi.
Fortunatamente Shisui, tra una risata e l’altra, corse in suo soccorso. Non tutti erano bravi ad avere a che fare con il suo Hidan.
«Aaah, sì, la vecchietta! Se si fa portare la spesa questo spiega perché abbia ancora entrambi i femori in condizioni decenti, mh» commentò solare.
La ragazza sorrise leggermente; «Ti ho visto spesso…» disse rivolta ad Hidan e, felice per aver detto quello che doveva e rossa per la vergogna allo stesso tempo, un attimo dopo si congedò dicendo che andava a prendere le chiavi nella borsa.
Sparì giusto in tempo prima che Hidan potesse dire che no, lui non l’aveva mai vista ma quella ragazza aveva una qualche abilità segreta per cui si muoveva furtivamente meglio di un ninja. Finalmente riuscirono a pagare e la ragazza li salutò gentilmente, mentre Shisui pensava che quello era davvero uno zombini o, come minimo, un posto in cui non avrebbe mai più rimesso piede.


«Piaci a quella ragazza, Fumiko, lo sai?» gli chiese dopo qualche attimo e se fosse stato un attento ascoltatore di Shisui si sarebbe accorto che non aveva usato nessun ‘chan’ di sorta per la ragazza. Solo Fumiko; detto da uno come l’Uchiha voleva dire tantissimo visto che lui dava onorifici a tutto, piante, forbici, spazzolino, piatto e tappeto.
Hidan però non parve cogliere quell'aspetto e si limitò a notare che glielo aveva detto con nonchalance, come se la cosa non lo riguardasse.
«E perciò?» gli chiese e lui voleva intenderlo come un ‘non dici niente? La cosa non ti tocca, deficiente?’; Shisui vi lesse una nota di compiacimento.
«Perciò a te non te ne frega, no?» Shisui cercava una rassicurazione – “Sei palesemente ed inequivocabilmente e solamente omosessuale, vero?” –, Hidan vi lesse una dichiarazione di totale disinteresse.
Due gelosi che non si capivano tra di loro; potevano forse esistere due peggiori idioti che abitavano insieme?
Il tragitto verso casa si rivelò più lungo del previsto, tra una frecciatina fraintesa e una risposta, se possibile, ancora più equivoca.





Un konbini è un convenience store, un negozio.
Credo che il mio più grande problema sia sostanzialmente che inizio le cose e le finisco dieci mesi dopo; ovviamente mollo a metà o a tre quarti e poi quando le riprendo non so più che cacchio volevo dire perciò rileggo senza trovare un senso e invento a muzzo per coprire buchi incomprensibili XD Motivo per cui questa shot a cui avevo dato un nome che mi era piaciuto un sacco quando l’avevo pensato (!!) penso che sia un po’ storta dentro però mi va abbastanza bene. Se non l’avessi finita ora e avesse procrastinato ancora probabilmente non l’avrei mai finita. O forse sì, facendone uscire qualcosa di migliore (…).
Facciamo finta che non sia passato un anno e più dall’ultima volta che ho aggiornato così ho la coscienza a posto .-. La storia del maltrattare il cellulare e poi chiedergli umilmente scusa la faccio davvero, perciò in questo caso l’insanità mentale di Hidan ha una fonte di riferimento reale! (E non credo nemmeno che dovrei vantarmene ma lasciamo stare XD)
Il sandwich agli spaghetti, sfortunatamente per noi, esiste davvero in Giappone! Ricerche sul campo (?) lo hanno testimoniato… avendo scoperto la sua esistenza mi sono subito detta che andava infilato da qualche parte ed ecco qui l’unica nota puramente horror della oneshot XD
Perciò si è appurato che ‘sti due non sanno fare manco la spesa, mi cissa un sacco scrivere storie in cui mostro il loro lato più inetto! Mi riesce bene visto che c’è poco che sanno fare come persone normali!
Perdonate le sviste, sicuramente qualcosa è scappato! (tutto? I tre quarti di tutto? Il quarto di un quarto si è salvato! Forse.)
Ringrazio chi ancora continua a seguire questa raccolta nonostante i tempi di aggiornamento siano scandalosamente lenti! Grazie davvero!♥♥
  
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