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Autore: Ang_V97    10/03/2015    1 recensioni
Dal testo: «Portami in cella.» Fu questo l'ordine che Doyle diede ad una delle guardie e che senza fare domande ubbidì riportando il detenuto nella cella di isolamento, mentre la dottoressa tornò al suo lavoro cercando di mascherare il rimpianto, il rimorso e l'amore per la persona sbagliata dietro un sorriso glaciale e gentile rivolto a tutti coloro che le erano intorno.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Rizzoli & Isles: a family'
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In carcere il tempo sembra non passare mai e certo per Patrick Doyle non è diverso. Anche se lui qualcosa a cui pensare ce l'ha e tale pensiero lo aiuta a superare i momenti più critici e solitari: la sua Hope.
Paddy aveva pensato tante volte al fatto che la donna che più amava, l'unica ragione del suo essere (assieme a Maura) si chiamasse Hope come fosse un segno del destino, come se la speranza di una vita diversa da quella predestinata per lui fosse viva solo grazie a quella donna; quella donna che a soli diciotto anni era riuscita ad entrare nella testa, nel cuore e persino nella pelle di un giovane uomo pronto a diventare un assassino, un mafioso e un trafficante di droga senza scrupolo alcuno portandolo quasi a volersi trasformare, a migliorare, a cambiare solo per sentirsi “degno del suo amore”.
Il carcerato più temuto e più tenuto d'occhio era seduto in cella nell'attesa che quell'unica ora d'aria giornaliera gli fosse concessa quando iniziò o meglio ricominciò a pensare all'amore della sua vita e senza pensarci troppo su prese carta e penna che una guardia gli aveva “gentilmente” consegnato -seppur fosse contro le regole; ma cosa sono le regole di fronte a Paddy Doyle Jr.?- e iniziò a scrivere una lettera destinata all'unica persona di cui gli importasse davvero qualcosa:
“Mia amatissima Hope, so che non vuoi ricevere mie notizie, che per te sono morto nell'istante in cui hai scoperto che la nostra dolce bambina non è morta come ti avevo detto per proteggere entrambe e che per te magari ora non conto più nulla, specialmente dopo il processo. Ma mentre sono qui, seduto in questa cella così vuota e spenta l'unico mio pensiero felice, l'unico mio pensiero generale, sei tu. Tu così forte e intelligente da avermi rapito l'anima, se ancora ne ho una; tu che sei stata in grado di rendermi migliore, seppur per poco tempo. Amore mio anche se so che per te non è più così, voglio dirti che per me tu sei ancora l'unica cosa buona che io abbia mai ricevuto dalla vita, che tu e la nostra bambina siete state una benedizione del cielo e non importa quanto possiate odiarmi perché io vi amerò sempre con la stessa intensità con cui vi ho amato dal primo istante.
Quando eravamo giovani e ancora innocenti, prima che il denaro e la cattiveria corrodessero i nostri animi e il nostro rapporto, quando mi dicesti che aspettavi un figlio da me, in quel momento mi sono sentito vivo più che mai, amato più che mai e felice più che mai. Tu hai fatto di me l'uomo che ho sempre desiderato essere e prego Dio ogni giorno affinché non solo tu e la nostra Maura stiate bene, ma anche perché mi concediate il vostro perdono. Non importa se il mondo mi considera uno psicopatico, un essere crudele e spregevole. L'unica cosa che ai miei occhi conta è il tuo perdono e il tuo amore. Quest'ultimo sentimento sono certo di averlo spento io stesso con le mie innumerevoli bugie, con il mio 'usarti', con il mio operato; eppure mentre eri lì seduta al banco dei testimoni a raccontare di tutte le cattiverie commesse dalle stesse mani che ora scrivono questa lettera, in quel preciso istante in cui ho incontrato il tuo sguardo, ho percepito che un po' d'amore per me è ancora sul fondo del tuo cuore.
Amore mio, spero davvero che tu e nostra figlia possiate avere quel rapporto di cui io vi ho private, che possiate recuperare tutti quei momenti a cui io ho assistito di nascosto cercando di starle accanto anche da parte tua, come se fosse possibile. A lungo ho sognato di vivere una vita diversa; la notte sogno ancora noi tre uniti sotto un unico tetto, una famiglia vera e spesso mi rendo conto di quanto tu abbia cambiato profondamente il mio animo: poiché mai e poi mai nella mia vita avrei potuto immaginare di fermarmi a desiderare di cambiare vita solo per poter vivere ogni minuto di tale essa con te e con Maura.

Mio unico grande amore, mia unica ragione di salvezza e speranza adesso ti lascio; salutami nostra figlia, anche se lei odia considerarsi tale.

Ricorda che ti amo e ti amerò sempre.

-Tuo, Paddy.”


Conclusa la lettera l'uomo dagli occhi celesti come il ghiaccio ripiegò attentamente la lettera che poi chiuse in un'apposita busta sulla quale segnò indirizzo del mittente e del destinatario e senza scomporsi consegnò la busta alla guardia che sedeva proprio fuori dalla sua cella. Quest'ultimo seppur grande come un armadio con la mano che teneva sulla pistola, la quale era ben chiusa nella fondina attaccata alla cintura, diede prova dell'essere letteralmente terrorizzato dal carcerato che si trovava a pochi metri da lui e che con un solo sguardo e un solo cenno col capo in direzione della busta, lo fecero rabbrividire al punto che la pistola stessa tremò nella sua piccola custodia. «Consegnala entro oggi.» Furono le uniche parole che Doyle pronunciò col suo solito tono da re del mondo, prima di dargli le spalle e tornare sulla sua brandina scomoda e disastrata esattamente come quelle di tutti gli altri carcerati del centro in cui si trovava a scontare una pena che era stata accentuata dalla testimonianza della donna da lui tanto amata. Paddy, però, non aveva alcuna intenzione di vendicarsi o di incolpare Hope: lui l'amava al tal punto che qualsiasi azione ella avesse commesso non avrebbe minimamente scalfito la perfetta immagine che l'uomo si era creato di lei. «Hope..» Sussurrò per l'ennesima volta il suo nome mentre le tenebre degli incubi attanagliavano il malvivente portandolo nel mondo dei sogni; quel mondo perfetto in cui lui aveva la sua famiglia accanto ad amarlo e venerarlo tanto quanto, nella vita reale, lui l'ama e venera.
Ma la vita reale in cui Paddy vive non è affatto dolce e perfetta e a dimostrazione di ciò venne il fatto che dopo una settimana Hope non aveva ancora risposto alla lettera d'amore. Questo, però, non fermò affatto il detenuto che, appena ebbe l'occasione, durante la sua ora d'aria, prese possesso di uno dei telefoni del cortile e non senza qualche esitazione digitò il numero del cellulare della donna; quest'ultima rispose dopo diversi squilli, probabilmente aveva riconosciuto il numero della prigione e una parte di sé le impose di rifiutare la chiamata e dedicarsi esclusivamente al suo lavoro, eppure ebbe il sopravvento la parte impulsiva, quella che ancora credeva nella redenzione dell'uomo che più aveva amato nella sua vita. «Hope..» La voce di Paddy così leggera e allo stesso tempo pesante, così dolce e ruvida colpirono la donna dai rossi capelli come la punta di un coltello in pieno petto tanto che per diversi secondi si sentì mancare il fiato. «Non hai risposto alla mia lettera.. Mi odi così tanto da non meritare nemmeno una risposta?» Quando ebbe ripreso fiato e fu tornata alla realtà Hope capì che aveva fatto un errore ad accettare quella chiamata e che avrebbe dovuto chiuderla immediatamente, ma mentre stava per farlo l'uomo dall'altro capo della cornetta interruppe i suoi pensieri con l'ennesima frase: «Prenditi cura di te e di lei, Hope.» A quel punto fu lui a riagganciare la cornetta alla base, lasciando così il suo posto ad altri detenuti troppo spaventati dalla sua fama per dirgli di sbrigarsi. Hope Martin rimase imbambolata col cellulare tra le dita e la guancia con lo schermo ormai spento e un gran vuoto dentro: avrebbe voluto urlargli quanto lo odiasse e quanto male lui le avesse fatto a causa del riciclaggio di soldi, dell'averla privata di vivere assieme a sua figlia e sopratutto di aver preferito la vita da mafioso a lei. Ma il motivo per cui non ci riuscì, il vero motivo per il quale Hope non fu in grado di spiccicare parola, era che, semplicemente, lei lo amava ancora, come sempre era stato e sempre sarà.

«Portami in cella.» Fu questo l'ordine che Doyle diede ad una delle guardie e che senza fare domande ubbidì riportando il detenuto nella cella di isolamento, mentre la dottoressa tornò al suo lavoro cercando di mascherare il rimpianto, il rimorso e l'amore per la persona sbagliata dietro un sorriso glaciale e gentile rivolto a tutti coloro che le erano intorno.
  
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