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Autore: ale93    11/03/2015    4 recensioni
«Ho visto altri esseri umani dissimulare, per non suscitare pietà, siete tutti così pieni di coraggio e determinazione- ma tu, tu giochi con te stesso. E’ questo che ti rende esausto e privo di forze, Dean.»
Di come il Marchio entra in contatto con Dean.
SPOILER 10x14
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Crowley, Dean Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Shattered (a light will guide you home)



 

Il materasso è un forno a micro-onde. Dean può sentire la sua stessa faccia staccarsi e colare via lentamente. Scalcia le lenzuola umidicce e rimane a gambe e braccia spalancate, a guardare le pale di ventilazione che cigolano sul soffitto e rimescolano sempre la stessa aria irrespirabile.
Sono settimane che la fottuta insonnia resta a pungolarlo nel fianco come un trilione di spilli minuscoli e infami. Non che il sonno sia mai stato il suo migliore amico, ma questo -il calore che sta per friggergli gli organi interni, il cervello che martella dietro la fronte e gli occhi pesti, la salivazione quantuplicata- è qualcosa di diverso. E’ il Marchio.
Con il dorso della mano si asciuga il labbro superiore prima che il sudore gli coli in bocca.

«Mai visto niente di più patetico» gracchia una voce roca dall’altra parte della stanza. Tutto questo non è reale e lo sa, è solo un’altra allucinazione. Una distorta, malata, stupida allucinazione, cazzo. Sono settimane che la sua testa ha deciso di mollare le redini per più di qualche ora al giorno, non è una novità. «Non capisco quale sia esattamente il tuo problema. Bu-uh, il bimbo non è più l’eroe di famiglia, perché il mostro dentro di lui fa i capricci. Povero, povero Dean! E’ troppo forte per te, non è vero? Stai perdendo la battaglia...» se quella voce avesse un corpo, anche solo il fottuto ologramma di un corpo, Dean lo prenderebbe a calci in bocca per tutto il perimetro del bunker. «Sono così strabiliato: ti stai commiserando! E’ uno spettacolo mai visto.»
In effetti quella voce un corpo ce l’ha. Ma non è davvero qui e Dean ha bisogno di non pensarci troppo, semplicemente perché non può permettersi di immaginare che razza di soddisfazione sarebbe se potesse tirare un pugno, o due, o trecento, sulla faccia che appartiene a quel tono da bastardo infame.
«Puoi ficcarti il tuo sarcasmo su per il culo, Crowley» sputa fuori a denti stretti. Non sa nemmeno perché l’ha fatto, che senso ha parlare con un incubo? Cristo santo, era questo che Sam provava quando la faccia di Lucifero gli appestava il cervello?
«Oh, Dean» può sentire della pena in quella voce. Vomitevole, schifosa pena. «Sei così adorabile; sempre ancorato alle tue vecchie battute di classe, così sofisticate… potresti cambiare repertorio, ma lo sappiamo tutti che sei un orsacchiotto sentimentale, che carino. Eppure devo dire che ti preferivo quando eri il mio braccio destro, il mio compare. Bei tempi. Eri così libero...»
Dean guarda la sua mano destra tremare e serrarsi e, anche se quello che avverte è il desiderio di sentire il peso di un’impugnatura sul palmo, non si ribella a quello spasmo. Stringe più forte il pugno e ringhia una risata. «Libero di essere un fottuto mostro.»
«Uhm, questo non è del tutto corretto, Dean. Tu sei ancora un mostro, lo sarai sempre, con ogni probabilità una parte di te lo era già da tempo, sotto tutte quelle tonnellate di drammi familiari e ammorbanti e perversi scambi d’amore fraterno. Mmmh, che tenerezza. Ma con me...» Dean avverte uno spostamento d’aria nella camera, come se la voce si stesse avvicinando. Cosa, le allucinazioni hanno effetti speciali migliori di Avatar, adesso? «Oh, con me, Dean, eri un vero spettacolo. Quello che voglio dire è che eri privo di inibizioni, senza pesi sulle spalle, saziato. Te la ricordi quella beatitudine che provavi quando sentivi ossa spezzate sotto le dita? Ed era- è un bisogno così viscerale, che assecondarlo ti mandava su di giri… era un piacere così puro...»
«Molto commovente. Ti piace sfogliare l’album dei ricordi. Sai cosa sarebbe stato il massimo? Se mi fossi sfogato su di te, figlio di puttana.»
La voce si lascia sfuggire una risata deliziata. Dean non sa distinguere la fantasia dalla realtà al momento, a quanto pare, ma la rabbia, beh quella è un’altra storia, la riconosce in fretta. E’ la compagna di una vita. Può sentirla ringhiargli nel petto e graffiarlo, lasciarlo sanguinante. E' stramaledettamente vera.
«Ma non puoi farlo, oh no,» strilla Crowley «proprio non puoi! Pensa che orrore, se mi uccidessi, se mi schiacciassi finalmente come un piccolo insetto, come hai sempre sognato. Sarebbe esaltante, lo ammetto, tutto quel sangue, il tuo bel faccino distorto dal piacere, prima di morire potrei addirittura eccitarmi-»
«Non m’interessa se la mia allucinazione si fa le seghe pensando a me, sai, ho già abbastanza motivi per vomitarmi in bocca.»
«-se non fossi diventato un traditore! Uno schifoso, insulso bugiardo. CON ME CHE TI AVREI AFFITTATO LA LUNA, DEAN! E tu vuoi uccidermi. Ah, scherzi del destino. Ma se lo facessi davvero, se tu andassi fino in fondo, daresti inizio ad un catena di eventi terribile, non è vero? Adesso lo sai… se uccidi me, sarà poi il turno di» la voce si abbassa di un’ottava, in una pessima imitazione «Castiel, fedele servitore di nostro Signore Dean Winchester! Un angioletto da compagnia. Onesto, leale... melenso. Peccato gli resti davvero ben poco di angelico. Di nuovo.» Dean ha bisogno di alzarsi, camminare fino al lato opporto della stanza e sfracellarsi la testa contro il muro del bunker spesso otto metri e rinforzato di cemento. Pur di non sentire. «E infine toccherà alla nostra bella Samantha, l’ultimo appiglio alla tua umanità, il fratello adorato. Per questa gente hai dato tutto, Dean. E che ti resterebbe poi? Un’eternità di dolore atroce e rimpianti e sensi di colpa, neppure l’Inferno che hai conosciuto potrebbe arrivare a tanto. E credi ancora che io sia il cattivo di questa storia, sul serio? Chi è il vero mostro da far fuori, Dean, chi è la vera, inquietante minaccia?»
Dean sente la sua mascella serrarsi per un secondo e le palpebre stringersi così forte che potrebbero esplodergli i bulbi oculari. Può sopportare una vita a sguazzare nella merda di ogni essere soprannaturale che si è messo sulla sua strada, di ogni creatura corrotta che ha avuto il piacere di scuoiare; può sopportare il dolore sordo sul fondo del petto e tutte le stronzate da ragazzina sul sentirsi destinati ad una vita ingiusta e malata, può sopportare tutte le volte in cui lui stesso si è trasformato nel peggior incubo di ogni singolo essere umano sulla faccia della Terra, ma non questo. Non che si usi la sua famiglia per aizzare quello schifo di mostro che ha in corpo. Non questo. «Stai giocando a The Mentalist1 con me, ahn? Stai cercando di rivoltarmi il cervello per farmi incazzare, così, tanto per vedermi trasformare nella versione sovrannaturale di BTK2 perché inizi a massacrarti? Beh, non sei un granché, fattelo dire. Potrei trovare il modo di staccarti ogni pezzetto di pelle, sai? Uccidere te non significa niente, non farò mai del male alla mia famiglia. MI HAI SENTITO?»
Un soffio di fiato accanto al suo orecchio gli fa accapponare la pelle, «ne sei davvero così sicuro, Dean?».

Resta ad ascoltare il cigolio delle pale di ventilazione e il suo stesso respiro, affannato come avesse corso la maratona giusto un paio di volte. C'è solo silenzio.
Va avanti così per qualche minuto e ne è così grato che potrebbe farsi una sana dormita, arrivederci mondo. Alla fine, pensa, è tutto così stupido: la sua vita è un fottuto viaggio ai confini della realtà da quando hanno iniziato a spuntargli i denti da latte, forse anche da prima, e lui riesce ancora ad andare fuori di testa? Dovrebbe essere preparato a questo. Dovrebbe essere un soldato più forte, con la corazza più dura.
Dovrebbe semplicemente aprire uno stipetto nella sua testa e ficcarci dentro questa scheggia che si è sfilato dalla mano, quest'ennesima follia che sta vivendo, la metterebbe accanto a tutto il resto, senza pensare troppo a quanto sanguini la ferita. E dovrebbe prendere quello stipetto, imballarlo per bene, potrebbe intagliarci su persino uno di quei simboli di protezione che conoscevano papà e Bobby, e insabbiarlo. Mettere tutto da parte. Ha un cimitero pieno di quella roba, da qualche parte, dentro di lui, per tenere le stronzate come il dolore, l'emotività e i sentimenti lontano il più possibile. Non aiutano a combattere e di certo non salveranno Sam o Cas o lui stesso.

All'improvviso sente tutti i suoi muscoli tendersi come prima di un attacco. Ci sono dei rumori al di là della sua porta. Qualche passo, un fruscio, un bussare quasi impossibile da sentire. Deve aver svegliato qualcuno con i suoi monologhi da ospedale psichiatrico alle tre del mattino.
«Dean» sente sussurrare, mentre la porta si schiude con tanto di lamento dei cardini degno della miglior casa delle streghe. Apre un occhio nel buio e riconosce la figura rigida di Castiel.
Oh, ma dai, fantastico.
L'uomo resta a guardarlo con la fronte aggrottata, immobile sulla soglia della camera. Ha ancora addosso l’impermeabile, la cravatta e il completo scuro, pacchetto completo. Sembra lo stramboide di sempre.
Dean sospira, asciugandosi la fronte sudaticcia con un lembo del lenzuolo. «E’ ok, Cas, solo uno stupido incubo.»
E si mette in piedi, gettando all’aria il cuscino. Supera Castiel, dandogli le spalle per recuperare un paio di boxer puliti dall’armadio, perché se proprio non può dormire, allora ha bisogno di una dannatissima doccia fredda. «Non è stata una gran trovata quella di mangiare messicano prima di andare a letto, eh?» Dean ride scuotendo la testa. Lo fa il più possibile, nel bunker: scherzare. Ridicolizzare va bene, bere un goccio ogni volta che la testa mette su il cartello “torno fra poco” va bene, fare il coglione va bene.
Finirla con tutto questo significherebbe perdere il controllo sulle poche cose che tengono in piedi Dean Winchester: l’alcol, le sue stronzate, le persone che ha a cuore.
Castiel lo fissa in silenzio per qualche attimo, inclinando la testa. Dean nota una specie di sorriso storto sulla sua faccia, nel complesso ha un’espressione benevola, ma decisa, ferma. Assomiglia terribilmente al soldato del Signore che ha conosciuto anni fa. «Non sei stanco, Dean?» mormora alla fine, lasciando scivolare la mano dalla maniglia della porta per portarla al collo e allentare il nodo della cravatta.
Dean scrolla le spalle, abbassando lo sguardo sulle sue stesse dita, e sorride. Cas va proprio dritto al punto, eh? «Mi prenderei volentieri una vacanza alle Barbados, sì, grazie.»
Il sorriso di Castiel resta sospeso, non sparisce e non si accentua, è un alone che Dean sbircia solo di tanto in tanto. «Non penso tu sia nelle condizioni di raggiungere un’ isola delle Piccole Antille, al momento, ma puoi riposare. Sei esausto, devi dormire.»
«Semplicemente non posso. Insonnia, o roba del genere, sai.»
Raccoglie la sua roba e se la schiaccia contro il petto, mentre raggiunge il bagno a piedi nudi. E spera che Cas non lo stia fissando con quella sua aria piena d’inquietante e infantile curiosità, perché, francamente? Non è il momento per farsi vedere in boxer, t-shirt e merdose paure che lo riempiono dalla testa alle dita dei piedi. «Io, ora, sai… faccio una doccia. Dovrebbe aiutare, credo» sorride ampiamente e gesticola col pollice verso la porta del bagno. Avrebbe dovuto suonare come qualcosa di rassicurante. In un qualche universo parallelo.
Castiel annuisce, ma non si schioda. Impalato sulla soglia della camera, osserva i movimenti di Dean come fosse una rarissima specie di anfibio del Rio delle Amazzoni.
«Il Marchio ti sta dando delle allucinazioni.»
Questa non è una domanda, non c’è neppure un accenno di domanda. Questa è semplicemente un’altra delle impostazioni di default di Castiel. Fa questa cosa, che puoi avvertire fisicamente, con tanto di capelli che si rizzano sulla nuca: ti guarda, attraverso strati di pelle cicatrizzati male e tessuti e organi interni, come se valesse sempre la pena di scavare sotto la superficie, tra i rottami. Come se volesse arrivare al cuore della materia.
«Cas, è come se avessi un dannato proiettore nella testa che mi bombarda il cervello con immagini di brunette sexy vestite da diavolesse. Dovresti provare» mormora, facendo schioccare la lingua contro i denti e ammiccando. Fa solo quello che gli riesce meglio: l'idiota; è tutto ciò che ha a disposizione al momento.
I suoi boxer con il logo di Superman pendono mollemente dalla sua mano destra, Castiel li fissa con un sorriso malinconico.
«Ho sempre cercato di comprendere questo tuo modo d’essere, Dean, questa maschera che indossi quando soffri» Castiel s’inumidisce le labbra, cercando di mettere in parole semplici il concetto che vuole spiegargli. Dean non si è mai offeso nell’intuire l’incredibile intelligenza di Cas, non si sente stupido quando cerca di rendergli più facile il processo di capirlo. A Sam spaccherebbe il setto nasale ogni volta che sale in cattedra, ma Cas… lui la fa sembrare una cortesia. «Ho visto altri esseri umani dissimulare, per non suscitare pietà, siete tutti così pieni di coraggio e determinazione- ma tu, tu giochi con te stesso. E’ questo che ti rende esausto e privo di forze, Dean.»
Dean non ha idea di cosa possa rispondere ad una cosa del genere. Al modo che ha trovato Castiel per dirgli “con me non hai bisogno di fingere” e anche “smettila di nasconderti in un sacco da venti tonnellate di sbruffonaggine”.
«Dobbiamo davvero avere questa conversazione? Ora?» Si lascia cadere sul letto, abbandonando tutti i piani a proposito di una doccia gelida e di vestiti freschi, sarebbe stato comunque inutile. Chiude gli occhi e si prende la testa fra le mani, forse è l’unico modo per non lasciarsi andare in pezzi, dopotutto.
«Non ti porterà a niente tutto questo, lo sai. Fingere che sia tutto sotto controllo non rende me e Sam meno preoccupati per te.»
«Sbattervi in faccia quello che mi succede non servirebbe a un cazzo di niente, comunque.»
Castiel si fa vicino e continua a guardarlo con quell’intensità che di tanto in tanto gli ha fatto sentire un vuoto nello stomaco e lo ha lasciato con la vaga sensazione che potesse vedere cosa ha mangiato a colazione tre giorni prima. Dean può avvertire quello sguardo come un tocco. Sbircia l’espressione di Castiel schiudendo appena gli occhi.
«Sei un uomo, Dean, e hai sopportato più di quanto qualunque creatura potesse fare… è giusto ammettere di essere stanchi. E’ lecito essere spaventati» Castiel allunga una mano gelida, screpolata, e la posa sul suo avambraccio. Dean continua a fissare il movimento e il modo in cui le dita di Cas si stringono sul suo braccio.
«Ti farebbe sentire tanto meglio se lo dicessi ad alta voce ancora una volta?»
«No, Dean, e non aiuterebbe te. Ma non puoi sempre indossare l’armatura da eroe, puoi lasciar andare, sai...»
Ed è questo che lo colpisce dritto in faccia come un moscerino spiaccicato contro un parabrezza quando vai a duecento chilometri orari senza limitatore. Le mani, la voce, le merdate che escono da quella bocca- questo non è Castiel. Questo è ancora lo stramaledetto Marchio. E’ il suo modo di persuaderlo ed è orribile e schifoso come niente di tutto quello che ha accoltellato, bruciato e ammazzato nella sua vita.
Avere un’allucinazione di Crowley lo ha fatto arrivare ad un tanto così dall’ubriacarsi fino a non sentire i suoi pensieri, ma usare Castiel… la sua immagine e il suo sguardo ingenuo, la sua sincerità- questo è il fondo in cui avrebbe dovuto aspettarsi di dover sguazzare.
«Vieni fuori anche tu, Sam» si ritrova a mormorare, scrollando la spalla per liberarsi del tocco del falso Castiel.
L’incubo schiude la bocca in un’espressione che vorrebbe essere sorpresa. Non assomiglia neppure lontanamente a quella che farebbe Cas. «Come, prego?»
«SAM, CAZZO, FATTI AVANTI» grida, con la mano premuta contro la fronte sudata. Sotto le dita sente una vena pulsare allo spasmo. Sarebbe carino se esplodesse, una volta per tutte. «Manchi solo tu alla festa! Il tuo riflesso, almeno, scommetto che sarebbe ancora più dettagliato. Guarda che bel lavoro ha fatto il Marchio con Cas» si volta verso la copia carbone del suo migliore amico e non può fare a meno di stupirsi e incazzarsi per quanto sembri così reale e così finto nello stesso momento. «Cristo santo, sembri proprio lui. Ma una versione piena di schifo fino al collo.»

La bocca dell’incubo si allarga in un sorriso profondo, con le guance tirate e gli occhi socchiusi. Dean odia quello che la sua testa gli sta facendo. «Torniamo sempre al punto di partenza con te, Dean, non è vero?» Il falso Castiel si sporge verso di lui, serrando ancora una volta la mano sul suo braccio, sta volta imprimendo una forza che Dean percepisce come una minaccia. Vorrebbe rabbrividire, ma si prenderà a calci per il sedere per trent’anni prima di darlo a vedere. «Siamo la tua debolezza. Sam ed io. Ti rendiamo fragile. Dopo anni in cui hai visto morire tutte le persone a cui avevi regalato una parte di te stesso: i tuoi genitori, l’uomo che ti ha tirato su quando non c’era tuo padre a farlo, Ellen, Jo… non puoi permettere a te stesso di accettare l’idea che ci siamo, Dean: perderai anche me, perderai anche Sam.»
«No» ringhia senza fiato, le labbra secche e fredde in una stanza che sembra andare a fuoco.
«Non devi essere così duro con te stesso, no… Non puoi farci nulla. Non dipende più da te e lo so quanto dolore ti stia causando tutto questo, oh, Dean» l’allucinazione si fa più vicina al suo viso, Dean guarda il luccichio di una scia di saliva sulle labbra del falso Castiel, prima che questo posi la bocca direttamente sul suo orecchio. «Hai un cuore così grande, ci ami talmente tanto...» Sente le labbra umide contro il lobo e non può fare a meno di spingersi le mani chiuse a pugno contro gli occhi. «Dean, sappiamo quanto ci ami, noi lo sappiamo, ti perdoneremo, lo sai… non dipende da te, non è una tua responsabilità...»

Dean si scuote, tenta di allontanarsi dal tocco falso e sporco e ingiusto dell’incubo, ma sembra che non sia abbastanza. I muscoli non rispondono agli impulsi, i movimenti delle sue braccia e delle sue gambe sono smorzati, come se qualcosa lo stesse incatenando.

Dean.

Non sa neanche se sarà capace di liberarsi di queste allucinazioni. Sam non ci è mai riuscito del tutto. Con la ferita alla mano, però, quando spingeva il pollice sulla carne viva, era andata meglio. Per qualche minuto Sam riacquistava lucidità. Potrebbe provarci anche lui, non sarebbe un grande affare. Potrebbe affettarsi il mignolo per avere indietro un briciolo di realtà.

Dean!

E’ divertente il fatto che Crowley sia andato via in fretta e che l’illusione della voce di Cas invece continui a ronzargli nel cervello, come un insetto che continua a sbattere contro le pareti di un barattolo nel tentativo di romperlo. Dean non si spaccherà, Dean non andrà in mille pezzi.

DEAN, GUARDAMI.

O forse lo ha già fatto, forse è già andato, completamente bruciato. Sarebbe una gran bella chiusura, può già immaginare il sipario calato; niente applausi per la fine dello spettacolo della vita di Dean Winchester, però. Né fiori, né torte. Che spreco.

Dean, Dean, Dean-

C’è una mano che si chiude sul suo braccio sinistro, appena più in basso delle spalla, dove la pelle di Dean è sottile, bianchiccia, e formicola ancora in ricordo di una vecchia bruciatura. Quella mano sta facendo di tutto per lasciare una seconda fottuta impronta. Quella mano è reale tanto quanto una ferita ancora aperta.

Dean, avanti.

Ad occhi chiusi afferra il polso che lo sta strappando via alle allucinazioni e ci si aggrappa.
«Dean, che ti succede...»
Nella mente di Dean qualcosa urla che questa è la realtà, che è finita, che può prendere a calci le allucinazioni, chiudere il Marchio in un angolo della testa; qualcosa urla che questo è Castiel, è Castiel, è Castiel. E la sua voce è tremante, spezzata. Umana. E’ sua.
«Hai un millennio a disposizione per una psicanalisi?» fa una smorfia, mentre stropiccia con le dita il polsino della camicia di Cas. «E’ ok. E’ ok… è passato, credo» ma un’ondata di panico si rovescia sulla sua testa. Dean apre gli occhi nel buio per guardare l’espressione cupa di Castiel. «Che hai sentito?»
«Non molto. Ti lamentavi, per lo più. Eri angosciato. Dean, io-»
Il modo assurdo in cui sono aggrappati l’uno all’altro ha superato da un bel pezzo la linea dell’accettabile e sta sconfinando rapidamente nell’imbarazzante, così Dean lascia scivolare via la mano dal polso di Castiel e si gratta la nuca per smorzare l’eccessiva intensità dello sguardo che ha addosso. «Woha, Cas, sempre il solito vizio di fissare la gente mentre dorme. Devi fartela passare.»
Castiel smette di stringergli con forza la spalla e per una frazione di secondo Dean può vedere il dolore nei suoi occhi, prima che lo lasci andare del tutto. Castiel fa vagare lo sguardo per la camera come se potesse cercare lì dentro delle risposte, come se stesse pregando per un rimedio. Cas è sempre in cerca della soluzione, dell’espediente che possa alleviare i mali di Dean.

Sa perché Castiel era lì fuori, sa che lui e Sam fanno il possibile per tenerlo d’occhio, sa che ha ascoltato gran parte dei suoi deliri. Sa anche che Cas non dirà ad alta voce niente di tutto questo per non farlo sentire uno stupido.
«Prova a ripo-»
«Cas,» si lamenta Dean, la bocca piegata in una smorfia «non dirlo.»
Castiel annuisce, il letto cigola e sobbalza per l’improvvisa mancanza del suo peso quando si mette in piedi e si allontana. Dean ne osserva la sagoma alla luce fioca che proviene dal corridoio, è una figura stanca, curva, eppure incute ancora rispetto. E’ qualcosa che Dean non capirà mai, è qualcosa che Castiel si porta dietro come un mistero di fede, una di quelle stronzate bibliche che credeva sarebbe sparita con l’andar del tempo, ma non accadrà. Anche tra un milione di anni Cas sarà sempre Cas, anche senza la sua grazia, anche con le spalle martoriate dal peso dei suoi stessi errori, delle sue battaglie, sarà l’angelo che si è ribellato, è caduto ed ha imparato ad essere uomo. Perché ha scelto per sé.

«Dean,» mormora Castiel quando è ormai sulla soglia della camera «il Marchio non dice chi sei stato, chi sei e chi sarai. Non lasciare che scriva il resto della tua storia.»
Dean pensa che ci sono stati momenti in cui ha dovuto strapparsi di bocca le parole più difficili della sua vita: un solo “ti voglio bene” per Sam in tutta la sua fottuta esistenza, un “mi manchi” per sua madre Mary; le parole destinate a suo padre sono ancora tutte infangate sul fondo del suo petto, invece, ma le recita a memoria nella sua testa da anni.
E poi c'è un infantile, stupido, fragile “ho bisogno di te”, per Cas.
Adesso, pensa, che sta per andare tutto a puttane, ora che lui sta per andare a puttane definitivamente, dovrebbe farlo ancora. Dovrebbe decidersi ad avere uno dei suoi momenti da ragazzina prima che sia troppo tardi e possa ritrovarsi con la luce spenta. Sarebbe giusto, in qualche modo.
E per un attimo interminabile crede di stare per farlo sul serio, sente il suo battito prendere talmente tanta rincorsa che per la centesima volta in una notte è praticamente certo di poter crepare d’infarto, sarebbe epico, porca miseria. Sa di avere un grumo di parole da qualche parte in fondo allo stomaco, ma non le capisce, sono lì da anni e sono sempre le stesse crede, ma non ha mai trovato la forza di stuzzicarle, di analizzarle. E no, non può farlo neanche ora, sfortunatamente. Non ce la farebbe. Non è bravo con quelle stronzate sentimentali.

«Ho due buoni motivi per continuare a combatterlo ancora» è tutto ciò che riesce a tirare fuori.
Può vedere la linea delle spalle di Castiel ammorbidirsi e una delle sue mani appoggiarsi allo stipite. Non sa come esattamente, ma sente il sorriso di Cas senza bisogno di vederlo. «Ho ancora un po’ di fede. Ed è riposta in te, Dean.»
«Non dovresti dirlo. Non sono un tipo raccomandabile, sai.»
«Non è la verità. Sei molto più che raccomandabile, sei leale a te stesso. E hai infranto tutte le regole che si potessero infrangere, per questo, Dean Winchester. Non piegarti adesso.»
Castiel batte il palmo della mano sull’infisso in legno un paio di volte, a mo’ di saluto, ed è un gesto così umano che Dean sente dell’orgoglio accendersi nel petto. E qualcosa d’altro, qualcosa d'indecifrabile e spaventoso come un baratro, che potrebbe farlo piangere, che a dire il vero potrebbe far piangere tutti gli uomini più cazzuti del pianeta.

Non vuole tradire quella fiducia, dannazione, vorrebbe essere forte abbastanza per legarsi al dito, come un nodo impossibile3, la promessa che non smetterà di lottare, che non si arrenderà. Che terrà al sicuro Castiel e Sammy e che trovarà il modo di fermarsi.
Vorrebbe poter mentire.

«Ehi, Cas» sussurra, Castiel gira appena il viso nella penombra, non lo guarda negli occhi. «Salverai ancora la situazione?»
Manterrai la promessa che mi hai fatto? è quello che Dean non ha il coraggio di dire. Ho ancora bisogno di te.

Castiel solleva finalmente lo sguardo su di lui per un lungo momento, senza dire una parola. Sotto a tutta la disperazione, Dean riesce a vedere una linea di speranza nella sua espressione. Ed è quella a bruciare di più, è quella a fare più male.
Cas esce silenziosamente di scena, senza chiudersi la porta alle spalle. A Dean sfugge un sorriso amaro al pensiero che resterà appostato a qualche metro di distanza al massimo dalla sua stanza, seduto sul pavimento con la nuca abbandonata contro la parete, come lo ha sorpreso almeno un centinaio di volte nelle ultime settimane.
Guarda i vestiti puliti che ha finito per sparpagliare sul pavimento in preda alle allucinazioni e pensa che può aspettare ancora qualche ora per una doccia gelida. Non dormirà, non è così facile, ma potrà starsene con la testa contro il cuscino a fissare il soffitto in santa pace. Può riposare qualche attimo.

«Lo sai, mi dispiace, mamma: niente angeli» dice all'improvviso. «E' giusto che tu lo sappia. Non sono mai stati a vegliare su di noi, su me e Sammy, non come avresti voluto tu» Dean espira forte dal naso e la sua bocca si riempie di una risata stupida e amara. «Tranne Cas. Ti piacerebbe.»
Si sente ridicolo, così smette di parlare ad alta voce, ma il pensiero è forte e chiaro come se lo stesse gridando ai quattro venti.
Nessun miracolo per Dean Winchester. Solo due buone ragioni ad impedirgli di affondare ancora per un po'.









 NOTE:

1The Mentalist può essere inteso come riferimento sia alla figura generica del mentalista, sia alla serie televisiva.
2BTK è un serial killer che uccise 10 persone nella Contea di Sedgwick tra il 1974 e il 1991. Conosciuto come BTK Killer, che significa "bind, torture and kill".
3Il nodo impossibile, come suggerisce il suo nome, è il famoso nodo impossibile da sciogliere.

 

   
 
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