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Autore: renachan    13/12/2008    3 recensioni
Il rosso lo aveva abbracciato da dietro, gli aveva scostato i capelli dal viso, per renderlo più visibile, e lo avevano guardato insieme per qualche minuto.
-il segno rosso sulla fronte sembra una stella…-
Gli aveva detto, baciandogli il collo.
-questa sembra una lacrima-
Aveva replicato lui, toccandosi la guancia sinistra, rabbrividendo.
Lavi lo aveva stretto ancora di più, godendosi del calore del più piccolo come se fosse stata l’unica cosa logica e inevitabile da fare in quel momento. Erano rimasti così, in piedi davanti allo specchio, per diversi minuti, fino a quando una lacrima salata non aveva seguito il percorso della lacrima rossa sul viso di Allen.
Genere: Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Grazie di aver aperto questa pagina!

Questa storia è una Lavi/Allen estremamente triste e sentimentale, me ne rendo conto, quindi se quando avete finito di leggere avete perso la voglia di vivere potete anche sfogarvi su di me °-°

È ambientata in un universo alternativo, non chiedetemi quale perché non ci ho pensato ù_ù non direi proprio ai nostri giorni però, perchè certe cose oggi non accadono, ci sono molte più cure.

Preannuncio che Kanda sembra un mostro insensibile, ma non era mia intenzione XD lo considero più una persona che stava soffrendo ma che non voleva ammetterlo o farlo vedere, per non aggiungere altra tristezza nel cuore del povero Lavi ç__ç insomma, cercava di essere forte per tutti <3

Spero l’apprezziate almeno un minimo…buona lettura





Lo guardava, ma lui no, lui fissava il vuoto e camminava piano, un passo alla volta, con attenzione, come se ogni minimo movimento fosse fatale. I occhi di lui erano distanti.

Tutto era sbagliato, tutto era ingiusto e tutti erano colpevoli. Tutto era disperazione. Tutto era vuoto. Tutto si concentrava in quelle poche parole che sconvolgevano la mente e la intossicavano, fino a quando Lavi non si accorse di essere ancora vivo e che quel intenso dolore proveniva solo da dentro. Dentro: una parola che non si sapeva spiegare, che non capiva, ma sapeva di certo che esisteva perché in quel momento gli doleva così tanto da annebbiargli i sensi.

Lavi gli toccò una spalla e solo allora Allen si accorse che era lì, che era preoccupato e allora sorrise, tristemente e in modo orribilmente ipocrita.

Le mani gli tremavano e l’unica cosa che il rosso riuscì a fare era abbracciarlo: l’unica che potesse fare. L’unica cosa che il suo cervello stordito gli diceva di fare.


-s-sto bene…-


Che dire? Che fare in un momento del genere?

In un momento come questo cosa si può considerare importante e cosa no?

Gli passò un braccio intorno alle spalle e lentamente lo condusse verso il loro appartamento. Allen si aggrappò con forza alla sua maglia, stringendolo più vicino ad ogni passo.

Lavi si odiava, per non sapere cosa dire, cosa fare, come consolarlo! In un momento come quello era assolutamente inutile e questo lo distruggeva.

Se esisteva un Dio, non era buono e giusto.

Se esisteva un Dio, lasciava il destino dell’uomo nelle mani del fato, che tagliava il filo delle vite assolutamente a caso.

Una cosa come quella non poteva essere giusta, né avere un significato!

Un rosso con lo sguardo perso ed un ragazzino con i capelli bianchi totalmente sconvolto che camminavano quasi abbracciati, la folla gli passava avanti senza capire, alcuni ridevano, altri li guardavano solo. Tutti non capivano.

Lavi sentiva la paura, la disperazione anche, provenire dal più piccolo come un’onda che non sapeva come fermare e che lo stava violentemente assalendo.

Si sentiva disperato, frustrato, triste. Smarrito. E lo faceva soffrire il pensiero che, se lui si sentiva così, Allen cosa stava provando? Quanto poteva essere grande il suo dolore? La sua paura?

Quanto doveva sentirsi totalmente incondizionatamente perso?

Mentre salivano le scale incrociarono una voce familiare e fin troppo canzonatoria.


-che hai fatto mammoletta?-


Alzò lo sguardo e riconobbe la figura dai capelli scuri e gli occhi sprezzanti che li guardava dall’alto della scalinata.


-hai scoperto di essere una donna?-


Un brivido di rabbia fece tremare Lavi, che si trattenne dal picchiarlo solo per non lasciare il ragazzo convulsamente attaccato alla sua maglia.


-io salgo…-


Allen si staccò dal suo petto e continuò a salire le scale, avrebbe voluto seguirlo, ma non poteva lasciare un idiota come Kanda in libertà senza sapere nulla.

Aspettò di sentire il ragazzo chiudere il portone di casa per spiegare al giapponese il resoconto della giornata.


-Kanda…Allen ha…-


Rimase in silenzio per un po’ e il moro lo guardò scocciato, scendendo qualche scalino con l’evidente intento di andarsene per la lentezza del rosso.


-avrà scoperto di essere un ermafrodito…-


Lavi serrò i pugni e abbassò la testa, come se si sentisse colpevole per le parole che stava per pronunciare, come se anche solo pensarle facesse male, come se ammettendolo ad alta voce sarebbe diventato tutto più reale.

Che razza di uomo era? Non era capace neanche di dirlo, come poteva pretendere di aiutare il diretto interessato?


-ha un tumore-


Kanda si bloccò qualche scalino più in basso del rosso e sgranò gli occhi. L’incredulità nei suoi occhi era qualcosa che non tutti potevano vantarsi di aver visto, ma Lavi avrebbe preferito non vederla. Avrebbe voluto che rimanesse il Kanda irascibile di sempre e soprattutto avrebbe voluto che Allen non fosse il protagonista di quella conversazione.


*


Il rosso scivolò per la parete, accasciandosi sugli scalini coprendosi il viso con le mani. Si sentiva così un incapace! Si sentiva inutile, stupido e non gliene importa neanche nulla perché il dolore era così intenso da coprire tutto.

Allen non usciva dal letto da quattro giorni. Non era che piangeva o cose simili, rimaneva solo disteso persino con gli occhi aperti, a riflettere, pareva. Se gli chiedevano a cosa stesse riflettendo guardava l’interlocutore e sorridendo con poca convinzione rispondeva che stava pensando alla vita.

Non mangiava, beveva a malapena e non si riusciva ad avere una conversazione sensata.

Kanda, Lenalee e Komui lo venivano a trovare spesso, con diverse scuse, dal latte che mancava a un libro preso in prestito che dovevano restituire, ma nulla sembrava toccarlo.

Nemmeno Lavi.

Era come se stesse rielaborando l’informazione ricevuta e c’era qualcosa che bloccava la comprensione dei dati. Era terribilmente frustrante.

Lavi lo aveva trovato una volta in bagno a fissare nello specchio il segno rosso a forma di fulmine che si estendeva per la guancia. Il rosso lo aveva abbracciato da dietro e gli aveva scostato i capelli dal viso, per renderlo più visibile, e lo avevano guardato insieme per qualche minuto.


-il segno rosso sulla fronte sembra una stella…-


Gli aveva detto, baciandogli il collo.


-questa sembra una lacrima-


Aveva replicato lui, toccandosi la guancia sinistra, rabbrividendo.

Lavi lo aveva stretto ancora di più, godendosi del calore del più piccolo come se fosse stata l’unica cosa logica e inevitabile da fare in quel momento. Erano rimasti così, in piedi davanti allo specchio, per diversi minuti, fino a quando una lacrima salata non aveva seguito il percorso della lacrima rossa sul viso di Allen.


*


Una notte Lavi fu svegliato dall’agitazione del più piccolo, che si dimenava e mugugnava nel sonno. Cercò di farlo svegliare dolcemente, ma Allen, forse aveva sentito il tocco della mano del rosso sulla spalla, si destò all'improvviso e con uno sguardo spiritato.

Il più grande lo abbracciò, come sempre era l’unica cosa che potesse fare, e cercò di capire cosa lo avesse agitato così tanto.

Allen cominciò a delirare parlando di Noè, di carte che scrivono il destino, di canzoni per pianoforte maledette e di uomini col cilindro che stavano venendo a prenderlo.

Continuò per un po’ a parlare di assassini e maledizioni, di qualcuno che lo stava venendo ad uccidere.

Dopo un po’ si calmò e si rese conto delle sciocchezze che stava dicendo.

Lavi non riuscì più ad addormentarsi, ossessionato da stridenti canzoni al pianoforte.


*


Allen girava il cucchiaio nel piatto con il brodo come se solo con la forza del pensiero avrebbe potuto inghiottirlo e il rosso lo guardava ansioso di vederlo mettere in bocca qualcosa.


-forse…ho fatto qualcosa di sbagliato…-


Lavi si costrinse ad assumere un’espressione stupita e strinse dentro ai pugni tutto il dolore che la sua espressione gli stava procurando.


-non dirlo neanche!-

-allora perché…?-


In questi momenti si chiedeva a cosa fosse servito leggere così tanto, sprecare tutto quel tempo sopra ai libri, studiando teorie e analisi, se non sapeva rispondere a nessuna delle sue domande.


-…non lo so, Allen. So solo che non è una tua colpa, di questo puoi essere sicuro-


Lavi disse di aver sentito distintamente un - è la maledizione-, ma quest’ultimo smentì categoricamente.


*


Lavi si sedette in modo poco elegante sul divano, occupandone più della metà, e rigirò il vino dentro al bicchiere con aria annoiata. Guardò il nonno parlare di non capiva bene qualche paese straniero con un uomo che aveva i baffi stile Hitler e Komui che cercava di minacciare qualunque uomo cercasse di parlare con Lenalee. Solita serata. L’unico elemento di disturbo nel loro quotidiano equilibrio era un uomo con i lunghi capelli rossi che aveva bevuto da solo due bottiglie di vino e aveva provato ad attaccare bottone con ogni singola donna presente nella sala, esclusa Lenalee ovviamente.

Era un certo Crossqualcosa, amico di vecchia data del panda. Non capiva bene come un uomo del genere potesse avere contatti con il vecchio, ma col tempo aveva imparato ad ignorare le strane amicizie del nonno.

Sentì il divano abbassarsi sotto il peso di un altro corpo e quando si girò incontrò una testa bianca e uno sguardo amichevole.

Era Allen Walker, il suo nome si che lo ricordava, era venuto insieme a quel Cross e Lavi non gli aveva tolto gli occhi di dosso per tutta la cena.

Come fai a non essere incuriosito da un ragazzo dai capelli bianchi?


-ma fa sempre così…?-


Disse, indicando l’uomo spaparanzato su una poltrona a ingurgitare vino e parlare con una donna dai capelli biondi che lo stava palesemente ignorando.


-oggi è addirittura tranquillo-


Lavi fischiò stupito e si mise in una posizione più adatta al nipote del padrone di casa.


-allora Allen…perché sei qui con lui? Ti prego dimmi che non siete parenti!-


Il ragazzo sorrise, ma il rosso poteva giurare di aver visto un’ombra di terrore attraversare il suo viso.


-assolutamente no! In questo momento Cross è il mio tutore-

-in questo momento?-


Quello strano ragazzo lo incuriosiva, era una persona con un passato, glielo si leggeva in faccia, e il suo animo curioso doveva assolutamente conoscerlo.

Allen quella sera gli raccontò della sua infanzia, del fatto che era un orfano che un uomo di strada aveva raccolto dalla strada, ironia della vita. Raccontò del fatto che Mana, così si chiamava il pagliaccio che lo aveva preso con se, era un padre per lui e che morì qualche anno dopo averlo preso con se. Venne a sapere che Cross lo aveva adottato dopo la morte di Mana, per esaudire la sua ultima volontà. Raccontò tutto molto velocemente e con pochi sentimentalismi, si concentrò soprattutto su tutte le cose illegali che Cross gli aveva insegnato e su come lo aveva fatto diventare un maestro della truffa e fece piegare in due dalle risate il rosso quando raccontò di tutte le angherie che subiva.

Dopo quella sera ne seguirono altre e Lavi scoprì che Cross stava minacciando di non passare più i viveri al figlio adottivo per oscuri motivi e che quindi si stava cercando un lavoro e una casa per lasciare definitivamente la vita che quell’uomo gli faceva condurre. Più tardi venne a sapere dal panda che Cross stava cercando di far allontanare Allen da lui, perché il vagabondaggio non poteva più fare parte della vita di un ragazzino.

Fu solo una frase, ma cambiò il suo mondo.


-se vuoi puoi venire a stare da me-


*


-Lavi, cos’è quella carta appesa al frigo?-

-sono i miei sentimenti per te-


Allen arrossì e si chiuse in bagno borbottando qualcosa, ma per tutto il pranzo osservò di soppiatto la carta, sorridendo ogni volta.


*


Lavi si svegliò, trovando metà del letto vuoto e il cielo ancora scuro.

Si alzò e barcollando si avvicinò alla fioca luce che vedeva provenire dalla sala. Allen era seduto per terra, illuminato dalla debole luce della lampada da terra, circondato da carte da gioco sparse per tutta la sala.

Assi, picche, quadri, cuori. Il pavimento era disseminato di carte.


-Allen…-


Stava mettendo le carte davanti a lui in un ordine senza logica, giocando ad un gioco inventato dalla sua mente e privo di senso.

Quel giorno Lavi pensò seriamente che lo stava perdendo. Ebbe un brivido di terrore quando i suoi occhi incrociarono quelli vuoti di Allen, occhi privi di speranza.

Stava osservando il direttore d’orchestra di un macabro cimitero fatto di sentimenti morti.


*


-cosa hai fatto all’occhio?-


Il ragazzo indicò col un cenno del capo l’occhio destro del rosso, che lo guardò sorridendo, già pronto a quella domanda.


-ferita di guerra!-


Allen lo guardò male e gonfiò le guance.


-non dire cavolate, tu non sei stato in guerra-

-ti dico che è una ferita di guerra-


Il ragazzino cercò di capirne di più, ma Lavi rimase sul vago.


*


-non so più cosa devo fare…e la cosa più brutta è che puoi lottare, puoi arrenderti, puoi piangere, ridere, disperarti o urlare così tanto da perdere la voce, ma la fine non può cambiare. È troppo tardi e questo è così…è una cosa troppo immensa da accettare! Le sue cellule ignorano il suo volere e questo fatto è inconcepibile per me. Non riesco ad accettarlo. Non posso accettarlo. Non devo accettarlo!-


Kanda era davanti a lui, con la faccia contratta e l’evidente voglia di scappare, di allontanarsi da quelle confessioni piene di dolore e verità.


-sta morendo…-


Era troppo tardi vero?

Era stato assalito dal peggiore dei destini e non poteva fare nulla per lui.

L’unica certezza che aveva era che nella vita si muore prima o poi e stava vacillando anche quella. Perché aveva capito che era una certezza incredibilmente crudele e impossibile da accettare.


*


I giorni passavano ed Allen era sempre più sereno, più consapevole e più malato.

Ogni tanto Lavi lo trovava a fissare il vuoto con gli occhi lucidi e quelli erano i momenti più terribili che aveva mai passato in vita sua, era come essere accoltellato ripetutamente e con sempre maggior vigore, ma Allen sembrava essere tranquillo e in pace con l’universo.

Lavi questo non lo capiva.

Lo osservava giorno dopo giorno ed i suoi occhi erano sempre più spenti, più vacui: sembravano fatti di vetro, ma allo stesso tempo, se guardava bene in profondità, riusciva a percepire una profondità che lo spaventava, perché non la comprendeva.

Vedeva in lui la faccia del sonno eterno. Era pesante andare avanti; era logorante il tumore, anche solo richiamarlo alla mente, perché sapeva troppo di morte.

Era proprio una maledizione.

Continuava a guardarlo e non riconosceva più il ragazzino simbolo della gioia di vivere perché ormai non aveva più nulla di cui esultare e, invece, scopriva un uomo. Un uomo già troppo vissuto, con il classico aspetto di chi conosceva bene tutti i perché e i come o, almeno, aveva l’aria di conoscerli.

Incrociava gli occhi con i suoi e vedeva l’immensità, vedeva una profonda conoscenza che non gli era dato di capire. Gli parlava e ascoltava non i discorsi strazianti di qualcuno in procinto di morire, ma le penetranti considerazioni di chi vedeva tutto nel nulla e il nulla nel tutto. Se questa frase, poi, aveva mai avuto un senso.

Però lo guardava e pensava che non avrebbe voluto essere in nessun altro posto. Gli parlava e pensava che gli voleva stare accanto. Gli stringeva la mano, nel vano desiderio che gli fosse di un minimo di conforto, e pensava che…non voleva che morisse. Ma in tutto quel dolore e quella tristezza capì che per lui, quel ragazzino dai capelli bianchi e gli occhi grigi, malato terminale, era la cosa più importante della sua vita.

Il caos lo invase e l’universo si crepò dentro il suo essere quando pensò che il suo ultimo sorriso, sul letto di morte, era probabilmente per lui il più bello che gli avesse mai visto.





  
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