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Autore: PuccaChan_Traduce    13/03/2015    7 recensioni
Nel suo cuore c’era un vuoto che lei non riusciva a spiegarsi... almeno fino a che non lo udì suonare il violoncello.
COPPIA: Kìli/Tauriel
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kili, Tauriel
Note: AU, Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Magnolie (Tumblr / Profilo AO3)
Coppia: Kìli/Tauriel
Tematiche salienti: Alternate Universe / Reincarnazione
 
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Quando aveva iniziato a suonare il violoncello, le sue dita riuscivano appena a raggiungere l’estremità del manico e a tenere l’archetto nel modo giusto; poi però il legno morbido, la dolcezza del suono e la strana sensazione di pace che le trasmetteva l’avevano legata a quello strumento per la vita. Fin da quando, all’età di nove anni, si era raccolta per la prima volta i lunghi capelli rossi in uno chignon perchè non la impacciassero mentre suonava, non si era concessa neppure un giorno di riposo dall’esercizio della musica. Se lo portava dietro anche quando viaggiava, e se per caso non trovava il tempo di esercitarsi durante la giornata, restava alzata fino a notte fonda per suonarlo.
Le note del violoncello le riempivano le orecchie ogni giorno. I suoi insegnanti di musica le avevano consigliato di farne la sua professione, ma lei non ne aveva avuto il cuore. Era troppo doloroso, allo stesso modo in cui curava il suo spirito: quasi come un’aggiunta al vuoto che aveva dentro.
Così era diventata avvocato, si era trasferita a Londra, aveva trovato una casa e aveva perfino intrapreso una relazione amorosa, ma tutte queste cose passavano in secondo piano quando si sedeva nella stanza della musica dalle alte finestre e iniziava a suonare. Al suo ragazzo non piaceva quel ‘violino fuori misura’, come lo definiva, non ne apprezzava la melodia e non capiva che lei ne aveva bisogno per respirare, per vivere, per andare avanti.
Il violoncello aveva riempito un posto nel suo cuore che le aveva sempre fatto male, da che ne aveva memoria. Lo riempiva, lo curava, e poi tornava a lacerarlo: era come se ci fosse stato qualcos’altro al suo posto in una vita precedente, qualcosa che ormai era molto, molto lontano da lei e che neanche quello strumento poteva sostituire completamente.
“Tamara, adesso basta suonare, per favore. Sono le tre passate,” disse Leonard toccandola su una spalla mentre una lacrima silenziosa le correva lungo una guancia.
La luce della luna piena illuminava la stanza.
“Non ho ancora finito,” sospirò lei a bassa voce.
“Potrai suonare anche domani, Tamara.”
Scosse il capo, ma lui le tolse gentilmente l’archetto dalle mani.
“Dovresti parlarne con qualcuno.”
“Sto bene, è solo...”
Debolmente ella si arrese e l’uomo allontanò lo strumento, riponendolo con attenzione nella custodia. Tamara si sdraiò accanto a lui nel letto, e non riuscì a provare niente quando Leonard la abbracciò da dietro. Gli mise una mano sul braccio e si sentì sollevata quando, dopo un pò, si addormentò e la lasciò andare. Il suo sguardo vagò sul violoncello e sull’odore del legno che per lei era sempre stato così familiare, da prima ancora che lo vedesse per la prima volta in vita sua. Quando lo suonava si sentiva al sicuro, intoccabile, quasi fosse stato un’arma – un arco con la sua freccia, o qualcosa del genere.
Aveva trascorso notti intere a domandarsi il perchè di quelle sensazioni. Nessuno era così attaccato a uno strumento musicale, le aveva detto uno dei suoi insegnanti una volta. Un altro ancora, quando lei aveva vent’anni, le aveva chiesto se fosse in lutto per qualcuno. Forse era così.
Come sempre, il sonno venne da lei con riluttanza. Sulla sua testa, uno spesso tappeto di lana smorzava i passi del barista che viveva al piano di sopra. Lei lo sentiva comunque.
Si era interrogata più volte su cosa le mancasse, su quale fosse l’ultimo pezzo del puzzle che era la sua vita. Si era laureata alla facoltà di Legge con uno dei voti più alti del suo corso, lavorava per un’importante azienda internazionale, specializzata in riscossioni dalle compagnie di assicurazione, e aveva un uomo meraviglioso il quale, anche se lei non lo amava, era disposto a restarle accanto comunque. Si poteva dire che fosse tutto perfetto, che avesse più di quanto chiunque potesse desiderare. E sarebbe potuta andarle molto peggio.
Quando si svegliò la mattina seguente, poco dopo le nove, si sentì meglio. Non aveva ancora risolto l’enigma, ma qualcosa in quel nuovo giorno le sembrò promettente. Preparò la colazione per entrambi e depose persino un piccolo bacio sui biondi capelli di lui prima di uscire con il suo violoncello, diretta alla scuola di musica in cui ancora prendeva lezioni una volta alla settimana. Era una fredda mattina di gennaio, si era infatti nella prima settimana del mese, ma lei accolse volentieri il gelo, sentendosi contenta e leggera.
Era una buona giornata. Decisamente.
Quando uscì dalla metropolitana ed entrò nel grande e moderno edificio lo trovò in fermento, come spesso accadeva di sabato. Non era insolito per la scuola, in quel giorno, ospitare audizioni, saggi, competizioni canore e piccoli concerti privati. Nelle sale ai piani superiori, invece, le lezioni si svolgevano come al solito – pianoforte, violino, canto, danza.
Tamara salì le scale fino al secondo piano, oltrepassando parecchie classi in cui si stavano tenendo lezioni di balletto prima di raggiungere il lungo e familiare corridoio deserto. Sei porte sulla destra, otto poltrone davanti alla finestra di sinistra e il pavimento coperto di chiaro legno di quercia. Pose con cautela il violoncello su una delle poltrone e guardò l’orologio da polso: era in anticipo di quasi venti minuti, ma era contenta di aspettare.
Si era appena seduta quando qualcosa la mise in agitazione.
Normalmente non c’erano altre lezioni prima della sua, di sabato. Andrej veniva da Birmingham e non arrivava mai prima delle undici; eppure si udiva della musica provenire da un’altra stanza – l’ultima del corridoio, per la precisione, quella che lei e Andrej non usavano quasi mai per via della sua pessima acustica. All’inizio cercò di non prestarvi attenzione, ma la musica continuava a crescere di tono, potente ma placida al tempo stesso. Gli occhi di Tamara si chiusero di loro iniziativa, il suo corpo si rilassò alle note morbide del violoncello. Chiunque stesse suonando, aveva una tecnica semplicemente magnifica. In quella musica c’era tutto ciò che a lei mancava – pazienza, tolleranza e ottimismo, senza mai diventare troppo desiderosa di piacere al pubblico. Vi era un che di rude in essa, ma anche suadente e penetrante al tempo stesso.
Rimase seduta ad ascoltarla per un tempo indefinito, fino a che si alzò con cautela e seguì la melodia fino alla porta da cui fuoriusciva, trovandola socchiusa. Non stette a pensarci troppo, era curiosa di natura e quella musica l’aveva colpita al punto da risvegliare una certa affezione in lei, un sentimento che non credeva più di possedere; perciò si sporse a guardare attraverso lo spiraglio della porta, poggiando la mano destra sullo stipite, e fu allora che lo vide.
Aveva i capelli scuri e lunghi fino alle spalle, portava una felpa col cappuccio blu su una t-shirt bianca e dei jeans neri. Ci volle un pò prima che sollevasse la testa quel tanto che bastava per permetterle di vederlo in viso, ma pur se teneva ancora gli occhi chiusi, completamente assorbito dalla musica, quella vista la colpì più forte di una martellata.
Tamara scivolò a terra senza mai staccare gli occhi da lui; cercò di rialzarsi e non ci riuscì. Era come se il pavimento si scuotesse violentemente sotto di lei.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Ricordava il suo viso e il modo in cui l’aveva guardata un’ultima volta, e come lei fosse stata disposta a sopportare tutto il dolore del mondo pur di riportarlo in vita. Ricordava il bacio che gli aveva dato, anche se lui non aveva potuto ricambiarlo. Ricordava di aver pianto sul suo corpo, di averlo sepolto sotto le stelle, e l’ultima visita che gli aveva fatto prima che il mondo intero cambiasse.
E adesso era là, col cuore in pezzi come il giorno in cui era morto, e lui era davanti a lei, dopo tutti quei secoli: il pezzo mancante del suo puzzle.
Dovette accorgersi di qualcosa, forse l’aveva sentita singhiozzare o aveva udito del movimento dietro la porta, perchè la musica cessò e lei sentì i suoi passi che si avvicinavano. Con un grande sforzo riuscì a rimettersi in piedi e finalmente fu davanti a lui: era ancora leggermente più basso di lei ma sempre giovane e bello e luminoso come lei ricordava.
Gli ci volle un secondo, solo un secondo che però parve lungo quanto una vita.
“No.”
Era poco più di un bisbiglio quello che gli sfuggì dalle labbra.
“Tu non puoi essere lei.”
Tamara si portò le mani alla bocca, le lacrime presero a sgorgarle dagli occhi: lui le si avvicinò e la strinse tra le braccia con precauzione, seppellendo il viso tra i suoi capelli mentre lei continuava a piangere, tremando tutta e scuotendo la testa. Le sue mani salirono fino ai capelli di lui, che l’abbracciò più stretta mormorando qualcosa d’incomprensibile; ma non importava, perchè la stava stringendo come se non avesse più voluto lasciarla andare ed era l’unica cosa che contava in quel momento.
“Io ti ho visto morire,” singhiozzò lei, sentendo il sapore salato delle lacrime sulle labbra. “Ti ho seppellito.”
Lui si staccò lentamente e la guardò con un sorriso. “Lo so,” mormorò sistemandole una ciocca di rossi capelli dietro un orecchio. “Non osavo sperare che ti avrei rivista.”
Poi la baciò e lei dimenticò ogni altra cosa, piangere, respirare, perfino muoversi. Le tremarono le ginocchia e tornò a stringersi a lui, determinata a non lasciarlo andare mai più.
“Mi sei mancata così tanto,” sussurrò ancora lui, poggiando la fronte sulle sue labbra. “Non mi ero mai reso conto di quanto.”
Lei annuì e gli accarezzò la schiena, chiudendo gli occhi e inspirando il familiare odore di lui.
Più tardi, quando Andrej li fece suonare insieme, fu con una facilità e una leggerezza che Tamara non aveva mai provato in vita sua. Si scambiarono occhiate di nascosto, seduti l’uno di fronte all’altra e suonando in perfetta armonia. Il maestro si limitava ad osservarli con la fronte leggermente aggrottata.
“È curioso. Ero certo che avreste suonato bene, ma non credevo che avreste fatto così tanti progressi in una sola mattinata,” osservò nel suo pesante accento russo quando ebbero finito e non ci fu molto altro da aggiungere. Tamara non lo aveva mai visto restare senza parole: di solito aveva sempre qualche critica da fare, anche davanti all’esecuzione più perfetta. “La mia piccola stella misteriosa e il diamante grezzo delle Highlands... si potrebbe quasi farne un film,” aggiunse Andrej roteando gli occhi.
“Le Highlands?” sorrise lei, guardando Killian.
“Nato e cresciuto lì,” rispose lui con un ghigno divertito. Ed eccoli di nuovo, la sua audacia, il suo ottimismo, la sua bellezza, tutte le cose che lei aveva sempre amato in lui e che tanto le erano mancate, anche se non era mai riuscita a capire fino in fondo quanto.
“Musicalmente parlando, e per quanto mi riguarda, voi due siete fatti l’uno per l’altra,” mormorò Andrej come soprappensiero, chiudendo rumorosamente la sua cartella. “Killian, voglio che provi con lei almeno una volta a settimana in aggiunta al tuo programma normale, d’accordo? Anzi, potrebbe anche aiutarti a trovare un appartamento,” aggiunse, spingendosi gli occhiali sul naso.
“Ti trasferisci qui?” Tamara non tentò nemmeno di nascondere l’eccitazione.
Killian sorrise e si strinse nelle spalle.
“Killian si unirà alla London Symphony Orchestra il prossimo marzo, sempre se suo zio sarà d’accordo.” E con un’ultima occhiata intenta Andrej cominciò a raccogliere le sue cose – a quanto pareva c’era una storia dietro.
E Tamara non potè trattenersi dal ridere, nè in quel momento, nè quando cenarono insieme e nemmeno più tardi, quando giacquero a letto vicini, le fronti che si toccavano e i corpi intrecciati al punto che non si capiva più dove iniziasse l’uno e finisse l’altra.
Proprio come la prima notte che avevano trascorso insieme; solo che stavolta non c’erano sbarre nè doveri improrogabili a tenerli separati.

~~~

(Note dell'autrice) Il personaggio di Leonard, se non si era capito, è modellato su Legolas, mentre quello di Andrej è vagamente ispirato a Gandalf. Scusate per tutto il diabete che potrei provocarvi, ma non mi sono ancora ripresa dalla visione di BOTFA e dovevo assolutamente scrivere qualcosa per venirne fuori!
  
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