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Autore: Nitrogen    15/03/2015    2 recensioni
Vi era un qualcosa nello sguardo della bambina che lo straniva, forse l’impassibilità che mostrava; era a casa di un uomo di trent'anni conosciuto poche ore prima, eppure la situazione sembrava non spaventarla minimamente. Dorian non riusciva a darsi una spiegazione.
«Adesso vuoi dirmi il tuo nome?»
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Giulia,
che ha dato credito alla mia pazza idea.
 
 

 
 
 
Senza Nome
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Dorian strofinava i pochi piatti sporchi della sera prima quando comprese la gravità della situazione in cui si era cacciato poco meno di dodici ore prima. Si sentiva davvero un idiota, era stato un incosciente e aveva preso di certo la decisione sbagliata, come spesso gli capitava. Si rese conto che per la sua stupida azione poteva essere accusato di non pochi reati e che rischiava di finire al fresco e restarci per un bel pezzo.
Rabbrividì, non sapendo se era per i suoi pensieri o per l’acqua del lavello che stava gradualmente diventando congelata.
Dorian lasciò perdere i piatti e posò l'attenzione sulla bambina seduta all'altro capo del tavolo: il viso dolce e candido della piccola era nascosto dalla tazza di cioccolata calda che le aveva preparato poco prima affinché potesse fare colazione in un modo più o meno accettabile, e di tanto in tanto sollevava gli occhi turchini dal liquido bollente per controllare l'uomo. Vi era un qualcosa nello sguardo della bambina che lo straniva, forse l’impassibilità che mostrava; era a casa di un uomo di trent'anni conosciuto poche ore prima, eppure la situazione sembrava non spaventarla minimamente. Dorian non riusciva a darsi una spiegazione.
«Adesso vuoi dirmi il tuo nome?»
«No.»
Dorian imprecò mentalmente. Provava da ormai troppo tempo di farle dire qualcosa, ma lei continuava imperterrita a tacere riguardo ai suoi dati anagrafici: non conosceva il suo nome, che età avesse, dove abitasse e con chi... E questo a Dorian faceva perdere la pazienza.
Aveva in casa una minorenne di cui non sapeva nulla, prima riusciva a sbarazzarsene meglio sarebbe stato per lui; non voleva problemi con la legge, tantomeno con i genitori della piccola a cui non vedeva l’ora di riportarla. Anche perché non solo era un bel problema per lui, era anche intrattabile e troppo insolita per capire in che modo dovesse approcciarsi a lei.
Nell’inutile tentativo di mettere la bambina a suo agio – non che in realtà servisse sul serio – Dorian aveva tirato fuori qualche vecchia bambola impolverata che sua sorella, ormai con prole al seguito e in tutt’altro continente, aveva lasciato in quella casa dov’era cresciuta insieme al fratello, dei VHS di cartoni animati che nemmeno credeva fossero ancora funzionanti, e dei pennarelli quasi completamente scarichi con cui farla disegnare; ma la piccola aveva ignorato ogni cosa, preferendo infilare la testa nell’immensa libreria che Dorian amava più di ogni altra cosa: aveva tirato fuori tutti i libri da lei raggiungibili, riordinandoli per genere, utilità, materia, iniziale e in altri modi che l’uomo faticava a comprendere, beccandosi anche una bella ramanzina per “essere tanto stupido” da aver messo semplicemente i libri in ordine alfabetico senza dividerli in categorie. E la piccola, per quanto assurdo, sembrava davvero entusiasta di tale attività, tanto che la vide provare un’emozione per la prima volta in diverse ore, cacciando via per qualche istante l’apatia che sembrava parte integrante del suo volto.
«Perché non vuoi dirmi il tuo nome?»
«Mamma ha deciso che non devo dire come mi chiamo agli sconosciuti.»
«E la mamma non ti ha mai detto di non andare a casa di persone che non conosci?»
Prima di rispondere, la bambina lo congelò con uno sguardo di stentata sufficienza: «No, altrimenti non sarei qui.»
«Certo, ovviamente, che domanda stupida che ho fatto.»
«Sì, molto stupida.»
Dorian la squadrò, visibilmente sconcertato: non sapeva se i bambini di circa undici anni non capissero le sfumature che poteva avere il sarcasmo o se fosse lei quella incapace di comprenderlo. Comunque fosse, quella bambina continuava a risultargli sempre più strana.
Accanto alla tazza di cioccolata, vi era un piccolo piatto di biscotti di vario genere; ne aveva messi un po’ per ogni tipo in quanto non aveva idea di quali preferisse la piccola e chiedendoglielo non aveva ottenuto una risposta che possa definirsi soddisfacente. Con una calma disarmante, ella prese a dividerli, scartando accuratamente quelli spezzati, dopodiché divise tutte le cinque tipologie di biscotti dello in base al genere e poi face un’ulteriore incomprensibile divisione: al momento della faccia sconvolta di Dorian, sul tavolo vi erano tre file avente ognuna un tipo di biscotto a testa, ma le due tipologie più lontane da lei li ignorò totalmente.
«Quelli al cioccolato e con le nocciole non ti piacciono?»
«Sì, mi piacciono, ma non li mangio mai a colazione.»
«Perché?»
«Perché no.»
Dorian sospirò: «Almeno spiegami perché hai fatto una cosa simile con dei biscotti.»
«La mia mamma li mette in ordine in questo modo. Tu non l’hai fatto, quindi l’ho fatto io.»
«Per quale motivo tua madre fa una cosa simile?»
«Perché dice che se lo faccio io ci metto troppo tempo e perdo il pullman della scuola.»
«E così importante per te avere i biscotti in ordine?»
«Sì, altrimenti non lo farei.»
Ancora quel tono di sufficienza da parte della piccola nei suoi confronti; era come se lei non vedesse la differenza di età tra i due, anche se di tanto in tanto gli sembrava che la piccola lo considerasse nettamente inferiore a lui per quoziente intellettivo.
Dorian la studiava, ci stava mettendo tutto l’impegno possibile per comprendere cosa passasse per la testa di quella mocciosa, ma la laurea in ingegneria informatica e il lavoro come tecnico in un negozio di elettronica gli avevano fatto vedere più apparecchi elettronici che esseri viventi, meno che mai bambini di sì e no dieci anni tanto più complessi della costruzione di un hard disk senza gli attrezzi giusti.
«Sai che non posso continuare a tenerti qui, vero? Devo riportarti a casa.», le disse dopo aver silenziato per diverso tempo.
Ma come immaginabile, la piccola era tutt’altro che d’accordo: «Non posso tornare a casa.»
«Non dire sciocchezze. I tuoi genitori ti vogliono bene, qualsiasi guaio tu abbi combinato loro –»
«Mio padre non mi vuole, non mi sopporta. Ha detto che non voleva una figlia pazza.»
«Impossibile, nessuno direbbe mai una cosa simile.»
«L’ha urlato alla mamma ieri sera. L’ho fatto arrabbiare ma non so come… Stavo solo sistemando i fascicoli nel suo studio, erano in disordine, mi davano fastidio…»
Dorian si avvicinò alla piccola, trattenendosi però dal darle una carezza perché lei aveva già precisato in precedenza che non voleva nessun contatto fisico con lui. Erano cose molto tristi quelle che diceva, eppure i suoi grandi occhi azzurri erano così… vuoti, come se non provassero alcun sentimento. In quel momento iniziò a collegare tutti i pezzi: le sue svariate strane azioni, i suoi movimenti quasi meccanici, l’apatia, la voce che non cambiava mai intonazione, il totale disinteresse per le bambole e le cassette VHS, comandi svolti alla lettera…
L’uomo si spostò tra le mura della cucina, prese un post-it dal frigorifero e una penna e li mise davanti alla piccola: «Tua madre ha affermato che non devi dire il tuo nome agli sconosciuti, giusto?»
«Sì.»
«Però non ti ha detto che non puoi scriverlo, no?»
La bambina rimase in silenzio, sovrappensiero per qualche istante. Poi prese la penna, e sul pezzo di carta scarabocchiò quel che doveva. Poco dopo, Dorian scoppio a ridere: sul foglio non aveva scritto il suo nome e cognome, ma solo l’ennesima ramanzina su quanto fosse stato stupido il suo tentativo da quattro soldi.

 


──Note dell'autore──
One-shot scritta senza alcuna pretesa per una "sfida" con una mia cara ─ e ormai vecchia ─ amica. Il plot era "Disturbo Ossessivo-Compulsivo", e io questo ho sviluppato. Niente di eccezionale.
Avrei potuto scrivere di qualcuno veramente pazzo, ma avevo già una parte di questa scena in testa, e poiché scrivere non mi costa niente e non avrei perso nulla qualsiasi cosa avrei abbozzato, tanto valeva farlo e basta.
Spero vi piaccia, ma poco ci credo.


「Nitrogen」
   
 
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