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Autore: Siranne    15/03/2015    6 recensioni
Violette si innamora di Aleksej, il futuro marito della figlia dei proprietari della casa in cui lavora. È una passione forte, inarrestabile, che nemmeno la lontananza riuscirà a spegnere.
***
La mia vita iniziò ad essere monotona e noiosa. Per me Aleksej era la vita, le passioni, le emozioni.
Io non somigliavo per niente ad una viola del pensiero. Non ero riuscita a resistere al freddo dei suoi occhi, al gelo della sua passione. Ero appassita.
***
Giunta seconda al contest "Introspective & Romantic" indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Violette

«L'inferno è la sofferenza di non poter più amare.»
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov

 


«Vuoi tu prendere César Jalet come tuo legittimo sposo…»
Violette sentiva la voce del prete in lontananza, così come lontani erano i ricordi che le affollavano la mente. Vicino, però, era ancora il dolore; vicina era la sofferenza dell’abbandono; vicino, lì, proprio al centro del petto, c’era ancora l’amore.
Lontano era lui. L’unica cosa che avrebbe voluto accanto a se per sempre, era lontano, irrimediabilmente lontano.
«… e amarlo e onorarlo, in ricchezza e povertà…»
Sollevò lo sguardo verso César. Anche attraverso il velo, riusciva a vedere il suo sorriso, i suoi occhi lucidi. Era felice. Era tutto ciò che lei non era.
«…in salute e malattia…»
Occhi azzurri le passarono per la mente, mani grandi e fredde che la scoprivano; un corpo forte e robusto a cui aggrapparsi anche con le unghie; una voce calda e avvolgente, odiata e amata insieme.
«…fin che morte non vi separi?»
L’immagine di Aleksej si ricompose. Così come si ricompose l’immagine di lui all’altare con un’altra, l’immagine di lui che la supplicava di rimanere, l’immagine di lui che invece se ne andava.
Violette rimase bloccata in una sorta di limbo, tra presente e passato. Tra sofferenza e amore.
C’era un prete, ma soprattutto un uomo che attendevano la sua risposta.
Una risposta così semplice.
“No”…
 
***
 
Mia madre, Sophie, la ricordo come una donna allegra e simpatica. Aveva il vizio del pettegolezzo, anche se lei reagiva male se qualcuno glielo faceva notare. Stando alle sue parole, lei semplicemente riportava notizie degne di attenzione ai suoi cari e amici, pettegolo era chi andava a ficcarsi negli affari altrui e a spargere voci, spesso false e infondate.
Mia madre, in poche parole, riportava solo notizie veritiere che non causavano imbarazzo ai protagonisti della vicenda. In fondo, a conti fatti, era così.
Fu lei a dirmi della decisione dei De Blanchard di trovare marito alla loro unica figlia, Camille.
Camille aveva diciotto anni, era una ragazza dolce e timida, carina d’aspetto. Quando pensavo a lei, mi veniva naturale paragonarla ad una bambola di porcellana. Fragile eppure bellissima.
Non capii se fosse felice o meno del suo imminente matrimonio, d’altronde non conosceva nemmeno chi avrebbe sposato.
Fugai questo dubbio, quando lei conobbe finalmente il suo futuro marito.
«Lo devi vedere Violette» mi disse una mattina di gennaio, mentre riordinavo la sua stanza «non è un vecchio, non è brutto, non è un pervertito, anzi è un gentiluomo. Mi ha fatto una buonissima impressione.»
«Per fortuna, mademoiselle, sono felice che nessuna delle vostre paure si sia realizzata.»
«Prima ero preoccupata di dover soffrire per il resto della mia vita accanto ad un uomo che non avrei amato, ma ora, ora penso che potrei innamorarmi di lui.»
Le sorrisi. I matrimoni dell’alta società erano organizzati dalle famiglie per interessi economici. L’amore era un sentimento ignorato, o che al più poteva realizzarsi fuori dal matrimonio, ovviamente con le opportune precauzioni perché l’adulterio rimaneva uno dei peccati più gravi e vergognosi, soprattutto se era una donna a commetterlo.
Camille immaginava il più meraviglioso futuro possibile con il suo fidanzato e io ne ero come affascinata, i suoi racconti, i suoi sogni, mi piacevano. Mi identificavo nelle sue speranze, infondo qualsiasi ragazza alla nostra età, sogna l’amore.
Ascoltavo le sue parole e la mia fantasia prendeva il largo, mettendosi al posto di Camille, sposando al posto suo quell’uomo, crescendo al posto suo i figli di quell’uomo.
Capii così, che non erano i sogni di Camille ad affascinarmi, ma il protagonista di quei sogni.
Vidi per la prima volta Aleksej quella stessa mattina di gennaio. Era un uomo giovane e bello, proveniva dalla lontana e fredda Russia. Sembrava aver racchiuso la neve e il gelo di Mosca nei suoi occhi azzurri come il ruscello di una montagna.
Non perdersi nei suoi occhi, diventava ogni giorno più complesso. Mi stavo innamorando di un uomo quasi sposato. Soprattutto, mi stavo innamorando di un nobile. Una cosa inammissibile.
Lui ogni tanto si avvicinava, scambiavamo qualche chiacchiera e io mi incantavo sempre più.
Una sera mi chiamò.
Si trovava in giardino, su una delle panchine.
«Violette.»
«Posso esservi utile, monsieur?»
Si alzò in piedi e mi mostrò un fiore, di diverse sfumature di viola.
«Devo portarlo a qualcuno?» gli chiesi.
Lui fece una risata soffocata.
«No, è per te.»
Avvicinò ancora di più il fiore. Lo presi, perplessa.
«Perché?»
«È una viola del pensiero. È un fiore che resiste al gelo dell’inverno, ho pensato che fosse adatto a te.»
«Per il mio nome?»
«Anche. Ma soprattutto perché devo dirti una cosa. Non è normale quello che sto per dirti, insomma sono venuto qui per sposare una donna e sto facendo la corte ad un’altra…»
Pensavo di stare sognando, che fossi davvero capitata in una delle fantasie di Camille.
«Mi piaci. I tuoi occhi verdi mi piacciono, i tuoi capelli disordinati, il tuo modo di parlare, il modo in cui ti mordi il labbro, il modo in cui arrossisci. Mi piaci.»
Allungò una mano verso la mia guancia. La bocca mi si era inaridita.
«Non mi dici niente?»
«Non so cosa dire.»
«Io ti piaccio?»
«Ecco, è difficile che voi non piacciate a qualcuno» risposi, pentendomi immediatamente di essere stata così sfacciata.
«Vuoi provarci?»
«Mademoiselle Camille…»
«Non pensare a lei, non è importante.»
Mi baciò. Non riuscirei a descrivere il turbinio di sensazioni che mi travolse. Il cuore mi batteva all’impazzata, tutto era in fermento. Mi sentivo viva.
 
Iniziò così la nostra storia. I racconti di Camille non mi affascinavano più così tanto, anzi con lo scorrere del tempo iniziarono a provocarmi dispiacere e malinconia, perché mi rendevo conto di ingannarla.
Poi giunse l’insofferenza. Insofferenza per lei, per il suo futuro felice, per il suo matrimonio, i suoi figli. Ero gelosa. Più amavo lui, più odiavo lei.
E più l’amore cresceva, più mi rendevo conto della mia condizione.
Ero l’amante. Non avrei mai ottenuto niente di più di qualche sortita notturna. E io volevo viverlo, viverlo alla luce del giorno!
Aleksej stava diventando il mio mondo, dipendevo sempre più da lui, dal suo corpo, dalla sua anima.
Una notte mi arrischiai ad essere sincera.
«Ti amo.»
Fu come un fulmine a ciel sereno, i suoi occhi si spalancarono.
«Non puoi…» mormorò attonito.
«Come non posso? Dopo tutto quello che abbiamo vissuto?»
«Tu… sei una sciocca. Sai chi sono io, vero? E ricordi chi sei tu? Non puoi amarmi, Violette, e se già lo fai, dimenticami.
«Aleksej… perché?»
«Devo sposare un’altra.»
«Ed io sarò la tua amante» gli dissi, quasi piangendo.
«Sei ingenua» sospirò «amare è pretendere, Violette. Se mi ami davvero, pretenderai sempre di più.»
«No…»
«Sì, è così. Oggi dici di voler essere solo la mia amante, domani potresti voler essere mia moglie. Non dobbiamo più vederci.»
Nonostante le mie suppliche, Aleksej fu irremovibile. I primi giorni furono i peggiori. Sapere che Aleksej e Camille erano insieme era straziante. Per fortuna, in quel periodo, Aleksej partì in Russia.
La sua assenza era fonte di serenità e turbamento al tempo stesso. Sarebbe tornato e questo mi divideva in due sentimenti contrastanti. Volevo che tronasse presto e che non tornasse mai.
Giunse in casa dopo qualche mese. Lo rividi in giardino, sulla stessa panchina dove mi consegnò la viola.
«Non riesco a stare senza te» mi disse.
Tutto il mio animo si risollevò tumultuoso.
«Il periodo passato nel mio paese mi ha fatto riflettere. Violette, mi hai ingabbiato.»
Lo abbracciai, stringendolo forte, quasi aggrappandomi a lui.
«Aleksej, non mi lasciare mai.»
 
I preparativi per le nozze fremevano. Ormai mancavano pochi giorni. Aleksej e Camille sarebbero andati a vivere in Russia e io li avrei seguiti. Era stata Camille stessa a chiedere che io andassi con lei a Mosca, per occuparmi della sua persona e continuare ad essere la sua cameriera personale.
Ma quell’equilibrio era destinato a spezzarsi.
«Lasciala» gli dissi, due giorni prima delle nozze.
«Non posso.»
«Perché non puoi? Io ti amo, tu mi ami.»
«Ho dei doveri verso la mia famiglia e verso quella di Camille.»
«E verso di me?»
«Tu per me non sei nessuno ufficialmente.»
Quelle parole mi ferirono in pieno petto.
«Ufficialmente… quindi in pratica per te non sono niente.»
«Sei la mia amante» rispose spiccio.
«Non può più bastarmi. Voglio essere tua moglie.»
«È impossibile, ti prego comprendimi.»
«Sto per avere un figlio» gli rivelai, finalmente « Aleksej, con un figlio di mezzo non è giusto che io sia l’amante di suo padre.»
Vidi il terrore sul suo volto, la preoccupazione.
«Dobbiamo immediatamente correre ai ripari.»
«Come?» gli chiesi, non comprendendo le sue parole.
«L’aborto. Non sarà difficile trovare qualche levatrice disposta a farlo.»
Inorridii. Solo allora mi resi conto di amare un debole, un’ipocrita disposto a tutto pur di salvare le apparenze.
«Se non vuoi abortire, possiamo fare un matrimonio riparatore. È un po’ più difficile, ma di sicuro troveremo qualcuno disposto a sposarti e che si accolli la paternità del bambino.»
Quello è stato il nostro ultimo dialogo. Non gli rivolsi mai più la parola, se non per lo stretto necessario.
Lui si sposò con grandi onori e partì per la Russia.
Partorii mio figlio da sola, subendo le maldicenze della gente e gli insulti.
I primi mesi rimasi in casa, col solo stipendio della mamma per sfamare tre bocche.
Solo César, un giovane che abitava nel quartiere, mi mostrava stima e affetto.
Mi trovò un lavoro presso un frantoio. I soldi che guadagnavo erano piuttosto miseri, ma per lo meno aiutavano la nostra sopravvivenza ad essere meno disgraziata.
La mia vita iniziò ad essere monotona e noiosa. Per me Aleksej era la vita, le passioni, le emozioni.
Io non somigliavo per niente ad una viola del pensiero. Non ero riuscita a resistere al freddo dei suoi occhi, al gelo della sua passione. Ero appassita.
Ora restava solo il vuoto malinconico e una proposta di matrimonio.
 
***
 
«Sì.»
Strinse la manina del figlioletto che stava in piedi accanto a lei. César era voltato verso di lei, con un sorriso ancora più largo, nonostante per pochi istanti si fosse adombrato, a causa del tempo che ci aveva messo per rispondere.
«Vi dichiaro marito e moglie.»
I vari parenti accorsi fecero un gran applauso, congratulandosi con entrambi gli sposi. Violette dispensò sorrisi a tutti. Sorrisi falsi, però che facevano male.
Faceva tutto male.
 
Nel linguaggio dei fiori, la viola del pensiero viene regalata quando si vuole essere pensati dalla persona amata. Così, per uno strano scherzo del destino, a Violette rimase solo il pensiero del suo amore per Aleksej.

 



Note dell’autrice:
Sinceramente non so cosa pensare di questa shot. Ho deciso di provare nuovi modi di scrivere, l’apertura e la chiusura sono ambientati nel “presente”, Violette si sta sposando con César.
Intanto lei ricorda la passione vissuta con un nobile russo, Aleksej.
Diventano amanti, ma Violette resta incinta. È così che si rompe definitivamente il loro rapporto.
Nonostante il loro amore possa essere stato forte, loro due hanno un carattere debole.
Aleksej non ha il coraggio di essere sincero e di amare alla luce del sole una donna che non appartiene alla nobiltà. Violette non ha la forza di dimenticare Aleksej e nemmeno di odiarlo, dal momento che lo ricorda ancora con nostalgia nonostante il suo comportamento.
Vediamo un po’ di dare qualche coordinata spazio-temporale: siamo in un paese di lingua francese (può essere la Francia, ma pure la Svizzera o il Belgio) in un periodo non meglio definito, io direi a cavallo tra la seconda metà del ‘600 e la prima metà del ‘700.
Questa storia è una one shot di prova, diciamo. Potrebbe essere considerato anche un capitolo pilota, nel senso che prima o poi mi piacerebbe scrivere una storia di questo genere con gli opportuni cambiamenti. Per questo mi sono mantenuta piuttosto sul vago.
Anche dal punto di vista dello stile ho provato qualcosa di nuovo: dopo tanto tempo, sono tornata a scrivere in prima persona, però l’apertura e la chiusura sono in terza. Non c’è un motivo, mi andava di farlo così.
La frase in corsivo è una specie di chiusura,  quasi come a voler dire la morale della storia XD
Grazie mille a chi leggerà questa cosa,
un bacio :)
Partecipante al contest “Introspective & Romantic indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP.
Storia partecipante al contest "L'amore è uno stato d'animo" indetto da Shinkari.  
   
 
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