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Autore: Malvagiuo    15/03/2015    4 recensioni
Racconti fantasy che narrano le gesta dei grandi uomini del popolo valigero, devoto a Yngrun, il Dio Drago, Signore delle Creature.
Figlio del fuoco - Un'oscura maledizione perseguita Rolgar, un demone fatto di fuoco e sofferenza che si annida dentro di lui e lo tormenta da quando è nato. La fuga dal villaggio sembra l'unica speranza di una vita migliore, ma c'è chi non è disposto a lasciarlo andare via, qualcuno che cova rancore, e che farà quanto è necessario per fermarlo. Quando una maledizione cessa di essere tale e si trasforma in opportunità?
La volontà del Dio Drago - La vita di Astyr viene distrutta nel modo più tragico: i temuti razziatori devastano il suo villaggio e uccidono sua moglie. Resta solo il figlio Volfin nella sua esistenza, ma Astyr non intende correre il rischio di perdere l'ultima cosa che gli rimane. Un potere oscuro è in agguato, un potere che si alimenta di dolore e di desiderio di vendetta, che può persuadere Astyr a cedere la propria anima in cambio del più terrificante dei poteri.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I




Astyr protese la mano oltre il bordo della barca e la immerse nell’acqua gelida del mare. Quando la sollevò, osservò i rigagnoli che colavano lungo il braccio e precipitavano nel vuoto, ritornando all’oceano da cui provenivano. Il sole sorgeva di fronte ai suoi occhi, distaccandosi sempre più dalla linea blu scuro all’orizzonte.

«Guarda, Volfin» disse Astyr, posando la mano bagnata sulla spalla del figlio. «Il Dio Drago benedice il nostro viaggio.»

Volfin si voltò a guardare il padre. I suoi occhi azzurri brillarono di meraviglia.

«Come lo sai?»

Astyr sorrise. Indicò al bambino il disco solare, rosso come un tizzone ardente.

«L’occhio del Drago ci osserva. Si alzerà sempre di più, fino alla sommità del cielo, illuminando il giorno e rivelandoci i banchi di pesce sotto il pelo dell’acqua.»

Volfin si sporse oltre la fiancata della barca. Guardò la propria immagine riflessa sulla superficie increspata dal mare verdastro, cercando di individuare i primi pesci. Ma tutto ciò che vide furono due grandi occhi blu che lo osservavano, dapprima con espressione curiosa, poi sempre più perplessa.

«Io non vedo pesci, papà.»

Due occhi dello stesso colore blu gli sorrisero.

«È presto. L’occhio è aperto, ma la testa deve ancora sollevarsi.»

Astyr affondò un remo nell’acqua e cominciò a vogare, lasciandosi alle spalle una scia di spuma, mentre si avvicinavano all’orizzonte. Il cielo cominciava a tingersi di azzurro quando, in lontananza, intravidero la terra. Una sponda rocciosa, un ripido promontorio che fendeva la marea come una lama protesa contro di loro. In lontananza, nell’entroterra, si scorgeva una nube di fitto fumo nero salire verso il cielo. Un sinistro bagliore rosso scuro sembrava emanare da quel luogo. In un’insenatura in mezzo alle rocce, si scorgeva una spiaggia sabbiosa dove sarebbe stato facile approdare.

«È là che stiamo andando?»

«Non proprio» rispose Astyr. «Quella terra è sacra. Non possiamo sbarcare senza motivo. Ma nelle acque che la circondano vivono molti pesci.»

«Che terra è? Chi ci vive?» domandò con apprensione Volfin, che di colpo non sembrava più molto interessato alla pesca.

Astyr gli diede le spalle. Raccolse la rete poggiata nell’angolo di prua della barca, la districò e si alzò in piedi reggendola con entrambe le mani. Un’estremità era già legata alla piccola testa di drago scolpita a prua, quindi la scagliò più lontano che poté nelle fredde acque del mare, in quel momento accarezzate da una sottile brezza che pareva il respiro del vulcano.

«La chiamano Fauce. È un’isola deserta, quasi certamente. So che un tempo ci abitava qualcuno, ma credo che ormai sia morto.»

«Perché viveva laggiù tutto solo?»

«Fu una sua scelta. Voleva servire il Dio Drago. Ma è stato tanti anni fa.»

«Non aveva amici? Qualcuno che volesse servire il Dio Drago insieme a lui?»

«Sì, certo. Ci fu chi lo seguì. Ma presto rimase solo.»

«Gli altri non stavano bene sull’isola?»

Astyr osservava l’acqua nel punto in cui aveva lanciato la rete. La sua attenzione si concentrò per un attimo in quella direzione. Trascorsero alcuni istanti prima che rispondesse alla domanda del figlio.

«Volfin, è il Dio Drago a scegliere i suoi servitori. E chi viene scelto, non può condividere la sua fortuna con altre persone.»

«Perché?»

Astyr esitò. Sapeva di essersi inoltrato in un discorso difficile. Volfin aveva solo cinque anni, era ancora troppo presto per iniziarlo alla conoscenza dei riti del popolo di Yngrun. Per un bambino di quell’età non sarebbe stato facile capire, e Astyr temeva di turbarlo. La volontà del Dio Drago, spesso, faceva vacillare anche la fede dei valorosi. Ma doveva dare una risposta a suo figlio. Si soffermò a pensare per un minuto, alla ricerca delle parole più adatte.

«Yngrun è un grande dio, Volfin. Tuttavia, possiede molti difetti da uomo. Non è sempre un buon padre: ama solo alcuni dei suoi figli, mentre gli altri, quelli che non lo compiacciono, li scarta. Vidi gli uomini che si recarono alla Fauce, molti anni orsono, in cerca del suo favore. Io ero poco più grande di te adesso, ma ricordo bene quei guerrieri. Salparono verso l’isola sacra, vigorosi, forti, il fuoco della giovinezza che divampava nei loro occhi. Tornarono poco tempo dopo, invecchiati, gli sguardi spenti, la pelle martoriata dalle cicatrici e dal morso delle fiamme, e non ritrovarono mai più la loro forza. Morirono anzitempo, divorati da un male che nulla aveva a che fare con le loro ferite. Tornarono tutti, tranne uno.»

«Uno di loro era morto sull’isola?»

«No, Volfin» rispose Astyr. «Uno era stato scelto per rimanere, anche se non aveva superato la prova.»

«Ma se non superò la prova, perché lui poté rimanere e gli altri no?»

Astyr scrollò le spalle.

«Nessuno lo sa. Dopo qualche tempo, tutti smisero di chiederselo. La volontà del Dio Drago è difficile da interpretare.»

«E quale fu il premio per essere stato scelto?»

«Alcuni dicono la vita eterna. Altri la forza del fuoco. In realtà, nessuno lo sa. Quella persona non è più stata vista da anima viva. E anche se si fosse mostrata, nessuno ne avrebbe sopportato la vista.»

«Perché mai?»

Astyr cominciò a sentirsi a disagio. Era un discorso opprimente. Non avrebbe voluto proseguire, ma le parole gli uscirono di bocca prima che potesse frenarle.

«È il destino di coloro che sopravvivono alla fiamma del Dio Drago. Diventano i Non-Morti. La voce di Yngrun, i suoi servi. Gli artefici della sua volontà.»

Mille altre domande esplosero nella mente di Volfin, ma Astyr chiese silenzio. Cominciava la pesca, non era più tempo di domande.

La corda che teneva la rete legata alla barca si tese. Astyr vi poggiò la mano, per assicurarsi che non fosse troppo secca. Il sole era alto, l’aria diventò più calda, lo scafo di legno ondeggiava dolcemente sotto la spinta della marea. Volfin rimase in silenzio, rimuginando su ciò che aveva appena sentito. I suoi occhi erano fissi sulla costa della Fauce, il corpo proteso in avanti. Astyr per un folle istante si domandò se non avesse intenzione di gettarsi a nuoto per raggiungere la riva. La storia della prova l’aveva incuriosito, proprio come aveva incuriosito Astyr la prima volta che suo padre gliel’aveva narrata: ricordò che la notte stessa aveva sognato di partecipare alla prova, immaginando di passare indenne attraverso fiamme vorticose, per giungere al cospetto del Signore delle Creature. Volfin gli assomigliava molto, sia di aspetto che di spirito, ed era orgoglioso di questo.

 
***
 
A mezzogiorno, recuperarono la rete. La pesca era stata buona, una dozzina di pesci si dibattevano ancora tra le maglie della rete nel disperato tentativo di liberarsi. Alcuni guizzarono sul fondo della barca, ma il piccolo Volfin fu rapido a immobilizzarli. Astyr afferrò il remo e cambiò la rotta, vogando verso casa.

«Tu là ci sei mai stato, papà?»

«Io? No, non ci sono mai stato» rispose Astyr. «Sono felice di quello che ho. Non ho bisogno di chiedere nulla al Signore delle Creature. E spero che vada sempre così.»

Volfin, durante la navigazione, rimase per tutto il tempo concentrato sull’isola della Fauce, che diventava sempre più piccola man mano che si allontanavano. Astyr credette di vederlo fremere dall’eccitazione, a un certo punto.

«E tu cosa chiederesti, al Dio Drago?»

Volfin si voltò immediatamente, radioso in viso. Non aspettava altro che quella domanda.

«Vorrei vivere per sempre!» esclamò.

Astyr rimase interdetto. Non si aspettava una risposta del genere. Non sapeva come interpretare quelle parole.

«È una richiesta strana, Volfin. Perché mai lo vorresti?»

«Per stare sempre accanto a te e alla mamma!»

Un sorrise si dipinse sul volto austero di Astyr. Scrollò il capo, divertito.

 
***
 
Astyr fissò la costa. Il fumo nero si sollevava in spesse volute dal suolo, mentre in lontananza si poteva intravedere l’incendio che le generava. Sbarrò gli occhi, il cuore che gli batteva forte nel petto. Affondò il remo nell’acqua con tutto il vigore che aveva, sforzandosi di giungere alla riva il prima possibile. Non aveva armi a bordo, ma non importava. Per un istante dimenticò persino che non era solo, scordò che Volfin era alle sue spalle, che fissava sgomento la cupa nuvola nera sempre più alta nel cielo.

La risacca li sospinse sulla spiaggia, Astyr si precipitò a terra e sollevò di peso Volfin, reggendolo in braccio mentre correva a perdifiato verso l’entroterra. Una parte di lui lo avvertiva che non era saggio portare là suo figlio, ma l’angoscia mise a tacere la ragione. Doveva sapere. Perché ormai era chiaro che quelle fiamme divampavano nel suo villaggio.

Superò la collina che riparava la pianura dal vento del nord, oltre la quale si ergevano le capanne della sua gente. Le vide, finalmente. Molte andavano fuoco, c’erano uomini e donne che tentavano di spegnerle, mentre attorno a loro, nei cortili bagnati di sangue, giacevano abbandonati i corpi senza vita. Animali e persone, alcuni uccisi con armi da taglio, altri recanti segni di bruciature. Erano tutti morti. I sopravvissuti cercavano di salvare il poco che era rimasto.

Astyr gridò, sorreggendo il figlio, verso il villaggio.

 
***
 
Fehyri era tra i morti. Astyr la trovò dopo aver affidato Volfin al vecchio Gîrkal, che in quel momento aiutava chi era rimasto in vita. Separarsi da Volfin era l’ultima cosa che desiderava, ma non c’era scelta. Doveva trovare Fehyri, e una parte del suo cuore, quella che rifiutava di ascoltare, lo avvertiva di non portarlo con sé. Quella parte di sé aveva ragione, come Astyr constatò quando, dopo una penosa ricerca in mezzo ai ruderi e ai cadaveri sparsi per il villaggio, rinvenne il corpo di sua moglie, nudo e sfregiato da una lama. Immerso nella pesante coltre di fumo, Astyr respirò a pieni polmoni. Lasciò che la cenere gli penetrasse in bocca, bruciandogli la gola e la lingua, sperando che il dolore lo distraesse da ciò che vedeva. Ma nessun dolore fisico poteva cancellare una simile visione.

 
***
 
«Razziatori. Sono arrivati molto prima del previsto.»

«Quanti erano?» domandò Astyr.

Gîrkal rimase per un attimo a fissare le braci ardenti nel falò. La notte era tiepida, l’unico rumore nei dintorni era quello della risacca.

«Più del solito. Almeno cinquanta. Anche preparati, non so se saremmo riusciti a respingerli.»

Astyr non smetteva di contorcersi le mani. Nei suoi occhi brillava una luce febbrile, resa ancora più sinistra dai bagliori riflessi delle fiamme.

«Non ti devi torturare, Astyr. Non avresti potuto fare nulla.»

«È questo pensiero che non mi dà pace: se anche ci fossi stato, non sarei riuscito a salvare mia moglie. Non posso accettarlo.»

«Non devi vederla così. Andando a pesca, hai salvato tuo figlio.»

«La mia famiglia è spezzata, Gîrkal. La mia e quella di molti altri. E cosa accadrà quando i razziatori torneranno di nuovo? Dovremmo aspettare di perdere anche chi ci è rimasto?»

«No. È ora di preparare le navi.»

Astyr fissò lo sguardo sul vecchio. Un impeto di rabbia pervase i suoi lineamenti, ma Gîrkal non si scompose. Astyr sapeva bene cosa stava per proporre l’anziano del villaggio, era un argomento che avevano affrontato più volte, ma non avevano mai trovato un punto su cui accordarsi. Difficile pensare che l’avrebbero raggiunto quella notte.

«E perché mai dovremmo preparare le navi?» disse Astyr, con accento provocatorio.

«Lo sai perché. Non possiamo più restare qui. Sono anni che te lo ripeto.»

«E sono anni che ti do la stessa risposta. Questa terra è nostra. Non siamo noi a dovercene andare.»

Gîrkal sospirò. La sua fronte si aggrottò, e di colpo dimostrò molti più anni di quanti ne avesse in realtà.

«Astyr, ero convinto che questa tragedia ti avesse finalmente aperto gli occhi. Vuoi che tua moglie sia morta invano? Desideri lo stesso destino per Volfin? Non possiamo più restare qui.»

«Mia moglie è stata violentata e massacrata a colpi d’ascia!» esplose Astyr, la gola secca e gli occhi gonfi di lacrime. «Mi stai chiedendo di scappare, come un ratto nella merda, lasciando impunite quelle bestie? Vuoi che abbandoniamo tutto quello che hanno costruito i nostri padri, e i padri dei nostri padri prima ancora?»

Gîrkal lo fissò tristemente.

«Ormai, tutto quello che i nostri padri hanno costruito, o abbiano mai avuto intenzione di costruire, è già in cenere. Vuoi diventare cenere anche tu, Astyr?»

«Io voglio essere libero. Libertà significa non dover fuggire.»

«Le belle frasi non ricostruiscono villaggi e non riportano in vita il bestiame. Vorresti rimanere? Molto bene. Rimaniamo. Aspettiamo la prossima orda. Magari questa volta ne verranno cento. O di più. Sacrifichiamo pure le nostre vite in modo che la tua sete di vendetta possa dissetarsi alla fonte della stupidità.»

Alle dure parole di Gîrkal, Astyr si alzò di scatto e si allontanò. Si diresse verso il mare, mentre gli stivali affondavano nella sabbia viscida. Non degnò di uno sguardo il vecchio compagno, né tantomeno di una risposta.

 
***
 
“Maledetto vigliacco d’un vecchio” non faceva che pensare Astyr, in preda alla collera. “Non parlerebbe così, se a essere stuprata e macellata fosse stata sua moglie.”

Ma Gîrkal aveva ragione. La consapevolezza di ciò acuiva la sua furia, al punto che Astyr aveva dovuto allontanarsi, temendo di non riuscire a dominarla. Avrebbero dovuto andarsene. Prima di quel giorno, persino lui aveva considerato l’idea. Aveva avuto in mente di parlarne al vecchio pescatore, prima o poi. Dopo anni di ripensamenti, si era infine deciso ad accettare il suo consiglio. Ed ecco che giungeva quella disgrazia a colpirlo. Se prima la fuga era un’idea sensata, adesso si era trasformata in una prospettiva ripugnante. La vergogna l’avrebbe perseguitato fino all’ultimo dei suoi giorni. Come avrebbe potuto guardare Volfin negli occhi, sapendo che l’assassino di sua madre vagava da qualche parte libero e impunito? Come avrebbe potuto guardarsi riflesso in una pozza d’acqua, senza che il ricordo del corpo mutilato di Fehyri lo perseguitasse?

D’altra parte, come era possibile restare? Volfin era in pericolo. Una seconda incursione avrebbe potuto portargli via anche suo figlio, e Astyr non poteva accettarlo. Poi, le scorte di cibo erano distrutte o depredate, gli animali morti, le case bruciate. La volontà di ricostruire vacillava di fronte alla prospettiva di una seconda distruzione.

Tormentato dai dubbi, Astyr si sedette sul litorale bagnato, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, il volto fisso sul mare color notte, a osservare i bagliori lunari riflessi sull’acqua increspata dalle onde. Rimase lì fino all’alba, quasi senza muoversi, la mente che iniziava a ottenebrarsi di pensieri sinistri.

 
***
 
«Ti voglio chiedere perdono, Astyr.»

Gli occhi di Astyr erano gonfi per la stanchezza, ma la mente era ancora lucida. Riconobbe subito la voce di Gîrkal, che l’aveva raggiunto zoppicando sul far del giorno.

«Ti ho parlato in maniera troppo dura. Non meritavi un simile trattamento, dopo quello che è successo.»

«È tutto dimenticato, vecchio amico. Non sei stato tu a provocarmi tanta pena» rispose Astyr, la voce arrochita dalla sete. «Ma se senti il bisogno di farti perdonare, ho una richiesta da farti.»

«Parlami, dunque.»

Astyr si alzò in piedi. Scrutò negli occhi Gîrkal, preparandosi a osservare le sue reazioni. Voleva capire se gli avrebbe detto la verità. Non dubitava della lealtà del vecchio, ma esistevano ricordi che potevano generare menzogne.

«Che cosa rammenti della Fauce?»

La reazione di Gîrkal non fu quella prevista da Astyr. Si era aspettato un fremito d’inquietudine, l’impossibilità di mantenere il contatto visivo, una frase balbettata. Niente di tutto questo. Gîrkal rimase impassibile. Gli occhi erano tristi, ma sereni. La piega della sua bocca era inclinata verso il basso, dipingendo un’espressione rassegnata.

«Astyr, sapevo che me l’avresti chiesto. Sono venuto anche per dirti questo: non pensarci nemmeno. Per quanto grande sia la disgrazia, questa non è la soluzione.»

«Ti prego, rispondi alla mia domanda.»

«È in nome della nostra antica amicizia che parlo. Ti dirò tutto, perché confido nella tua ragione. Inoltre, sento di avere un debito con te.»

«Quale debito?»

Gîrkal sospirò, e i suoi occhi si abbassarono. «Io sono vecchio e inutile, ma avrei potuto dare un senso a questi ultimi giorni della mia vita, se mi fossi immolato per salvare tua moglie. Ma non sono riuscito a fare neanche questo.»

Astyr non disse nulla. Lasciò che il vecchio si tormentasse ancora per qualche istante con quel pensiero, così che si mostrasse più incline a rispondere alle sue domande.

«Parla, adesso.»

«Eri poco più di un bambino quando io e altri nove del popolo del Drago partimmo per l’isola sacra. Ricordo perfettamente il tuo sguardo di allora, mentre mi fissavi partire. Uno sguardo che non è cambiato molto, con il passare del tempo» disse Gîrkal, abbozzando un sorriso. «Quando raggiungemmo quelle sponde, tirammo in secca le barche e avanzammo nel cuore dell’isola, fino ai fiumi di fuoco congelato, oltrepassando i crepacci roventi e arrampicandoci fino al cuore fiammeggiante delle Fauci.

«Il primo a gettarsi nel lago incandescente fui io. Il dolore che provai quel giorno torna ogni notte a tormentarmi negli incubi. Tentai con tutto me stesso di varcare le fiamme, ma guadagnai solo un’agonia impossibile da descrivere a parole. Dovetti rinunciare. Era chiaro che il Dio Drago non mi avrebbe permesso di giungere al suo cospetto.»

«Mi rendo conto solo ora di non avertelo mai domandato, Gîrkal» lo interruppe Astyr. «Che cosa avresti chiesto al Signore delle Creature?»

«È passato così tanto tempo che credo di averlo dimenticato» rispose Gîrkal, rabbuiandosi. «Di sicuro, qualcosa riguardante la forza o il generare una stirpe duratura. Eravamo semplici guerrieri, Astyr. Non c’era molto altro da desiderare. Ma quel giorno non fui l’unico a venire rifiutato. Anche gli altri che erano con me subirono lo stesso martirio, senza ricavarne nulla. O almeno così parve.»

Gîrkal si soffermò a guardare il mare, lasciando che il silenzio riempisse quella breve pausa.

«Trascorsero dieci giorni. Ci fu chi tentò ancora di oltrepassare il lago di fuoco, sopportando ferite atroci, nonostante quelle dei giorni precedenti non fossero ancora guarite. Fu tutto inutile. Le fiamme non si dischiusero. Il Dio Drago ci rifiutava.

«Sconfitti, provati duramente nel corpo, abbandonammo la montagna. Le nostre condizioni non erano affatto buone, la discesa fu molto più ardua della salita. Eravamo in prossimità delle barche, quando Igridyne si rifiutò di proseguire.»

«Igridyne? È un nome di donna.»

«Era l’unica donna della nostra spedizione. L’unica a cui il Dio Drago concesse udienza, quel giorno.»

«Che intendi dire? Nemmeno lei riuscì a varcare le fiamme.»

Astyr si accorse di fremere d’impazienza. Il racconto aveva catturato la sua attenzione, facendogli quasi dimenticare l’affanno del giorno precedente.

«Igridyne era diversa da tutti noi. Non era un guerriero, il suo corpo era esile, aveva le forme di una fanciulla appena sbocciata. Noi tutti, io compreso, eravamo attratti da lei, ma non la sfiorammo con un dito. Non è concesso toccare una donna, durante il pellegrinaggio alle Fauci. Ma ci avvicinammo a lei in altri modi, o tentammo, tempestandola di domande. Chi era? Perché aveva scelto di intraprendere un viaggio simile, per di più senza la protezione di un familiare o di un amico? Dov’era la sua famiglia? A parte il nome, tuttavia, non riuscimmo a cavarle molto altro. Eravamo preoccupati per lei, Astyr, davvero. La scalata fino al lago di fuoco è pericolosa, si snoda attraverso i rigagnoli di lava che trasudano dalla roccia, sotto il costante pericolo di un’esplosione sotterranea. L’aria che circonda il tempio è impregnata di cenere e zolfo, il calore è insopportabile, e questo è nulla in confronto a ciò che viene dopo! Per Igridyne non fu facile, ma ce la fece. Raggiunse il lago, patì le nostre stesse sofferenze e tornò con noi alla spiaggia. E fu lì che Yngrun la scelse. Rimase immobile di fronte a noi, eretta, gli occhi sbarrati, nera per la fuliggine, le labbra tremanti, i vestiti ridotti a brandelli. La sua pelle, liscia e desiderabile fino a tre giorni prima, era ricoperta da ustioni inguardabili, eppure non era questo a turbarci: erano i suoi occhi. Il suo sguardo era rivolto a noi, ma non era noi che guardava. Vedeva qualcosa, che si trovava al di là delle nostre membra lacere, al di là del mare, al di là di questo mondo. Vedeva lui, il Dio. La stava chiamando, e lei non esitò a rispondere. Non ci fece alcun cenno di saluto, né ci spiegò nulla. Tornò indietro, sui passi che aveva appena percorso, verso l’inferno di fuoco. Io volevo trattenerla, ma non potevo farcela: avevo a stento le forze per restare in piedi. I miei compagni, poi, erano decisi a conservare le ultime energie per tornare a casa. Volevano dimenticarsi dell’isola al più presto, e anche di Igridyne. Quando siamo salpati, per tutto il tempo ho guardato verso la riva, cercandola con lo sguardo, pregando perché la follia che si era impadronita di lei si dissipasse, ritornasse alla spiaggia, supplicandoci di tornare. Se l’avesse fatto, mi sarei buttato in acqua per raggiungerla. Ma non andò così. Non la vidi più, e per tutti questi anni ho cercato di dimenticarla.»

Astyr non disse nulla. Quando il silenzio cominciò a protrarsi per troppo tempo, e fu chiaro che Gîrkal non aveva altro da aggiungere, riprese la parola.

«Che cosa vuoi dirmi, con questa storia?»

Gîrkal lo guardò. I suoi occhi grigi, di solito così freddi, tradivano una grande emozione. C’era malinconia, un dolore che era affiorato in superficie dopo anni di sepoltura nelle profondità della sua anima.

«Igridyne è un Non-Morto. È stata scelta. Io credo che sia ancora là. Non so perché lei sia rimasta e noi no. Quello che so è che il Dio Drago la voleva, e la sua volontà ha sempre un fine. Questo fine, però, non si cura del destino di chi viene scelto per eseguirlo.

«Se andrai alle Fauci, Astyr, non tornerà l’uomo che è qui dinanzi a me. Chi torna da quell’isola non è mai la stessa persona che vi è approdata. E chi vi rimane, è nelle mani del Dio Drago. Non so quale delle due cose mi atterrisca di più.»
 



NOTE AUTORE
Ciao a tutti, o voi che siete giunti indenni fino alla fine di questa lunga prima parte. Innanzitutto, grazie per esser arrivati fin qui. Spero di avervi incuriosito e mi auguro che la seconda parte sia all'altezza delle vostre aspettative. Se vi siete divertiti, annoiati, se siete perplessi o avete un commento da fare, beh, non esitate a scrivermi! Ogni recensione, anche negativa, è assolutamente ben accetta. Fatevi sentire ;)
   
 
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