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Autore: Yuliya    15/03/2015    4 recensioni
“Non dovevi seguirmi.”
Sapeva che si trattava di Bellamy sebbene non sapesse motivare quella strana sensazione al centro del petto che, alla stregua di una vocina, le aveva suggerito che solo lui si sarebbe preoccupato di rintracciarla. Lo sapeva ancora prima di incontrare un paio di scarponi sporchi di fango e le ombre delle fronde delle piante che gettavano ghirigori raccapriccianti sul suo viso provato.
Le sorrise appena. “Allora non mi conosci.”
[Bellarke long] [Post 2x16]
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Cena delle ceneri



Prologo
 







 
I saw the angel in the marble and carved until I set him free















 
 
Diventava sempre più buio. Sempre più buio.
Il sonno era inquieto e forse non sarebbe nemmeno sopraggiunto perché l'addio che si erano da poco scambiati continuava ad affollargli la mente, costringendolo a rigirarsi da un lato all’altro in preda ad assurde vampate di calore. Stava lentamente perdendo il controllo della sua razionalità, abbandonandosi a quanto di più simile ai sentimenti.
Spalancò di scatto gli occhi e balzò in piedi in un unico rapido movimento. Sul borsone da viaggio, di fianco al giaciglio, stava abbandonato l’origine di quei pensieri infernali: l’orologio del padre di Clarke da cui si era separata solo in seguito alla dipartita di Finn.
Troppo dolore concentrato in un solo, misero anno.
Doveva portarglielo. Bellamy era giunto a quella conclusione nello stesso momento in cui le aveva sussurrato traboccante di delusione e rancore: “May we meet again”.
In realtà l’orologio c’entrava quanto l’interesse che nutriva per Lexa –meno di zero dopo aver appreso il modo in cui si era comportata con Clarke-. Non l’avrebbe lasciata sola per il semplice motivo che non poteva, o almeno non poteva proprio adesso che si erano ricongiunti.
Mosso da una convinzione che sentiva essere talmente forte da indurlo ad abbandonare tutti i compagni di avventure compresa sua sorella, era sgusciato il più silenziosamente possibile nel magazzino, aveva raccattato armi, munizioni e provviste sufficienti per qualche mese –tutte gettate alla rinfusa nella sacca che portava-, e poi aveva rifatto il percorso a ritroso fino a voltare le spalle al campo Jaha.
Octavia e gli atri avrebbero capito, dovevano capire. Il popolo non necessitava più di loro ora che erano salvi da qualsiasi minaccia.

Era Clarke l’unica persona che da fin troppo tempo aveva un disperato bisogno di essere salvata.

 

L’aveva rintracciata piuttosto facilmente dopo circa quaranta minuti di marcia forzata e senza sosta. Con il brivido del cacciatore che sa che la preda è sua e lo attende al limitare della radura, aveva seguito le orme fresche e nemmeno tanto celate, come se Clarke volesse inconsciamente farsi raggiungere. O forse era solo una sciocca supposizione frutto della sua fervida fantasia. Anzi, ne era quasi convinto.
Sarà sempre lontana, dovessi anche trascorrere l’intera vita al suo fianco.
Non sapeva spiegarselo,  eppure era come se Clarke  gli stesse gridando aiuto e questo urlo continuo gli rimbombasse ad un ritmo alienante e straziante nel cranio. Bellamy le avrebbe donato quel perdono da cui dipendeva la sua intera esistenza perché era il minimo che potesse fare per compiacerla. Sarebbe diventato solo così un vero eroe. Non quell’eroe apprezzato da Kane che porta un trionfo che odora di sangue e scelte discutibili, ma che fa della sua vita –perché sì,  volente o meno quella biondina ostinata ne era parte integrante da un bel pezzo- una missione ben riuscita.
 
Quando Clarke aveva udito il rumore continuo di passi risuonare in un eco spezzato per la foresta, di chi rincorre senza tregua qualcosa di irraggiungibile, non si era nascosta o rifugiata dietro qualche cespuglio di rovi come le aveva suggerito la stratega, la Clarke che era riuscita ad espugnare senza troppe difficoltà Mount Weather, ma anzi si era esposta maggiormente, divaricando appena le gambe e impugnando senza un briciolo di compassione la pistola nella destra. Con sguardo che non mostrava nemmeno una breccia scalfibile di emozione, lo aveva accolto.
“Non dovevi seguirmi.”
Sapeva che si trattava di Bellamy sebbene non sapesse motivare quella strana sensazione al centro del petto che, alla stregua di una vocina, le aveva suggerito che solo lui si sarebbe preoccupato di rintracciarla. Lo sapeva ancora prima di incontrare un paio di scarponi sporchi di fango e le ombre delle fronde delle piante che gettavano ghirigori raccapriccianti sul suo viso provato.
Le sorrise appena. “Allora non mi conosci.”
Clarke indurì lo sguardo. I polpastrelli non accennavano a rilassare la presa. “Devo stare da sola, Bellamy. Ho bisogno dei miei spazi per riflettere. Torna indietro, gli altri staranno cercando il loro leader” disse, scandendo parola per parola affinché raggiungessero con solennità le orecchie del suo interlocutore.
“Quel posto non è più casa mia né tua. Non lo è più stata da quando ci ha raggiunto l’Arca” mormorò, avanzando a passi misurati verso di lei.
 “Hanno bisogno di te.”
Clarke esitò per un istante nel ribattere, e quel tentennamento fu abbastanza. “Se la caveranno” aggiunse quindi Bellamy, con tono innaturalmente controllato.
Ti prego, lasciami la speranza. Anche se futile.
La mascella della giovane vibrò visibilmente, seguita dalla presa sull’arma. “Non costringermi a sparare.”
“Non lo faresti.”
Un sorriso amaro si distese sul suo viso scultoreo. “Sono capace di tutto, ormai” sibilò con maggiore fermezza. “Dovresti saperlo.”
Bellamy avanzò ancora, tranquillo. Non lo ingannava il suo mostrarsi dura, aveva compreso da tempo che esibisse una facciata per non cadere da un momento all’altro in un mare di pezzi. Anche se in quel loro scontro verbale sembrava perfettamente padrona delle proprie azioni, si intravedeva nei suoi occhi cerulei -che avevano assistito a troppo male per una così giovane età- una richiesta implicita di aiuto. Un lampo di cui non si era ancora resa conto, probabilmente, abituata com’era ad affrontare ogni ostacolo da sola. Bellamy però quando si trattava di Clarke riusciva ad interpretare ogni più piccola screziatura. Anche la più insignificante. E su quella avrebbe fatto leva, perché come lei lo aveva sottratto a morte certa pochi mesi prima, allo stesso modo -in questo frangente di necessità- avrebbe colto l’occasione per restituirle il favore.
Tu ci hai salvati, mi hai salvato.
Dunque continuò ad andarle incontro, osservando il contegno di Clarke scemare piano piano e la bocca spalancarsi appena senza che emettesse alcun suono, finché non restarono scarsi metri a dividerli, la pistola ancora puntata in direzione del cuore.
“Non mettermi alla prova” tentò ancora la bionda con voce supplicante in un ultimo patetico sforzo di allontanarlo, nel momento in cui Bellamy appoggiò con calma la mano sulla sua per abbassare l’arma. Anche se una parte di lei continuava a urlare qualcosa che assomigliava a: “Indurisci il tuo cuore, devi indurirlo” alla fine cedette e ripose la revolver nella cintola.
Bellamy la studio per qualche istante dalla sua notevole altezza, per poi spostare l’attenzione sui tronchi centenari che li circondavano. “Andiamo.”
 “Non tornerò al campo.”
“Non intendevo al campo, andremo dove vuoi” affermò con decisione, osservandola in attesa.
Per un attimo la sorpresa prese il sopravvento sulla stoica facciata di Clarke, eppure la nascose il più velocemente possibile. “Voglio la pace” decretò infine voltandosi e rimettendosi in marcia, presto raggiunta dalla lunghe falcate del ragazzo.
E la vendetta, perché Lexa la pagherà cara.
Ma questo sadico particolare lo tenne per sé.
Bellamy ricambiò con ambigua intensità lo sguardo che gli aveva appena rivolto. “La troveremo, è una promessa.”
 
 
 
 
Angolo Autrice:

questo è il prologo della mia prima long Bellarke, ma very Bellarke, ed è la terza stagione secondo il mio punto di vista. Perché secondo me quel trollone di Jason vuole solo farci soffrire, Bellamy non può davvero permettere a Clarke di andare a fare un campeggio per i boschi. Ma scherziamo? E poi da sola?
Ha voluto solo creare maggiore tensione e un finale coi fiocchi fidatevi di me ahaha.
Comunque è chiaro che non ce la facevo ad attendere fino ad ottobre, e dunque eccomi qua con questa long. Sinceramente non so ancora da quanti capitoli sarà composta, ma non ha alte pretese. Devo solo sfogare la mia voglia di Bellarke perché non soffrivo una ship così tanto dai tempi della Delena. Cattivo Jason.
Non ho altro da dire, boh, spero che vi abbia incuriosito e non faccia troppo schifo.
Senza neanche immaginarlo, tempo fa avevo postato la mia unica os Bellarke 
I dreamed a dream   in cui Clarke abbandonava il campo per scappare. No, ma io sono Nostradamus ahaha.
Mi dileguo prima di sparare altre cavolate di cui a nessuno interessa lontanamente. Magari fatemi sapere come lo trovate.



Face: Yuliya Efp
Ask: Tari
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