Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: RedLolly    16/03/2015    3 recensioni
Raccolta di brevi e taglienti racconti incentrati ognuno su uno specifico personaggio della serie, il quale risulterà dilaniato da una particolare malattia mentale. Benvenuti al manicomio.
I- Carne che brucia [Roy Mustang]
II – Cure amorevoli di una ragazza sola [Winry Rockbell]
III – L’uomo triste e la principessa di pezza [Hohenheim]
IV – Il rito [Riza Hawkeye]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Edward/Winry, Roy/Riza
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Per Alice, che stalkerizzo in continuazione! Grazie per come mi sopporti!<3 Semplicemente, ti adoro!

Ringrazio anche tutti quelli che leggono questa mia strampalata raccolta, in particolare coloro che recensiscono! Grazieeeee! Mi fate venir voglia di essere sempre più cattiva con questi poveri personaggi… Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, anche se, vi avverto, a mio avviso è particolarmente crudo e non adatto a chi è particolarmente sensibile, tanto che valuterò se cambiare il rating e metterlo rosso… Vedrò cosa fare!

Grazie nuovamente!

Lolly

 

 

IV – Il rito. [Riza Hawkeye]

 

L’aria nella stanza aveva un odore bizzarro. Sapeva di profumo fruttato da donna, di deodorante ambientale al patchouli, di colonia maschile, di sudore, di lenzuola pulite. Quello era l’odore del sesso, l’effluvio che precedeva il rituale che si sarebbe consumato poco dopo. Era sempre così, ormai ne era consapevole. Unirsi carnalmente all’uomo che amava, che adorava in modo talmente viscerale che si sarebbe fatta uccidere per lui, era il preambolo sacro alla sua personale e profana funzione. Il tutto aveva un qualcosa di mistico, di estatico, di espiatorio, nonostante il tutto fosse così carnale e terreno.

Li poteva sentire tutti, i suoi vischiosi organi interni, che si contraevano e si rilassavano in continuazione… Merito dell’autocontrollo che aveva imparato ad assumere sul proprio corpo. Una tiratrice come lei era in grado di governarsi alla perfezione.

Riza Hawkeye sapeva di non essere una ragazza come le altre. Dal suo punto di vista la  su vita era stata straordinaria, avventurosa, eppure anche triste. Terribilmente triste.

Sua madre era morta quando lei era una bambina, suo padre non si era mai troppo curato di lei, anzi, per lui era solo un contenitore alchemico, un guscio vuoto. Non l’aveva mai amata. Avrebbe dato qualsiasi cosa, quando era piccola, per ricevere un abbraccio, qualche parola di conforto, un complimento per le sue eccellenti doti di mira, e invece tutto questo all’uomo che le aveva dato la vita non era mai interessato. Solo la sua schiena aveva per lui un qualche tipo di malsana attrattiva, con quei tatuaggi che le aveva fatto costringendola con la forza. Quante cose aveva fatto subire con la forza Solo a ripensarci, Riza non sapeva se ridere o piangere. Forse era stata una stupida, non aveva mai detto nulla a nessuno, nemmeno al colonnello Mustang, nonostante fosse sicura che lui sospettasse, che lui avesse visto ma non voleva parlarne. Riza era solo una bambina che voleva cancellare tutte le cose orribili che le erano capitate…

Suo padre non l’aveva veramente violata, ma per lei era lo stesso. Anche se la sua verginità non era stata intaccata, con le sue parole, con il modo disumano con cui l’aveva sempre trattata, l’aveva stuprata, l’aveva violentata nel profondo della sua Anima. Lei era stata solo carne da macello da toccare, da studiare. Aveva odiato le sue mani quando le accarezzavano con reverenza la sua schiena nuda, l’unica parte di lei che valeva la sua attenzione, le parole affettate e rivoltanti che le dedicava in quei momenti. Era stata un misero pezzo di pelle e null’altro per quell’uomo maledetto. No, non l’aveva violata mai, eppure si sentiva come se lo avesse fatto: colpevole, lurida dentro e esecrabile. L’aveva sporcata e oltraggiata sfiorandola e ferendola. Ricordare il suo tocco, il dolore dell’ago che iniettava l’inchiostro nel derma, la sua voce maniacale le faceva salire la nausea.

Bambina mia, sei perfetta!”

Lo sai anche tu che lo devi fare! Ci siamo votati ad una causa superiore e tu sei il fulcro di tutto!”

Non devi dirlo a nessuno, sarà il nostro piccolo segreto!”

La donna scosse la testa, cercando di scacciare via tutti quei pensieri che la disturbavano e che in quel momento non la facevano dormire. Soffriva di insonnia sempre più spesso, ma le compresse di Fenobarbitale che il medico dell’esercito le aveva prescritto erano rimaste nella loro confezione immacolata, appoggiata ordinatamente su una mensola del bagno, in bella vista. Erano lì, le procuravano una sensazione di sicurezza. Il dottore le aveva garantito che si trattava di un farmaco scoperto da poco e che era molto efficace contro l’insonnia e le situazioni ansiogenee. Riza aveva annuito, evitando di rivelare quello che già era ovvio: non ne avrebbe assaggiata nemmeno una. Se le avesse volute avrebbe potuto prenderle quando non si sarebbe più sentita abbastanza forte.

Forse era addirittura meglio così: quelle poche volte che riusciva ad addormentarsi la sua mente partoriva incubi terrificanti. Le visioni di donne che donne non erano, di scheletri coperti di pelle macilenta che si massacravano a vicenda a mani nude, scorticandosi, e poi ridevano di lei, le dicevano che era disgustosa, eppure lei cercava sempre di aiutarli, di farsi perdonare portando loro da mangiare perché erano così deperiti… E loro invece vomitavano… Era tutto così nauseante…

Sdraiata nel letto, si era rannicchiata tra le lenzuola in posizione fetale. Uno spiffero entrava dalla finestra appena socchiusa.

La sua schiena nuda, illuminata dalla gelida luce lunare, era devastata da profonde ustioni, dilaniata da simboli ormai incomprensibili che mai avrebbe voluto vergati sulla sua pelle. Non c’era stata altra soluzione, aveva dovuto sopportare un dolore spaventoso, avvertire il proprio corpo sciogliersi e bruciare per liberarsi di quell’incubo.

Accanto a lei, il giovane uomo che all’epoca aveva acceso quelle fiamme, dormiva. Avvertiva il respiro profondo e regolare del Colonnello. Lui non aveva alcun problema con il sonno. Dopo l’estasi ardente che lei gli regalava durante quelle notti proibite si addormentava sempre appagato come un bambino, senza dirle nulla.

Riza tremò appena, l’epidermide che si accapponava per pochi attimi prima di rilassarsi nuovamente avvertendo il calore del corpo di Mustang accanto al suo.

Preferiva di gran lunga restare così, sveglia e in tensione, preparata ad alzarsi e sparare al minimo segno di pericolo con la pistola che teneva incastrata tra il muro e il materasso; con gli occhi color nocciola spalancati come fanali nella semioscurità grigia e fredda, piuttosto che rimanere insonnolita e instupidita dai barbiturici. Sì, erano dei farmaci che aveva già visto utilizzare, inventati e messi in commercio di recente. Molti militari li utilizzavano per attenuare l’ansia, i sensi di colpa e gli incubi ricorrenti. Tanti, troppi soldati si erano ritrovati in quelle condizioni dopo la guerra di Ishval, le loro menti si erano ammalate a causa di tutte quelle brutture a cui avevano assistito, ed ecco che ognuno cercava di trovare un dolce veleno con il quale dimenticare almeno in parte quegli orrori: c’era chi annegava la tristezza nell’alcool fino a quando il fegato non diventava un pezzo di legno, c’era chi passava intere nottate nei bordelli incurante della lue che prima o poi lo avrebbe contagiato e ucciso, chi ancora nei barbiturici, farmaci che annebbiavano la mente, creavano una dipendenza fisica e conducevano chi ne faceva uso ad una specie di letargo cerebrale, mentre il corpo ne chiedeva sempre di più per ricevere dei benefici...

Riza aveva orrore di tutto questo. Lei non era tanto debole, era forte, determinata. Aveva passato di tutto durante la sua vita travagliata, la sua moralità, il suo senso profondo del dovere e la sua fedeltà erano il pilastro saldo su cui il Colonnello poteva sempre contare. Se si fosse ridotta ad uno stato larvale in quel modo, come avrebbero fatto tutti quanti? Il Team Mustang si aggrappava a lei e alla sua operosità, senza riuscire a capire quanta corazza aveva dovuto costruirsi da sola, pezzo dopo pezzo.

 

Una bambina bionda sdraiata a pancia in giù su un vecchio tavolo di legno piange in silenzio, la guancia destra arrossata appoggiata sulla superficie ruvida, già umida di lacrime. Cerca di mantenere il controllo, di essere coraggiosa e resistere al dolore di quella tortura. Gli aghi le bucano incessantemente la pelle virginale, rivoletti di sangue scuro colano pigramente sui suoi fianchi. Suo padre lavora febbrilmente su di lei senza ascoltare i suoi lamenti e le sue suppliche, completamente rapito dalla solennità del momento, in preda ad un delirio estatico.

 

La bambina è cresciuta, ed è diventata una donna. L’allievo di suo padre, un giovane bello e brillante la trascina con sé nell’esercito, contagiandola con i suoi onesti e giusti ideali. E’ diventata una cecchina, una tiratrice dal talento innegabile, che spara senza sbagliare un colpo dalle torrette, i capelli corti coperti da un velo per proteggersi dal Sole rovente e insopportabile delle terre di Ishval. Quello è il caldo dell’Inferno in cui si è ritrovata senza nemmeno accorgersene.

Quando, all’interno del suo campo militare, vede per la prima volta un gruppo di donne dai capelli bianchi, la pelle scura e gli occhi rossi trascinate in catene come bestie fin dentro alcune tende non realizza nemmeno bene cosa stia succedendo. Tutto attorno a lei è ovattato.

Le donne sono tutte di età diverse, ci sono anziane, giovani, ragazzine, alcune di loro sono incinte, altre sono ferite, e hanno una cosa in comune oltre alla loro fisicità: piangono. Alcune silenziosamente, altre singhiozzano, altre ancora pregano, tutte piangendo di paura. Intuiscono già il loro destino, cosa che Riza realizza solo quando avverte le urla e i rumori dentro le tende.

E qualcosa dentro di lei inizia nuovamente a sanguinare, e si ricorda di quando era bambina, di quando suo padre le ammirava la schiena e le diceva che era bellissima e che quello era il suo compito, che doveva stare zitta… Le stesse parole che in quel momento sente pronunciare da quei soldati senza cuore né sentimenti.

Quando sente le grida e i gemiti provenire dalle tende le si gela il sangue nelle vene. Prova a protestare con i superiori, i quali la ignorano, litiga violentemente con gli altri soldati, uomini che non capiscono, che la scherniscono, che non hanno alcuna idea di cosa voglia dire quella mortificazione… Perché per loro è giusto così, mentre ogni fibra di del corpo di quella bambina ormai adulta sanguina, sanguina copiosamente.

«Ma non rompere le palle, Hawkeye!»

«Guarda che è normale, in guerra ci vogliono delle ricompense anche per i poveri soldati come noi! E poi sono sicuro che sotto sotto piace pure a loro!»

«Facevi meglio a stare a casa a cucinare torte come tutte le donne normali invece di giocare a fare il soldato. Sarai anche brava a sparare, ma io ho sempre detto che la carriera militare non è roba da femmine…»

«Ehi, Hawkeye! Se vuoi metterti tu al posto loro non hai bisogno di fare queste scenate, basta che chiedi… Ti darei volentieri una ripassata!»

«Bravo, così almeno per una volta terrà in mano qualcosa di diverso da un fucile!»

«Chiediamo a Mustang se oltre che lamentarsi sa fare qualcos’altro con quella bocca…»

Deve difendersi con le unghie e con i denti perfino dai suoi commilitoni, minacciandoli a vuoto di farcirli di piombo, riempiendosi di quel poco orgoglio che le rimane, tra le loro risate crudeli. Si sente umiliata per l’ennesima volta, umiliata perché donna, e le donne non devono fare altro che tacere e soddisfare gli uomini. Il primo è stato suo padre, poi quando pensava di essere finalmente libera, l’incubo è tornato a torturarla. Lo vede negli occhi di quelle povere sventurate terrorizzate e mutilate nelle loro anime.

Nemmeno il suo amico le è d’aiuto, poiché quando gli racconta le oscenità a cui ha appena assistito lui le risponde che ormai non possono fare nulla oltre a sperare che quell’orrore finisca presto. Quelle parole la fanno sprofondare ancora di più nell’abisso delle proprie paure. E in quella voragine spaventosa tocca il fondo nel momento in cui decide di mettersi in gioco lei stessa quella notte. Di nascosto prova ad entrare nella tenda dove sono tenute le prigioniere.

Sono legate, umiliate, inermi, nude, ferite, disperate, private della dignità. Alcune non si muovono, potrebbero essere morte o svenute in quell’Inferno che sa di sudore, di sangue, di umori, di urina.

Si rivede in loro, la bambina che è cresciuta, vorrebbe aiutarle perché quella visione le strappa via il cuore e lo riduce a brandelli. Ha portato loro qualcosa da mangiare, qualche razione che è riuscita a avere in più dalle cucina dell’accampamento. Sorride mentre porge loro qualche pezzo di pane e una borraccia d’acqua. Pensa di fare qualcosa di buono per quelle sventurate…

Una donna anziana, con il volto deturpato da un lungo squarcio che le percorre la fronte, fresco e sanguinante, la fissa con odio e sputa per terra.

«Non abbiamo bisogno della pietà di una puttana dell’esercito. Mangiatela tu questa roba. Non vogliamo l’aiuto di una cagna come te, non provarci! Non sei meglio degli altri, non cercare di convincermi con la tua falsa carità. Stermini il nostro popolo esattamente come tutti gli altri, vero? E giuro… Giuro che pregherò Ishvala che tutte le carogne come te subiscano quello che abbiamo patito noi devote! Spero proprio che qualcuno ti prenda, ti bastoni, ti deturpi e ti stupri, soldatessa…»

Il cuore della bambina è ormai dissanguato. Nemmeno se ne rende conto, ma dopo quei sibili spietati scappa via in lacrime.

Riza non vuole più essere una donna. Riza vorrebbe quasi sparire.

 

Riza Hawkeye si risvegliò da quella specie di sogno ad occhi aperti. Era sicura di non aver dormito, aveva semplicemente lasciato che il flusso di ricordi sfilasse da un capo all’altro del suo cervello, ferendola nuovamente. Non si era neanche accorta che la piccola abat-jour sul comodino del lato opposto al suo fosse accesa e che la figura che riposava al suo fianco non c’era più. Si voltò lentamente, socchiudendo gli occhi a causa della luminosità violenta della lampada e scorse la figura statuaria del Colonnello proprio accanto al letto. Aveva già indossato i pantaloni di sartoria, si stava accingendo ad abbottonare la camicia, dalla quale si intravedeva il suo petto muscoloso.

Riza avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa per lui. Gli era indispensabile nel lavoro, non era abbastanza sicura però di esserlo anche nella vita sentimentale. L’esercito proibiva le relazioni tra soldati, e il tutto veniva consumato in modo clandestino, in quei mordi e fuggi a cui lei si aggrappava dolorosamente, sperando con tutta se stessa che Roy Mustang non la stesse usando finendo così per macellare crudelmente il suo povero cuore.

Si vedevano di nascosto, spesso a casa di lei, facevano sesso (o facevano l’amore?), quasi disperatamente, avvinghiati l’uno all’altra… Poi l’uomo se ne andava in silenzio, salutandola in modo freddo e formale, chiamandola Tenente, lasciandole sul cuscino quell’odore di dopobarba muschiato. E lei doveva stare al gioco, doveva controllarsi, ricordarsi del suo ruolo. Era la sua sottoposta, rigorosa, dedita alla sua mansione. Non si lamentava mai.

«Non sei riuscita ancora a dormire, Tenente?»

Mustang parlò girandosi di spalle, mentre si infilava un cappotto scuro.

«No.»

«Sei andata dal medico? Ho visto una confezione di Fenobarbitale nel bagno. Era ancora sigillata.»

«Non voglio prenderlo, Colonnello. Non ne ho bisogno.»

L’uomo annuì.

«Fai bene, Tenente. Mi servi lucida. Non posso perderti a causa di quelle porcherie, il tuo lavoro è importante per me.»

Riza avrebbe voluto chiedergli se lo era come soldato o come amante, e invece rimase in silenzio, aspettando il rumore della porta dell’appartamento che cigolava chiudendosi. Lui non l’aveva nemmeno salutata, non lo faceva mai. Era a quel punto che cominciava il rituale, ogni volta dopo che se ne andava.

Riza si alzò lentamente, come posseduta, piangendo in silenzio, e si recò in cucina. Hayate dormiva placidamente nella cuccia, non si accorse di nulla.

Lei aprì il frigorifero. Divorò una mela, quattro budini al cioccolato con panna, una scatola di acciughe, una confezione di carne cruda. Poi una confezione grande di yogurt bianco, un intera fetta di formaggio stagionato, due banane, cinque carote, un cespo intero di insalata, e poi tre scatolette di tonno dalla dispensa, dei biscotti, cereali a manate direttamente dalla scatola, mezzo barattolo di crema di cioccolato e nocciole, uno intero di cipolle sotto aceto, tre fette biscottate, qualche sorso di latte e di una bibita all’arancia, una scatola di ravioli crudi, tre mandarini, mezzo limone…

Divorava tutto quello che trovava come fuori di sé, senza avere il controllo di nulla. I quei momenti finalmente poteva dirsi libera. Il suo cervello si spegneva, non era più una donna che rischiava la dignità ogni maledetto giorno, era solamente un’umana che riempiva il suo stomaco fino a che non fosse stato ingombro, e più quell’organo era pieno e più la sua testa era vuota. Era proprio bello avere la mente così leggera durante la prima parte del suo rituale… Quando sarebbe arrivata la seconda si sarebbe resa conto che così non poteva andare bene, che aveva mangiato decisamente troppo, e che faceva un po’ schifo. Per fortuna aveva i suoi metodi per purificarsi... 

 

Hayate si sveglio e osservò uggiolando la sua padron che si dirigeva lentamente in bagno.

 

A

 

Bulimia Nervosa:

è un disturbo del comportamento alimentare

che colpisce al 90% il sesso femminile

e per il quale il soggetto sente un bisogno compulsivo di ingerire

spropositate quantità di cibo, correlato ad una sensazione

di incapacità di controllo sul proprio comportamento.

   Spesso dopo le abbuffate vengono eseguite delle condotte di eliminazione,

che vedono il soggetto ricorrere regolarmente a vomito autoindotto,

oppure all'uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

Il fine di questo comportamento (che spesso come per l’Anoressia Nervosa

diventa “rituale”) è quello di neutralizzare l'abbuffata.

È un modo per poter provare ad attenuare il senso di colpa

procurato dall'abbuffata e di ridurre al minimo ogni aumento di peso

che potrebbe aver luogo conseguentemente.

 

    Le cause della bulimia possono essere culturali

( difficile accettazione del proprio corpo rispetto all’ideale di bellezza),

famigliari, traumatiche (violenze, stupri, fonti di stress,

forti pressioni sociali e lavorative),

personali (odio per il proprio aspetto fisico,

incomunicabilità, sensazione di perdita di controllo) e biologiche.

 

   

 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: RedLolly