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Autore: La Setta Aster    16/03/2015    1 recensioni
“sono...” la mano tremava “solo...” mentre inseriva il proiettile nel tamburo di uno degli ultimi revolver sopravvissuti all’avvento delle armi laser. “affari” disse infine, con voce febbrile, prima di premere il grilletto.
Genere: Dark, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Tutto ciò che lasciava intendere che in quel momento non fosse notte era il fatto che tutto era ancora tranquillo, non si vedevano in giro morti né si sentivano vomitare i laser dalle pistole. Howard, però, doveva sfogare il suo odio; così, si mise sulla strada, la via oscura, per ‘La Caverna’, uno squallido locale di periferia, dove si rimediava sempre un cadavere per l’inceneritore. Vi arrivò senza troppi problemi. Si piazzò davanti alla porta, e prese dall’impermeabile un sigaro termico elettrico. Era un semplice involucro di materia cristallizzata isolante, che conteneva del tabacco alieno, e anche di ottima qualità. Howard entrò nel locale lasciando che le porte si spalancassero da sole. Dentro, l’aria era pesante e satura di alcool; c’era chi beveva, e chi aveva già bevuto, e barcollava per il locale. Ma non era quel bere allegro che si trovava negli agglomerati: era un bere velenoso, nel tentativo di dimenticare la propria posizione, oppure per morire. C’erano barboni, e c’erano gruppi gangster di basso livello, poiché quelli di alto livello agivano negli agglomerati. I drogati avevano il loro angolo di isolamento. C’erano anche delle ballerine, al centro del locale, che ballavano su cubi fluttuanti che cambiavano colori al ritmo della musica martellante; una musica che andava ancora di moda solo nel quartiere povero, poiché era tanto rumorosa e caotica che non induceva ad alcun pensiero, tanto avrebbe tormentato le orecchie e la testa, e se non si pensa, non ci si ricorda di essere un rifiuto ambulante. Fra tutte quelle danzatrici, aliene e umane, verdi, blu, bianche, solo una dorata catturò gli occhi di Howard. La sorella gemella della sua amata. La sua pelle inumidita dal sudore riluceva, facendo come da specchio d’oro per le luci del locale.

“Howard!” lo chiamò felice, vedendolo.

Lui sorrise.

“ciao, Sarah” salutò.

Lei scese dal cubo gravitazionale sul quale stava dando mostra della sua sensualità, e andò verso di lui. Fece per abbracciarlo, ma lui si tirò indietro.

“ti spiacerebbe rivestirti?” domandò.

“la mia offerta resta sempre valida”

“sai che non posso. L’amore che provavo per tua sorella non mi ha mai abbandonato. Mi sentirei come se la tradissi”

“lei vorrebbe che tu ti rifacessi una vita. Tanto vale farlo con me”.

Howard sospirò.

“lasciami ancora del tempo”.

Lei sorrise con dolcezza, tentando di rasserenarlo dal ricordo che certamente gli era affiorato.

“mi rivesto” disse poi la ragazza. Aveva circa trentadue anni, ma ben portati dal suo fisico da danzatrice. Prima lei, e sua sorella, vivevano negli agglomerati. Sarah sognava di diventare una ballerina per i più grandi teatri del quartiere che non dorme mai. Quando tutto si infranse, alla morte della sorella, lei reagì con una forza ammirevole. Ancora nel quartiere povero non smetteva di sognare.

Mentre attendeva, Howard si diresse al bancone. Vide che un grosso impermeabile che avrebbe dovuto contenere un uomo, in realtà fluttuava nel vuoto: al di sotto di esso non si vedevano piedi. Si accostò, e lo salutò chiamandolo per nome “buonasera, Rick”. Questo si voltò, mostrando che era seduto su una sedia gravitazionale, per paralitici.

“ciao, Howard” rispose una voce che tradiva l’età dell’uomo, così come il volto, che ancora si nascondeva sotto un cappuccio. “ancora qui ad autocommiserarti?”

“e tu ancora qui a cercare conforto in una bottiglia?”

“già” si affrettò a rispondere l’amico.

Howard lo guardò per un momento, ricordandosi meglio dello stato d’animo del compagno.

“passamene un po’ ” disse poi.

Così fece.

“ti ostini ancora a non fare uso della droga che ti vendo, e a rivenderla soltanto?” chiese Rick ad Howard mentre questo beveva.

“ho perduto già troppo la mia umanità” rispose “uso solo Morpheus per dormire”

“come vuoi”. Gli strappò la bottiglia dalle mani per continuare a bere.

Continuarono a parlare del passato, e di quanto fosse doloroso viverci. Howard soleva dire “in questo mondo falso, solo i pazzi sono felici; ma la felicità è un’illusione che annebbia la vista. Chi è triste, dunque, ha una visione più chiara delle cose. E non c’è visione più pulita di quella di un pazzo che diventa triste”. Mentre le loro bocche proferivano parole roventi per i loro cuori, un rumore colse l’attenzione di Howard, un rumore che odiava oltre tutti: un grido di donna, alle sue spalle. Un gruppo di ragazzi tentava di stuprare una ballerina Venusiana, così, davanti a tutti. Subito, l’assassino si alzò e gli si pose davanti. Il capo della banda era chino sulla ragazza, che tentava di dimenarsi, e gridava, e implorava aiuto. Doveva essere nuova, altrimenti si sarebbe lasciata stuprare in silenzio, o li avrebbe uccisi.

“signori,” cominciò a parlare Howard, con tono ironico calmo ma velatamente isterico “quello che fate… non è esattamente un gesto di galanteria che si confà a dei galantuomini quali siete voi”.

Il ragazzo si alzò, lasciando perdere la ballerina, accompagnato dalle arroganti risate dei suoi compari. I vestiti erano decisamente giovanili: i pantaloni mostravano diversi squarci, tra cui un all’inguine, che lasciava le vergogne pensolare allo scoperto.

“e tu che cazzo vuoi, stronzo? Credi di essere un eroe? Beh, ti sei ficcato nell’olofumetto sbagliato!” la voce irritante cominciava ad innervosire Howard, che però parlava con disinvoltura e tranquillità, come fosse tutto normale.

“ahia, quante parole poco cordiali, sto udendo. Perché non provi ad essere un po’ più educato?”.

A queste ultime parole di Howard, il ragazzo fece per estrarre una pistola, ma la sua mano finì per diventare un ammasso di ossa frantumate e sangue, macellata da un proiettile di arma da fuoco, quella dell’assassino. Il teppista si mise ad urlare. Due suoi compagni perirono per mano di Howard, mentre altri due finirono trapassati dai proiettili di un fucile termico, che sprigionava dei raggi che incanalavano una temperatura vicina a quella del sole in quel singolo raggio. Per ricaricarsi, però, doveva, attraverso una pompa, espellere dall’arma la batteria rovente, che sarebbe stata sostituita subito da quella seguente, nel caricatore. Era impugnato da Sarah – uscita dal camerino struccata e vestita con jeans e una leggera canottiera senza maniche, che la rendeva troppo fatale da guardare, agli occhi di Howard –  che per caricare la pompa, la teneva ben salda in una mano, e lanciava il corpo del fucile verso l’alto. I bossoli venivano scaraventati fuori dall’arma e rimbalzavano a terra con un gradevole tintinnio. Ma se solo qualcuno li avesse toccati, ne avrebbe ricavato un’ustione che si sarebbe scavata la strada nella carne. Poi, Sarah si avvicinò al capo banda, e, tenendo il manico del fucile con una mano, glielo puntò alla tempia.

“che dici?” si fece avanti Howard “ci aggiungiamo una palla?” così dicendo, puntò il revolver all’inguine dello stupratore.

“no! Vi prego!” implorava.

Howard guardò Sarah.

“troppo tardi” disse l’assassino. Così, con rapidi colpi l’assassino sparò prima laddove stava puntando, poi alla testa.

“volevo ucciderlo io!” protestò lei.

“sai quanto ci tenevo” ribatté lui.  

Di tutta risposta, Sarah scaricò i restanti proiettili del fucile contro il cadavere già freddo del ragazzino, finché non ne rimase che una poltiglia. A qualcuno infastidì il frastuono degli spari, ma per quanto riguarda quella visione indecente, ormai era abitudine. Certo, un corpo in quelle condizioni sorprendeva comunque. Sospirando, Sarah accompagnò Howard al bancone. Lo fece accomodare, ordinando un drink.

Però, qualcuno, nascosto nell’angolo più oscuro e indiscreto del locale, osservava Howard, attanagliato da ricordi che non sapeva di avere.
“sei stata fantastica” si complimentò Howard. “e lo sei, fantastica. Però... sai... potresti coprirti, ti prego? Sei troppo bella, e...”

“mi dispiace vederti così. Ogni giorno stai male per quello che è successo, ma sono passati tanti anni! Anche io le volevo bene...” fece una pausa, e strinse il braccio di Howard con la mano. “però voglio bene anche a te. Sento che insieme, tu e io, saremmo felici. È una cosa rara da trovare, quaggiù, la felicità. So che tu la odi, ma forse odi solo quella degli altri, quella che tu non puoi avere pur meritandola più di altri. Pensa: tu avrai ancora il tuo mestiere, solo con una casa più bella, e io sarei una ballerina classica...” sognava la ragazza.

Era vero: non esisteva molto amore, nel quartiere povero; gran parte dei bambini nascevano in rapporti con prostitute, e venivano affidati all’unico orfanotrofio della zona fino al compimento dei sette anni, e poi abbandonati per le strade. Era più simile a una caserma che a un orfanotrofio, e si insegnava ai bambini a sopravvivere. Howard ebbe la fortuna di vivere i primissimi anni della sua vita lontano dalla violenza, sebbene nella povertà. Lui si alzò, quasi per difendersi, e fece qualche passo verso la porta. Lei era rimasta immobile, aspettando un suo sguardo. Arrivò: Howard si voltò verso Sarah. “ti amo” le disse, prima di fuggire fuori dal locale. Si era messo a piovere, e quando Sarah uscì per cercare l’uomo, egli si era ormai dileguato tra le gocce fitte, nella migliore tradizione degli assassini. Restò ferma, ad aspettare qualcosa, o forse solo per riflettere. Non si potevano distinguere le lacrime dalla pioggia.

Intanto, l’uomo nell’ombra, possessore di quegli occhi che avevano scrutato Howard nel locare, si era deciso a seguire l’assassino, convinto di aver trovato il killer che stava cercando. Prima, però, avrebbe domandato alla ragazza come precederlo a casa sua. Non avrebbe mai rivelato l’indirizzo, ma l’uomo l’avrebbe importunata solo per il gusto di sopprimere l’unica persona che ancora concedesse all’assassino un barlume di luminosità. Si avvicinò, il volto coperto da un ampio cappello.

“andiamo di fretta, signorina?” domandò con voce roca, che non poteva appartenere ad un uomo più giovane di Howard. La strattonò.

“lasciami!” tentò di divincolarsi la ragazza.

“dove sta andando quell’uomo? Dov’è, che abita?” ruggì l’altro.

“fottiti, stronzo!”.

La risposta che voleva: con un teaser stordì Sarah. Quando fu a terra, le strappò i vestiti, e prese un coltello. Con la lama lucente accarezzò il ventre, tempestato dalla pioggia. Poi, lasciò che i suoi più infimi e schifosi istinti parlassero per mano dell’arma bianca.

Howard giunse a casa sua, affranto dal dolore dei suoi ricordi. Prese a picchiarsi le tempie nervosamente, prima di entrare nell’ascensore gravitazionale. Là dentro, mentre saliva, pensava. Fu destato dal suono del campanello che avvisava dell’arrivo al quarantesimo piano. Entrò nel suo appartamento e, richiesto un bicchiere di whiskey al braccio meccanico, si lasciò cadere sul divano. Beveva sorsi insicuri. Ad un certo punto gli cadde lo sguardo verso l’indicatore dell’ascensore. Vide che era diretto verso il suo appartamento: qualcuno stava salendo. Non pensò che sarebbe potuta essere Sarah, anzi, era talmente certo che lei non sarebbe andata da lui senza avvisare che non si pose nemmeno il problema. Lasciò subito cadere il bicchiere, prese la pistola e disattivò il generatore della corrente del suo piano, di modo tale da bloccare la sua porta. Questo non impedì al misterioso inseguitore di farla saltare. Senza esitare, Howard si precipitò dentro, per uccidere lo stolto predatore. Non era poi così stolto, perché si era rifugiato sul tettuccio dell’elevatore. Gli piombò addosso. Howard fu svelto a divincolarsi e a rifugiarsi nella sicura oscurità. Approfittando di quell’attimo di distrazione, agguantò un jet pack che stava sempre in un piccolo armadietto di fianco al balcone, e si catapultò fuori dalla finestra. Accese gli invertitori gravitazionali, che lo fecero sfrecciare verso il tetto dell’edificio, dove, tra le altre, riposava la sua navetta, simile a un’auto, solo più appiattita, per essere aerodinamica. Gli altri velivoli appartenevano a chiunque abitasse quel palazzo insieme ad Howard, ma la gran parte ormai non erano più proprietà di nessuno. Nessuno di vivo, s’intende. Entrò di corsa nell’abitacolo, e accese i terminali ologrammatici, sentendo i motori attivarsi quasi silenziosamente, come un sibilo. Si alzò di qualche metro, e, girando la cloche, voltò la navetta verso la strada. Riuscì a notare che il suo inseguitore aveva utilizzato un canale di scolo che percorreva in verticale l’intero palazzo per tutta la sua altezza, ed era riuscito a raggiungere il parcheggio a cielo aperto. Nemmeno ci badò. La navetta scivolava sull’astrostrada come una serpe d’acqua. Si sentiva già più al sicuro, passando attraverso gli ologrammi pubblicitari che invadevano la strada, protraendo l’immagine tridimensionale del prodotto nel bel mezzo dell’aerocorsia. E non poteva aspettarsi un proiettile laser alle spalle, che centrasse il motore, surriscaldandolo, che invece fu ciò che accadde. Un tremore avvertì Howard che doveva trovare al più presto un luogo per atterrare. Tentò di tenere stabile il velivolo, ma alla fine, andò a sfondare la parete di un palazzo, parcheggiandosi in una stanza buia. A fatica, si portò fuori dall’abitacolo. Aveva una gamba rotta, e quando se ne accorse gemette di dolore, ma la pistola non pareva essersi danneggiata. Il velivolo dell’inseguitore, che doveva aver rubato tra gli altri parcheggiati, invece, si andò a parcheggiare sul tetto. Ogni navetta aveva un jet pack di soccorso, del quale sicuramente il cacciatore avrebbe fatto uso. Quello di Howard era distrutto, e non volava. Doveva alzarsi, ma la gamba doleva. Si ricordò della droga che avrebbe dovuto vendere. Per questa volta, farò un’eccezione pensò. Così, inghiottì delle pillole verdi dalla consistenza molle, e il dolore svanì quasi subito, ma ancora la gamba non poteva essere usata se non zoppicando, poiché cedeva. Howard si preparò dietro la porta d’entrata dell’ufficio per accogliere l’uomo. Non tardò a presentarsi. Cominciò uno scontro corpo a corpo. Una scarica elettrica di un cavo sprizzò scintille di luce in ogni dove, illuminando il volto del nemico: era un uomo sui cinquanta anni, età rimarchevole, dall’aspetto vissuto ed esperto, che vantava una serie di cicatrici di ogni forma e dimensione. Somigliava tanto ad un serpente, come quelli che si vedevano nelle fotografie di quando ancora gli animali vagavano per la Terra. I capelli bianchi non gli conferivano affatto un aspetto meno pericoloso. Comunque, Howard riuscì metterlo a terra: era comunque molto più vecchio. Gli puntò la pistola alla testa.
“uccidere” Howard cominciò a parlare “è un’arte. Noi siamo degli artisti, e lei dovrebbe saperlo. Potremmo paragonarci a Da Vinci, o Mozart. Il nostro pennello, è la pistola, il nostro violino è il coltello. Le nostre tempere sono il sangue, e il rombo di un’arma, è la nostra sinfonia. Dobbiamo abbracciare questo dono.

“sai,” disse cambiando discorso “cosa dicevano, gli assassini, i soldati, quando massacravano la gente senza che alcuna legge potesse impedirglielo? Quando stupravano e uccidevano le nostre donne?” ebbe un immagine veloce come un flash della sua amata. “sono...” aprì il tamburo del revolver e lasciò scivolare i proiettili a terra. Tintinnarono, quando toccarono il pavimento. “solo...” raccolse un proiettile da terra e lo inserì nel tamburo, che fece girare, poi puntò nuovamente la canna dell’arma alla testa del vecchio. “affari”. Premette il grillettò, il cane scattò, e il cacciatore sussultò. Non si udì che un rumore metallico: il destino che Howard aveva scelto come suo giudice aveva deciso che era giunta la sua ora. L’avversario approfittò della resa al volere del fato che il suo nemico stava ostentando, per utilizzare degli elettrodi posti nei guanti per stordire Howard. La testa gli parve esplodere.

Prima che il proiettile laser gli forasse il cranio, nella mente balenarono immagini felici di lui e della sua amata, tanto tempo prima, durante un lungo e appassionato bacio. Poi rivide anche Sarah, e si consolò del fatto che le aveva detto ciò che si teneva dentro. Sorrise nel cuore.
“sono” disse il predatore “solo” il dito fremeva sul grilletto “affari”.
  
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