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Autore: Shirokuro    16/03/2015    2 recensioni
{ sally / fem!sal centric; accenni sally/mikotsu | one-shot di circa 935 parole circa | incompleta? | introspettivo }
Pensò solo che quella cosa verdastra e molle al tatto fosse infinitamente bella. Era morta, l’aveva uccisa lei. Era bella nella stessa maniera di Mikotsu. Non quanto lei, ma come la principessa. E credeva che in un certo senso, l’avesse liberata. «La prenderò per una prova generale» disse sorridendo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riflesso di luce nel pesto di ciò che è morto
   Racconti che perdevano valore; era così che da sempre definiva le vite di chiunque, anche la sua. Non vedeva la bellezza in quell’esistenza viva, non la apprezzava. Tutto ciò che sapeva definire bello era la morte e non trovava per nulla sbagliata quella sua ostinazione. D’altronde Sally era l’ambasciatrice di quel mondo cosparso di rosso, tinto di sofferenza. Riteneva che sarebbe dovuta nascere in quel luogo, non nel Mare che venerava la vita, la felicità, la gioia, i sorrisi, le risate dei bambini. Lei odiava quell’allegria che si sfogava sullo sfondo azzurro delle acque linde di un popolo pacifico e bonaccione. Che divertimento c’era? Se lo domandava ogni volta.
   La sua principessa era bella, la invidiava quasi. Era così assetata, era morta, era di sangue nobile, morta, crudele, morta, chiara, morta, sorprendente, morta. Le era devota comunque, non poteva dire altro di se stessa. Voleva solo servire quell’essere perfetto, che guardava con occhi pieni di ammirazione. Non importava se non le si poteva più avvertire il battito di uno stupido cuore, se quell’unico occhio visibile fosse pieno di rabbia: era anche questo che la rendeva perfetta. Perché rinchiuderla? Perché impedirle di essere libera? Cosa c’era di sbagliato nella sua voglia di vendicarsi? Le avevano tolto tutto, quindi, che male c’era nel volerlo recuperare? Mikotsu era perfetta, perché?
   «La voglio liberare, la voglio liberare, subito, subito, subito!» Correva per sperduti fondali dove quasi certamente nessuno sarebbe mai passato e con un’arma di fortuna distruggeva coralli variopinti, lasciava che quella rabbia e quell’attesa venissero soddisfatte in qualche modo. «Attenderò con pazienza» era una menzogna che si ripeteva spesso in presenza di Tatsumiya e le altre sguattere di Uomi. Le disprezzava profondamente. Saltò e volteggiando taglio in due un’impotente alga di qualche metro. Non provava niente facendolo, nemmeno il più lieve sollievo, ma credeva che sforzandosi fisicamente avrebbe permesso al suo insaziabile desiderio di placarsi temporaneamente. «Odio questo Mare!» e la gonna si librava nuovamente nelle acque blu di qualche abisso, prima del suo arrivo, incontaminato.
   Una lama grande quanto una conchiglia non le bastava, voleva una spada, una spada! Voleva tenere con una mano l’impugnatura, darsi slancio con le gambe, lasciarsi alla corrente che il suo stesso corpo generava, dimenticarsi della coda e della pinna sulla testa, mossa solo dall’istinto. Forse così avrebbe potuto resistere ancora un poco, magari avrebbe dato fondo all’energia per troppo tempo tenuta a bada. Voleva macchiare di rosso quel mondo in qualche modo, nella maniera più rapida, più incisiva, più devastante: voleva di nuovo la morte, la desiderava più di qualsiasi altra cosa. Aveva sete, sete di un colore scarlatto che non riusciva a percepire attorno a sé da molto tempo, l’acqua salata che odorava di grida soffocate. Tsuribari, Stella, Sheep, Old, quei nullafacenti erano ancora lì, in uno stato d’oscurità perenne, ma erano là! «No, ho un ruolo importante, devo farlo solo per me stessa» si consigliava davanti al nessuno ascoltatore. Balzò ancora e tornando a toccare il fondale, tranciò un ramo da un solido corallo arancione.
   «Che noia». Si alzò, sistemò la lunga gonna fece dietrofront, con calma. Si era stufata prima del solito, notò mentre tentennava nel riassumere la forma animale. Odiava quel corpo nel quale poteva solo sorridere bonariamente. Non riusciva nemmeno a ridere più di tutto quello che accadeva davanti agli altri. Magari poteva permettersi di uccidere qualche pesce dando la colpa alla natura. Un poco di colore avrebbe dato tono, no? Anche se lo pensava, una vocina saggia in quella capa bianca le diceva di non rischiare. Con che cuore aspettare tanto per un obiettivo così giusto? Ah, non riusciva a capacitarsene.
   Continuò a camminare con le proprie gambe per un po’, lo sguardo fisso davanti, incurante di dove metteva i piedi o di come la gonna l’impedisse un movimento più fluido. Sentire i capelli lunghi che non toccavano le spalle era qualcosa di impagabile, che una tondeggiante immagine di delfino non le concedeva; il piccolo pugnale stretto tra le dita abili, indecise sul se giocarci. Incontrò un paio dei suoi disastri. L’alga di prima si dirigeva verso la superficie molto lentamente ed inconcludentemente, notò alzando il viso e seguendo cogli occhi l’ombra contro la luce solare che filtrava a fatica nelle profondità marine. «Stupida pianta» sussurrò a se stessa, guardandola. «Muoviti, e che cazzo, è così complesso? Cerchi la luce? Raggiungila, è lì!» continuò; non aveva intenzione di incitarla – che poi, era un essere inanimato –, eppure voleva vederla in alto. La pressione glielo impediva. «E quindi?» rispose ai suoi stessi pensieri, «Combatti, rammollita!» Si diede una spinta coi talloni e iniziò a nuotare verso di lei, la prese in mano e dopo essersi guardata attorno, si diresse verso la superficie. Borbottò qualcosa durante il tragitto, per riempire il tempo.
   Quando arrivò, distanziò le falangi con calma e l’alga lunga forse cinquanta centimetri iniziò a galleggiare senza fatica. Qualche goccia d’acqua salata scivolava sulla pelle bianca di Sally, che si permise qualche attimo di calore al Sole. Espirò e dopo un’ultima occhiata all’alga, si tuffò di nuovo in mare. Non c’erano ragioni per cui averlo fatto, pensò solo che quella cosa verdastra e molle al tatto fosse infinitamente bella. Era morta, l’aveva uccisa lei. Era bella nella stessa maniera di Mikotsu. Non quanto lei, ma come la principessa. E credeva che in un certo senso, l’avesse liberata. «La prenderò per una prova generale» disse sorridendo. Tutto quello che era morto, tendeva a salire, pensò. Anche ciò che si trovava nel Mare della Morte galleggiava ed andava verso l’alto. Qualunque cosa che avesse perso la vita. Ed il caldo che emanava quella piccola stella nel giorno era stupendo. La morte era proprio uno spettacolo.



 
Soundtrack(s); Everybody Hurts (Avril Lavigne), to be with U! (Angela). Non sono capace a scrivere roba del genere. E non so nemmeno perché di questo periodo non ho il coraggio di scrivere su ragazzi/uomini/maschi/peni. Cioè, è vero, sono innamorata pazza di Sally, è più forte di me: disegno spessissimo, amo Sal, non so disegnare Sal, Sally ha un design stupendo, riesco a disegnarla, mi ci innamoro; ma solo perché Syakesan è il mio squalo/salmone/coglione preferito. Dai, parliamone. E volevo scrivere 'sta roba su Sal. Ma poi ho realizzato che verrebbe una merdina inutile, non vedo proprio salmone-san nei panni del protagonista di questa breve fan fiction, proprio no! Ci vedevo più una ragazza, che ama il belloe che lo vede nella morte. Sally era la risposta.
Questa volta, mi meraviglio, sono stata più esplicita possibile. Di solito ucciderei me stessa per la roba inutile a cui faccio riferimento, i collegamenti alla mia vita e cazzate varie. Oggi, tranne qualche frase lasciata a metà, ma credo comunque comprensibile, no. Quindi nulla. E' quasi mezzanotte, ho mia sorella che mi sta per uccidere e voglio continuare Clannad After Story in gran segreto appena si addormenta, quindi chiudo qui; grazie per aver letto ed eventualmente apprezzato questa robetta futilmente scritta in tre giorni (in caso contrario, v'attaccate al tram fa nulla, de gustibus). 'Notte!
   
 
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