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Autore: aboutamoonlight    17/03/2015    2 recensioni
La notifica dell'arrivo di un messaggio fece vibrare il mio cellulare sul ripiano in legno dove l'avevo poggiato precedentemente. Il sorriso che avevo sulle labbra sfiorì di colpo e quelle lettere, come messe insieme a casaccio, mi riportarono a due anni prima, quando alla stessa ora ero in un altro posto.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Adesso chiedimi se sono felice:

"Here you are now
Calling me up
But I don't know what to say
I've been picking up the pieces of the mess you made"
 
 

La luce fioca illuminava di poco la stanza scura.
Stavo preparando le poche cose per la cena, in attesa che mia madre tornasse da lavoro. Di solito non tornava mai più tardi delle 5 del pomeriggio, ma le bollette aumentavano, l'affitto pure e mio padre aveva ben deciso di andare a vivere con una ventenne in Brasile. Fu così che si era vista costretta ad accettare tutti gli straordinari che il suo lavoro da infermiera le permetteva e non era mai autoritaria, anzi, con un sorriso stanco sulle labbra mi sussurrava "prepara la cena, Mia, cercherò di tornare a casa per le 8 questa sera." 
Era sempre stata una donna molto dolce e i suoi quarant'anni suonati non avevano lasciato molti segni su quel viso steso e pallido. Forse il fatto di aver avuto in grembo solo me l'aveva aiutata a conservare un fisico prestante che pur attirava lo sguardo di molti uomini. Sguardo a cui lei non cedeva, o almeno io non sapevo se lo facesse. Sapevo ben poco, in effetti, della sua vita da single e quel poco me lo facevo bastare, anzi, mi sembrava anche eccessivo poichè non ci tenevo a sapere quanti uomini si portasse a letto.

La notifica di un messaggio fece vibrare il mio cellulare sul ripiano in legno dove l'avevo poggiato precedentemente .Il sorriso che avevo sulle labbra sfiorì di colpo e quelle lettere, come messe insieme a casaccio, mi riportarono a due anni prima, quando alla stessa ora ero in un altro posto.
 

2 anni prima...

"Esprimi un desiderio" 
"Anne, ho compiuto sedici anni una settimana fa " dissi alzando gli occhi al cielo.
"Lo so benissimo, ma questa è la tua festa, no?"
"No- sbottai - è un locale pieno di gente che non conosco in cui mi hai portata perchè non sopporti il fatto che stia sempre chiusa in camera a divorare libri, cosa che, per inciso, mi diverte un sacco. "
" Se sei sempre così acida, non mi meraviglio che tu non trovi un ragazzo",affermò quella che dovrebbe essere stata la mia migliore amica.
" O forse non lo voglio un ragazzo, non ti pare? "
" Tutti hanno bisogno d'amore Mia " esalò, non ammettendo repliche e mi parve tanto ingiusto da indurmi a ribattere.
" Io no, io sto benissimo così."
" Stai bene- mi assecondò, poggiandomi una mano sulla spalla destra- stai bene Mia, ma sei felice? "
Ci pensai, ci pensai a lungo. 
Ero felice?
Me ne stetti zitta bevendo un altro sorso di birra mentre quella domanda rimbombava nella mia testa, ancora e ancora, ancora e ancora.
Sei felice?
Me lo domandai anche mentre la mia compagna di bevute se ne andò a ballare con uno sconosciuto biondo, anche quando quello stesso sconosciuto mezzo ubriaco ci riportò a casa ed io non contestai, anche sul mio letto, dopo l'interminabile monologo di mia madre che ebbe da ridire sull'orario e l'alcool e il viso indifferente di mio padre, seduto sul divano a programmare la sua partenza. Lo sapevo che avrebbe lasciato quella casa. Lui era uno spirito libero, un uomo che voleva abbastanza spazio per sè e per la propria libertà ed io e mia madre, una famiglia, eravamo un impiccio troppo grande. Se ne sarebbe andato come avrei fatto anch'io se avessi potuto. Ma non potevo e allora l'unico modo per evitare di guardare le stesse stanze con gli stessi occhi e gli stessi muri dalla stessa prospettiva erano i libri, e ne leggevo tanti, tanti che mia madre diceva che un giorno ne avrei fatto indigestione. Per me non erano comunque abbastanza, perchè loro non mi facevano sentire mai a disagio o fuori posto o sbagliata o non capita o male. Ecco la cosa che più mi piaceva: non mi facevano male.
Ma tu sei felice?
No, che motivi avevo per essere felice? Stavo bene, questo si. Stavo bene perchè i libri li potevo ancora leggere, la musica ancora ascoltare e potevo ancora fare le mie interminabili passegiate al parco con Anne. Potevo ancora bere thè e guardare il mio film preferito, appendere i poster delle band in camera e riempirmi di mascara e frasi acide. Stavo bene, questo si, ma non avevo motivi per svegliarmi sorridente la mattina e non aspettavo nessun evento in particolare, niente mi faceva battere il cuore in trepidazione, niente mi infiammava di rosso e niente mi rendeva felice. 
Era come guardare un orologio rotto, fisso alla stessa ora, ed aspettarsi che qualcuno lo riparasse magicamente. Però intanto il tempo passa e tu sei lì, non te ne accorgi. Il tempo passa e tu rimani ferma, immobile, aspettando di passare anche tu, un po' più in fretta.

Così venne anche l'estate a portare il suo sole d' inizio Giugno, la media dell'otto virgola otto a cui avevo fatto l'abbonamento anche durante i tre anni precedenti , le magliette a maniche corte e le feste di paese che Anne adorava ed io cercavo di evitare. 
Venne l'estate e con sè portò anche Eugenio. Aveva il nome del mio scrittore preferito e una spiccata voglia di volare alto .
Era un amico del biondo mezzo ubriaco che conobbe Anne a quella che avrebbe dovuto essere la mia festa di compleanno posticipata. 

Io ed Eugenio ci eravamo ritrovati una sera su una panchina di un parco, io troppo acida e lui troppo riservato per guardare Anne ed Edoardo baciarsi. 
Non cercavo l'amore nè l'avevo mai voluto. Fatto sta che avevo sentito una cosa strana all'altezza del petto quando mi disse che con una come me ci avrebbe fatto le migliori pazzie.

He said " let's get out of this town
Drive out of the city
Away from the crowds"
I thought "heaven can't help me now
Nothing lasts forever
But this is gonna take me down"


 
Ci vedemmo un'altra volta, mi costrinse ad andare alla stazione di sua spontanea volontà, e questa è una cosa da sottolineare per una come me che si vede sempre un rimedio per i bisogni insani di qualcuno. Ancora dovevo capirlo che anche lui voleva qualcosa da me quella sera, anche lui aveva bisogno di qualcosa che vedeva solo in me.
" Sali dai " mi disse e mi sorpresi anch'io quando mi accomodai su uno dei tanti sedili di un treno sporco e dipinto. Aveva l'aria di chi non sapeva cosa stesse facendo e non lo sapevo neppure io.
" Dove stiamo andando? " chiesi tremando.
" Non lo so " e a quel punto crollai con tutte le mie certezze. Poteva essere un pazzo qualsiasi e mi sentii quasi stupida, poi però mi sorrise e tutte le certezze tornarono al loro posto.
" Scegli una fermata e scendiamo. "
Era naturale. Sembrava un folle ma io volevo fare follie. Era una sensazione inebriante, meglio di un'inalazione d'eroina.
" Questa" dissi dopo dieci minuti di silenzio e qualche chilometro macinato dalle ruote di quella ferraglia sui binari arrugginiti.
Non parlò ma mi prese per mano e uscimmo correndo come pazzi da una stazione sconosciuta, ansiosi di conoscere il mondo fuori. Eravamo a quaranta chilometri da casa mia,quarantacinque da casa sua. Mi mise le cuffie con gli Arctic Monkeys che cantavano Do I Wanna Know a tutto volume e mi sentii bene. 
Poi quando ci trovammo in una piazza sconosciuta a parlare su una panchina abbandonata mi sentii a posto, come se il mio cuore stesse intonando una melodia nuova, una che non avevo mai sentito. Un colore nuovo, per me. Se avessi dovuto dargli un nome: rosa vivo.
" Non mi piace qui, ci sono tutti vecchi " disse e un po' ci rimasi male ma me l'aspettavo.
" Te ne sei pentito? Possiamo andarcene."
" No, però domani la stazione la scelgo io. " Rimasi a bocca aperta, anche domani e domani era una promessa.

Domani arrivò.
Scelse la terza fermata, dieci chilometri da casa mia, quindici da casa sua. 
"Questa mi piace di più, ci venivo quasi tutti i pomeriggi con mia madre. "
" Come mai? "
" Lei faceva la cameriera in quel bar lì infondo ed io l'aspettavo su questa pachina, di solito con un libro in mano. Il suo capo diceva che non potevo stare dentro perchè non prendevo nulla da bere nè da mangiare e lei non poteva tenermi a casa."
" Perchè? "
" Non c'era nessuno e la babysitter costava troppo."
" Ha cambiato lavoro adesso? " chiesi curiosa, non preoccupandomi del fatto che potessi essere troppo intromettente. In fondo eravamo due estranei che condividevano lo stesso treno.
" Si. "
" E cosa fa?" domandai.
" Un altro lavoro " rispose abbassando gli occhi e io avevo tanta voglia di alzare i miei al cielo. Era quello che facevo solitamente quando mi rispondevano come se le mie domande fossero state retoriche ma lui non l'aveva fatto con sarcasmo, lui l'aveva fatto perchè non voleva dirmi di più ed io non insistetti.
Era riservato e taciturno ed imparai a conoscerlo bene in quei giorni, nei nostri sprazzi di conversazione, ognuna che riempiva il mio cuore di una nuova tonalità di rosso.


" Leggi ancora Nì?"
" Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine."
" Virginia Woolf ? "
" Concorda con me, signorina?"
 Rosso tiziano


" Mi piace il tuo nome."
"Anche a me il tuo."
" Guarda che non sto scherzando. Posso dire che sei Mia senza mentire."
" Neppure io scherzo. Hai il nome del mio poeta preferito."
" Montale?"
Annuii
Rosso veneziano



" In quel motel ho scopato per la prima volta. E' stato due anni fa :come regalo di compleanno dei miei amici mi pagarono una prostituta e la notte lì."
" Ah. Com'è stato?"
" Imbarazzante. Non posso più passare davanti ad una prostituta, nemmeno per sbaglio, che mi viene da ridere."
" E scopare?"
" Quello è stato bello, lo è ancora."
" Ah."
"Non preoccuparti con te non c'è pericolo. Con te ci farei l'amore. "
Rosso pompeiano



" Mio padre se n'è andato di casa."
"Come mai?"
"Dice di amare una donna più giovane. E' andato in Brasile con lei."
"Non gli credi."
" La lascerà. Non è fatto per le relazioni. Lui vuole essere libero."
" E non ti ferisce?"
" Che se ne sia andato no, lo capisco. Mi ferisce il fatto che mi abbia lasciata qui."
" Non dovrebbe. Adesso non saresti qui con me."
Rosso fragola




" Fa la cubista in quel bar."
"Chi?"
"Mia madre."
" E perchè me lo dici adesso?"
" Perchè voglio che tu sappia tutto di me ed io voglio sapere tutto di te."
"Non mi piace il formaggio sulla pizza."
" E perchè me lo dici adesso?"
"Perchè ho fame e quella pizzeria promette bene."
Rosso pomodoro



" Voglio baciarti."
" Perchè sembra che mi stia avvertendo?"
" E' quello che sto facendo. Voglio darti la possibilità di tirarti indietro."
" Non voglio farlo."
Il rosso delle sue labbra.




Ci vedemmo per tre mesi, finì l'estate, venne settembre, la scuola e la nostra relazione non aveva ancora un nome nè una definizione. Nemmeno io sapevo cos'era. 
Volevo certezze, volevo sapere, volevo poter dire a tutti che era mio, perchè io ero già, inevitabilmente, tutta sua.

Non venne alla stazione.
Il calendario segnava il 25 settembre, faceva ancora caldo e lo zaino pesava. 
Lo chiamai ma non rispose e tornai preoccupata verso casa. 
Il giorno dopo andai lo stesso, stesso posto stessa ora, ma non lo trovai, come mi aspettavo.
Lo chiamai ma non rispose e tornai delusa verso casa.
Andai di nuovo l'indomani, stessa stazione stessa panchina e lui non c'era.
Lo chiamai ma non rispose e tornai verso casa bestemmiando alla segreteria.
Due lacrime mi contornarono il viso ma non ci feci caso. 
Poi tornò, si, tornò da me. 
Il primo giorno d'ottobre mi chiamò lui e non risposi,giusto per fargli capire cosa si provava.
Richiamò e riattaccai. 
Chiamò un'altra volta ancora e dovette aspettare tre squilli prima che gli chiedessi dove fosse finito imprecando.

" Tra tre settimane prendo un altro treno."
" Che significa?"
"Significa che stavolta lo devo prendere da solo. Vado a Milano. "
Milano: settecentosettanta chilometri da casa mia, settecentosettantacinque da casa sua.
Piansi forse tutte le lacrime che avevo da piangere e il terzo giorno d'ottobre lo chiamai.
Rispose al primo squillo.
" Voglio vederti ancora."
" Suona come un avvertimento."
"Lo è: non voglio costringerti a nessuna relazione a distanza, voglio darti la possibilità di tirarti indietro."
Non disse " non voglio", disse " voglio vederti ancora."
E ci vedemmo ancora, e ci sedemmo sulla panchina in una piazza piena di vecchi, bevemmo caffè nel bar in cui lavorava sua madre, leggemmo un libro lì di fronte, dividemmo una pizza senza formaggio e facemmo l'amore in un motel.
Mentii a mia madre quella notte, mio padre non sapeva neppure se fossi ancora viva.
Mentii ad Anne, le dissi che non l'avevo fatto, lei non mi credette.
Mentii a lui, gli dissi che in realtà avevo solo voglia di scopare e lui non disse niente, non parlò di Milano, non parlò del fatto che fosse un passo importante per me .Però fece l'amore anche lui, coi miei occhi, il mio sorriso e con me intera.
Mentii anche a me stessa quella notte perchè continuai a ripetermi che non faceva differenza il fatto che non avessi mai potuto definirlo mio, il fatto che non lo fosse mai stato davvero. Mentii dicendomi che non mi ero innamorata perchè forse era vero , innamorata era troppo poco.
Io lo amavo incondizionatamente.
E anche quella notte il mio cuore vide rosso come la macchia di sangue sul lenzuolo. Il segno della mia innocenza, quella che non sarebbe più tornata indietro. 
Il mattino dopo fu come se nulla fosse successo: ci rivestimmo, riprendemmo il treno e nessuno parlò.
La stazione, gli strinsi la mano e gli dissi " a domani" anche se lo sapevo che non si sarebbe fatto vivo.

She's begging you, "Stay, stay, stay, stay, stay."

Non presi nessun treno il giorno dopo, non mi chiamò e fu tre settimane dopo che mi accorsi che aveva preferito il silenzio all'inventarsi un addio. Gli avevo dato tutto, cose che non poteva più tornarmi indietro e lui se l'era tenuto, senza nemmeno dire grazie e neppure chiedere scusa.


Adesso...
 

Quel messaggio dicevo, e quelle lettere incasinate sullo schermo.

"Stazione, domani mattina alle 11:00. Verrai?"
Da: sconosciuto


Non era rosso nè un altro colore, era la sua assenza, neppure bianco, nemmeno nero: trasparente. Di che colore è il vuoto? Era così che mi sentivo.
Non risposi, come potevo? Tra noi c'erano due anni e tre ragazzi di mezzo, Milano, settecentosettanta chilometri, la stazione ristrutturata, la panchina rimossa dalla strada opposta al bar, la pizzeria col cambio di gestione, le lenzuola macchiate di rosso su chissà quale letto di quale altra stanza.
Non risposi ma ci andai. Erano le 10:50 ma il mio stomaco già era attorcigliato.
Volevo andarmene, pensai di farlo. Mi rifugiai nella libreria della stazione, aprii una raccolta di poesie di Montale e cominciai a leggere.
"... e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino"

Mi voltai, le sue spalle larghe, i suoi capelli ambrati, la voglia di vivere e le labbra sottili.

" Sei più bella di quanto ricordassi."
" Perché hai chiamato me? A cosa ti servo? Hai avuto quello che volevi due anni fa, prima di partire. "
" Cosa ti fa pensare volessi solo sesso da te?" mi chiese, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo curioso, il sorriso sbiadito, la valigia che pesava tra le mani allentate.
A separarci a malapena qualche metro e due anni di silenzi e incomprensioni.
I miei pianti, i suoi addii mai detti, le mie parole gridate a muri vuoti, a spalle stanche. I miei " ce la faccio da sola", i miei " sto bene". Lui dov'era?
Dov'era quando per aver creduto di non essere abbastanza ho detto addio ad un ragazzo che avrei potuto forse anche amare? E dov'era quando le mie insicurezze erano diventate la convinzione di non essere bella, brava o abbastanza forte, addirittura normale per essere amata? 

Era a settecentosettanta chilometri da casa mia, con me stessa tra i suoi resti e il rimorso di un "chissà come sarebbe stato" tra i suoi sogni.

" Se non avessi  voluto solo quello mi avresti amata, ci avresti provato."
"Perché sei qui Mia?"
" Volevo vedere, capire come fa la gente ad andarsene quando riceve tutto ciò che una persona può dare. "
" Avevi ancora tanto da dare Mia, ed io non potevo permettere che lo dessi a me. Io non lo merito."
" Ma lo hai preso comunque. Hai preso la mia verginità, i miei segreti, i miei sogni, il mio amore e lo hai portato su quel maledetto treno! Me lo dici quando ritorna? Perché sembra che lo abbia lasciato da qualche parte a temporeggiare però non torna più. E io voglio tutto così diperatamente, voglio te così disperatamente. E tu... ti sei preso le mie poesie, che fine ne hai fatto fare? Dove vanno? Dove vanno le parole gettate al vento in attesa che ti raggiungessero? Dove vanno i pugni che ho sferrato contro il muro? Tutto ciò che di me potevi prendere, dove va a finire?"
"Non ho preso nulla che tu non mi abbia offerto Mia."
Mi sedetti senza forze, mordendomi le labbra, guardandolo dall'alto in basso.
Io e lui, alla stazione di nuovo, a parlare di nuovo. Due anni, cinque centimetri di altezza guadagnati, più muscoli da parte sua, meno peso da parte mia, tre ragazzi e qualche storia di poco conto, chissà quante nelle sue lenzuola, a me che non mi ci aveva mai portato, a lui che l'ho fatto entrare fin dentro i miei detriti e ne sono uscite solo ferite e sale.

" Com'è Milano?"
" Nebbiosa."
" Lo dicono in molti."
" Anche Ibiza."
"Sei stato ad Ibiza?"
"Le vacanze con gli amici."
" Vorresti farmi credere che Ibiza è nebbiosa?" sbuffai.
" E' nebbioso un po' dappertutto senza te."

Il rosso di un'alba nuova.
 
I'll give you one more time
We'll give you one more fight
Said one more line
Be a riot, cause I know you



" Pronto?"
" Anne? "
" Mia, quanto tempo che non ci sentiamo! Come stai?"
" Chiedimi se sono felice."
" Cosa?"
" Ti ricordi alla festa per i miei sedici anni? Mi chiedesti se fossi felice. Stavo bene, si, ma non lo ero. E per i due anni a seguire non ho fatto altro che chiedermi se lo fossi e beh..."
" Ma sei felice?"
Sorrisi e prima di riattaccare affermai " da impazzire."


 
   
 
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