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Autore: histattooedarms    17/03/2015    0 recensioni
“È meglio essere feriti da una verità che consolati da una menzogna…”
(K. Hosseini, Il cacciatore di aquiloni)
Genere: Drammatico, Guerra, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“È meglio essere feriti da una verità che consolati da una menzogna…”
(K. Hosseini, Il cacciatore di aquiloni)
 
 
Avevo solo diciott’anni, era il mio compleanno, il diciottesimo per l’appunto, stavo festeggiando con tutti i miei amici, quando ricevetti il più bel regalo che avessi mai potuto desiderare e che non mi sarei aspettata di ricevere proprio in quelle circostanze: mi venne vicino un ragazzo e mi fece gli auguri e mi regalò una rosa rossa, io rimasi impietrita: era il più bel ragazzo che avessi mai visto: capelli scuri, occhi verdi ed espressivi, le sopracciglia folte e scure come i capelli, un sorriso perfetto da poterti uccidere se guardato, era alto, molto ed era muscoloso con una miriade di tatuaggi. Era davvero la personificazione della perfezione, non avevo alcun dubbio su questo.
Il più bel ragazzo che avessi mai visto davvero in tutta la mia vita, me ne innamorai al primo sguardo, e poi hanno il coraggio di dire che il colpo di fulmine non esiste, ma come avrei mai potuto immaginare che il nostro amore sarebbe durato così poco?
Iniziammo a frequentarci, io ne ero innamorata persa e lui pure, era così gentile, premuroso, simpatico ed anche testardo, eravamo davvero una coppia invidiabile, ma non ero a conoscenza di una cosa: lui era un soldato.
Quando me lo disse pensai non fosse una buona idea instaurare un rapporto con un ragazzo che di professione faceva il soldato, ma quello che sentivo per lui era così forte che decisi comunque di provarci.
Passammo un anno meraviglioso assieme da quell’incontro, eravamo andati a vivere assieme in un monolocale davvero piccolo, ma non ci lasciammo sfuggire nemmeno un comfort, avevamo tutto quello di cui necessitavamo.
Io andavo ancora a scuola, studiavo mediazione linguistica all’università, mentre lui il mattino si allenava e appena poteva cercava di trovare abbastanza tempo per poterlo passare con me e con i nostri amici. Non potevo lamentarmi di nulla, era tutto fantastico finché non arrivò quel giorno, il 21 ottobre, me lo ricordo come se fosse ieri.
Quel giorno eravamo andati a fare una passeggiata lungo il fiume, la giornata era meravigliosa; il sole splendeva e faceva ancora caldo. Matt, così si chiamava, mi prese la mano e me la strinse forte e mi disse
«Siediti…»
Io mi sedetti su una panchina a pochi metri da noi e cominciai a sudare freddo
«Domani devo partire in missione per un anno, ma ti prometto che farò ritorno da te, riuscirò a venire ad abbracciarti e in mia assenza andrà tutto bene, non preoccuparti per me. Io ti amo»
Tutti i momenti passati insieme mi affollarono la mente come un replay, un flashback, dopodiché persi le staffe, non volevo crederci, mi aveva promesso sarebbe partito tra tre anni, mi sentivo tradita e delusa, tante belle parole e poi sbam una pacca sui denti!
In silenzio tornammo a casa, io non dissi una parola per tutto il tragitto lasciando soltanto che le lacrime mi rigassero il volto.
Varcai la soglia di casa e mi accasciai sul divano realizzando di non poter farci niente, lui mi raggiunse e con il pollice mi asciugò le lacrime, io lo strinsi con tutta la forza che avevo in corpo e lo baciai… quasi come fosse un addio e forse lo era.
Cercò in tutti i modi di tranquillizzarmi dicendo che mi avrebbe chiamato tutte le sere e se non fosse stato possibile mi avrebbe cercato di scrivermi una mail, ma io avevo il cuore infranto in tanti piccoli pezzettini così acuminati da farmi piangere ad ogni secondo che passava, più ci pensavo e più piangevo. Non dormii, non feci altro che piangere per tutta la notte, Matt cercava invano di consolarmi con parole dolci, ma non riuscii a calmarmi nemmeno volendo tanto che, verso mattina ero talmente esausta che mi addormentai sulla sua spalla ormai fradicia di tutte le lacrime che avevo lasciato cadere senza cercare un freno.
Attorno alle nove e trenta suonò il campanello, capii cosa significava.
Matt si alzò, salutò i compagni di missione e tornò ad abbracciarmi; la testa di doleva, gli occhi mi bruciavano ed avevo ancora il trucco della giornata precedente sbavato.
«Sei bellissima, aspettami e tra un anno saremmo di nuovo assieme. Ti amo»
Piansi ancora e ancora stringendolo a me, mi disse che sicuramente avrebbe fatto ritorno da me, che avrebbe pregato affinché il tempo passasse velocemente e prima che potessi accorgermene sarebbe tornato.
Lo accompagnai alla porta e lo salutai con un ultimo bacio e poi lo vidi sparire lontano, non avrei mai pensato che quello sarebbe stato un addio.
Dopo aver pianto per i seguenti tre giorni decisi che non avrei potuto far altro che andare avanti, dopotutto me lo aveva promesso che sarebbe tornato, e Matt le promesse le aveva sempre mantenute.
Passarono alcuni mesi e lui mi chiamava ogni sera, mi raccontava di quanto fosse difficile vivere ogni giorno camuffato pregando affinché il sole non sorgesse mai, mi raccontò di quante volte vide i compagni morire in battaglia, da eroi perché avevano combattuto per la patria, mi diceva che spesso aveva del sangue straniero sulle mani e allora pregava Dio affinché perdonasse i suoi crimini.
Passarono alcuni mesi dalla partenza di Matt e pian piano riuscii ad abituarmi alla sua lontananza, avevo sempre quella tremenda paura di perderlo, se non in battagliava temevo che potessi innamorarsi di un’altra e lasciarmi, ma ogni sera, durante la videochiamata, mi si riempiva il cuore di gioia e di speranza nel vederlo e sentire la sua calda voce. Amavo quel ragazzo più di ogni altra cosa al mondo; era davvero tutta la mia vita.
I mesi passarono, ormai era già arrivata l’estate; ciò significava che mancavano meno di tre mesi al ritorno di Matt e la mattina del 28 luglio mi svegliai molto bene, mi sentivo così tremendamente rilassata che la cosa quasi mi spaventò.
Quella mattina non avevo lezioni e comunque anche se le avessi avute non ci sarei mai andata, avevo ben altri piani ed ero troppo piena di energie per rimanere seduta su un banco. Ad ogni modo, accesi lo stereo e misi il CD che mi aveva regalato me per il nostro primo anno assieme, conteneva tutte le nostre canzoni preferite, quelle che ci eravamo dedicati e che continuavano a farci sognare, o almeno per me era così, ma non riuscii a trovare qualcosa da fare che riuscisse a tenermi occupata per più di mezz’ora così uscii e andai in palestra ad allenarmi.
Tornando dall’allenamento comprai anche delle rose rosse, non so perché né tantomeno per chi, ma le comprai. Arrivata nella mia umile dimora riaccesi lo stereo e mi misi a fare un conto veloce di quanti giorni effettivi mancavano al ritorno del mio ragazzo: ottantacinque giorni, così feci una sottospecie di calendario countdown e lo appesi in camera da letto e quando quella sera mi avrebbe chiamato glielo avrei fatto vedere.
Questo lavoretto fai da te mi tenne occupata per un paio d’ore, poi decisi che fosse meglio continuare a studiare, presi i libri di tedesco e ripassai per bene tutte le lezioni e così facendo arrivò l’ora di cena; mangiai ed uscii per qualche ora con la mia migliore amica per poi tornare esausta nel monolocale; mi feci la doccia e andai diritta e letto.
Dormii bene, probabilmente per via della stanchezza procuratami dalla giornata affrontata, mi svegliai il giorno seguente un po’ intontita, preparai la borsa per l’università e mi diressi verso l’istituto per affrontare un entusiasmante giornata di ben cinque ore di letteratura straniera ed economia.
Finita l’università ricevetti una chiamata dalla mia migliore amica che mi invitava ad uscire il pomeriggio per un caffè, così accettai; tanto ora che Matt era lontano non avevo altro da fare.
Matt, appunto, ieri non mi aveva chiamato! Sbiancai, mi sedetti sul divano ed il mio stomaco cominciò a contorcersi, io iniziai a tremare.
“No, lui sta bene, non avrà avuto tempo, mi avrà sicuramente scritto” pensai e così cercai il telefono per controllare la mail. Nulla. “un guasto, ci sono troppi chilometri di distanza la connessione non prende” pensai nuovamente, ma non feci in tempo a togliermi quei brutti pensieri che in quel momento mi stavano affollando la mente che il cellulare squillò. Numero sconosciuto. Risposi.
«Sì, pronto»
«Parlo con la signorina Sanders?»
«Si certo, sono io, con chi parlo?»
«Buon pomeriggio, sono il Sergente John Kinmann dalla base militare di Kabul»
Mi sentii svenire, pensai che il cuore a momenti mi sarebbe uscito dal petto.
«Signorina?»
«Sì, sono qui» risposi con voce strozzata, le lacrime avevano già iniziato a colmarmi gli occhi
«Mi rincresce molto doverle dare questa notizia per telefono, ma è mio dovere informarla che suo marito, il soldato Matt Sanders, è deceduto la scorsa notte durante un attacco nemico a causa di una ferita che non è stato possibile curare. La salma verrà riportata in patria entro la settimana.»
Non risposi, iniziai a piangere al telefono dopodiché chiusi la chiamata e caddi in ginocchio, iniziai a lanciare ogni cosa a portata di mano e urlai, urlai fino a perdere la voce.
No, non poteva, me lo aveva promesso che sarebbe tornato ad abbracciarmi e che non mi avrebbe mai lasciato. Ero ferita, il dolore stava ingoiando le mie urla fino a farmi sentire quasi soffocare, dopo un po’ non riuscii nemmeno più ad urlare, l’unica cosa che potevo udire erano i miei singhiozzi sempre più regolari da mandarmi quasi in iperventilazione.
Sarebbe mancato così poco al suo ritorno e io avrei voluto uccidermi, la mia vita non aveva più un senso.
Mi chiamò la mia migliore amica per sapere che fine avessi fatto siccome non ero andata all’appuntamento e l’unica cosa che riuscii a fare fu implorarla di venire da me per dirmi che quello che stavo vivendo era soltanto uno dei miei incubi peggiori e che l’uomo della mia vita non se ne era andato per sempre.
Arrivò nel minor tempo possibile e rimase con me per i due giorni successivi nei quali io non feci altro che piangere. Alla notte del secondo giorno crollai esausta sul letto, come la prima volta che lo lasciai andare e l’ultima che lo vidi.
Mi svegliai la mattina del 31 luglio, c’era un forte profumo di rose così mi alzai ancora con la testa che mi girava, trovai la stanza piena di rose e di persone vestite tutte completamente di nero con gli occhi rossi e fazzoletti in mano, c’erano tutti i nostri amici, mi resi conto fosse il mio compleanno, ma sicuramente non erano lì per quello; buttai l’occhio sul countdown rimasto ad ottantaquattro giorni. Capii, il mio peggior incubo si era realizzato, non avevo sognato.
Caddi in ginocchio come quando appresi la notizia ne piansi ancora ed ancora, tutti mi vennero incontro e mi abbracciarono.
La mia amica si avvicinò con gli occhi rossi e gonfi di lacrime e mi sussurrò che il funerale sarebbe stato quel giorno stesso alle 16.00 e che mi avrebbe accompagnata. Sarebbero stati due anni dal nostro primo incontro.
Arrivammo in chiesa, gremita di gente: soldati, marines, qualsiasi corpo della difesa militare, amici e parenti; io mi sedetti affianco a lui, il mio grande ed unico amore che se ne era andato per sempre.
La mia amica recitò una preghiera che io non seguii, ero sconvolta, e lei vedendomi così distrutta mi disse che lui sarebbe stato sempre con me, che il destino aveva deciso per noi e che fosse stato meglio essere ferita da una verità che consolata dalla menzogna che lui sarebbe potuto ritornare.
Era vero, faceva male come un pugno nello stomaco, come una pallottola che trafiggeva il torace, ma lei aveva ragione.
Andai al cimitero dove seppellirono Matt e dove io lasciai il mio cuore ed una rosa rossa, come quella che mi regalò al nostro primo incontro, una rosa rossa come il sangue.
Quando vidi calare la bara nella tomba una miriade di pensieri mi affollarono la mente, pensai al fatto che avrebbe potuto sentirsi solo in quella tomba, o che avrebbe potuto sentir freddo, mi resi conto di essere diventata pazza quando mi trascinarono a fatica lontano dalla tomba.
Mi sarebbe mancato tutta la vita, fu così che quando se ne andarono tutti gli promisi che sarei andata a trovarlo tutti i giorni e quella era una promessa che avrei mantenuto anche al costo della mia stessa vita sebbene per me fosse troppo difficile guardare quella lapide.
Mi ne andai poco dopo con la promessa che sarei tornata cercando di non versare altre lacrime, lui non avrebbe voluto vedermi così.
Pensai al mio grande amore, colui che aveva reso la mia vita davvero vita.
Sebbene per poco.





Nota dell'autrice:
So che vorreste uccidermi per le miei fan fiction sempre allegre e con lieto fine, ma non posso farci niente sono pessimista di natura, ad ogni modo che ve ne pare? Questa è la prima one-shot che scrivo quindi siate clementi. So che avreste preferito continuassi 20 Sigarette, ma questa dovevo proprio scriverla e poi ho pensato che in attesa dell'aggiornamento dell'altra potevate leggere questa; vabbè spero di ricevere qualche recensione tanto per sapere cosa ve ne pare.
   
 
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