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Autore: Non ti scordar di me    17/03/2015    2 recensioni
Elena Gilbert era una ragazza normale di diciassette anni. E come ogni ragazza della sua età, aveva delle ambizioni, dei desideri e delle ossessioni.
La sua ossessione? I libri di Julie Plec. La saga ‘The Vampire Diaries’ l’affascinava più di qualunque cosa, in particolare Damon Salvatore – protagonista del libro – l’affascinava più di ogni altra cosa.
E se Elena si ritrovasse in un mondo diverso? Se si fosse catapultata nel suo libro preferito?
*
Dalla storia:
«Te lo ripeto: chi sei tu?»
«Se non mi aiuti, sarò il tuo tormento.»
*
«Una volta usciti da questo casino…Tu verresti con me nel mondo reale?»
Damon non ne aveva idea.
*
Elena non sa cosa succede, non sa come sia potuto accadere…Sa solo che è innamorata del personaggio del suo libro preferito.
*
Delena! ||Gli avvenimenti del libro corrispondono alle stagioni televisive||
Nuovo esperimento. La cancellerò se non vi piace o se lo trovate incredibilmente stupida.
Ora, vado a sotterrarmi.
Non ti scordar di me.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Klaus aveva uno sguardo perso, quasi vuoto, mentre si avvicinava a Jenna che tremava in silenzio aspettando il suo destino. Lei sapeva che a breve sarebbe toccato anche a lei. Aveva visto come aveva ucciso Judith, aveva visto la lussuria negli occhi del vampiro.
 
Elena aveva il fiato corto. Ormai quella saga di libri la stupiva sempre, tutto quanto era studiato nei minimi particolari e anche quando pensava che tutto fosse prestabilito, l’autrice – l’odiosa Julie Plec – la sconvolgeva sempre.
Continuò interessata la lettura.
 
«Jenna, tu…tu puoi farcela…Spegni tutto.» Le consigliò Bonnie con gli occhi pieni di lacrime.*
La ragazza ormai non nutriva più speranze per sua zia. Klaus prendeva sempre ciò che voleva e in quel momento voleva creare i suoi ibridi a discapito di quante vite di persone innocenti avrebbe dovuto sacrificare.
 
Aveva letto questo passaggio dal libro almeno dieci volte. Sapeva tutto di quel libro, ogni minimo particolare. C’erano persone – come l’amica Alexandra – che pensava che leggere sempre la stessa cosa fosse noiosa, non per lei. Ad Elena piaceva leggere più volte gli stessi libri, perché ogni volta riuscivi a scorgere qualcosa di nuovo nel libro. Scorgevi un nuovo sentimento che prima non avevi provato, scorgevi dei nuovi particolari a cui prima non prestavi attenzioni, sviluppavi un altro modo di giudicare i personaggi sapendo già le scelte sbagliate che intraprenderanno.
 
«E’ il tuo turno, dolcezza.» Disse con voce roca. Il sangue colava dalla sua bocca e gli occhi rosso sangue spiccavano ancor di più sulla sua pelle liscia e pallida. Le vene ai lati degli occhi erano più accentuate e la maglietta sporca del sangue di Jenna, di sua zia – zia che l’aveva aiutata in quei tempi difficili –.
In pochi istanti, Klaus era sul collo candido di Bonnie e beveva senza sosta il suo sangue. Il vampiro Originale sentiva la vita della giovane fluire lentamente nelle sue mani.
 
La cosa che più amava di The Vampire Diaries era, senza ombra di dubbio, il modo di descrivere gli avvenimenti. Julie Plec scriveva tutto nei minimi particolari, ormai Elena sapeva perfettamente com’era Bonnie, com’era Damon e com’era Stefan.
Aveva una predilezione per il secondo. Quel vampiro tormentato l’aveva affascinata dal primo istante, anche se non amava particolarmente la situazione scomoda che si era creata con Bonnie e Stefan.
Damon aveva bisogno di un amore vero, di una donna che non sia il rimpiazzo di Katherine. Di una donna diversa che lo faccia sentire vivo e Bonnie non era quella donna.
Bonnie ricordava al corvino solamente la sua ex fidanzata, stessa donna del fratello, stessa donna che li aveva trasformati in vampiro.
Ne sono ossessionata. Pensò la ragazza scuotendo la testa divertita.
«Elena!» La chiamò qualcuno, ma lei era troppo occupata a leggere per le decima volta quel libro per prestare attenzione a chiunque le stesse parlando. «Elena, basta!» La mora alzò di scatto il volto e incontrò gli occhi color caramello dell’infermeria della scuola che la osservava con un’espressione tra il divertito e l’esasperato.
«Mi scusi…io ero…» Non sapeva neanche lei quale scusa usare. In realtà non si sentiva gran che. Quella mattina si era svegliata con una nausea pressante e una costante voglia di vomitare quel poco che aveva mangiato la sera precedente.
«Occupata a leggere questo libro?» Tentò l’infermiera ridacchiando e porgendoglielo nuovamente. Elena sorrise semplicemente e lo prese tra le sue mani.
Era stesa su quel lettino ospedaliero da più di mezz’ora e rileggere quel libro le era sembrata un’ottima idea. In tutti i casi la nausea non era scomparsa, eppure aveva bevuto quell’intruglio che l’infermiera le aveva dato.
«Come ti senti, cara?» Continuò ancora. Elena si portò una mano sullo stomaco e scosse la testa.
La donna non poté negare che quella ragazza aveva un colorito alquanto pallido e i crampi allo stomaco sembravano non fossero diminuiti.
Una merda. Rispose mentalmente la ragazza che sforzava un sorriso.
«Sono stata meglio.» Commentò lei ridacchiando.
«Un po’ di riposo ti farà bene.» Intervenne l’infermiera che stava scribacchiando chissà cosa su un block notes.
«Permesso di uscita anticipata. Dovresti chiamare qualcuno che ti venga a prendere.» Le consigliò dolcemente porgendole il fogliettino.
Elena annuì in risposta e si alzò da quel lettino, stancamente si trascinò fuori e notò come non si fosse nessuno tra i corridoi della scuola.
Probabilmente era tutti nelle loro classi.
La mora estrasse il cellulare dalla tasca del jeans e compose velocemente il numero della madre.
Massimo di un paio di squillo e subito rispose.
«Come mai hai chiamato, tesoro? Tutto bene?» Come al solito partì in quarta con le domande. Elena già s’immaginava la madre nel pallone e il fiatone a mille. Perché così reagiva la madre, era una persona ansiosa.
«Ho un permesso di uscita anticipata, prescritto dall’infermiera.» Non riuscì neanche a terminare la frase, la madre la interruppe bruscamente.
«Sto venendo a prenderti. Non ti muovere da scuola.» Esalò con la preoccupazione che saliva a mille.
«Mamma posso venire io da te. Devo solo fare pochi passi…Vengo all’ufficio.» Sentì Nina – così si chiamava la madre – sospirare e mormorare fra sé e sé parole tra loro sconnesse.
«Sei sicura di farcela? Non mi costa niente venire a prenderti, sai?» Le disse la madre apprensiva. Elena sospirò: non voleva che sua madre lasciasse il posto di lavoro per venire a prendere la figlia neo-maggiorenne.
«Ho quasi diciotto anni. Non è un problema, okay?» La salutò velocemente e chiuse la chiamata.
Uscì fuori dalla scuola e a passi lenti si avviò verso la strada poco trafficata. Proprio non capiva come la madre potesse preoccuparsi di quei pochi passi che la dividevano da lei.
Mentre camminava teneva stretta a sé il libro e distratta com’era non si era resa conto di sbattere contro qualcuno.
Uno sconosciuto. Sconosciuto che le aveva fatto cadere di mano il libro.
«Scusami, io…» Elena non prestò attenzione alle parole del ragazzo di cui non aveva neanche degnato uno sguardo.
Scosse solo la testa e si chinò per raccogliere il libro. Era caduto poco più lontano dal marciapiede. Elena osservò la pagina in cui si era aperto: all’inizio. Era aperto tra la pagina venti e la ventidue.
L’inizio di tutto.
La ragazza bloccata com’era a fissare quelle pagine non si rese neanche conto di come quelle righe sembrassero più grandi e di come il libro stesse diventando sempre più grande.
Le pagine la stavano quasi circondando e il suo segnalibro si stava lentamente allungando creando un nodo intorno al piede della giovane che gridò spaventata.
Non era possibile, quella situazione non poteva essere reale.
Quel libro non poteva aumentare le sue dimensioni, il suo segnalibro non poteva bloccarle il piede. Quell’oggetto doveva essere inanimato.
Eppure le pagine dapprima bianche stavano diventando gradualmente nere, la ragazza alzò lo sguardo sperando di vedere lo sconosciuto con cui si era scontrata.
Rimase a bocca aperta non appena alzò lo sguardo: il ragazzo era troppo lontano da lei, Elena vedeva solo una chioma indefinita seduta a terra.
Se prima si trovava a pochi passi lontani da scuola, ora la scuola non c’era più. Era sparita nel nulla e se qualche istante prima riusciva a vedere in lontananza il ragazzo che l’aveva soccorsa, ora non più. Era circondata da quattro pareti nere che si estendevano sempre più, il cielo azzurro stava lentamente scomparendo lasciando posto solo al buio.
Spiccava al centro di quella stanza che si stava restringendo il suo libro.
La mora lo afferrò da terra, sperando che accadesse qualcosa ma mai si sarebbe aspettata una cosa del genere.
Si sarebbe aspettata un lampo, un fulmine, magari un mostro, invece venne avvolta da un luce bianca.
E poi solo il buio.
 
*
Era tutto troppo silenzioso. Tutto intorno a lei era spaventosamente silenzioso.
Elena sbatté più volte le palpebre e si guardò attorno. Una forte luce la investì nuovamente, questa volta erano solamente i raggi solari.
Strano…Pensò la ragazza, non era una giornata così bella quando era uscita da scuola. Scuola? Avevo un permesso per uscire…Cos’è successo? Si mise a sedere di scatto e si guardò attorno con l’ansia che cresceva sempre più.
Perché sono stesa in mezzo alla strada? I suoi pensieri erano quasi sconnessi. Si alzò da terra velocemente e si pulì i jeans sporchi. Aveva troppe domande: non capiva come avesse potuto rimanere stesa lì inerme per chissà quanto tempo e non capiva come qualcuno non si fosse avvicinato per prestarle soccorso.
E se qualcuno mi avesse investito? Scartò quest’ipotesi, anche perché quella stradina le sembrava piuttosto deserta.
Deserta? Come può essere New York deserta? La sua amata New York era un’enorme centro urbano, non c’erano campagne nelle vicinanze e lei non aveva di sicuro guidato per oltre ottocento kilometri per arrivare lì.
Raccolse da terra la sua borsa e si guardò attorno col fiato sospeso. Neanche lei sapeva cosa fare. Velocemente aprì la borsa e prese dal taschino il suo cellulare. Le sembrò strano di trovare lì il cellulare, non l’aveva messo nella tasca dei pantaloni?
Scacciò quel pensiero dalla mente e scorse in rubrica il numero che cercava.
Primo squillo. Secondo squillo. Terzo squillo.
Perché non risponde subito, maledizione?! Sua madre era una delle persone più apprensive che avesse mai conosciuto, possibile che non la stesse già tormentando di messaggi o chiamate?
«Il numero da lei chiamato è inesistente.» Come poteva essere inesistente se l’aveva chiamata…Un momento: quanto tempo era passato dalla sua uscita da scuola? E cos’era successo dopo?
Non ricordava molto, se non un grosso spiraglio di luce che la investiva completamente.
Controllò l’ora al cellulare.
10:09. Impossibile. Si disse Elena. Quando era uscita da scuola erano le 11 e passa minuti. Non poteva essere ritornata indietro nel tempo, ma non poteva neanche aver dormito più di ventiquattro ore in mezzo ad una strada!
Compose così il numero della sua amica Alexandra.
«Il numero da lei chiamato è inesistente.» Elena chiuse nuovamente la chiamata e sospirò guardandosi intorno.
C’è qualcosa che non quadra. Iniziò così a camminare ai lati della stradina vedendo in lontananza un campanile, almeno era capitata – non chiedetele in che modo – vicino ad una città che avrebbe potuto aiutarla.
Durante il tragitto provò ripetutamente a chiamare tutti i numeri presenti in rubrica, partendo nuovamente dalla madre fino ad arrivare a chiamare al padre che non voleva più sentire da anni.
«Dove cazzo sono finita?» Urlò frustata portandosi le mani nei capelli.
Camminò e la cittadina che dapprima era lontana ora era sempre più vicina.
Davanti a lei c’era un’enorme distesa di verde, quella città era circondata da alberi.
Elena si guardò attorno e pochi passi davanti a lei c’era un cartello, probabilmente uno di quei cartelli di benvenuto ai nuovi arrivati nelle città.
Attraversò la stradina dissestata e le si fermò quasi il battito quando lesse il nome della città in cui si trovava.
Welcome to Mystic Falls.
Elena si ritrovò così senza parole e finalmente quel posto le sembrò più familiare. Le descrizioni del libro ritornavano tutte più o meno.
La ragazza aprì la sua borsa e ne estrasse il libro, uno dei primi.
Saltò le prime pagine e si soffermò su una descrizione.
 
Mystic Falls era una piccola cittadina immersa nel verde, circondata da diversi alberi. L’unica via per uscire da lì era una dissestata stradina poco trafficata. Da lontano si poteva vedere l’enorme campanile della città, ma ciò che spiccava di più era l’enorme cartello che si trovava all’inizio della città.
Welcome to Mystic Falls, ecco cosa c’era scritto.
Oh sì, quello era una bella accoglienza per lui. Pensò un ragazzo dagli occhi verdi.
 
«Oh, merda non può essere! NON PUO’ ESSERE. Mystic Falls non esiste, no?» Oddio. Col cuore in gola continuò a camminare e man mano che camminava si rendeva conto che le descrizioni del libro combaciavano perfettamente con quella strada cittadina.
Vicino il campanile si trovava la piazza principale, dove venivano svolte la maggior parte delle premiazioni. Poco più lontano, secondo i suoi calcoli, doveva trovarsi la scuola che frequentavano i protagonisti del libro.
Elena deglutì e decise di prendere in mano la situazione.
«Mi scusi…» Fermò un ragazzo che portava in mano dei giornali. «Potrebbe aiutarmi?» Non sapeva neanche lei cosa chiedere.
«Sei nuova di qui?» Le chiese ridendo. Elena annuì leggermente e si rese conto che quel ragazzo non l’aveva mai visto, o meglio non si ricordava di un personaggio del genere.
Sto veramente pensando che sono capitata con chissà quale stregoneria nel mio libro preferito? Deglutì e sospirò, scacciando quegli strani pensieri.
«Dovrei…iscrivermi a scuola?»
«E’ una domanda?» Continuò a ridere lui che non capiva la stranezza di quella giovane.
«No, è un’affermazione.» Intervenne lei. «Vorrei sapere dove trovare la scuola.» Le risultò più che difficile dire quella frase, le sembrava così strano di trovarsi in una città frutto dell’immaginazione di qualcun altro.
«Continua dritto, oltre il campanile.»
Proprio come dice il libro. Costatò lei deglutendo. Sforzò una risata e continuò dritto nel suo cammino, le sembrava così strano passeggiare per una città che fin’ora aveva solo immaginato.
Secondo i suoi calcoli – o meglio, secondo quello che diceva il libro – Stefan doveva essere già ritornato in città e la protagonista lo stava incontrando a scuola.
Damon. Le saltò in mente il suo nome.
Se quella era la reale Mystic Falls, lì dovevano esserci tutti i personaggi del libro – compreso il corvino –.
Cosa posso fare? Pensò col cuore in gola. Lei ancora stentava a credere che si trovasse in quella città, non riusciva neanche a darsi una vera e propria spiegazione.
Era sempre stata certa che la magia non esistesse, che i vampiri o qualsiasi altra creatura sopranaturale non esistesse…E ora? Ora come poteva spiegare la sua comparsa in quel libro?
Camminò spedita verso la scuola e non poté credere ai suoi occhi quando la vide lì vicino. Era tutto estremamente inquietante. Vedere quella scuola e costatare che lei stesse lì veramente, che potesse toccare ciò che la circondava.
«Oh, merda…Cosa posso fare?» Mormorò fra sé e sé guardandosi attorno alla disperata ricerca di qualcuno non ancora identificato.
Non aveva neanche idea di chi cercare, lei si stava solo attenendo alle descrizioni del libro.
Quella dovrebbe essere Caroline. Una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi azzurri camminava spedita verso il campetto di rugby. Dietro di lei seguivano altre due ragazze che Elena catalogò come Bonnie – la protagonista – e Lexi – la strega –.
Rimase impalata pochi istanti, pensando al da farsi.
In qualche modo doveva chiedere aiuto a qualcuno…E a quale persona poteva chiedere aiuto?
Un momento…Mi ritrovo in una città dove ogni due giorni muore qualcuno e non so a chi chiedere aiuto? Era assurdo. E poi l’unica persona che l’avrebbe presa seriamente o ci avrebbe almeno provato era una.
Elena sorrise sapendo cosa fare.
Non poteva di certo chiedere aiuto a Bonnie e Caroline, per quanto le amasse come personaggi del libro non poteva andare da loro e presentarsi come la-ragazza-proveniente-da-un-altro-mondo. Oltretutto non sapeva neanche in che punto del libro si trovasse, magari le due già erano immerse nei loro problemi fino al collo o magari erano ancore ignare di tutto.
Forse Bonnie non sapeva di essere una doppelganger e Caroline non era stata trasformata da Katherine in un vampiro.
Questo la mora non poteva saperlo.
Scartò, anche, l’ipotesi di chiedere aiuto a Stefan. Rimaneva solamente una persona, una sola, una persona difficile da impressionare.
Diede le spalle a quell’edificio e sicura di sé con un mezzo sorriso sul volto s’incamminò a passo svelto verso casa Salvatore.
Sconvolgere la trama di questo libro sarà più che divertente.
Elena, più che altro, era curiosa di parlare con Damon. Di parlare con quel ragazzo che fin’ora aveva solo sognato ad occhi aperti. Le riusciva difficile immaginarsi un ragazzo come lui, dalle descrizioni era un ragazzo dai capelli corvino e occhi lapislazzulo, modi di fare insopportabili e un ghigno enigmatico a colorargli il volto.
Uno spettacolo.
Casa Salvatore era enorme, il portico completamente in legno e il giardinetto curato.
Chissà se Zach è già morto. Pensò con una punta di ironia, sapere ciò che a breve doveva succedere ai personaggi la elettrizzava parecchio.
Salì i tre scalini che la dividevano dalla casa e bussò facendosi coraggio. Pochi istanti dopo le aprì la porta un signore dai capelli scuri che stringeva in mano il giornale.
La guardò con un cipiglio sul volto per alcuni minuti, non aveva mai visto quel viso in giro.
«Hai bisogno di qualcosa?» Le chiese cordiale piegando a metà il giornale e sorridendole leggermente.
«Ho bisogno di qualcuno.» Rispose piatta con un ghigno sul volto. Se c’era una cosa che amava era replicare ciò che le persone le dicevano. E amava sempre vedere l’espressione sconvolta della persona con cui parlava.
«Esattamente di chi?» Indagò Zach. Quella ragazzina non le piaceva affatto, aveva dei modi di fare strani…gli ricordavano troppo lui.
«Damon Salvatore.» Pronunciò il suo nome con ilarità, beandosi dell’espressione stupefatta di Zach che non aveva di cosa fare. Lui stesso rimase impalato pochi istanti non sapendo cosa fare, seguì l’impulso e fece due passi indietro.
Afferrò repentinamente un piccolo contenitore che Elena riconobbe subito.
«Non lo farei se fossi in te.» Pensa che sia un vampiro? Si tratteneva a stento dal ridere. Quella piccola bottiglietta su di lei non funzionava, era solo una stupida pianta.
Verbena. Costatò osservando l’intruglio verdognolo.
«Comunque, saltando i convenevoli….Posso entrare?» Aveva sempre sognato di dire quella frase. Anche perché in una città che brulicava di vampiri faceva sempre effetto.
Zach allargò ancora di più gli occhi e strinse a sé la sua granata alla verbena indeciso sul da farsi. L’opzione migliore era non invitare quel vampiro in casa sua – chissà quali conti deve scontare Damon. Pensò.
«Non credo sia una buona idea.» Replicò a muso duro.
Elena sorrise apertamente e lentamente si avvicinò. Ad ogni suo passo, Zach ne faceva un altro indietro. La ragazza era arrivata sull’uscio della porta e – non prima di aver rivolto un sorriso da stronza all’uomo che la osservava – mise un piede nell’abitazione.
«L’ho detto solo per educazione.» Non voleva far intendere di essere completamente sprovveduta su questi argomenti.
«Mhm, non funziona su di me la verbena. E neanche un paletto nel cuore funzionerà, se te lo stai chiedendo.» Possibile che non riesce a distinguere un vampiro da un’umana? Ridacchiò fra sé e sé.
«Cos’ha fatto Damon?» Partì subito in quarta.
Elena iniziò a guardarsi intorno. Quella casa era proprio come se la immaginava. Grande, spaziosa e con un gran bel gusto.
SI fermò pochi istanti ad osservare il mobilio dell’entrata e poi si avviò verso il soggiorno, ammirando il camino non accesso e il magnifico tavolino su cui poggiavano i liquori.
«Deve per forza aver fatto qualcosa?» Chiese lei con una finta aria da innocente. Zach deglutì. «Lo sto cercando e non me ne andrò fin quando non ci parlerò.» Chiarì immediatamente.
«Puoi aspettarlo qui.» Esalò. «Ma non so quanto tempo dovrai aspettare.» Continuò, sperando di mandar via di casa sua quella ragazzina.
Sembrava strano vedere una ragazza così minuta parlare in modo così schietto e chiedere soprattutto di Damon. Non  sembrava neanche soggiogata, forse era sempre un essere sopranaturale.
«Ho tutto il tempo necessario.» Alzò le spalle. «Grazie per l’ospitalità.»
Elena aveva già inquadrato la situazione. Zach era chiaramente spaventato da Damon, perciò il corvino aveva già fatto ritorno in città e probabilmente aveva già fatto la sua visitina a Stefan.
Dovrebbe ritornare qui da un momento all’altro.
Poggiò la borsa sul divano e perse tempo ad osservare quello che la circondava. Era tutto estremamente affascinante.
 
*
Elena non sapeva, però, quanto tempo avrebbe dovuto aspettare e iniziò ad impiegare il tempo. Dapprima iniziò ad aggirarsi per il salotto osservando i numerosi libri – sia sul sopranaturale e non – che forniva quella libreria e successivamente si versò un po’ di bourbon in un bicchiere di vetro.
Ne bevve un sorso e arricciò il naso. Come faceva Damon a berlo ogni santa volta ci fosse un problema, non ne aveva idea.
Era molto forte, saltava all’odore e sembrava quasi punzecchiare col suo aroma le tue papille gustative.
«C’è una ragazza…» Sentì dire lei, la voce era senza ombra di dubbio quella di Zach.
Poi non udì altro, Elena si girò immediatamente – visto che stava dando le spalle all’entrata – e rimase senza fiato quando vide il vero e unico Damon Salvatore a pochi centimetri da lei.
Dio, quando è bello. Il libro non rendeva giustizia, anche se non capiva com’era possibile che quel personaggio fosse lì davanti a lei.
I capelli sembravano morbidi ed erano sistemati in una capigliatura naturale con la riga al lato, gli occhi azzurri la squadravano severamente e le braccia incrociate al petto evidenziavano i suoi muscoli.
Interamente vestito di nero con la giacca di pelle da cui si separava raramente.
«Zach ha detto che mi stai cercando.» Proruppe con un mezzo sorrisino. Quando qualche istante prima Zach gli aveva detto che c’era una ragazza che lo cercava non l’aveva preso seriamente. Ma appena aveva messo piede in salotto un forte odore di profumo da donna gli aveva invaso le narici.
E ora il suo sguardo era posato su questa ragazza che lo scrutava attentamente come a voler ricordare tutto ciò che stava vedendo.
I capelli scuri le ricadevano lisci dietro la schiena e gli occhi erano evidenziati da chiare occhiaie dovute probabilmente alle poche ore di sonno.
Indossava solamente una canotta rossa con sopra un giubbotto nero di pelle e dei jeans. Non l’aveva mai vista, era un volto anonimo. Eppure lui conosceva ogni singolo abitante di quella misera cittadina.
Lei annuì solamente quando ritrovò la forza per smetterlo di fissarlo come se fosse una delle otto meraviglie del mondo.
«Ancora da bere? Vedo che ti sei servita.» Commentò ancora avvicinandosi al tavolo dei liquori. Elena sorrise quando lo vide scegliere con attenzione il liquore da bere, tuttavia non abbassò la guardia. Le sembrava strano che quel vampiro – descritto da Julie Plec come un essere terribile e senza sentimenti – le stesse parlando come se fosse una persona che conosceva da una vita.
«Non ho più sete, grazie.» Rispose deglutendo. Fece qualche passo in avanti, quei pochi che bastavano per intravedere qualcosa nelle mani del corvino.
Elena ci mise poco a realizzare cosa fosse quel qualcosa.
Damon fu più veloce, superò il tavolo dei liquori con la sua velocità e afferrò per i fianchi la ragazza che fu spintonata contro la libreria di casa Salvatore.
«Merda…» Imprecò Elena inarcando leggermente la schiena. Non riuscì neanche a replicare, Damon con il paletto che aveva nascosto abilmente aveva già individuato il cuore e non ci mise molto a ficcarlo nel petto della mora con un colpo secco.
Elena produsse un suono fiacco e alzò gli occhi al cielo. Dio, perché sono viva? Aveva un cazzo di paletto ficcato nel cuore, ora dovrebbe essere già morta o almeno doveva essere già morente.
E invece era ancora viva e aveva pieno controllo delle sue facoltà mentali.
Damon aveva indietreggiato leggermente e osservò la mora portare le mani sul paletto.
Non è morta. Costatò. Come può essere viva?
Il volto della ragazza era ancora segnato dal dolore. Elena stentava a credere che non fosse morta e con il respiro affannato fece leva sul paletto e con un movimento secco lo estrasse dal suo petto.
Fa un male cane, porca miseria. Imprecava ripetutamente nella sua testa, era come se il suo corpo stesse andando in fiamme e nessuno potesse aiutarla.
Lentamente però sentì le fiamme venir meno, come se il fuoco che si stava estendendo in tutto il suo corpo si fosse calmato improvvisamente.
Rivolse uno sguardo al corvino e grugnì infastidita.
E’ sconvolto quanto me.
Fu così che una malsana idea le venne in mente. Ingannare il re degli inganni. Questo sì che sarà esilarante. Doveva far buon viso a cattivo gioco.
Deglutì e strinse tra le mani il paletto con un sorrisino divertito.
«Sorpreso, Damon?» Gli chiese toccando la punta affilata ricoperta del suo sangue. «Giochiamo ad armi pari?» Non capì il senso della domanda, fin quando non vide la ragazza correre verso di lui. Si spostò di qualche centimetro e sorrise vedendo che la mora l’aveva superato di poco.
Presuntuoso. Pensò lei. Il sorriso del corvino sparì non appena avvertì una fitta dolorosa dietro la schiena.
«Come ci si sente ad essere attaccati alle spalle?» Damon odiava questi imprevisti, odiava queste visite a sorpresa. E non si capacitava di come quella ragazza fosse ancora viva dopo che le aveva conficcato un maledetto paletto nel cuore.
«Ti ucciderò…» Rantolò il corvino, piegato sulle ginocchia. Elena l’aveva superato e si era seduta sul divano. Ora era tranquilla.
Se non era morta con un paletto nel cuore, di cosa doveva preoccuparsi. Sulla sua maglia rossa spiccava una macchia più scura. E sorrise quando notò – con un pizzico di ilarità – che quella ferita – che doveva essere mortale – si era già rimarginata.
«Ti va di parlare ora?» Replicò inacidita.
«Parli con molte persone che hanno un paletto conficcato nella schiena?» Ringhiò Damon che non poteva di certo liberarsi di quell’arma infernale che aveva tra le scapole.
«Sì.» Scrollò le spalle. Era una piccola bugia bianca, in fondo. E poi aveva sempre voluto usare uno di quegli aggeggi.
«Chi sei?» Chiese il corvino che le rivolse un’occhiata di fuoco.
«Non è questa la domanda giusta.» Rispose lei con una semplice alzata di spalle e un sorriso divertito in volto.
Damon alzò il sopraciglio interdetto.
Mi vuole abbindolare con dei giochetti che ho inventato io? Pensò divertito.
«Qual è la domanda giusta?» Elena sorrise, vedendo che il corvino stava ai suoi giochi probabilmente si divertiva – per quanto possa divertirsi una persona che ha un paletto nella
schiena –.
«La domanda giusta è: posso aiutarti in qualcosa?» Il sorriso di Damon scomparve istintivamente dal suo volto.
«Qualsiasi cosa ti serva, io non ti aiuterò.» Soffiò il corvino che lentamente si stava rialzando. Elena inclinò leggermente la testa di lato.
«No?» Gli chiese con finto tono innocente. «Preparati.» Lo avvertì.
«Sai con chi stai parlando, ragazzina?» Commentò inacidito afferrandole il polso malamente e stringendoglielo.
Merda, me lo sta rompendo. Pensò mentre le lacrime stavano premendo contro i suoi occhi per uscire. Non capiva com’era possibile che fosse sopravissuta ad un attacco con un paletto, ma stava soffrendo per una stretta di troppo sul polso.
In che razza di mondo sono finita?
Era impossibile sopravvivere all’attacco del corvino, ma lei era viva e per un momento le era sfiorata l’idea che magari fosse immortale. Ora però questa ipotesi l’aveva scartata e una domanda le ronzava in testa: se non era immortale, perché prima non era morta?
«Sto parlando con uno stronzo.» Gracchiò in risposta. Damon grugnì vistosamente e lasciò la presa sul polso della ragazza.
«Te lo ripeto: chi sei tu?»
«Se non mi aiuti, sarò il tuo tormento.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




So che non dovrei postare tutte le storie che mi passano per la mente, ma ormai è troppo tardi.
Questa storia è nata dal nulla, sinceramente mi stavo annoiando e mi è balzata in mente questa storia.
PREMESSE:
Nella storia Elena fa parte del mondo reale, ovvero fuori dai confini del mondo di Mystic Falls.
La storia anche se sottoforma di libro, non segue il libro, ma seguirà specificamente le stagioni e i suoi avvenimenti.
Nella mia storia la parte di Elena la farà Bonnie, e la parte di Bonnie toccherà a Lexi.
Mi spiego meglio: Bonnie è la doppelganger, Lexi è la strega, i due fratelli Salvatore mantengono i loro ruoli. Per il resto la storia proseguirà senza intoppi.
E’ come se Elena non fosse la protagonista del libro/telefilm. E le descrizioni dei personaggi corrispondono non al libro, ma al telefilm.
Credo sia semplice, no?
Comunque, sapendo che non sono eccellente con le parole – me la cavicchio -, se avete problemi basta chiedere e tenterò di esprimermi più decentemente.
Anche questo è una specie di esperimento, spero vada a buon fine e che vi facciate sentire.
Non ti scordar di me.
 
PS. Se pubblicassi una storia SLASH sui Salvatore, sareste disposte a leggerla?
  
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