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Autore: Clairy93    18/03/2015    12 recensioni
[Seguito di “Mi avevano portato via anche la luna”]
Trieste. 1950.
La guerra è terminata ma quella di Vera Bernardis è una battaglia ben più difficile da superare. E’ sopravvissuta all’abominio dei campi di concentramento, è divenuta un’acclamata scrittrice e ora ha una famiglia a cui badare.
Ma in certi momenti quel numero inciso sulla sua carne sembra pulsare ancora e i demoni del suo passato tornano a darle il tormento.
Situazioni inaspettate sconvolgeranno il fragile mondo di Vera ponendo in discussione ogni cosa, anche se stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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                                                    Epilogo

Ottobre 1970.

“E’ arrivata! E’ arrivata!”
Le mie grida di gioia fanno saltare Massimo dalla sedia a sdraio su cui si è comodamente assopito.
“C-cosa è arrivata?!” domanda lui, con aria smarrita.
I capelli scompigliati e la sua buffa espressione hanno l’effetto di farmi ridere ancora di più.
“La lettera! Di Tommaso!”
Sventolo allegra la busta e corro verso il porticato per raggiungere Massimo, inseguita dal nostro pastore tedesco, Isotta, altrettanto euforica.
“Cosa aspetti? Aprila!” mi esorta.
Con dita tremanti dispiego la lettera e appena riconosco la scrittura fitta e precisa di Tommaso, avverto un piacevole calore al cuore.
Ne contemplo ogni dettaglio, ogni peculiarità, la più lieve sbavatura presente sulla carta ingiallita dall’umidità.
“Allora, cosa scrive il nostro ragazzo?”
Massimo posa le mani sulle mie spalle e vi si sporge un poco per esaminare la lettera.
“Dice che sta andando tutto bene.” gli riferisco, scorrendo con frenesia le frasi che si succedono sul foglio “Ora si trova alla Caserma di Gorizia…Gorizia! Non è tanto lontano vero?” chiedo conferma, voltandomi fiduciosa verso di lui.
“Saranno una quarantina di chilometri da Trieste. E no Vera, non andremo a trovarlo.”
“Perché no?” uso un tono sprezzante, giusto per nascondere il mio disappunto nel constatare che Massimo aveva già previsto dove volessi parare.
“Vuoi davvero che tuo figlio diventi lo zimbello del gruppo perché ha ricevuto la visita di sua mamma?”
“No, certo che no...” bofonchio amareggiata.
“Brava.” mi scocca un bacio sulla tempia “Forza, continua a leggere.”
“D’accordo. Qui dice che si trova bene con i compagni, sono simpatici. Dormono tutti insieme, in grandissime camerate. Ha anche incontrato un suo vecchio amico delle scuole medie, un certo Giorgio Baretti…Ma tu ricordi chi è questo Baretti?”
“Ma sì! Quel bambino con quegli assurdi capelli rossi. Erano talmente impregnati di brillantina che pareva fosse stato leccato da una mucca.”
“Massimo!” lo rimprovero con una lieve gomitata sul fianco.
“Che c’è?!” reagisce lui, sghignazzando sotto i baffi “Tu non continuare a interromperti e leggi questa benedetta lettera fino alla fine!”
“Va bene, va bene! Dunque…ah sì, ecco qui! Dice che è obbediente ed esegue tutti gli ordini e ciò è molto gradito ai suoi superiori. Ma per il resto sa di essere negato. Fa fatica anche solo ad impugnare un fucile! Povero tesoro…”
Massimo mi dà un’energica scrollata di spalle.
“Non angosciarti! Il fatto che la sua disciplina sia stata notata dal generale è positivo. Vedrai, gli sarà utile.”
“Se lo dici tu…” sospiro, incapace di controllare quella naturale quanto divorante apprensione materna “Termina scrivendo: non vedo l’ora di tornare a casa e rivedervi. Tu, cara mamma, prima di tutti. Abbraccio forte papà e se potete date un bacio alla mia dolce Cristina. Riempite Isotta di tante coccole anche da parte mia… Hai visto bella, Tommaso ti saluta!”
Il pastore tedesco inclina il muso di lato e con i suoi grandi occhi neri mi scruta incuriosita.
Stringo la lettera di mio figlio al petto, come per imprimere nel mio cuore ogni sua singola parola e immaginare in questo modo di ridurre la distanza che ci separa.
Tommaso è a metà della Naja, l’anno di servizio militare obbligatorio.
Sei mesi fa è arrivato il richiamo. Ha dovuto impacchettare le sue cose ed è partito per seguire l’addestramento.
Tommaso non voleva andare, e come biasimarlo!
Aveva appena deciso di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, a Udine, dove tra l’altro abita la sua fidanzata, Cristina, una ragazza adorabile, sempre sorridente.
Tommy ha dovuto accantonare i suoi progetti.
Tuttavia così doveva essere.
La Naja non è una scelta. E’ un obbligo.
Ma per fortuna è a metà del servizio, tra qualche mese sarà di nuovo a casa ed io sarò più tranquilla.
Salgo i quattro scalini che conducono al porticato e vedo Massimo appoggiato alla ringhiera, assorto.
“A cosa pensi tesoro?” gli domando, circondandogli un braccio.
“Mi ha chiamato papà.” risponde, con voce fremente “Non l’aveva mai fatto prima.”
I suoi occhi neri si velano di lacrime e la gioia che ne trapela non può che contagiarmi.
Esplodiamo insieme in un sorriso raggiante e ci stringiamo forte.
Tommaso si è sempre trovato benissimo con Massimo. Il rapporto tra loro è sempre stato di profondo affetto ed incredibile intesa.
Quando mi trasferii nella fattoria della signora Amelia e di suo marito, portai il piccolo Tommy con me e non potei dargli gioia più grande.
Amava la campagna, l’aria aperta, occuparsi degli animali e dedicarsi alle loro cure.
Ma i momenti che Tommaso trascorreva con Massimo, quelli erano i più belli.
Indimenticabili, dolcemente impressi nella mia memoria.
Era la figura paterna che Tommaso meritava di avere vicino e di cui temevo averlo privato per sempre.
E invece Massimo è stata quell’indispensabile metà che ha permesso a mio figlio di vivere un’infanzia felice e spensierata, come ogni bambino merita.
Eppure Tommy ha sempre preferito evitare di rivolgersi a Massimo chiamandolo papà.
Ma con questa bella lettera, abbiamo entrambi ricevuto un’inaspettata sorpresa.


Abitiamo alla fattoria da parecchi anni.  
E se ve lo state chiedendo no, non ci siamo sposati.
Massimo non è mai stato un cattolico particolarmente devoto. Per quanto mi riguarda, dopo l’esperienza di Mauthausen, ho vissuto un rapporto turbolento con la fede, fino ad allontanarla dalla mia vita.
Non avevamo bisogno di un pezzo di carta che sancisse legalmente la nostra unione.
Bastavamo noi due per renderla tale.
Amelia e suo marito decisero generosamente di lasciarci la loro tenuta in eredità. Erano così affezionati alla casa che non avevano il coraggio di venderla a degli sconosciuti. E per noi sarebbe stato un sogno poter vivere qui e occuparci della fattoria.
Massimo lavora nei campi mentre io gestisco la contabilità.
Tuttavia capita ancora che io scriva qualche articolo, per i giornali che mi richiedono una collaborazione.
Questa è la nostra vita.
Semplice.
Ovvio, non facile.
Ma è perfetta, perché siamo insieme.
E dopo tutto ciò che abbiamo passato, è quello che conta.


Il numero inciso sul mio avambraccio è ancora ben visibile, come vividi sono i ricordi che da esso riaffiorano.
Ma se prima non riuscivo nemmeno ad osservarlo senza sentirmi crollare, ora avverto una forza maggiore dentro di me.
So che non deve essere qualcosa di cui vergognarmi, o da tenere celato sotto la manica di un abito.
Anzi, devo mostrarlo. Voglio mostrarlo.
Questo marchio svela fino a quale punto la cattiveria umana possa spingersi, ma è anche l’incentivo per non compiere gli stessi, terribili errori.
Queste quattro cifre, mi ricordano che sono sopravvissuta.
E non voglio più relegarmi nel buio.
Ciò non significa che non abbia paura.
Massimo ed io abbiamo dei momenti di crollo, durante i quali ci sembra di ripiombare nell’oblio.
Siamo due anime sconvolte dagli orrori di una guerra che ha lasciato in noi ferite permanenti.
Tuttavia non vogliamo ignorare. Stiamo tuttora imparando a convincerci.
Il cammino è duro, ma insieme la strada sarà meno ostica.
Perché entrambi sappiamo che se di notte un incubo ci darà il tormento, l’altro sarà sempre pronto ad accoglierci tra le sue braccia.


Miei cari lettori,
non mi piace pensare di dover porre la parola fine.
Dopotutto non è proprio la fine, ad implicare sempre un inizio?
Ecco.
In questo momento termina solo un capitolo della mia vita, perché uno nuovo già mi attende per essere scritto.
Questo mi spaventa. Da morire.
Ma permettetemi di darvi un consiglio.
Troppe volte siamo così intimoriti dalle nostre paure che alla fine non facciamo che materializzarle, giusto per avere la soddisfazione di dire “Ecco, lo sapevo che andava male!”.
Non permettiamolo.
Troviamo la volontà di apprezzare ogni singolo momento e ciò che ha da offrire.
La vita può essere ingiusta, recare un dolore disumano, privarci, illuderci e chissà cos’altro!
Ma è un dono, un dono straordinario.
Io amo la vita, le sorprese che può riservarci, il suo essere così maledettamente imprevedibile.
Amo la vita.
Altrimenti non avrei potuto essere qui, a raccontarvi la mia storia.

Vostra, Vera Bernardis.


Angolino dell'Autrice: Ciao miei cari!
Oh mamma. Ho un senso di vuoto indescrivibile. Ma allo stesso tempo, mi sento profondamente arricchita.
Ho imparato tanto, ho vissuto un'avventura incredibile ed è stata tale soprattutto grazie a VOI.
Grazie per aver letto, recensito, avermi dato le vostre opinioni, i vostri riscontri, aver gioito, pianto, provato rabbia, confusione insieme a me.
Grazie per avermi dato fiducia, grazie per avermi accompagnata fino a qui, grazie per avermi supportata.
Siete stati meravigliosi, non avete idea della gioia e della forza che mi avete dato. Mi ritengo così fortunata ad avervi vicino.
E' stato bellissimo, voi avete reso questa esperienza un viaggio bellissimo.
Vi lascio il link alla mia Pagina Facebook, se volete fare due chiacchere e rimanere aggiornati https://www.facebook.com/pages/Clairy93-EFP/400465460046874
E se volete fare un salto, ho pubblicato una nuova storia "Come compromettere la carriera...e vivere felici."  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3047712&i=1
Grazie ancora di tutto ragazzi! Ve amo 'na cifra!
Clairy
   
 
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