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Autore: truppappa    18/03/2015    4 recensioni
[AU]
Blaine Anderson, a soli 35 anni, è già un cantante sulla via del tramonto. Si trova a Tokyo per girare una pubblicità per una nota marca di whiskey. Non parla il giapponese e odia un po' tutti.
Kurt Hummel ha 25 anni ed è pieno di vita. Anche lui è a Tokyo, per motivi ben differenti, e anche lui non parla il giapponese.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera gente!

Ebbene si, sono ancora qui a rompervi le scatole con una nuova storia!
*si nasconde dal lancio dei pomodori*

Ho giusto due cosette da dirvi prima di lasciarvi al primo capitolo:
1) Questa ff è nata un po' di tempo fa quando ho avuto il piacere di rivedere "Lost in Translation", un bellissimo film di Sofia Coppola. Quindi diciamo che la storia è liberamente ispirata da questo film.
2) Non mi sono dimenticata della mia altra storia, la porterò a termine!
3) Ho deciso di pubblicarla adesso perchè Glee sta per finire, io sono in crisi e ho bisogno di conforto. Perdonatemi.
4) Se vi dovesse fare schifo...beh, non ditemelo. Se invece dovesse piacervi...beh, mi piacerebbe sentirmelo dire! xD
5) Ho finito con queste stupide note iniziali. Buona lettura :)


 


TOKYO





Tokyo. 
Una parola.
Cinque lettere.
Cinque lettere non bastano per descrivere questa città.
Enorme, affollata, veloce.
Ci sarebbero tanti altri aggettivi che si potrebbero usare, ma Blaine Anderson non ha nemmeno la forza, nè tantomeno la voglia di cercarli.
Perchè sostanzialmente a Blaine non gliene frega un cazzo di Tokyo.
In realtà gli fa schifo.
Blaine Anderson, trentacinque anni, cantante americano già sulla via del tramonto nonostante la sua giovane età, è arrivato alla conclusione che odia la città di Tokyo, ma odia ancora di più i giapponesi.
Non è che sia razzista o qualcosa del genere, solo che...non li capisce quando parlano.
Odia trovarsi in un ascensore affollato, schiacciato contro una parete, pressato contro altri corpi caldi e non riuscire a capire nemmeno mezza parola.
Odia entrare nei ristoranti e non riuscire a decifrare il menù.
Odia camminare per le strade trafficate e sentirsi sperso.
Ma, forse, Blaine odia così tanto Tokyo perchè questa città rappresenta il suo fallimento come cantante. E come uomo.

«Stop! Stop! Per l'amor del cielo, che cos'è questo schifo?!» urla esasperata una voce, riportando alla realtà Blaine, che sbatte un paio di volte le palpebre, cercando di cacciare via i suoi pensieri su Tokyo.
«Scusami, Artie» dice grattandosi la nuca «mi sono distratto un attimo»
«Ti sei distratto un attimo?! Ci stiamo impiegando troppo tempo per girare questo maledetto spot. Devi dire solo mezza battuta, Blaine, e abbiamo cominciato a lavorare già una settimana fa!» gli urla contro Artie.
Blaine alza gli occhi al cielo mentre pensa che Artie sia davvero un rompipalle.
Inoltre il riccio si chiede perchè abbia accettato di girare uno spot per una nota marca di whiskey a Tokyo.
"Perchè sei un fallito e perchè hai bisogno di soldi" gli suggerisce una vocina nella sua testa.
«Ricominciamo!» sta dicendo nel frattempo Artie, battendo le mani per incitare tutta la troupe.
Blaine allora si schiarisce la voce e ripete per la milionesima volta la sua battuta.
«Stop! Stop! Stop! Accidenti! Accidenti! Non funziona ancora, Blaine!» grida a squarciagola il regista, alzandosi dalla sua seggiola e andando incontro al moro, che lo guarda con uno sguardo annoiato.
«Cosa non andava bene questa volta?» chiede noncurante.
«Tu! Tu, Blaine! Oggi non va, non va! Forse è meglio rimandare le prese a domani, ma mi aspetto che tu arrivi qui con un po' più di entusiasmo, altrimenti il lavoro lo darò a qualcun altro!»
Blaine annuisce silenziosamente, tanto sa che non è Artie quello che può licenziarlo, e si allontana dal set, senza salutare nessuno. 
Solo. Come al solito.


Nel giro di mezz'ora raggiunge l'hotel in cui alloggia. Un super hotel da ricconi, uno di quelli che fino a due anni fa poteva permettersi senza farsi troppi problemi.
Adesso non è più così, ma Wes, il suo manager, nonchè migliore amico, ha deciso di regalargli un soggiorno per due settimane in quell'albergo di lusso.
Blaine non ha voluto smorzare l'entusiasmo di Wes per questo lavoro a Tokyo, così ha accettato il suo regalo senza fare troppe storie.
E così ora Blaine si ritrova chiuso in una camera d'albergo troppo cara per il suo portafoglio.
Si fa una doccia frettolosa, poi, ancora nudo e bagnato, passa almeno mezz'ora a guardare il suo riflesso allo specchio che è posizionato sopra al lavandino del bagno. 
Nota con occhio critico le spesse borse che contornano i suoi occhi dorati e la barba spessa che sta ricominciando a crescere.
Forse dovrebbe prendere il rasoio e tagliarsela, ma perchè dovrebbe farlo?
Questa sera sarà l'ennesima serata passata al bancone del bar dell'hotel a scolarsi una bottiglia di whiskey Smythe. Lo stesso whiskey di cui lui stesso farà da testimonial nella prossima pubblicità... se non lo cacciano prima.
Blaine scuote la testa, lancia un'ultima occhiata al suo riflesso, si veste ed esce dalla camera sbattendosi la porta alle spalle con un sonoro tonfo.


Il fondoschiena di Blaine è poggiato sullo stesso identico sgabello su cui si è seduto per tutta la settimana ogni sera e fa un cenno al barman.
Il ragazzo si avvicina con uno stupido sorriso che Blaine vorrebbe cancellare dalla sua faccia con uno schiaffo.
Non si parlano, Blaine semplicemente gli indica la bottiglia di whiskey Smythe che sta alle spalle del barista e questo, senza bisogno di sentir alcuna parola, si gira e gli riempie un bicchiere con quel liquido ambrato.
Il ragazzo dagli occhi dorati è al suo quarto bicchiere, la testa affondata tra le mani, i capelli ricci stretti tra le sue dita, quando sente qualcuno sedersi al suo fianco.
Poco interessato dalla presenza che si è seduta accanto a lui, Blaine non alza il suo volto dai suoi palmi.


Barcolla. Barcolla pericolosamente, Blaine, mentre cerca di salire le scale dell'albergo e raggiungere la sua camera.
Ride da solo e schiocca la lingua mentre si chiede perchè non ha preso l'ascensore.
Riesce ad aprire la porta della sua stanza dopo aver passato almeno dieci minuti a cercare di infilare la tessera magnetica nell'apposito spazio.
Si butta nel letto, sulle lenzuola bianche e pulite, affonda la sua faccia nel cuscino e si addormenta così, completamente vestito e completamente sbronzo.


Il cellulare di Blaine continua a suonare e a vibrare ininterrottamente nella tasca posteriore dei jeans.
Il moro, con un grugnito degno di un cinghiale, lo tira fuori e «Chi cazzo è?» chiede con la voce roca per il sonno.
«Wes, l'unico amico che ti è rimasto, ma che perderai molto presto se non ti alzi immediatamente dal tuo letto» risponde la voce dall'altra parte del telefono.
«Vaffanculo, Wes» brontola Blaine mentre cerca di alzarsi dal letto. La testa gli gira e ha una nausea allucinante.
Forse ha esagerato con l'alcool ieri sera, tanto per cambiare.
«Cazzo, Blaine, muoviti! Io sto cercando di pararti il culo, ma quell'Artie Abrams sta già cominciando a cercare un sostituto e-»
«No, cazzo, no! Non posso perdere anche questo lavoro!» urla Blaine spalancando gli occhi e alzandosi dal materasso velocemente.
Fin troppo velocemente, infatti cade per terra subito dopo essersi alzato.
«Cazzo, cazzo, cazzo» mormora tra sè e sè il riccio mentre si rialza e si fionda in bagno dopo aver chiuso la chiamata in faccia a Wes.
Apre il rubinetto del lavandino e ficca tutta la sua testa sotto il getto gelato dell'acqua che scorre.
Blaine strizza gli occhi per il freddo e le sue gambe tremano leggermente, ma questo è un buon metodo per farsi passare il doposbronza. O almeno così gli aveva insegnato il suo amico di gioventù e di bevute, Sam.
Chissà che fine ha fatto il buon Sam.
Chissà se è riuscito a diventare un modello.
Blaine, mentre la sua testa è ancora piegata sul lavandino, ripensa a quando aveva meno di vent'anni, a quando le cose erano tutte molto più semplici.
Lui voleva diventare un cantante, Sam un modello e Wes voleva fare il contabile.
Si, il contabile. Ad ognuno i propri sogni, no?
E Blaine è riuscito a realizzare il proprio sogno, solo che poi l'ha distrutto con le sue stesse mani.
O meglio, l'ha distrutto per colpa della sua poca fantasia e poca ispirazione.
Quindi ora si trova così, piegato su un lavandino di un hotel a Tokyo a cercare di smaltire la sbronza.
Che vita di merda, pensa Blaine mentre si tira su con la schiena e afferra un asciugamano per asciugarsi la faccia e i suoi ricci.


«Alla buon'ora, Anderson!» esclama Artie, incazzato nero, mentre fissa la figura di Blaine che gli si avvicina.
«Non è così tardi» afferma sicuro Blaine.
Wes, al fianco del moro, si batte il palmo della mano destra contro la fronte e «Almeno chiedigli scusa» sussurra contro l'orecchio di Blaine.
Il riccio ovviamente non ascolta il suo consiglio e si avvia a grandi passi verso la truccatrice che lo sta aspettando. Da tre ore.
Il regista guarda Wes con uno sguardo carico d'odio.
«Se fosse per me l'avrei già licenziato» dice.
«Si, ma per fortuna quello che ha l'ultima parola su tutto è il signor Smythe» ribatte Wes.
«Il signor Smythe è frocio e ha voluto Blaine come testimonial del suo whiskey solo perchè vorrebbe scoparselo» dice senza mezzi termini Artie.
Non lascia nemmeno il tempo a Wes per rispondere che si gira e va ad urlare contro ad un povero cameraman.


«Non va! Non va!» grida Artie tirandosi i capelli e sbraitando a destra e a manca contro chiunque.
«Sta andando tutto a rotoli! Come faccio a lavorare con gente così incompetente?!» continua a urlare.
Blaine si passa una mano sui suoi occhi stanchi. Ha passato almeno tre ore a ripetere la stessa battuta e una volta non andava bene il make up, una volta non andava bene la sua espressione, un'altra volta non andavano bene i suoi capelli.
«Basta! Basta! Rimandiamo a domani!» urla ancora Artie, mentre tira un calcio ad una sedia e la fa cadere rumorosamente per terra.
Non appena Artie si allontana ed esce dalla stanza, Wes si avvicina a Blaine e «Secondo me si è incazzato perchè stai biascicando come un ubriacone» gli dice sinceramente.
«Beh. Sto facendo una pubblicità per una marca di whiskey...che male c'è a biascicare un po'?» domanda il riccio.
Wes scuote il capo con fare sconsolato e se ne va anche lui, lasciando Blaine solo.


Blaine Anderson passa il resto della giornata bighellonando per le strade affollate di Tokyo.
Compra anche una calamita per Cooper, suo fratello maggiore, e una cartolina per Sam, anche se non sa che fine abbia fatto.
Quando torna all'albergo, il ragazzo che sta alla reception lo saluta alzando la mano. Blaine gli passa davanti senza degnarlo di uno sguardo e si fionda dritto dritto verso la sala bar.
Dietro al bancone del bar c'è il solito barman che, non appena vede Blaine, si volta e riempie un bicchiere con il solito whiskey.
Il moro si siede sul solito sgabello e afferra immediatamente il bicchiere che il barista gli posiziona davanti.
L'alcool scende lentamente giù per la sua gola, bruciando.
Blaine chiude gli occhi e lo butta giù tutto d'un fiato. Quando riapre gli occhi, vede il barista che lo sta guardando come se fosse un caso pietoso.
E forse lo è veramente.


Al secondo bicchiere l'alcool scende molto più facilmente nella gola di Blaine.
A metà del terzo bicchiere il moro comincia a fischiettare la melodia della prima canzone che ha composto, quando aveva ancora tredici anni e tante aspettative per il suo futuro.
Non ha mai scritto delle parole per quella musica, in un certo senso si può dire che è rimasta incompiuta.
«Bella questa canzone» sussurra improvvisamente una voce acuta, ma non fastidiosa, alle spalle di Blaine.
Il moro non si volta per guardare chi gli ha rivolto la parola, semplicemente grugnisce un «Si, non era male» in risposta e poi finisce il suo terzo bicchiere di whiskey Smythe.
La figura alle spalle di Blaine non demorde, ma anzi, decide di sedersi sullo sgabello di fianco al moro.
«Puoi ordinarmi un gin lemon?» chiede e solo allora Blaine decide di guardare negli occhi chi diavolo ha deciso di rompergli le palle.
L'avesse mai fatto. La persona con la voce acuta che vorrebbe un gin lemon è il ragazzo più bello che Blaine abbia mai visto.
Ha i capelli corti e castani, acconciati perfettamente e leggermente più biondi sul ciuffo tirato in sù, le labbra sono sottili, di un rosa pallido e gli occhi...Dio, quegli occhi sono due fottute galassie, pensa Blaine.
Sono azzurri, con qualche sfumatura verde e dorata all'interno.
Blaine, trovandosi questa meraviglia davanti a sè, rimane per qualche secondo con la bocca spalancata e un'espressione da pesce lesso dipinta sul suo volto.
«Puoi ordinarmi un gin lemon?» chiede ancora quel ragazzo che più che un umano sembra un angelo...o una ninfa dei boschi.
«C-come?» domanda stupidamente Blaine tornando bruscamente alla realtà quando il suo sguardo cade sulle gambe del suo interlocutore, magre e fasciate da un paio di pantaloni troppo stretti.
Troppo stretti.
«Ti ho chiesto se puoi ordinarmi un gin lemon» ripete per l'ennesima volta il ragazzo dagli occhi azzurri mentre cerca di sopprimere una risata.
«Ma almeno li hai ventun'anni?» chiede Blaine scrutando l'altro ragazzo. Gli sembra fin troppo giovane.
«Certo! Ne ho addirittura venticinque» ribatte il ragazzo alzando leggermente il mento con fare altezzoso.
«Addirittura?» lo prende in giro Blaine e per la prima volta dopo una settimana sorride.
Blaine Anderson sta sorridendo. Al miracolo! Se Wes lo vedesse in questo momento probabilmente si metterebbe a piangere per la gioia.
«Addirittura» conferma il castano «...e ora puoi ordinarmi un gin lemon?»
«Hai addirittura venticinque anni, puoi ordinartelo da solo» dice Blaine, il sorriso che rimane stampato sul suo volto.
«Mh...è che non ho ancora imparato a parlare il giapponese»
«E quindi?» chiede confuso Blaine.
«E quindi non so come parlare con il barista»
«Sei serio?» chiede ancora Blaine scoppiando a ridere e facendo un cenno verso il barista, che si avvicina a loro.
«Serissimo. Tu come hai fatto a ordinare quel whiskey?» chiede il ragazzo castano adocchiando il bicchiere vuoto di Blaine.
«Così» dice il moro prima di indicare con il suo indice la solita bottiglia di whiskey che sta dietro alle spalle del barman.
«Oh, wow» sussurra l'altro ragazzo.
«Visto? Semplice! Basta indicare quello che vuoi e il barista te lo porta...sono intelligenti 'sti giapponesi» 
«E comunque sono quasi sicuro che questo barista sappia parlare anche l'americano, altrimenti non lavorerebbe in un hotel a cinque stelle» aggiunge poi abbassando il tono di voce e sporgendosi sullo sgabello per sussurrare queste parole direttamente contro l'orecchio dell'altro ragazzo.
Il castano allora sorride e inchioda i suoi occhi su quelli di Blaine. Si fissano per qualche secondo restando in silenzio.
«Un gin lemon, per favore!» esclama poi il ragazzo dagli occhi azzurri, interrompendo il contatto visivo con Blaine e ruotando la testa per guardare il barman, che annuisce piano e tira fuori un bicchiere pulito.
«Comunque mi chiamo Marcel» aggiunge il ragazzo, mentre il barista riempie il bicchiere con del gin di alta qualità.
«Marcel?» ripete Blaine. 
«Che c'è? Non ti piace il mio nome?» chiede l'altro quasi offeso.
«No...sinceramente no. E poi non hai la faccia da Marcel» risponde onestamente Blaine mentre pensa se sia il caso o meno di bersi anche quel quarto bicchiere.
«E che nome mi daresti tu?» 
«Ti chiamerei...ragazzino» dice Blaine sorridendo e decidendo che per stasera può anche smetterla di bere.
«Non sono un ragazzino!» esclama Marcel.
«Hai ragione...hai addirittura venticinque anni» lo sfotte Blaine.
«E tu probabilmente ne hai cinquantacinque» ribatte il castano «dovrei chiamarti nonno»
«Ne ho trentacinque...e comunque mi chiamo Blaine»
«Blaine?»
«Che c'è? Non ti piace il mio nome?» chiede Blaine, ripetendo le stesse identiche parole che gli aveva rivolto Marcel.
«In realtà...mi piace, è particolare...e poi...hai la faccia da Blaine, sì»
Poi il ragazzino afferra il bicchiere di gin lemon che il barista ha lasciato sul bancone e ci poggia le labbra sopra.
Sorseggia lentamente il suo drink in silenzio mentre Blaine si rigira il suo bicchiere vuoto tra le mani.
«Kurt» dice dopo qualche minuto il ragazzo.
Blaine inarca un sopracciglio e si volta per osservare meglio l'altro ragazzo.
«Come?» chiede.
«Il mio nome. Mi chiamo Kurt»
«Ah! Lo sapevo che non ti chiamavi Marcel!» esclama con tono vittorioso Blaine.
Kurt poggia il suo bicchiere sul bancone e scoppia a ridere.
Blaine è sicuro di non aver mai sentito una risata così bella, gli viene quasi voglia di scrivere una nuova canzone per poterla dedicare a quella risata.

 

 






 


 





 
  
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