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Autore: germangirl    20/03/2015    7 recensioni
Harm, Mac, un bimbo in arrivo e una telefonata da Washington.
Ovvero: la vita e le sue imprevedibili conseguenze.
Seguito di “Tutta colpa del lago dorato”
Questa storia fa parte della serie 'Il lago dorato'
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Matilda 'Mattie' Johnson, Sarah 'Mac' MacKenzie, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1. Primipara attempata

Primipara attempata.

Questo era riuscita a sbirciare Mac dalla sua cartella clinica appoggiata sulla scrivania della dottoressa Sullivan del Naval Medical Center di San Diego che l’aveva presa in cura dietro consiglio della sua storica ginecologa di Bethesda. Fare avanti e indietro da una costa all’altra del Paese per nove mesi non avrebbe avuto molto senso, in particolare nelle sue condizioni, pertanto la scelta di trovare qualcuno che la seguisse in California era stata obbligata. La gravidanza non aveva creato grossi problemi, anche se l’endometriosi non deponeva certo a favore di Sarah.

Tantomeno la sua età.

Mac era consapevole di non essere più una ragazzina, ma quelle due parole le erano arrivate come un pugno in pieno petto e, se non fosse stata seduta, probabilmente l’avrebbero fatta vacillare. La sua prima reazione era stata quella di ricordare al tenente medico Judith Sullivan di essere il Colonnello Sarah MacKenzie Rabb, ergo un suo superiore, e pertanto di rivolgersi a lei con il dovuto rispetto, altro che primipara attempata. Poi però si era repentinamente pentita di aver solo pensato una cosa del genere: la nuova ginecologa l’aveva assistita con grande attenzione, disponibilità e competenza sin dal primo appuntamento e certo non si meritava un trattamento del genere.

Così non le era restato che tornare a casa rimuginando su quella definizione. Suo marito non era riuscito ad accompagnarla alla visita di controllo per un delicato problema di lavoro che gli aveva impedito di lasciare l’ufficio, sebbene fino a quel momento le fosse sempre stato vicino, vivendo con lei le gioie e le ansie di quel periodo straordinario della loro esistenza. E quel giorno, più che mai, avrebbe voluto averlo accanto a sé. Per togliersi dalla mente quella condanna, attempata, che sembrava non lasciare nessuna speranza. Quello stupido aggettivo l’aveva fatta sentire una vecchia babbiona che si era ritrovata inspiegabilmente incinta.

Dopo aver attraversato la porta di ingresso della loro villetta, Sarah raggiunse il divano e sprofondò su di esso, lasciando cadere la borsa per terra. Non aveva nemmeno la forza di togliersi il cappello. Era entrata nella trentesima settimana della sua gravidanza. Nonostante fosse solo inizio maggio, a San Diego splendeva un sole impietoso che le faceva gonfiare caviglie e piedi a dismisura e la faceva sentire più simile a una balena spiaggiata che a un essere umano. Meno che mai a un essere umano di sesso femminile.

Attempata.

Quell’aggettivo continuava a ronzarle nella testa, senza darle tregua. Accarezzò dolcemente il pancione, poi si passò una mano stancamente sulla fronte e infine si massaggiò le tempie. Dopo aver superato il primo trimestre, nel quale tutto sommato le nausee erano state sopportabili anche senza far ricorso all’addestramento militare, Mac aveva cominciato ad accusare spossatezza e sonnolenza più o meno a tutte le ore del giorno. Dava la colpa alla mancanza di caffeina, visto che per il bene della creatura che portava in grembo aveva dovuto rinunciare al suo caffè forte, stile marine, per convertirsi alle tisane che suo marito a casa, e la sua fedele assistente Coates al lavoro, non le facevano mai mancare. Certo che quella bevanda scura, aromatica e corroborante era tutta un’altra storia…

Doveva essersi assopita sul divano perché quando riaprì gli occhi si ritrovò distesa, senza scarpe e cappello e con un cuscino sotto la testa e uno sotto le caviglie. Sorrise e alzò gli occhi in direzione del responsabile di quel cambiamento.

“Ben svegliata marine, come è andata la visita?” le chiese Harm, che la osservava dalla poltrona di fronte al suo improvvisato giaciglio.

“La visita bene, lui è in forma” gli rispose Sarah.

“O lei…” la corresse immediatamente Harm. Non avevano voluto sapere il sesso del nascituro, preferendo mantenere la sorpresa fino all’ultimo, ma erano entrambi convinti che si trattasse, rispettivamente, di un maschio e di una femmina e, tanto per cambiare, nessuno dei due aveva voluto dar ragione all’altro. Come da copione.

La risposta della moglie, però, non aveva pienamente convinto Rabb che continuò a indagare: “E’ successo qualcosa?”

Sarah si limitò ad annuire muovendo impercettibilmente la testa.

Harm si spostò dalla poltrona e si avvicinò immediatamente al divano dove Mac era ancora sdraiata. “Cosa c’è? Stai male? Avevi detto che la piccola stava bene… allora sei tu? Ancora l’endometriosi? Ti accompagno in ospedale?” Il panico si era impossessato di lui. Era capacissimo di affrontare situazioni estremamente pericolose sotto il fuoco nemico, magari a 80000 piedi di altezza, e mantenere una calma glaciale, ma quando si trattava di Sarah e della loro bambina (“o bambino”, come lo correggeva sempre lei) perdeva la testa e andava immediatamente in iperventilazione.

“Harm respira. Stiamo bene entrambi, è solo che…” cercò di calmarlo sua moglie.

“Solo che cosa?”

“La dottoressa mi ha etichettato come primipara attempata. Harm, sono vecchia!” dichiarò Mac, non riuscendo ad evitare un tono piagnucoloso che non riconosceva come suo, ma che ultimamente le capitava di assumere sempre più spesso. Accidenti agli ormoni, pensò fra sé.

“Tutto qui?” replicò lui.

“Come tutto qui?” si risentì Sarah, colpita dalla mancanza di sensibilità di suo marito. Ah già, è pur sempre un uomo, si disse.

Mentre stava pronunciando quelle parole, Harm si morse la lingua. Sapeva che questa uscita avrebbe fatto infuriare Sarah. Aveva imparato che era più semplice e salutare far atterrare un Tomcat su una portaerei grande come un francobollo in mezzo a una tempesta di neve al largo della Groenlandia piuttosto che sorbirsi l’ira di sua moglie, così la prese fra le braccia e le sussurrò dolcemente in un orecchio: “Sarah MacKenzie Rabb, mi hai fatto prendere un colpo. Per me sei la donna più affascinante, meravigliosa, sexy e giovane che abbia mai incontrato e l’unica che voglio avere al mio fianco per il resto della mia vita. Quell’etichetta non ti definisce, né ai miei occhi né a quelli di chi ti sta intorno. L’ho visto, sai, come ti guardava quello sbarbatello del maggiore Smith, sì, l’ultimo arrivato del tuo staff, alla cena di gala del mese scorso. Avrei avuto voglia di spaccargli la faccia e ricordargli che non sei più sul mercato!”

Mac si lasciò coccolare da suo marito, che sapeva bene come usare il suo fascino e la sua dialettica per tranquillizzarla. Sarah conosceva tutti i trucchetti del famigerato avvocato Rabb in tribunale, ma da quando si erano messi insieme continuava a stupirsi per la capacità con cui, con poche parole, il suo marinaio riusciva a mettere ordine nel suo mondo.

La crisi sembrava passata, così Harm la aiutò ad alzarsi dal divano e le consigliò di fare una doccia rinfrescante mentre lui avrebbe pensato alla cena. Sarah non se lo fece dire due volte e si diresse verso la zona notte, lasciando suo marito di corvée in cucina.

Togliendosi la divisa che cominciava di nuovo a starle stretta, nonostante fosse già passata alla linea premaman, e la biancheria, Sarah fece un profondo respiro che si trasformò in un sospiro di sollievo appena percepì l’acqua fresca scorrerle sulla testa e sul corpo. Bastarono pochi gesti per farla sentire subito meglio. Si avvolse nell’accappatoio e frizionò velocemente i capelli con una salvietta, senza pensare ad asciugarli con il phon: faceva troppo caldo per sottoporsi a quell’inutile tortura. Si limitò a tenerli su con una pinza e indossò una t-shirt di suo marito e un paio di pantaloni corti, dopo essersi regalata un bel massaggio sul suo pancione con la crema idratante alla vaniglia, un’essenza che piaceva molto anche ad Harm.

Recandosi in cucina, si fermò sulla porta ad ammirare suo marito che riusciva ad essere tremendamente affascinante anche mentre scolava la pasta indossando degli improbabili guanti da forno a forma di aragosta.

Avevano appena finito di consumare le pietanze preparate da Rabb quando udirono squillare il telefono. Entrambi si immaginarono beghe lavorative: ricoprivano posizioni per le quali l’orario degli impegni era estremamente variabile e spesso di lunga durata. Però, se fossero state questioni professionali, probabilmente sarebbero stati contattati ai rispettivi cellulari.

“Sarà tua madre? Le avevo promesso che le avrei fatto sapere come andava la visita ma mi sono dimenticata di chiamarla” disse Mac.

Harm annuì e disse: “Può darsi. Rispondo io e poi te la passo”

Si alzò e andò nell’ingresso dove si trovava l’apparecchio: “Rabb”

Una voce femminile, molto diversa da quella di Trish, gli chiese: “Comandante Rabb? Sono l’infermiera Wilson del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Blacksburg. Lei risulta fra le persone da contattare per Matilda Grace Johnson, è corretto?”

Ad Harm si gelò il sangue. “Corretto. Sono stato il suo tutore fino all’anno scorso, mentre suo padre era in riabilitazione. Cosa le è successo?”

“Purtroppo ha avuto un brutto incidente.”

 

Nota dell’autrice

Qualche giorno fa, messaggiando con un’amica, siamo giunte alla conclusione che entrambe siamo affette da “personaggite acuta”. Dicesi personaggite acuta quella malattia per cui un autore – o nel caso specifico un’autrice – non riesce a staccarsi dai personaggi che ha creato e sente l’impulso irrefrenabile di accompagnarli ancora per un po’ lungo la loro strada.

Ecco dunque il risultato di quella sindrome: alcuni capitoli su Harm e Mac, post miracolo di Natale.

Grazie al mio angelo custode che ha avuto la pazienza di leggere la storia in anteprima e mi ha regalato tantissimi preziosi consigli e grazie a tutti voi per avermi donato un po’ del vostro tempo ed essere arrivati fino qui.

Deb

  
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