Rating: Verde
Tipologia: One Shot
Fandom: Lost in Austen
Avvertimenti: Si svolge dopo l'episodio tre. Di
conseguenza gli avvenimenti del quarto episodio non sono presi in
considerazione.
Personaggi: Amanda Price, Fitzwilliam Darcy, famiglia
Bennet, Bingley, Wickham.
Genere: Romantico, triste.
Disclaimer: La storia è mia proprietà, i personaggi
son proprietà della BBC. Se non vi piacciono, prendetevela con loro u.ù
*kidding*
Credits: Lady_Malfoy da cui ho preso in prestito questo
schemino, spero che mi perdonerà!
Note dell'Autore: Ho scritto questa fanfic non molto tempo
fa e nonostante tutto mi piace abbastanza, sarà perchè c'è Darcy o perchè Lost
in Austen ha stravolto Pride e Prejudice, ma mi piace. Comunque, commentate,
criticate e beh, spero vi piaccia ovviamente.
How to broke a Heart.
Oneshot
Ed eccomi qui. Fatta su a palla in un letto a
baldacchino di Pemberley.
Mi chiedo “Se mi mettessi ad urlare, qualcuno arriverebbe?”, o magari lui
direbbe che sto male e che è meglio lasciarmi sola?
Mi fa male il petto. E gli occhi mi bruciano. E le mani. E le gambe sono blocchi
di cemento. Perché Lizzie, perché?
Questa era la tua storia, non la mia! Tu si che sapevi stare al dolore. Non come
me, ridicola come una quindicenne dopo la prima delusione.
Respiro e sento le costole scricchiolare. Ma non voglio muovermi, non voglio
fare nulla che non sia stare qui a crogiolarmi in questa tortura. Perché io?
Perché?
Se non fossi mai finita qui, a quest’ora sarei con Michael che, non è perfetto,
ma almeno non mi spezza il cuore. Almeno lui ci prova a capire.
Ci sono passi nel corridoio e la porta si socchiude, ci sono due voci, non
riesco a captare le parole, ma nemmeno m’interessa; niente ha importanza al
momento. Voglio solo sprofondare. Lasciarmi morire. Non ha senso resistere se
non ho nulla a cui aggrapparmi.
Jane si chiude la porta alle spalle e si avvicina, mi sfiora la spalla con la
sua mano minuta ed io singhiozzo. Mi mordo un labbro e Jane si accoccola al mi
fianco, stringendomi col braccio magro.
«Sai, non sono certa di cosa sia peggio» dico tra un singhiozzo e l’altro e mi
accorgo che non sto più piangendo. Sono asciutta.
«A cosa ti riferisci Amanda?»
«A me, a tutto questo» vorrei sollevare il braccio e fare un gesto sdegnato, ma
non riesco nemmeno a muovere un dito. Il mio corpo è atrofizzato.
«Non capisco, e mi dispiace così tanto Amanda» le labbra di Jane mi sfiorano la
testa ed io vorrei sorriderle e dirle che tutto andrà bene, che, hey, io sono la
ragazza dell’altro mondo, che laggiù un cuore spezzato è come un taglietto.
Vorrei. Ma non posso.
Sospiro e la gola mi brucia, chissà se c’è dell’acqua in giro. Non mi muovo e
continuo a fissare il copriletto damascato, il braccio di Jane Collins si muove
lentamente sulla mia schiena. Conforto.
Che scherzo, tra noi due, quella con più bisogno di conforto è lei, non io.
Sposata con quell’idiota. Povera Jane.
Ci sono passi fuori dalla nostra porta, non devo nemmeno sforzarmi di tendere
l’orecchio, le voci si sentono come se fossero in questa stanza
«Che cosa le avete fatto?»
«Nulla. Non sono cose che vi riguardano Wickham»
E dei passi.
Non resisto, chiudo gli occhi e non esisto più.
***
Quando apro gli occhi, la signora Bennet sta
guardandomi dalla poltrona vicino al letto. Mi osserva con sguardo pieno di
cordoglio. Mi domando quanti sanno cosa è successo; sbatto le palpebre un paio
di volte e noto una lettera sul mi cuscino.
Elizabeth Bennet.
Non mi sforzo nemmeno di alzarmi, la prendo con le dita rigide e la apro,
portandola agli occhi, la scrittura di Elizabeth sembra fondersi in macchie
d’inchiostro nero. Cerco di concentrarmi.
Non avrei mai voluto che ti accadesse tutto questo, non so come ma mi sono
ritrovata a Pemberley. Jane mi ha detto cosa ti è successo e sono così
costernata da non riuscire a dire quanto. Forse è stata una pessima idea
lasciarti qui al posto mio.
Amanda, quando leggerai questa lettera, ti prego di raggiungermi in giardino, ti
aspetterò tutto il giorno. Come sto facendo da ormai una settimana. Ti prego
Amanda, devo poter fare qualcosa per te.
Affettuosamente tua
Elizabeth Bennet
Cerco di alzarmi, ma tutte le mie ossa sono indolenzite, la signora Bennet mi
porge un bicchiere d’acqua fresca, lo afferro e lo porto alla bocca con
difficoltà
«Sei stata via per otto giorni, eravamo preoccupati che non ti saresti mai
ripresa» il suo tono di voce è completamente diverso da quel che ricordavo
prima. Sembra sia realmente preoccupata per me. Cerco di sorridere, ma le mie
guance si rifiutano di alzarsi un po’. Sospiro. Spingo le gambe pesanti oltre il
bordo del letto e mi tiro in piedi. Sono instabile. Non mi sento ne piedi ne
mani e, se non li vedessi, non sarei nemmeno certa di averli. Non mi sento
nemmeno il cuore, ma quello non c’è. Non più. Sulla sedia da toeletta c’è un
vestito pulito, la signora Bennet esce ed io mi cambio.
Nell’enorme casa non ho incrociato nessuno. Meglio. Nello specchio ho potuto
vedere il mio riflesso e non c’era niente di confortante, i miei occhi sono
incavati e bordati di nero, le mie guance sono smunte e la mia pelle è di un
colore perlaceo, persino i miei capelli sembrano senza vita.
La scalinata di Pemberley sembra interminabile, ho fatto solo pochi gradini e
già sto ansimando. Avrei fatto bene a mettere sotto i denti qualcosa.
Scivolo sugli ultimi gradini e raggiungo il parco, Elizabeth mi vede e si alza,
venendomi incontro di corsa, mi abbraccia così forte che sento le mie ossa
scricchiolare, è impossibile, ma lo sento. Cerco di sorriderle, ma solo un
angolo della mia bocca si alza, è una smorfia di dolore.
«Quando mi dispiace Amanda! Davvero, io non avrei dovuto lasciarti qui da sola!»
«No, non avresti dovuto» era un tono rabbioso nella mia testa, ma fuori dalle
labbra è solo un lamento.
«Che cosa posso fare Amanda? Dimmelo ed io lo farò!» Elizabeth mi fa sedere sul
bordo della fontana e nella mia testa rivedo le cose successe, stando a quanto
afferma la signora Bennet, otto giorni fa.
Le mie braccia in un gesto automatico si stringono al petto. Cerco di non andare
in pezzi.
«Non c’è niente che puoi fare – respiro a denti stretti – solo dirmi, come posso
tornare a casa mia. Solo questo» guardo Elizabeth che guarda altrove. Brutto
segno.
«Ecco, io non so come sono tornata, stavo entrando in metropolitana e mi sono
ritrovata a Pemberley, nella stanza da bagno di Jane. Non so come aiutarti
Amanda...» Bene. Perfetto.
Lizzie scatta in piedi ed alzo lo sguardo sulla figura mascolina che avanza
verso di noi, non mi serve guardarlo in faccia, chiudo gli occhi e mi alzo
lentamente stringendomi il petto. Non c’è niente li dentro, ma allora perché fa
così male?
Si ferma a pochi metri da noi e si inchina, meccanicamente imito Lizzie; i miei
occhi sono fusi col pavimento.
«Come vi sentite Miss Price?»Non parlarmi. Non parlarmi. Non devi parlarmi!
«Egregiamente, questa sera sarò in grado di lasciare Pemberley» dico senza
nemmeno pensarci. Perché dovrei restare? Lizzie e Darcy sono dove dovrebbero
essere, a parte la povera Jane, tutti gli altri se la caveranno. Io sono quella
fuori posto.
Sento il suo sguardo sulla testa ma non devo pensarci. Un passo. Un passo. La
sua ombra mi copre completamente
«Non è il caso che ve ne andiate Miss, non vi siete ancora ristabilita» Il vuoto
nel mio petto si contorce. Stringo i denti e ricaccio in gola l’urlo
«Sto perfettamente. Grazie. E poi, onestamente signore, non vedo per quale
motivo dovrei ancora arrecarvi danno – respiro – è chiaro che la mia presenza
qui, non è più lungamente gradita» lo fisso negli occhi. Ma fa male. Torno al
pavimento. Molto meglio.
«Come desiderate» Passi che si allontanano.
Elizabeth mi passa un braccio sulle spalle, ma non serve, non devo piangere.
Voglio fare quello che ho detto. Voglio andare via.
«Mostrami la stanza da bagno».
La stanza da bagno di Jane è esattamente come la mia: una vasca, un lavandino un
mobile. Fine. Osservo la stanza perplessa e poi passo a Lizzie che scrolla le
spalle.
«Te l’ho detto, mi sono ritrovata qui per caso, per poco Jane non mi tirava
addosso il vaso sul suo comodino» Jane annuisce alle nostre spalle.
Devo andarmene da qui. Entro nel bagno e chiudo la porta. Chiudo gli occhi e
penso a Londra. Apro la porta.
La stanza dove mi trovo sembra una biblioteca, tutte le persiane sono chiuse, e
l’unica luce accesa è su un tavolino in fondo alla stanza, mi avvicino senza far
rumore. Darcy è seduto e contempla le pagine strappate di Orgoglio e
Pregiudizio.
Cerco di tornare indietro senza fare rumore, ma come nei film, è impossibile.
Volta la testa di scatto e mi vede li, mentre cammino a ritroso.
«Da dove siete entrata?» chiede sorpreso, con le mani incrociate sul petto.
Indico la porta alle mie spalle che è chiusa. L’avevo lasciata aperta.
«Questo è impossibile, quella porta è chiusa su se stessa, non conduce da
nessuna parte. Non si riesce a rimuovere però» Perfetto. Un altro vicolo cieco.
Sospiro e mi dirigo verso la porta appena dopo il suo tavolo, non voglio stare
in questa stanza un minuto di più. Ed un movimento rapido del suo corpo mi
schiaccia contro la parete ricoperta di libri, il suo volto scuro a pochi
centimetri dal mio, il suo naso ancora segnato dalla lite con Bingley. Stringo i
denti e gli fisso la giacca color cenere.
«Amanda, ti prego, guardami» Sento il suo alito sfiorarmi le guance, ma testarda
tengo giù la testa.
«Per favore» ripete accarezzandomi le spalle, mi scrollo e le sue mani cadono
giù come foglie in autunno. Alzo lo sguardo. Sento gli occhi asciutti, sono a
cavallo
«Cosa volete?» a denti stretti, ma con un tono sicuro che stupisce persino me,
fa un passo indietro e mi osserva
«Voglio scusarmi con voi»
«Non è necessario signore» un sibilo che fuoriesce dai denti che digrignano. Li
sente anche lui, ma il suo volto impassibile continua imperterrito a fissarmi.
«Amanda» la sua voce suadente è venata da una tristezza profonda che incerta si
aggrappa alle lettere del mio nome. Sono di nuovo con le braccia strette al
petto – non lasciarti andare Amanda – mi ripeto come una litania nella testa; me
ne pentirò lo so.
«Tu mi hai spezzato il cuore» non ci sono tremiti nella voce, lo sguardo si, è
ancora sulla sua giacca, ma poco importa, se la voce è ferma tutto sembra più
fermo.
«Non puoi capire quanto questo mi faccia sentire male Amanda, quanto io mi senta
miserabile» dice con il suo tono più sincero. Vorrei crederti Darcy, con tutto
il vuoto che hai lasciato nel mio petto, vorrei crederci. Mi volto dall’altra
parte e raggiungo in fretta la porta
«Addio Darcy» La porta si richiude alle mie spalle.
***
Il toast esce dal tostapane ben dorato, lo
afferro con due dita e ci do un morso dentro lasciando cadere le briciole sul
pavimento bianco. Il postino suona il campanello; gli apro e mi rifila un sacco
di bollette che non vorrei pagare affatto.
Torno in cucina ed osservo svogliata il telegiornale sorseggiando un po’ di
succo d’arancia che sa d’avariato. Sono tornata alla mia vita. Ormai sono sei
mesi che sono qui e nonostante tutto non riesco ad entrarci, non riesco a
capacitarmi di come sia potuto accadere; mi ripeto che forse, l’avergli detto
addio ha scatenato qualcosa per il quale la porta da cui sono uscita mi ha
riportata qui. Non so come altro potrei spiegare il fatto.
Ho lasciato Michael ed ho cambiato casa. Ora vivo in una specie di buco a pochi
passi dalla casa di mia madre, in una stradina senza uscita. Sopra un ristorante
che si chiama Wickham Kitchen. Che scherzo.
Ho lasciato il mio precedente lavoro ed ora sto in una clinica per anziani, dove
posso raccontare loro storie e tenergli compagnia; è un lavoro molto impegnativo
in un certo senso, devo sempre essere pronta a raccontare una storia nuova ogni
qualvolta qualcuno lo desideri; la signora Drover, una donnina piccola ed
arzilla, mi chiede sempre di raccontarle qualcosa del periodo storico nel quale
sono ambientati i romanzi della Austen, ogni volta lei fa il nome di Darcy, il
vuoto nel mio petto torna ad avvolgere ogni cellula del mio corpo e devo
infilarmi in bagno per non mettermi ad urlare davanti a lei.
Dice di avere un nipote molto strano, dice che questo nipote mi piacerebbe, non
se lo ricordava nemmeno, le è piombato in casa non si sa come e da allora si è
preso cura di lei; è stato lui a metterla nella clinica.
«Sa Miss Price, mio nipote è un bel giovanotto, un po’ burbero e pieno di se
alle volte, ma molto per bene, sembra uscito da una di quelle novelle della sua
cara Austen. Ah! Non mi stupirei di scoprire che viene proprio da li» le sorrido
ed esco dalla stanza per prendere aria.
E’ un sabato, anzi il sabato. Il giorno dei parenti in visita; prendono i loro
anziani e li portano con un assistente, in giro per il parco di Londra. E’ una
giornata davvero stressante. Arrivo in clinica in tempo per il mio turno
«Miss Price, le abbiamo assegnato Mrs Drover, sa quanto la adora!» prendo il
pass per l’uscita della signora e mi cambio indossando sopra gli abiti troppo
larghi la camicia che portiamo come divisa, risalgo il corridoio di corsa ed
arrivo davanti alla porta aperta della stanza, sento una voce. La voce.
«Vi prego zia, non agitatevi così, altrimenti non vi lasceranno affatto uscire,
ed io ho bisogno che voi siate fuori oggi, siete l’unica occasione che ho per
rivedere Miss Price»
«Dimmi giovanotto, non sei davvero mio nipote vero? Sei qui per Amanda» non lo
dica così Mrs Drover! Non lo dica come se fosse una cosa bella!
«Mi dispiace avervi mentito per tutto questo tempo Mrs, ma si, sono qui per Miss
Price per chiederle ancora una volta, di perdonarmi e di accettarmi come suo
sposo» Il pass mi scivola dalle mani e picchia sul pavimento, nella stanza
entrambi si voltano verso di me, con la bocca aperta ed il corpo immobile sono
sulla porta, Darcy percorre la stanza in due passi e spalanca l’antro, sono
investita dalla luce bianca che penetra dalla finestra
«Io… Non volevo… Origliare» metto insieme una frase totalmente priva di senso, e
lui sorride. Come ha fatto una volta sola, immerso in una fontana piena di
acqua. Per me.
«Non sarei sopravvissuto senza di voi Amanda! Mai, mai mai! Quale stupido sono
stato a ripudiarvi in quel modo! Quale sciocco son doppiamente stato quando vi
ho permesso di dirmi addio pur sapendo che vi amavo con tutto me stesso! Non una
sola parte del mio corpo può stare lontana da voi Amanda! Non una!»
Fissavo un Darcy impazzito in abiti moderni, con la chioma spavalda ancora al
suo posto e le mani forti strette attorno alle mie spalle ormai fragili quanto
quelle di Jane
«Ma… Io credevo che voi Darcy vi foste sposato con Elizabeth! Che ne è stato di
lei? E Jane, della povera signora Collins! E ditemi di Bingley! Il vostro amico
Bigley!» ma non posso respirare. Le sue braccia mi stringono così forte che mi
sembra di non esistere, in quella presa d’acciaio io sono al sicuro. Sono viva
di nuovo. Nonostante senta le costole friabili in quelle braccia possenti, so
che sono di nuovo completa, so che sono dove devo essere. Con chi devo essere.
Con il volto nei miei capelli sbiaditi parla lentamente
«Vi racconterò tutto Amanda, ogni cosa, ma ora, lasciatemi godere ancora un po’
questo istante»
Sotto lo sguardo attento e felice di Mrs Drover finalmente fui baciata dal mio
principe azzurro.
***
Il chiasso proviene dal giardino verso le
scuderie, era un chiacchiericcio persistente ed allegro, sorrido correndo giù
per le scale a rotta di collo, ma come da copione, vado a sbattere contro la
figura severa di Darcy che mi accoglie tra le braccia mormorando che sono troppo
giocosa, come al solito. Usciamo sulla terrazza e la prima coppia che vediamo
sono Lizzie e Wickham, seduti che parlano con le teste vicine, i loro nasi quasi
si sfiorano. Sono felici e si vede lontano un miglio. Li sorpassiamo e scendiamo
in giardino dove Mary e Kitty si rincorrono con Georgiana. Ci salutano e
ricambiamo il saluto andando verso le persone che stiamo cercando.
Il Mr e Mrs Bingley sono seduti in prossimità di una delle fontane, non appena
ci vedono si alzano e ci vengono incontro, lascio il fianco di Darcy per
lanciarmi nell’abbraccio fraterno di Jane.
«Come sono felice che tu sia qui cara! Non potevo pensare che non ti avrei più
rivista, questi lunghi mesi sono stati una tortura senza di te» Bingley le
accarezza il collo dolcemente, Darcy ci osserva con sguardo contemplativo.
Ridacchio
«Ma c’era Elizabeth con te, tutto avrebbe dovuto sistemarsi a dovere. Cosa è
successo invece?»
Ci accomodiamo sulle due panche di legno, accoccolandomi nel petto del mio
quasi-marito ascolto Jane raccontare dei sei mesi trascorsi con aria serena.
«Quando andasti via, molte cose s’incrinarono. Incolpai Lizzie della tua
dipartita e per parecchi giorni non parlammo. Dovetti tornare piangente da lei a
chiedere consiglio su come liberarmi di Mr Collins, io non volevo lui come ben
sai. Trovammo una scappatoia, se il matrimonio non viene consumato entro tre
mesi dal giorno delle nozze, le parti possono chiedere un annullamento. Ci è
voluto coraggio per farlo, ma stranamente, o forse no – scocca uno sguardo a
Darcy – le cose furono semplici, persino Lady De Bourgh mi appoggiò, così
ottenni l’annullamento. Nel frattempo, Elizabeth che si sentiva colpevole aveva
cominciato a vagare con Wickham per trovare un po’ di serenità e beh, l’anno
trovata, si sposeranno dopo te e Darcy. Alt, mia cara, so cosa stai per dire “Lizzie
deve stare con Darcy” – mi imita alla perfezione - beh cara, forse era così nel
tuo misterioso Orgoglio e Pregiudizio, ma qui, l’unica persona a possedere il
cuore di Darcy sei tu. Quando te ne sei andata, si è incupito così tanto che
pensavamo sarebbe perito per la depressione e poi un giorno, inspiegabilmente,
scomparve. Ci scrisse un biglietto dove diceva di essere nello stesso luogo dove
eri tu e che doveva restare per riportarti qui ad ogni costo. Dispose tutto, in
caso di sua dipartita senza ritorno, tutti i suoi beni dovevano essere curati da
me e Bingley che avremmo fatto gli interessi della cara Georgiana. Insomma mia
cara, era destino che voi due finiste insieme» concluse voltandosi a guardare
Bingley con uno sguardo pieno d’amore.