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Autore: baffesque    21/03/2015    1 recensioni
Che il rapporto fra Arthur e Francis fosse basato su un continuo scambio di battute e frecciatine, volte più o meno ad offendere l'uno o l'altro, non era un segreto per nessuno.
Che Arthur stesso tenesse particolarmente a cuore quei piccoli momenti, era un segreto per tutti, pure per lui stesso.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: scrivo solo un piccolo appunto qua sopra, non ho a che fare col francese da parecchio tempo e quindi per il titolo mi sono fatta aiutare da santo internet. Se è presente qualche errore non me ne vogliate, è presente anche la parte di grammatica che più odiavo ;u;




La langue avec laquelle tu me parles


Che il rapporto fra Arthur e Francis fosse basato su un continuo scambio di battute e frecciatine, volte più o meno ad offendere l'uno o l'altro, non era un segreto per nessuno. Nelle due vecchie nazioni era ormai radicata così a fondo quell'abitudine, il paziente stuzzicare punti scoperti della loro coscienza conosciuta così a fondo dopo tutti quegli anni passati, nel bene e nel male, al loro fianco, da ormai non farci nemmeno più caso quando succedeva. D'altronde, quei teatrini da vecchia coppia sposata non destavano più curiosità nemmeno ai loro spettatori, così abituati a sentirli parlare in maniera stizzita da considerarli come un semplice intercalare all'interno della noiosa routine di quei numerosi meeting.
Che tutt'e due i soggetti della questione si divertissero in maniera più o meno inconscia in quella loro tradizione, era un fattore di cui non s'era mai parlato a voce alta e che mai nessuno aveva asserito, ma che tutti davano per scontato.
Che Arthur stesso tenesse particolarmente a cuore quei piccoli momenti, era un segreto per tutti, pure per lui stesso. D'altronde per l'orgoglioso inglese, questo era l'unica realtà che non avrebbe mai avuto il coraggio d'accettare, nemmeno in silenzio. L'unico pensiero che lasciava passare nella sua mente senza interromperlo bruscamente, consisteva nell'ammissione del fatto che quegli scambi più o meno pacati altro non erano che una quieta eredità dei tempi passati.
Quel tipo di pensiero non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno, tanto meno per l'inglese stesso: Arthur propendeva facilmente alla malinconia e al saggiare memorie di tempi così antichi da rivederli in colori sbiaditi, quasi fossero un'antica fotografia. Non era affatto strano che nella maggior parte di essi la figura del francese fosse presente e punto focale dell'intera situazione. Che Arthur storcesse le labbra in disappunto quanto volesse, ma che lo avesse accompagnato per quasi tutta la sua esistenza, con quegli eccentrici abiti e le espressioni da attrice, era un semplice dato di fatto.
Gli capitava spesso, mentre era il turno di Francis di parlare dinnanzi a tutte le altre nazioni riunite attorno ai larghi tavoli, di poggiare il mento sul palmo della mano e di volgere lo sguardo verso la vista donata dalle finestre, e lì far vagare la mente.
Un tempo le cose andavano in maniera diversa da quella, anche le più pacifiche. Un sorriso gli curvava involontariamente le labbra a ricordare come, quando era abbastanza giovane da pensare di poter tenere il mondo chiuso in una mano, quella rana bionda era una vera e propria spina nel fianco. Anche il solo fatto di sentirne la voce contorcersi in quei suoni che considerava la sua superba lingua, lo disturbava. Il non capire cosa stesse mai dicendo con quel sorriso beffardo o con l'aria profondamente contrita, il pensiero di non poter comprendere ogni sfaccettatura di Francis non lo lasciava libero.
Cosa poteva mai dire senza che lo sapesse? E se lo stesse prendendo in giro? E se gli stesse rivolgendo un'offesa degna d'essere seguita solo da una dichiarazione di guerra? E se fosse altro ancora, cose che non poteva nemmeno immaginare?
Una smorfia gli faceva stringere le labbra mentre guardava stringergli l'occhio nella sua direzione mentre si sedeva, dopo aver terminato il suo discorso. Allora non poteva saperlo, ma quando aveva deciso in giovane età di imparare quella lingua per riuscire a capirlo, aveva perso qualcosa di cui riusciva a godere solo in età molto più tenera.
Aveva perso la possibilità di ascoltare semplicemente il suono della sua voce, senza chiedersi che cosa gli stesse mai dicendo. Il far passare nella sua mente la sua voce calma e guardare le nuvole in cielo, e solo lì rilassarsi.
Era una possibilità che ora non aveva più, ritrovandosi sempre a concentrarsi su ciò che gli diceva, traducendo automaticamente le sue parole in inglese e rendendosi conto di tutte le futilità che ripeteva ogni volta che ne aveva l'occasione. 
Però, però. Anche lì era presente un però.
C'era un momento, e solo d'un momento si trattava. Una frazione di tempo tanto esigua in cui Arthur non poteva concentrarsi sulle parole del francese, preso da ben altre più importanti questioni.
Non era minimamente importante capire le frasi sconnesse che gli sussurrava, solleticandogli con le labbra l'orecchio e il collo, non quando le mani vagavano frenetiche e senza sosta e tutto era così caotico e piacevole. E lì il suono della sua voce, per un solo momento alla volta, era il perfetto compimento della perfezione.

«A cosa pensi Angleterre, a quanto mi ami?»

«Siamo in riunone, per l'amor del cielo, sta' zitto Francis.»
   
 
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