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Autore: FEdeLauris    21/03/2015    0 recensioni
Éléonore e Charlotte, due fanciulle di nobili natali, si trovano a trascorrere un’estate presso la zia della seconda. Si tratta della Marchesa de Vernon, famosa per la sua condotta irreprensibile e la sua solida morale, che si dice ella abbia trasmesso anche ai suoi tre figli. Tuttavia, nell’ambiente circoscritto della tenuta di famiglia, i personaggi si ritrovano a mettere in discussione i propri principî, sperimentando di persona l’intramontabile conflitto tra la natura umana e le regole imposte dalla società.
Da questa deliziosa giostra settecentesca, che raccoglie una notevole varietà di stimoli letterari dell’epoca e non, da "Orgoglio e Pregiudizio" a "Le Relazioni Pericolose" a "Justine", emerge una profonda riflessione filosofica, frutto di un progressivo rifiuto delle convenzioni. Ed è forse questo sottile nichilismo, questa rinuncia verso un’esistenza fredda e formale, che conferma l’assoluta contemporaneità dei protagonisti.
Il lettore viene trascinato inesorabilmente attraverso danze galanti, concerti di pianoforte, tra colpi di fioretto e passeggiate a cavallo, in una trama di intrighi, nel crescendo di una tensione incontrastabile che si risolve nel finale inatteso...
(tratto dal romanzo "La Rosa d'Oro, ovvero i paradossi della virtù" di cui possiedo i diritti d'autore)
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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La notte stese rapida la sua coltre nuvolosa, portando con sé la conclusione di una giornata che non smetteva di riserbare sorprese agli ospiti della villa. L’aria era frizzante dell’attesa della partenza. Tutto era pronto per l’indomani. Lambert, in particolare, non vedeva l’ora di poter cavalcare a briglia sciolta nell’immenso parco della tenuta estiva.
Dopo cena, la Marchesa fu la prima a ritirarsi nelle sue stanze, stanca dopo una giornata tanto intensa, imitata da Thierry. Aline, Charlotte, Éléonore e Sophie si trattennero insieme ancora per un po’ nel salottino ad ascoltare i racconti di Ariberto sull’Inghilterra. Quando il pendolo batté l’ora, Aline diede voce al pensiero di molti: «Si è fatto tardi, forse è meglio se andiamo a dormire». La proposta fu approvata dai più e tutti insieme risalirono le scale.
Éléonore, mentre stava per entrare nella propria stanza, vide Ariberto fissare esitante il corridoio.
«Non andate a dormire, Milord?» chiese quasi sottovoce per non disturbare chi si era già messo a letto.
«Ho sempre molta difficoltà ad addormentarmi, perciò preferisco stare alzato aspettando che il sonno venga a prendermi. E certo, sarebbe più piacevole attenderlo in mezzo a quei libri, benché siano pochi…» disse accennando con la testa in direzione dello studio. La Contessina rise.
«Andate pure, non penso che per la Marchesa sia un problema».
«Mi fareste compagnia?»
Éléonore gettò un’occhiata indecisa nella camera, poi si risolse a chiudere la porta e lo seguì.
Arrivati allo studio, Ariberto aprì la porta e lasciò passare avanti la Contessina. Si sedettero al tavolo e ripresero a parlare a bassa voce per non fare rumore. Fu Ariberto a cominciare.
«Ditemi la verità: credete che Madame de Vernon non sarà più così accogliente nei miei confronti, dopo aver scoperto i miei umili natali?». Il suo tono appariva preoccupato.
La Contessina gli sorrise.
«Perché mai dovrebbe? Non conosco abbastanza la Marchesa da poter dire quali sono i suoi criteri di giudizio per le persone, ma sono convinta che le piacete, soprattutto dopo che le avete mostrato le vostre innumerevoli capacità.»
Ariberto fece una smorfia come se Éléonore avesse esagerato, ma la Contessina, abituata a decifrare il volto di Charlotte, capì subito che recitava. Finse di credergli.
«Voi siete troppo modesto… Se il padre della vostra Lady ha accettato di darvi la sua mano, deve nutrire una profonda stima nei vostri confronti.»
«In effetti, è così».
«E immagino che le sue opinioni siano fondate. Non credete dunque che, se vi ha accettato lui, vi accetterà anche la Marchesa?»
«Avete ragione. Siete molto gentile con me.»
«Dico solo ciò che penso».
«Voi…»
Ariberto fu interrotto da una risata femminile, subito seguita da un sibilo che la zittì.
I due si guardarono con aria interrogativa. La risata proveniva da dietro la porta che quel pomeriggio avevano trovato chiusa a chiave. Il Lord si alzò cauto e avanzò silenziosamente fino alla porta. Chiunque vi fosse stato dietro di essa, non avrebbe potuto sapere di lui ed Éléonore nello studio, dal momento che i due avevano parlato sempre sottovoce. Ariberto fece segno ad Éléonore di avvicinarsi.
Mise una mano sulla maniglia e, abbassandola delicatamente, senza fare alcun rumore aprì la porta quanto bastava per sbirciare all’interno.
Si trattava di un boudoir. La luce delle candele tremolava sui corpi stesi su uno dei divanetti. L’oscurità rendeva difficile distinguere le figure, ma quando gli occhi dei due giovani si furono abituati videro che una di esse era una donna. La penombra impediva di coglierne i tratti del volto, ma quanto si poteva scorgere era sufficiente a farne intuire la grande bellezza. Quando Éléonore riconobbe la seconda figura, fu scossa da un sussulto: era Lambert.
Il giovane stava passando le dita sulla scollatura della donna. Il pensiero di Éléonore corse subito ad Aline. Indignata, fece per andarsene, ma Ariberto le mise una mano sulla spalla sussurrandole: «Aspettate».
Obbediente, la fanciulla tornò a guardare la scena che si svolgeva nel boudoir: la giovane accanto a Lambert si era denudata il seno e lo offriva ai suoi baci, invitandolo a scoprire il resto. Lambert le andò sopra, facendola stendere sotto di sé e alzandole la veste fin sopra le cosce con la mano, poi la baciò con passione. I due amanti si aiutarono a vicenda a liberarsi dei vestiti senza sciogliere l’abbraccio delle loro lingue, le forme dei loro corpi enfatizzate dal gioco di luci e ombre creato dalle candele. La donna, poi, sempre restando distesa, portò Lambert allo stato che desiderava, e infine lo guidò dentro di sé.
Ariberto assisteva alla scena apparentemente impassibile. Éléonore invece era invasa da una strana angoscia: una parte di lei voleva andarsene, e tuttavia non riusciva a distogliere gli occhi dall’osceno spettacolo, come ipnotizzata dalla lotta dei chiaroscuri sulla schiena di lui e sulle cosce di lei; la sua attenzione era totalmente catturata dal focoso amplesso, non sentiva altro se non i respiri affannosi ed i gemiti di chi vi partecipava. Ora anche Lambert gemeva, e la donna gemeva sempre più forte…
«Basta così» sussurrò il Lord allontanandola e richiudendo silenziosamente la porta.
Éléonore se ne risentì, ma non ebbe il coraggio di protestare.
«Andiamo a dormire» le disse dolcemente Ariberto cingendole le spalle con un braccio e accompagnandola fuori dallo studio.
‘Come se potessi riuscirci, dopo quello che ho visto… ’ pensò Éléonore. Tuttavia, non disse nulla e sparì nella sua stanza.
 
 
 
Il giorno dopo lasciarono la villa di buon mattino, le donne in carrozza, i giovani a cavallo. Laurent, quando poteva, stava accanto alla carrozza, così da poter chiacchierare sia con Charlotte che con Sophie, sedute l’una di fronte all’altra. Tutti erano sereni, tranne Éléonore, che era però costretta a mostrare il sorriso, cosa che le riusciva alquanto difficile dacché aveva già di suo un’aria triste. Ogni tanto dava un occhiata fuori dalla carrozza per osservare Lambert: lo vedeva chiacchierare beatamente con suo fratello, senza dare l’impressione del minimo senso di colpa. Ariberto, che stava a sua volta tenendo d’occhio la Contessina dall’inizio del viaggio, le si avvicinò a cavallo.
«Come state?»
«Bene» gli rispose con un’espressione funerea.
Il Lord scosse la testa e trottò via.
Il viaggio non era lungo, ma forse le fanciulle lo percepirono come tale a causa delle continue chiacchiere di Madame de Vernon. Quando videro la tenuta in lontananza si sentirono sollevate.
«Facciamo a chi arriva primo?» propose Lambert a Thierry.
«D’accordo. Ma non sperate di avere possibilità.»
I due giovani scattarono al galoppo verso le scuderie. Le fanciulle li guardarono dalla carrozza. Stavano percorrendo un immenso viale che portava dritto all’edificio principale: si trattava di un’imponente costruzione a ferro di cavallo, che cingeva un largo piazzale da cui si dipartivano alcuni vialetti, che a loro volta si suddividevano in un dedalo di stradine secondarie che correvano in mezzo ad enormi aiuole fiorite. Le due metà dell’edificio sarebbero state speculari, se non fosse stato per la grande scuderia che creava una specie di “L” con il braccio destro del ferro di cavallo.
Le carrozze si fermarono nel piazzale e i servi scaricarono i bagagli.
«Sophie,» disse la Marchesa «mostrate alle nostre ospiti dove trascorreranno l’estate». Sophie invitò Charlotte ed Éléonore a seguirla. Salirono un’imponente scalinata. Sotto un ampio portico si apriva l’ingresso principale. Entrando, si ritrovarono in un grande atrio, da cui, attraversando varie salette minori, si accedeva all’ala ovest, alla sala da pranzo nell’ala est e direttamente a una sala da ballo, di fronte alla porta d’entrata. Sul lato si sviluppava una sontuosa scalinata che portava al piano superiore, dove si trovavano le numerosissime stanze degli ospiti, le stanze private della Marchesa e dei suoi famigliari e, alla fine dell’ala ovest, la biblioteca, che occupava metà dell’intero settore. Sopra la sala da pranzo, affiancata dalle cucine e dalla dispensa, si trovavano gli alloggi della servitù, ai quali si accedeva da una scala diversa, ma comunicanti con il resto del piano superiore, in modo che i servi potessero accorrere rapidamente in caso di bisogno.
La visita durò meno del previsto, dal momento che Mademoiselle de Vernon scartò l’intera ala est, concentrandosi sulle sale principali del resto della casa. In alcune stanze non le portò nemmeno, limitandosi ad illustrarle mentre ci passavano davanti o lasciando dare una breve occhiata dalla soglia. Si vedeva che Thierry e suo padre prima di lui avevano viaggiato molto: parte dell’arredamento e dei tessuti impiegati provenivano chiaramente dall’Oriente e dall’Africa. Entrambe le ospiti notarono che quegli oggetti non si addicevano allo stile che predominava nella villa, ma erano di gran pregio, e di certo la Marchesa non si vergognava a metterli in mostra. Con grande delusione di Éléonore, Sophie le diede solo il tempo per gettare una breve occhiata nella biblioteca, dicendo che sarebbe potuta tornarci più tardi.
Si ritrovarono tutti al piano di sotto e la Marchesa assegnò le camere agli ospiti. Quella di Éléonore era di fianco allo scalone, accanto a quella di Charlotte e di fronte a quella di Ariberto, mentre più in là nel corridoio si trovavano le stanze di Sophie, Aline e Bernadette. Nell’altra sezione del corridoio si aprivano invece la stanza di Laurent e quelle di Thierry, di Lambert e del defunto Marchese de Vernon. Le stanze di Lambert erano quelle più isolate, e il Lord e la Contessina non ebbero bisogno di chiedersi perché.
Sophie si offrì di portare le ospiti a visitare anche il giardino. Le ragazze si diressero tutte insieme verso le scuderie, dove un uomo condusse fuori tre giumente e aiutò le fanciulle a salirvi. Charlotte era un po’ timorosa. «Tranquilla, andrà tutto bene. Pensate solo a godervi la passeggiata!» le disse Éléonore sorridendo. Le tre cavalcature si allinearono e iniziarono così a procedere lungo un vialetto.
«Passeremo attorno alla villa, poi andremo al lago» annunciò Sophie. «Un giro in barca è d’obbligo».
«In barca?» chiese Éléonore.
«Certo. Oltre quegli alberi c’è un lago artificiale.» Sophie indicò la direzione con il dito.
Éléonore vide che dietro la villa si sviluppava un boschetto di salici, che non aveva visto mentre era in carrozza. Nel frattempo, si erano lasciate alle spalle la scuderia e stavano costeggiando l’ala est. Si sprecavano le decorazioni floreali sui lati dell’edificio. Man mano che passavano, Sophie indicava le varie finestre dicendo quali ambienti vi corrispondevano. Le ospiti osservarono con ammirazione lo sfarzoso balcone della stanza della Marchesa. Uno più grande e con le stesse decorazioni correva lungo l’ala ovest, abbracciando un lato della biblioteca, ma la vista più bella era riservata alle stanze che davano sul retro della villa, dove appunto si trovava il boschetto di salici. Terminato il giro dell’edificio, Sophie guidò il gruppetto verso il lago. Avvicinandosi, si faceva sempre più nitido lo scintillio dell’acqua sotto il sole, quasi a metà del suo cammino.
«È come la ricordavate?» chiese Éléonore a Charlotte.
«Sì, più o meno. Gli interni li ricordavo un po’ diversi e anche il balcone di mia zia è cambiato.»
«Già, mia madre va fiera del risultato della ristrutturazione» aggiunse Sophie.
Una mite brezza estiva muoveva le chiome delle tre fanciulle e faceva ondeggiare i fili d’erba ripiegando dolcemente i fiori sui loro steli.  Alcuni passeri si levarono in volo da un’aiuola al loro passaggio.
L’andatura barcollante della cavalcatura iniziava ad infastidire Charlotte, non avvezza a tale scomodità. Per sua fortuna le acque rilucevano ormai sotto i loro occhi. Raggiunto il rado boschetto, smontarono da cavallo. Éléonore aiutò Charlotte a scendere e legò i cavalli di entrambe ad una staccionata, accanto a quello di Sophie.
Il lago aveva una forma piuttosto naturale, nonostante la moda prediligesse vasche rettangolari. Si apriva al centro del boschetto ed era attraversato da un ponte, bianco come il pontile e la barca ormeggiata ad esso. Sulla riva opposta a quella dove si trovavano era situato un pergolato. Il profumo del glicine che pendeva da esso impregnava l’aria circostante. Poco distante dalla riva destra c’era invece un bianco padiglione in marmo.
«Quello non c’era!» esclamò Charlotte ammirandolo.
«È vero» confermò Sophie.
Éléonore era affascinata dalla monumentalità della costruzione.
«Venite, andiamo a sederci laggiù» le invitò Sophie indicando il pergolato.
Le fanciulle la seguirono sul ponte. Di tanto in tanto Charlotte si fermava a rimirare il proprio riflesso nell’acqua.
Sotto il pergolato si trovava un tavolo da giardino attorniato da alcune sedie. Le tre fanciulle si sedettero e iniziarono a chiacchierare. L’atmosfera di quel luogo era idilliaca. La luce filtrava tra i salici proiettando macchie di sole sull’erba. Le piccole increspature sulla superficie del lago andavano a rendere omaggio ai piedi del padiglione. Oltre gli alberi, le fanciulle intravidero i giovani a cavallo. Su uno dei vialetti procedevano invece, l’una accanto all’altra, la Marchesa e Aline.
«Fratellino, sareste così gentile da prendere i remi per le nostre ospiti?» disse Sophie a Lambert quando questi arrivò. Lambert le rispose con un’occhiata stanca. Thierry arrivò da dietro e lo spinse scherzosamente di lato.
«Sophie, perché mai lo chiedete a lui? Non sarebbe in grado di sollevare un remo neppure con due mani. Lasciate fare a me, è meglio.»
«Potrei far volare quella barca sull’acqua, se volessi. Comunque, dato che le mie capacità non hanno biso-gno di dimostrazioni, prego, siate voi a prendere il mio posto…» ribatté Lambert in tono beffardo. Thierry scosse la testa e andò sul pontile.
«Venite, mes demoiselles, vi aiuto a salire».
Charlotte si alzò, seguita da Éléonore, e insieme raggiunsero Thierry.
Mentre le due fanciulle erano in mezzo al lago, gli altri si erano riuniti sotto il pergolato. Lambert aveva sorpreso più volte Ariberto intento a fissarlo. Il Lord non gli aveva fatto una bella impressione sin dal primo momento. Quella sua aria triste, non dolcemente malinconica come quella della Contessina, ma proprio depressa, come può essere quella di una persona a cui la vita non ha mai sorriso e che si aspetta che non le sorriderà mai, totalmente disarmante se unita al tono arrogante che usava quasi sempre con tutti, l’interesse per attività così poco virili, tutto concorreva a dipingerlo come un tronfio smidollato. Era l’unica immagine che Lambert era riuscito a farsi: non era il tipo di persona che medita troppo a lungo su qualcosa; si fidava del suo istinto, e questo gli diceva che Ariberto gli sarebbe stato di troppo in quella casa. Tuttavia, non temeva nulla da parte sua, anche perché non era altro che un borghese che mal si atteggiava a nobile: non conteneva la risata, nemmeno quando l’educazione o il rispetto lo esigevano; a tavola teneva un braccio completamente giù dal tavolo, appoggiato sulle gambe, ingobbendo la schiena, e via dicendo. Ma Lambert non era neppure il tipo di persona che vuole farsi dei nemici. Se qualcuno gli andava a genio ne diveniva amico, altrimenti lo ignorava completamente. Era quello che avrebbe voluto fare con Ariberto, se questi glielo avesse permesso. Proprio in quel momento infatti il Lord gli rivolse la parola.
«Non ho potuto fare a meno di notare quanto vi piaccia montare…» gli disse con un tono strano.
«È un’attività che ogni uomo del mio rango deve coltivare. E sì, non nego che, oltre che per dovere, io la pratichi anche per piacere personale. Voi, invece, a quanto ho visto, non montate spesso… non dimostrate la dimestichezza con la cavalcatura che balza subito all’occhio osservando invece chi, come me, monta quotidianamente.»
«Purtroppo mancano le occasioni. Ma vi assicuro che anch’io condivido la vostra passione, con la differenza che la pratico con maggior… continenza». Sorrise ambiguo.
Lambert si chiese che male ci fosse ad andare a cavallo spesso, ma non indugiò su simili dettagli, imputandoli alla stranezza del Lord.
Dopo circa un quarto d’ora, Thierry guidò di nuovo la barca verso il pontile e aiutò le ragazze a scendere.
«Allora, vi è piaciuto?» chiese Sophie quando arrivarono sotto il pergolato.
«Meraviglioso! Non ero mai stata in barca!» rispose entusiasta Éléonore. «Una volta sono salita su una nave, ma questo è molto più romantico».
«Sì, è vero. L’atmosfera che c’è qui è molto particolare. Infatti è lì che Philippe si è dichiarato». La fanciulla indicò un punto tra gli alberi.
«Ora è meglio rientrare, è quasi ora di pranzo» annunciò la Marchesa.
Il gruppo si mosse in direzione della villa. Laurent era rimasto ferito dalla semplicità con cui Sophie aveva ricordato di fronte a lui un momento così doloroso della sua esistenza. Si avvicinò istintivamente a Charlotte, come per cercare conforto nei caldi riflessi della sua chioma dorata.
Ciascuno tornò alla propria cavalcatura. Laurent aiutò la Duchessina a salire in sella.
«Quando vorrete andare in barca, non occorrerà che chiedermelo».
«Vi ringrazio» rispose Charlotte lanciandogli una delle sue famose occhiate. Laurent la ricambiò con auda-cia. Charlotte se ne stupì ed entrambi distolsero lo sguardo imbarazzati.
Sophie ed Éléonore intanto si erano avviate e la invitavano seguirle. I due si sorrisero, poi il cavallo si acco-dò spontaneamente agli altri.
 
 
 
Per il pranzo, gli ospiti furono accolti in una sala magnifica: elaborati lampadari pendevano dal soffitto e le pareti erano nascoste da giganteschi dipinti, tra i quali un ritratto del defunto Marchese de Vernon, simile a quello ugualmente appeso nella sala da pranzo della residenza urbana. I posti vennero presi in quest’ordine e da allora non furono più mutati: a capotavola, come sempre, Madame de Vernon; alla sua destra, Charlotte, Aline, Éléonore e Laurent; alla sua sinistra, Sophie, Lambert, Ariberto e Thierry. La Contessina era cosciente del brusio che la attorniava, ma non prendeva parte a nessuna delle conversazioni né ascoltava ciò che veniva detto. Temeva che Aline, seduta accanto a lei, potesse percepire ciò che le teneva nascosto. Ogni tanto guardava furtiva Ariberto, ma questi si mostrava tranquillo, nonostante fosse di fianco a Lambert. Éléonore avrebbe voluto che il Lord la guardasse per assorbire un po’ di sicurezza dai suoi occhi, che ne sprigionavano in abbondanza, ma Ariberto non la considerava. Ad un certo punto, Thierry si schiarì la voce e si voltò verso di lei, con gli occhi bassi. «Mi passereste il sale per favore?». Éléonore lo accontentò. «Grazie». Per prenderlo le sfiorò le dita. La voce della Marchesa si fece più alta, per raggiungere Ariberto.
«Ricordatevi della vostra promessa, Milord. Questo pomeriggio non ve ne andrete dal salotto se non dopo averci deliziato con i vostri componimenti.»
«Siatene certa, Madame. Io mantengo sempre le promesse.»
«Presenziare a questo appuntamento è facoltativo, vero?» sbuffò Lambert.
«Come siete scortese!» lo rimproverò la madre.
«Non preoccupatevi,» disse Ariberto «probabilmente non sono le copule grammaticali ad attrarre vostro figlio…»
Éléonore a momenti si soffocò con l’acqua. La Marchesa scattò in piedi e Aline le diede delle pacche sulla schiena. «Contessina, state bene?» chiese ansiosa Bernadette. «Sì…» disse Éléonore tossendo. Ariberto si trattenne a stento dal sorridere e lei lo guardò torva.
 
 
 
Terminato il pranzo, Thierry andò a riposare nella sua stanza, imitato dalla madre, mentre Lambert andò a cavalcare nel parco con Aline. Charlotte, Laurent, Sophie, Ariberto ed Éléonore si accomodarono in uno dei salotti a chiacchierare. Mentre le cugine e il Marchese erano impegnati in un vivo scambio di pettegolezzi e non badavano a loro due, Ariberto ne approfittò per scusarsi con Éléonore.
«Non sono riuscito a trattenermi…» si giustificò.
«A momenti mi uccidevate. Come vi è saltato in mente? E se qualcuno avesse capito? Se Aline…»
«Calmatevi, nessuno, meno che meno Aline, avrebbe potuto. E se anche qualcun altro sapesse delle tresche di Lambert, di certo non sospetta che anche io e voi ne siamo a conoscenza.» sussurrò.
«C’è la possibilità che qualcun altro lo sappia?» chiese stupita Éléonore.
Ariberto meditò un istante, poi disse ad alta voce: «Contessa, vorreste accompagnarmi nella biblioteca?». Éléonore non se lo fece chiedere due volte. Uscirono dal salotto senza essere degnati neppure di uno sguardo.
«Non era prudente parlarne davanti a loro» spiegò Ariberto.
Salirono le scale, la Contessina forse con troppa sollecitudine, mentre il Lord appariva del tutto calmo. Varcarono la soglia della biblioteca. Gli immensi scaffali ricolmi di libri arrivavano quasi all’altezza del soffitto e scale scorrevoli erano fissate ad essi per permettere di raggiungere i ripiani più alti. Prima di proseguire il discorso, Éléonore volle concedersi qualche minuto per osservare attentamente la sala.
Era vastissima, a pianta rettangolare e voltata a botte. Ricchi lampadari pendevano dal soffitto a intervalli  regolari sopra il corridoio centrale che si apriva tra le imponenti scaffalature. Queste si ergevano in modo tale che i corridoi che le separavano formassero una croce al centro della sala, occupata da un grande mappamondo. Sulla parete di sinistra erano schierati i ritratti di famiglia, mentre nella parete di destra si aprivano le finestre dai bianchi tendaggi che Éléonore aveva visto dal giardino insieme a Charlotte e che permettevano alla luce di inondare l’ambiente rischiarandolo. La Contessina fece scorrere gli occhi finché non incontrò la portafinestra che portava al balcone. Volle andarci e trascinò Ariberto con sé.
All’esterno, campi a perdita d’occhio. Il giardino della tenuta Vernon terminava con un muro di cinta, oltre il quale si trovava l’aperta campagna. Sporgendosi, si riusciva ad intravedere, sulla destra, uno dei margini del boschetto di salici.
L’occhio di Éléonore cadde a quel punto sui due cavalli che correvano a briglia sciolta nel parco. Per quanto lontana, capì che Aline stava ridendo. Sembrava felice.
«Pensate che dovremmo dirglielo?»
«Assolutamente sì» rispose Ariberto con convinzione.
«Io invece credo di no». Incrociò le braccia e si appoggiò al parapetto. «Guardatela. Non sospetta nulla, non possiamo infrangere così i suoi sogni su Lambert.»
Il Lord si appoggiò accanto a lei.
«Sareste dunque disposta a far vivere la vostra amica nella menzogna? Per il suo bene è meglio separarla da un giovane così dissoluto.»
Éléonore era indecisa.
«Ma lei lo ama… Ragionate: se noi le dicessimo ciò che sappiamo, le si spezzerebbe il cuore. Mi ha sempre parlato di Lambert come di un angelo, come dell’uomo che ha sempre voluto avere al suo fianco. La purezza di Aline si percepisce a distanza; non è un caso che sia promessa sposa a uno dei figli di una delle donne più oneste di Francia! Metterla faccia a faccia con la realtà non solo la farebbe soffrire per essere stata ingannata, ma le farebbe anche perdere ogni fiducia nel prossimo, dal momento che neppure questa famiglia, che ha una così buona nomea, è sfuggita al vizio. Se invece le tenessimo nascosta la verità, probabilmente Lambert avrebbe vita facile e continuerebbe a tradire Aline, ma in primo luogo lei non verrebbe pubblicamente disonorata, e poi, non sapendolo, non ne soffrirebbe.»
Ariberto, messo alle strette, fu costretto a cedere. Era chiaro che a Éléonore importava solo di evitare sofferenze alla sua amica, mentre lui intendeva colpire Lambert, che non gli andava particolarmente a genio con la sua arroganza, l’atteggiamento da sbruffone, la sfacciataggine che usava in certi casi. Che l’invidia giocasse un ruolo di rilievo in queste percezioni era chiaro, ma Ariberto era poco propenso alla sincerità, specialmente con se stesso.
«Fate come preferite, io mi adatterò alla vostra decisione. Aline è amica vostra, spetta a voi decidere cos’è meglio per lei.»
Éléonore aveva già espresso la sua decisione, per cui rientrò, seguita dal Lord. Passeggiarono insieme tra i libri, ciascuno sfoggiando le proprie conoscenze a seconda degli spunti che si presentavano sotto i loro occhi. Finalmente, raggiunsero il fondo della sala. Qui c’erano due scrivanie in mogano elegantemente intarsiato. Éléonore si sedette a quella di destra, mentre il Lord prese la sedia di quella a sinistra e si sedette accanto a lei.
«Non avete risposto alla mia domanda di prima: cosa vi fa sospettare che non siamo gli unici a conoscere il segreto di Lambert?» chiese di nuovo Éléonore.
Ariberto alzò le spalle.
«Non ho alcuna prova, ma di solito in una famiglia capita che più di una persona presenti una certa indole, per cui nulla impedisce di pensare che qualcun altro abbia la stessa passione del nostro Lambert e che condivida con lui il segreto».
Queste parole distrussero definitivamente la reputazione onorevole che i Vernon avevano agli occhi di Éléonore, già fortemente incrinata dal comportamento di Lambert. Le venne da ridere pensando a quanto il soggiorno avrebbe potuto giovare a Charlotte.
«Che delusione…» sospirò Éléonore.
«Perché?» chiese stupito Ariberto.
«Perché anche questa casa è stata corrotta dal vizio. Non c’è davvero luogo in cui esso non arrivi.»
«Dovreste essere delusa solo se avreste creduto davvero di poter trovare una famiglia virtuosa. Come avete potuto? Voi mi chiamate malfidente, ma io vi chiamo illusa: non esistono i santi.»
«Aline potrebbe essere benissimo chiamata santa».
«Questo è quello che credete voi, o che si vuole farvi credere. Anzi, dal momento che è così palese quanto Lambert sia un poco di buono, senza il bisogno di vedere ciò che abbiamo scoperto ieri sera, io oserei dire anche che Aline immagina o magari sa già come il suo promesso sposo intrattiene altre giovani, ma non se ne cura, o forse a volte partecipa…»
Éléonore si risentì di tutte le offese riversate sulla sua amica.
«Come osate fare insinuazioni simili?» sbottò. «Siete appena arrivato e credete di conoscere ognuna di queste persone come se aveste vissuto con loro per anni! Aline si confida con me e vi assicuro che mai ho conosciuto una persona più degna di essere chiamata virtuosa. Sono disposta a cambiare idea se i fatti vi daranno ragione, ma senza prove non avrò mai la tracotanza di trarre giudizi da congetture basate sul nulla. E che mi dite di Bernadette? Sarebbe forse una viziosa, secondo voi? L’ho sentita parlare dei suoi figli; li descrive tutti, dal primo all’ultimo, come persone oneste, e con un trasporto tale, direttamente dal cuore, che non sarebbe altrettanto forte se fosse solo una recita per salvarne la reputazione. Lambert potrà essere la pecora nera, ma per il peccato di uno non li potete condannare tutti.»
Un dubbio si insinuò nella mente di Éléonore.
«A meno che voi non sappiate qualcosa che io non so… Thierry…?»
«No, Thierry non ha mai detto né fatto nulla di sospetto. È davvero un giovane onesto, ma questo non toglie che potrebbe cambiare e corrompersi.»
Éléonore non sapeva perché, ma si sentiva rassicurata dal fatto che Thierry non si incontrasse di nascosto con altre fanciulle come faceva il fratello. In quel momento sentirono la porta della biblioteca aprirsi. Era Sophie.
«Immaginavo che vi avrei trovati qui. Venite, mia madre vi vuole con noi in salotto.»
Prima di scendere, Ariberto prese con sé le sue poesie.
   
 
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