Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Caramel Macchiato    21/03/2015    2 recensioni
“Svegliati”
Il tuo senso dell’umorismo è piuttosto pessimo.
“ Ti sto ordinando di svegliarti”
Come se potessi. Ti manderei al quel paese, ma non so chi sei. Lasciami stare.
“ D’accordo, non mi lasci altra scelta”
Ed ecco che i miei occhi sono aperti, o meglio: nel mio sogno ho gli occhi aperti, e vedo solo bianco davanti a me. Mi giro su me stessa ma il panorama non cambia.
Che posto è questo?
“Questo è il fulcro del mondo dei tuoi sogni”
Chiedo scusa in anticipo per l'html impostato da cani!!
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Qualcosa non andava. Le stelle sopra di me si duplicavano, poi tornavano assieme, poi si triplicavano. Chiusi gli occhi sentendo la guancia pulsarmi violentemente. Li riaprii e vidi con sollievo che il cielo si era fermato, ogni stella era al suo posto e brillava ad intermittenza su quella distesa di un blu così scuro da sembrare nero. Poco a poco mi resi conto di vedere solo un rettangolo di cielo, quello incorniciato dal lucernario sul tetto spiovente della mia stanza, poi presi coscienza del mio corpo, steso sul pavimento. Presi ad ispezionarlo solo con i miei sensi: oltre alla guancia che pulsava, sentivo la schiena farmi male, sentivo il polso del braccio destro bruciare, la gola e le labbra secche, avevo sete, gli occhi bruciavano di stanchezza ma non riuscivo a distoglierli da quello spettacolo sopra la mia testa. Dopo il rapido check up del mio stato fisico, passai a quello mentale: perché ero steso per terra quando tutta la casa era addormentata e pure io sarei dovuto essere a letto? Ero crollato, non ero steso, non è che l’avevo scelto. Crollato, perché? Ah, già. Mio padre me le aveva date di santa ragione. Di nuovo. Per questo mi sentivo tutto dolorante e a pezzi? Sì. Da quanto ero lì steso?
Alzai piano la testa e scorsi la sveglia sul comodino. La una e trenta del mattino. Ero lì per terra da almeno due ore. Due ore che guardavo il cielo. La testa mi ricadde per terra e gli occhi tornarono al lucernario, facendomi comparire un sorriso stupido sulla bocca. Già, da due ore cercavo di insabbiare i miei pensieri con quella vista mozzafiato, sentendo una strana pace e una serenità nel cuore che non si addicevano a quella situazione.
Rotolai su un fianco cercando di trattenere un gemito di dolore e a fatica mi rialzai in piedi, una mano premuta su un fianco che, in quelle due ore, aveva smesso di far male, per ricominciare non appena mi ero alzato. Mi avvicinai ingobbito come un anziano al letto e mi ci coricai lentamente, cercando di non far gemere il mio corpo. Appena mi fui sistemato mi scappò un lungo sospiro. Avevo diciotto anni e stavo vivendo la vita come un inferno. Tanto per cominciare, tra cinque ore esatte la sveglia sarebbe suonata e io sarei dovuto andare a scuola…
 
La sveglia trillò allegramente e io mi svegliai di soprassalto con i cuore in gola. Allungai rapido un braccio e la spensi con un colpo secco, mettendomi poi a sedere sul bordo del letto a fatica, ricordandomi dei vari colpi presi la sera precedente, diventati ormai ematomi. Alla fine ero riuscito a prendere sonno, ma ero sicuro di avere una cera spaventosa. La casa era ancora immersa nel sonno e la cosa mi sollevò, convincendomi ad alzarmi e ad andare in bagno a lavarmi la faccia. Certo era normale, mi svegliavo con il sole appunto per evitare il resto della mia bella famiglia. Oltre a mio padre vivevo con mia madre: una donna asciutta, altezzosa e priva d’amore per chiunque, e mia sorella minore, una creatura indifferente che faceva di tutto per ignorare qualsiasi cosa succedesse entro quelle quattro mura. Tuffai la faccia nelle mani piene d’acqua e mi soffermai sul mio riflesso gocciolante allo specchio: gli occhi color ambra erano coronati da due stupende occhiaie violacee, in tinta col grosso ematoma che dalla guancia si era espanso fino allo zigomo. Labbra curvate verso il basso, due piccole rughe tra le sopracciglia, capelli biondi che ricadevano sugli occhi. Ero il ritratto dell’infelicità, lo sapevo, ma dovevo resistere. Ancora un anno e sarei andato all’università, il più lontano da quella casa di cuori gelidi.
Mi passai una mano tra i capelli e passai all’operazione più complicata: vestirmi. Avevo due vecchi ematomi sulla schiena, uno nuovo sul fianco dove era arrivato il calcio dell’uomo che si definiva mio padre, e il segno della bruciatura sul polso dove,  Ambra, la mia sorella minore, era riuscita a far cadere l’acqua bollente la sera prima. Per una volta non era sembrato un gesto voluto, l’avevo visto dalla sua espressione spaventata quando la padella con l’acqua le era caduta di mano, e io stupidamente avevo cercato di afferrarla, conciandomi per le feste il polso destro. Almeno potevo scrivere, visto che ero mancino. Mi spalmai un po’ di pomata fresca sugli ematomi e sulla bruciatura, fasciando poi quest’ultima e rimediando con un cerotto il gonfiore in faccia. Quando finalmente finii di vestirmi, presi la borsa di scuola ed uscii di casa. Erano le sette e dieci. L’aria fresca e i timidi raggi del sole che sorgeva mi investirono come un balsamo, facendomi subito sentire più calmo. Mi avviai verso le strade del centro, tra negozi che si preparavano all’apertura, uomini d’affari che camminavano spediti con gli abiti senza una piega, studenti mattinieri come me… Il tutto contornato dallo sfuggente odore di pane. Mi fermai al mio caffè di fiducia per una breve colazione: pareti ricoperte di dipinti floreali piuttosto chic, pavimento in piastrelle bianche, tavoli in legno con tovaglie rosa e bianche e una simpatica donnona dietro il bancone con una visiera rosa come le tovaglie. Appena feci squillare il campanellino sopra la porta, la donna mi sorrise poi inorridì alla vista della mia faccia.
- Oh tesoro, ma cosa ti è successo?-
- Rissa tra ragazzini-. Risposi con un doloroso sorriso e una scrollata di spalle, posando la borsa e sedendomi al bancone.
- Sono tre anni che mi dici sempre così, zuccherino. Ormai sei un uomo, dovresti usare tutto questo entusiasmo per qualcosa di più costruttivo- Mi ammonì apprestandosi a fare il caffè forte e amaro che chiedevo da tre anni, per poi dirigersi verso la vetrinetta dei dolci per prenderne un croissant e metterlo sul piattino. Anch’esso lo stesso che chiedevo da tre anni.
Io appoggiai la testa a una mano e le rivolsi un sorriso smagliante – E in che cosa esattamente?-
Lei mi ammonii con le pinze dei dolci e mi piazzò davanti la colazione. A volte mi sembrava quasi una madre, molto più della mia naturale. Non che ci volesse un grande sforzo comunque…
 
Arrivai a scuola attorno alle otto. Mi ero fermato a parlare con la proprietaria del caffè più del dovuto e il tempo era volato. Appena passai il cancello la prima cosa che vidi fu Castiel appoggiato alla sua enorme moto rossa come i suoi capelli. Quello mi rivolse un ghigno, poi si soffermò sulla mia guancia e la sua bocca si piegò in una smorfia sorpresa. Gli passai davanti con un’occhiata d’avvertimento ed entrai a scuola. La prima rissa che avevo avuto con Castiel risaliva ai tempi delle medie. I nostri caratteri erano completamente diversi, come cane e gatto, eppure ai tempi andavamo d’accordo e ci azzuffavamo più per divertimento. Ai tempi mio padre si limitava a ferirmi con le parole. Le botte erano iniziate alle superiori, e avevo constatato che le botte di Castiel più quelle di mio padre non potevo sopportarle, perciò mi ero dato una calmata a scuola e avevo provato a diventare il figlio perfetto e studioso che i miei genitori sognavano, entrando perfino nei delegati della scuola. Ovviamente inutilmente, ma mi ci era voluto quasi l’intero primo anno per rendermene conto. Al secondo anno avevo capito che quella dei delegati era una scusa per tornare a casa il più tardi possibile, quindi avevo deciso di non lasciarlo, anche se era un compito fastidioso e piuttosto inutile dal mio punto di vista. E ovviamente i miei rapporti con Castiel si erano congelati, fino a scomparire. Le sue battutine velenose però c’erano ancora.
Entrai nella sala riservata a noi delegati e mi ritrovai davanti Melody, già intenta a lavorare, e il morale mi finì sotto i piedi. Lei alzò i suoi grandi occhi azzurri e mi sorrise, nonostante un velo d’esitazione negli occhi.
- Buongiorno. Arrivi giusto in tempo, oggi dovrebbe arrivare una nuova studentessa, il suo formulario è già pronto-.
La ringraziai e mi sedetti al mio posto rigidamente. Melody mi aveva confessato i suoi sentimenti qualche mese prima e da allora c’era una strana atmosfera gelata tra noi. L’avevo rifiutata piuttosto malamente dicendole che la vedevo solo come amica e collega, mettendo in imbarazzo tutti e due negli incontri a venire. Non potevo dirle che, da quando avevo messo piede in quella scuola, il mio cuore si era come ghiacciato ad ogni sentimento tiepido e buono come l’amore, l’amicizia, la simpatia. Non ne avevo bisogno. Tutto ciò che dovevo fare era continuare ad essere uno studente modello, così da finire l’anno con dei voti spettacolari e ricevere una borsa di studio per una qualche università dall’altra parte del mondo. Le altre persone mi erano solo d’intralcio.
Presi il fascicolo e presi a studiarlo. La foto della ragazza non mi diceva nulla: diciassette anni, viso pallido e ovale, occhi grandi di un tiepido color miele, capelli lunghi e mossi biondo cenere.
Figlia di un muratore. Perché diavolo cambiava scuola questa?
Passai il fascicolo svogliatamente, poi mi stirai e m’alzai.
- Vado a vedere quando arriva questa nuova ragazza- Dissi a Melody, prima di uscire con le mani in tasca. Ero sollevato che almeno lei non aveva commentato la mia faccia. Mi fermai all’ingresso pieno di compagni di scuola e mi appoggiai agli armadietti con un sospiro, attento a non schiacciare gli ematomi sulla schiena. Presi a studiare di malavoglia le facce che mi passavano davanti, facce di amici che ridevano tra loro, facce di chi aveva una verifica e non aveva studiato, facce da secchioni, facce da snob… Oh, mia sorella che correva dietro a Castiel insieme ad altre ragazzine sbavanti…Che spettacolo disgustoso. E poi eccola lì, la faccia spaesata della nuova arrivata. La fissai per un attimo, divertito dalla sua reazione. Solitamente i nuovi arrivati cercavano di ambientarsi da subito, chiedendo alla gente che gli capitava sotto tiro delle informazioni e, se mi andava bene, il mio intervento non era necessario. Questa invece no: i suoi grandi occhi ambrati si spostavano per tutto l’atrio studiando ogni più piccolo angolo ed evitando accuratamente le facce, se ne stava impalata all’entrata, venendo spintonata dagli ultimi arrivati che la guardavano sorpresi e incuriositi, una mano che teneva la borsa. Piegai la testa da un lato, poi decisi che era ora di fare il buon delegato e mi avvicinai.
- Ciao, tu sei quella nuova vero?-
Lei si girò lentamente verso di me e mi trafisse con quegli occhi che sembrarono trapassarmi.
- Sì- Mormorò con una vocina appena percettibile.
- Sono Nathaniel, un delegato della scuola. Tu sei…- Mi accorsi di non aver portato il suo dossier e di non aver nemmeno fatto caso al suo nome.
I suoi occhi si fermarono sulla mia guancia e la fissarono schiettamente.
- Azzurra-
Aspettai un cognome che non arrivò, allora sospirai.
- D’accordo ,Azzurra, vieni: ti porto a fare un giro della scuola-
- Ah, non c’è bisogno! Posso farlo da sola!- Si riscosse lei, con un tono del tutto sbarazzino.
- Insisto, è il mio dovere da delegato- Sorrisi a denti stretti: quella ragazza era una palla al piede.
- Allora d’accordo, grazie- Mi seguì docilmente con una scrollata di spalle.
I corridoi si svuotarono di lì a dieci minuti, così riuscii a farle fare il giro della scuola il più rapidamente possibile, festeggiando tra me e me.
- Tu sei un bullo?- Mi chiese a bruciapelo.
Mi sorprese e mi ritrovai a lanciarle uno sguardo stupido, prima di ricompormi.
- Cosa te lo fa dire?-
- La tua faccia-
Rido amaramente, poi decido di giocare sporco, come piace a me.
- Oh. Già, mi hai scoperto. Dopo scuola vado sempre a scommettere, e se perdo parte la rissa-.
Ci casca come una pera cotta, facendomi ridere tra me e me.
- Davvero? Fico! Però che senso ha scommettere sulle botte?-.
- Questo non ti riguarda, primina. Ora fila nella tua classe, altrimenti incolpano me-.
Lei annuisce, si guarda attorno, poi torna a perforarmi con quei due occhioni.
- Cosa-
- Scusa, è che ho già dimenticato quale sia la mia aula-.
Merda. Una più sbadata di Lysandre! Che seccatura!
- Questa qua, fila ora-
- Ah, grazie!- Mi rivolge un bel sorriso, non facendo caso all’irritazione della mia voce, prima di entrare in classe e lasciarmi in mezzo al corridoio a imprecarle contro mentalmente. Almeno il mio compito era finito li. Così credevo. Che stupido.
Alla fine della settimana me la ritrovai fuori dalla sala delegati che, inutile far finta di niente, aspettava proprio me.
- Che vuoi?- Le chiesi bruscamente non appena gli altri delegati mi superarono. Melody le lanciò un’occhiata risentita ma non disse nulla.
- Voglio invitarti fuori per conoscerci-
La schiettezza di quella ragazza mi diede i nervi.
- Non vedo nessun vantaggio. Lasciami in pace e non rivolgermi più la parola se non hai bisogno di qualcosa di sensato-.
Faccio per andarmene ma lei mi trotterella dietro. Fantastico, è pure testarda.
- Ho bisogno di uscire con te per conoscerti-.
Dio, non dirmi che è una di quelle palle al piede come Melody che si prendono una sbandata per me. Gente superficiale, insomma.
Le lanciai un’occhiata gelida e storsi la bocca in una smorfia sprezzante. L’espressione che di solito fa tacere la gente comune. Che stupido definire questa qua una comune.
- Cosa ti costa? Solo un caffè! Oh, non dirmelo, non ti piace il caffè?-
- E va bene! Vuoi bere un caffè? Beviamo ‘sto dannato caffè e poi sparisci!-.
Cedetti, capendo che era l’unico modo per scrostarmela di dosso.
Lei si aprì in un sorriso che le illuminò l’intero viso.
- Giusto il tempo di evitarti una rissa, poi sarai libero!-
Si tappò la bocca con una mano dopo aver detto quella frase.
Che stupida. Perché s’interessava ad uno sconosciuto? Perché voleva avere a che fare con me a tutti i costi?
Ancora oggi me lo chiedo. Però quella sua ingenuità, quella che chiamavo stupidità, mi aiutò in parte ad evitare alcune serate in cui mio padre era particolarmente violento, e in parte a resistere fino alla fine. In un modo del tutto naturale avevo ceduto a lei e avevo finito per passarci del tempo insieme volontariamente. Lei, che quando riuscì a sfondare il muro di cemento nel mio cuore, scoprendo la mia vita, inorridì e si mise quasi a piangere. Lei che mi è stata vicino più di chiunque altro, che mi aiutò più di chiunque altro. Lei è la mia stella polare, quella che non ho mai trovato in cielo. Lei che ride così sguaiatamente, nonostante ha appena passato un anno in uno stato vegetativo. Tutto ciò che chiedo è che mi resti accanto ancora.
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Caramel Macchiato