Sbattè un paio di
volte le palpebre con durezza e irritazione; il sudore gli grondava dalla fronte
finendogli fastidiosamente negli occhi. La sua pellaccia dura era diventata
rossa e a tratti violacea, e chiunque avrebbe pensato che fosse a causa dello
sforzo immane necessario a reggere quella gravità assurda. Ma non era
solo questo. Forse non lo era affatto. Il sangue gli ribolliva nelle vene; due…ora
ce n’erano due.
Dov’erano finiti i sogni di gloria? Quelli che gli appartenevano di diritto!
Brividi di terrore avrebbero dovuto invadere l’universo come sintomi di
un tremendo e contagioso virus.
Dov’erano? Chi tremava al sentir nominare il Principe Dei Saiyan?
Aveva passato mesi nell’universo a cercare il ladro di oro. Aveva
visto il terrore in centinaia di occhi alieni…ma non per merito suo, bensì
per la sua dannata, malconcia e maleodorante divisa.
Il dolce appagamento di quegli sguardi impauriti, non gli apparteneva.
Eppure, non poteva negare di compiacersi, almeno quando, il nome del dannato
tiranno, scompariva in un sottile bagliore dorato che oltrepassava le loro budella.
Almeno quell’eccitante sensazione, che solo una vita spezzata sapeva donare,
poteva definirla sua.
Ma non bastava. Non bastava a soddisfare quell’animo perverso e nobile
che reclamava la sua fama.
E ora era ritornato su quel pianeta che un tempo avrebbe dovuto sottomettere
al suo volere. Invece era lì, piegato da una gravità che lo umiliava,
ricordandogli di non avere la luce necessaria per domarla.
Prima una lurida lucertola; poi Kakaroth; adesso quel dannato ragazzo venuto
dal futuro.
Quale destino infame, ti fa nascere principe di una gloriosa stirpe e poi ti
fa surclassare da un sangue infetto?!
…Duemilatrecentocinquantasei...mancavano ancora seicentoquarantaquattro
flessioni…
Quando la porta metallica
della navicella gravitazionale si chiuse dietro di lui, era già sera.
Un fastidioso grillo emetteva il suo metallico richiamo, e l’aria afosa
rendeva il suo sudore ancora più appiccicaticcio e sgradevole.
Entrò in quella dimora; i gusti architettonici dei terrestri erano riprovevoli.
Forse, con quelle costruzioni rotonde e colorate, facevano semplicemente rispecchiare
la loro indole bonaria e frivola.
Lentamente si avviò verso la sua camera.
Il suo passo, menefreghista e autoritario, evidenziava la sua spavalda e forse
inopportuna sicurezza.
Avrebbe incenerito con lo sguardo chiunque avesse osato rivolgergli la parola
e, infine, l’avrebbe snobbato senza ritegno. Una persona normale, in una
situazione di disagio, avrebbe accelerato il suo passo. Lui non ne aveva bisogno.
Lui, non era una persona normale.
E il suo ostacolo si palesò, pronto per essere eluso con sdegno.
Una voce squillante ed infernale. E lui di urla infernali ne aveva sentite tante…
Una voce accompagnata da ridicole gesticolazioni delle mani. Una voce…
che per fortuna il suo cervello aveva imparato ad ovattare.
“Spostati!” aveva ordinato a quella donna spezzando la sua ramanzina.
Il messaggio gli era arrivato confuso, ma lo aveva afferrato; non doveva allenarsi.
Quella donna era stupida… perché solo gli stupidi non avvertono
il pericolo e, come la selezione naturale comanda, soccombono. Eppure, nella
sua idiozia, quella donna aveva un’utilità che non poteva negare.
In poche parole, ella viveva grazie ad un banale tornaconto.
Tutto ciò che doveva fare, era ignorarla fino a quando non se ne sarebbe
andata con la coda tra le gambe.
Però…che essere incomprensibile! Ricordò di averla
vista addormentata su di una scrivania dopo l’esplosione della ferraglia.
Vegliare un assassino…che incoerenza!
Eppure era tenace, visto che, mentre se ne andava ignorandola, ancora continuava
ad inveirgli contro.
L’acqua scese sul
suo corpo.
I suoi muscoli erano ancora tesi, ma questa volta né Freezer, né
Kakaroth e né il ragazzo del futuro erano la causa.
Il colpevole, era quella donna priva di neuroni, che lo innervosiva a tempo
indeterminato ogni qual volta aprisse bocca.
Cosa si aspettava da lui per quella sorta mal riuscita di…premure…?
Rabbrividì.
Voleva che le risparmiasse la vita una volta sconfitto Kakaroth?
O forse voleva di più; magari un posto accanto a lui come futura regina
dell’universo?
Un mezzo sorriso si dipinse sul suo volto. Che stupida…
Nuovo giorno. Nuovi allenamenti.
Il computer della camera gravitazionale segnava centocinquanta.
Tirava calci e pugni all’aria, immaginando di avere di fronte i tanto
odiati ladri di gloria.
La normale percezione del tempo, in quel luogo dove il suo ego e i suoi limiti
combattevano all’ultimo sangue, era alterata dall’ambiente asettico,
privo di luce naturale.
Era un timer o la stanchezza, in quei rari casi in cui l’orgoglio non
riusciva a sopprimerla, a dire ‘per oggi basta ’.
Ma quella sera, niente sembrava in grado di fermarlo.
Un eccesso di energie scorreva nelle sue vene, e avrebbe continuato per tutta
la notte se solo un altro determinante fattore non avesse inciso.
Rientrò in quella dimora con il solito asciugamano appoggiato sulle spalle.
Il suo appetito famelico aveva reclamato di essere ascoltato e quindi lo fece
recare in cucina.
Fortunatamente, da lì non provenivano i soliti schiamazzi; segno evidente
che i terresti avevano già sgombrato quel lato della casa.
Eppure, la luce accesa lo seccò.
Forse, la prospettiva di non dover avere a che fare con nessuno, era troppo
utopistica.
Ed eccola, la seccatrice per eccellenza!
Seduta, con i gomiti poggiati al tavolo ed il mento tra le mani, leggeva distrattamente
una rivista.
Il suo volto era pallido, e non disse nulla quando la degnò della sua
presenza.
Che avesse finalmente capito?
No!
Dopo poco si voltò verso di lui indicandogli il luogo in cui era conservata
la sua cena.
Anche parole così innocue, dette con un filo di voce quasi impercettibile,
erano in grado di innervosirlo.
Tutto di quella donna lo irritava.
Eppure, quella sera, era stranamente calma rispetto al solito, e con fiacchezza
si alzò per andarsene.
Lui la osservò con la coda dell’occhio mentre gli passava accanto,
e un forte odore lo investì.
No. Non era l’odore delle solite porcherie che si spalmava addosso ogni
mattina. Il suo fiuto era in grado di riconoscere perfettamente quel forte aroma
di donna che si avverte solo alcuni giorni del mese.
Il battito del suo cuore di pietra si fece sonoro. Lui lo ignorò, ma
continuò a fissarla fin quando non scomparve nel buio della casa.
L’oscurità
e quell’insolito silenzio, per la prima volta, lo fecero sentire a suo agio.
Camminare per quel cupo corridoio, illuminato solo dalla luce dei lampioni esterni,
per quanto era possibile, lo rilassò.
Forse, se il destino, almeno ogni tanto, era dalla sua parte, i vecchiacci quella
sera non erano in casa.
Oltrepassò la porta della scocciatrice, e nuovamente percepì quel
forte odore.
Si fermò e osservò il cielo plumbeo da un’ampia finestra.
Qualche passo indietro e aprì quella porta.
La sentì trasalire e sussurrare il suo nome.
La stanza, illuminata solo dagli argentei raggi lunari, accentuò il suo
pallore.
Poi, la osservò, non lei, la luna.
Bianca e piena.
Quanto avrebbe voluto avere la sua coda! Trasformarsi per spezzare ogni vita
e far morire con esse ogni frustrazione…
Lei lo guardava con agitazione, ma non era paura. Conosceva bene anche quell’odore
e, in quella stanza, non ve n’era traccia. Solo il suo profumo di donna.
Nient’altro.
La osservò, non la luna, lei.
Forse non era solo un richiamo chimico; quelle curve invitanti influivano enormemente
sulla sua perversa trepidazione.
Capì che la lunga camicia da notte rosa, quella sera, sarebbe stata il
suo nemico.
Un ghigno inquietante, e poi salì con le ginocchia sul materasso.
Lei era immobile, eppure, neanche adesso percepiva la sua paura.
Era davvero così stupida da voler scatenare la cattiveria con cui andava
a nozze?...o semplicemente, non aspettava altro?
Con un gesto posizionò la mano dietro la sua debole schiena e l’avvicinò
a se.
Tra le sue gambe, con quella mano rude ma leggera, accarezzò la sua coscia
fino a stringere quel seno abbondante. La camicia da notte si stropicciava sotto
la sua pelle.
I respiri di lei, sempre più affannati, morivano sulle sue labbra.
Poi, lei fece qualcosa di strano e incomprensibile…
Avvicinò le labbra alle sue, appoggiandole delicatamente e assaggiandole
con la lingua. Perché?
Con riluttanza si scansò.
Un secondo dopo, però, era lui ad assaporarle con un desiderio
famelico.
Avvicinò il suo tonico corpo o quello morbido di lei.
Per lui, era assurdo godere della vicinanza delle sue labbra.
Non aveva senso!
Eppure, il suo corpo gli suggeriva di non smettere.
Le arrotolò la camicia fino alla vita. Le dita s’intrufolarono
sotto gli slip, e il dorso della mano strusciò contro l’assorbente.
Accarezzò quella liscia pelle umida di sangue, poi tirò fuori
le dita inebriandosi di quello spettacolo.
Il connubio sangue - sesso era il suo preferito.
La vita di quante donne aveva spezzato per questa macabra perversione?
La luna, quel rosso acceso sulla mano, il suo odore, il suo seno. Tutto concentrato
in quella notte.
Deciso, diede inizio alla sua battaglia; afferrò quella stoffa strappandola
con soddisfazione e subito dopo, la stessa sorte, toccò agli slip.
Per curiosità, diede uno sguardo fugace al suo volto.
Desideroso…quasi avido, ma per nulla intimorito. Perché?
Avrebbe dovuto irritarlo quest’ennesima dimostrazione d’insolenza,
invece, quella stupida donna dagli occhi azzurri, lo eccitava immensamente.
Eppure, non avvertire il suo terrore, era l’ennesima pugnalata al suo
ego.
Bene. Se voleva qualcosa per cui tremare e piangere, quella notte, l’avrebbe
avuto…
***Fine***
Ciao a tutti!^^
Chiedo scusa ai lettori di “Tra Amore&Destino” per questa short.
Ma quando l’ispirazione prende prende…^^
Pur amando questa coppia, evito di scrivere su di loro, perché ormai
già è stato scritto tutto quello che si poteva scrivere. E quindi,
la paura di finire in un involontario plagio c’è!-_- ‘’’
sperando che non sia questo il caso… ringrazio tutti coloro che l’hanno
letta e magari non l’hanno trovata orribile e di cattivo gusto.
Un bacio, la vostra Nana987