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Autore: Shainareth    22/03/2015    2 recensioni
Mi sentivo stupida. Non soltanto perché il cuore mi esplodeva di sentimenti che divenivano ogni giorno più difficili da gestire – da tacere, soprattutto – ma anche e soprattutto perché a tratti ero sopraffatta da inspiegabili sensi di colpa. Avevo sognato di baciare il ragazzo che amavo e, anziché esserne felice, mi veniva da piangere.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PAURA




Mi svegliai con un’opprimente sensazione di malinconia nel petto. Soprattutto, avvertivo ancora il calore e la morbidezza di quelle labbra sulle mie. Era stato così realistico che, non appena mi resi conto che si era trattato soltanto di un sogno, mi si formò un groppo in gola. Mi portai le mani chiuse a pugno sulle palpebre, cercando in tutti i modi di impedire alle lacrime di scivolare giù dagli occhi. Inutilmente.
   Mi sentivo stupida. Non soltanto perché il cuore mi esplodeva di sentimenti che divenivano ogni giorno più difficili da gestire – da tacere, soprattutto – ma anche e soprattutto perché a tratti ero sopraffatta da inspiegabili sensi di colpa. Avevo sognato di baciare il ragazzo che amavo e, anziché esserne felice, mi veniva da piangere. Mi sembrava di avergli mancato di rispetto. Sì, anche se sapevo che lui non avrebbe avuto nulla in contrario, al riguardo. Ecco perché mi sentivo un’emerita imbecille.
   C’era dell’altro, però. Il motivo per il quale mi ostinavo a tenermi tutto dentro. Probabilmente ero stupida per davvero. O, semplicemente, ero una codarda.
   Più che alzarmi, rotolai giù dal letto, ingoiando le lacrime e i sensi di colpa. Annaspai in cerca d’aria e mi feci forza, benché dentro di me non potessi fare a meno di chiedermi con che coraggio avrei guardato in faccia il principe dei miei sogni, quella mattina. Di certo, non lo avrei evitato: se lo avessi fatto, vivendo praticamente in simbiosi da anni, avrebbe capito che c’era qualcosa che mi turbava nel profondo. Forse lo sapeva già, ma anche lui taceva, negando l’ovvietà per paura di illudersi. Mi domandai seriamente chi di noi due fosse più idiota e non seppi darmi una risposta.
   Feci colazione, cercando disperatamente di ignorare la voce di mia madre che, proprio quella mattina, aveva iniziato un monologo ininterrotto che mi causò un principio di emicrania niente male, stordendomi più di quanto già non fossi. Papà ebbe pietà di me e, dandomi un bacio sul capo per augurarmi il buongiorno, trascinò la mamma via dalla cucina, assicurandole che se non si fossero dati una mossa, avrebbero fatto tardi.
   Quando riuscii a riconnettere del tutto le sinapsi e fui capace di compiere un pensiero di senso compiuto che non continuasse a vorticare sempre e solo attorno al sogno che avevo fatto quella mattina, ero ormai pronta per andare a scuola. Anche i miei genitori erano in procinto di uscire, perciò mi offrirono un passaggio. Nonostante avvertissi l’esigenza di rimanere ancora da sola con i miei pensieri, non rifiutai; mi sentivo completamente svuotata, come se fossi sprovvista delle energie necessarie per affrontare la solita passeggiata mattutina che mi piaceva fare attraverso il parco prima di arrivare al liceo.
   Varcai il cancello d’ingresso della scuola a testa bassa, incapace di trovare la forza per alzare lo sguardo ed incontrare quello dei miei compagni. Qualcuno mi salutò e, non potendo evitarlo, mi sforzai di sorridere e farfugliai una risposta vaga ma educata. Infine, apprestandomi ad attraversare il corridoio, pur nella bolgia di studenti che affollavano l’edificio a quell’ora del mattino, lo vidi. E mi sentii in trappola: non potevo staccargli gli occhi di dosso, come se Kentin fosse stato una calamita capace di attirare la mia attenzione, senza volerne sapere di lasciarla più andare.
   Se ne stava davanti alla porta dell’aula con Lysandre, col quale pareva andare inaspettatamente d’accordo. Ridevano per qualcosa. Fermai il passo davanti al mio armadietto e, sbirciando nella loro direzione con la coda dell’occhio, lo aprii per prendere ciò che mi sarebbe servito per la prima lezione del mattino. Poi, fra la folla di studenti, scorsi una ragazza che conoscevo solo di vista, una graziosa biondina di un’altra sezione, che scrutava come me verso di lui. Fu come se un campanello d’allarme mi risuonasse nella testa ed io chiusi di scatto l’armadietto, senza tuttavia avere il coraggio di muovermi. Lo fece lei.
   Più audace di me, prese un grosso respiro e avanzò verso i miei compagni di classe con un sorrisetto di facile interpretazione sulle belle labbra carnose. Attirò Kentin in disparte, chissà con quale scusa, e lo portò a diversi passi di distanza da Lysandre che lo seguì con lo sguardo per qualche istante, prima che qualcuno lo richiamasse dall’interno dell’aula.
   La biondina dovette fare una battuta, perché vidi un’espressione divertita sul volto di Kentin. Quel sorriso, però, si fece di colpo incerto quando lei gli poggiò una mano sul braccio, in quella che aveva tutta l’aria di essere una mezza carezza. Era un segnale. Quel linguaggio del corpo che io e lui usavamo ormai da tempo e che, nonostante tutto, non riusciva ad essere accompagnato dalle parole giuste.
   Il suo sguardo si fece perplesso e il riso che gli inarcava la bocca verso l’alto cominciò a smorzarsi sempre più, man mano che lei parlava di qualcosa che non sentivo ma che potevo ben intuire.
   La invidiai. Aveva avuto il coraggio di fare quel che io mi ripromettevo da tempo, senza mai riuscirci.
   Lui strinse le labbra e si spostò appena, riuscendo a liberarsi con gentilezza dal suo tocco. Sembrava a disagio. La ragazza dovette accorgersene e, quando lui provò a balbettare alcune parole di risposta, si lasciò sfuggire quella che sembrava essere una risatina nervosa. Lo interruppe, agitando una mano a mezz’aria e fece spallucce: per lo meno, ci aveva provato.
   Infine, con un sorriso che cercava malamente di mascherare quanto il rifiuto di lui era riuscito a farle male, si dileguò con un rapido saluto, affrettandosi lungo il corridoio che conduceva alle scale del piano superiore.
   Abbassai lo sguardo, incapace di provare ancora gelosia o invidia. Non avevo idea di quanto quella biondina potesse essere presa da lui, ma potevo vagamente intuire quanto dovesse esserci rimasta male. D’un tratto, mi parve di sentirmi in colpa anche nei suoi confronti: sapevo che era stata rifiutata a causa mia. Eppure, non mi decidevo a rompere quella stasi, quel limbo indefinito in cui io e Kentin rimanevamo da troppo tempo. Avevo paura. Se qualcosa fosse andato storto, fra noi, avrei saputo perdonarmelo? Avrei saputo affrontare la perdita della sua amicizia?
   Sarebbe tornato tutto come ai tempi in cui lui era alla scuola militare ed io non potevo sentirlo in alcun modo. E se all’epoca ero riuscita a distrarmi grazie all’aiuto e alla presenza dei miei nuovi compagni di classe, all’illusione di essere interessata ad un altro ragazzo, non ero affatto certa che adesso, dopo essermi scoperta innamorata di lui, sarei stata capace di superare la cosa con la medesima facilità.
   Qualcosa mi colpì in testa ed io sobbalzai così tanto che suscitai la risata divertita della persona alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi Kentin che, un quaderno sollevato a mezz’aria, mi guardava sogghignando. «Hai l’aria più distratta del solito, stamattina», mi disse, augurandomi così il suo buongiorno. Si era accorto di me proprio quando io non lo stavo più guardando.
   Abbozzai un sorriso, sperando che fosse convincente. Sperando, soprattutto, di non soffermarmi troppo a guardare quelle labbra che ora erano aperte in un largo sorriso. Quella mattina, nel mio sogno, erano diventate mie. Il ricordo mi offuscò la ragione, ma cercai di mantenermi salda alla realtà.
   «Sto solo cercando di non pensare», borbottai senza rendermi conto di ciò che dicevo, troppo impegnata com’ero a fingermi offesa per il suo scherzo.
   «È una cosa che ti riesce bene, direi», ribatté lui, continuando a prendermi in giro per ovvi motivi. «Soprattutto quando apri bocca.»
   Sbuffai sonoramente e, armata del libro di storia, ricambiai il colpo che mi aveva dato sulla testa, ma lui lo parò con l’avambraccio. Quel gesto provocò un rumore talmente forte che rimbombò nel corridoio, attirando l’attenzione di chi ci circondava. Strabuzzai gli occhi, facendolo ridere più di prima. «Da’ qua, imbranatella, te lo porto io.»
   Storsi il naso. «Imbranatella?» ripetei risentita, mentre iniziavo a seguirlo verso l’ingresso dell’aula. Due passi appena e inciampai nei lacci delle scarpe che avevo annodato decisamente male, quella mattina. Mi aggrappai al suo braccio appena in tempo per non inginocchiarmi del tutto in terra, ma non potei evitare la risata di quegli studenti che ancora affollavano il corridoio e che avevano assistito alla scena.
   Senza infierire con altre battute sulla mia totale inettitudine verso qualunque tipo di attività motoria, compreso il semplice atto di camminare, Kentin mi raccattò con fare premuroso e mi passò un braccio attorno alle spalle, così da evitarmi ulteriori figuracce davanti agli altri ragazzi della scuola. «Più tardi ti va di studiare insieme?» mi propose così, di punto in bianco, come se non fosse successo nulla.
   Mi aggrappai alla stoffa della sua camicia, all’altezza dei suoi reni, e annuii. «Dove?» domandai, sorprendendo me stessa per lo stato d’improvvisa serenità in cui era piombato il mio animo inquieto. Adesso, così vicina a lui, che potevo toccarlo, sentire il suo odore nelle narici, il suo respiro fra i capelli e la sua voce spensierata nelle orecchie, non mi importava più del sogno fatto quella mattina. Anzi. Il solo ripensarci mi faceva sentire in pace con il mondo. Era lui a darmi quella sensazione di serenità, nonostante avesse al contempo l’arcano potere di sconvolgere tutto il mio essere.
   «A casa mia», mi sorprese ancora Kentin, rivolgendomi un sorriso allegro. «Papà è partito stamattina per una missione, quindi vorrei evitare di lasciare mamma da sola sin dal primo giorno», iniziò a spiegarmi, quando ormai eravamo davanti all’aula. Allentò la presa attorno alle mie spalle e, stringendosi nelle proprie, aggiunse: «Però non voglio neanche lasciare da sola te, specialmente quando sei giù di morale.»
   Il tuffo al cuore che avvertii sentendo quelle parole e incrociando quegli occhi gentili che mi guardavano con dolcezza mi indusse a credere che non sarei mai riuscita a superare la perdita della sua amicizia. Ma ero davvero pronta a rinunciare definitivamente all’amore che sentivo di provare per lui?
   «Posso portare un pensierino a tua madre?»
   «Ma va’, non ce n’è mica bisogno», mi assicurò con una risata, restituendomi il libro di storia e varcando la soglia proprio mentre la campanella annunciava l’inizio della lezione.
   Lo seguii all’interno dell’aula, ma non dissi più nulla. Osservando le sue spalle larghe e forti mentre lui si allontanava verso il primo banco, presi posto accanto a Rosalya e mi chiesi se, dopotutto, fosse giusto continuare a porsi tutti quei se e tutti quei ma soltanto per paura che qualcosa potesse andare storto. Forse, mi dissi, avevo solo bisogno di vivere appieno la mia adolescenza, abbandonandomi a tutte le sfumature di quei sentimenti che mi riempivano il cuore e che minacciavano di traboccare ogni volta che Kentin posava i suoi occhi su di me.
   No, non è vero, mi smentii, mordicchiandomi il labbro inferiore per nascondere un sorriso sciocco. Non era necessario che lui mi guardasse, per sentirmi esplodere d’amore. Mi bastava osservare la sua schiena, come stavo facendo adesso, e sapere che lui ci sarebbe sempre stato, in qualsiasi situazione.












Alle volte è davvero difficile riuscire a prendere decisioni di questo tipo, soprattutto quando alla base del rapporto c'è un'amicizia molto forte. Anche se, credo, il maggior problema stia nel non avere la certezza che l'altra parte ricambi i tuoi sentimenti - e non è il caso della Dolcetta, buon per lei.
In ogni caso, per quel che può importarvene, sappiate che sono una ferma sostenitrice dell'amicizia alla base di un rapporto sentimentale. Di più, sono convinta che, per riuscire, in una relazione romantica i due partner debbano essere non soltanto amici, ma migliori amici. La sincerità è alla base di tutto.
Parlo per esperienza (diretta ed indiretta), ovviamente, ma chiunque è libero di smentirmi, ché di certo non pretendo di essere un pozzo di scienza, al riguardo, né un guru dell'amore. Anzi, mi viene da ridere al solo pensarci. :'D
Beh, in attesa dei pomodori, buona domenica a tutti!
Shainareth





  
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