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Autore: Artemide12    22/03/2015    3 recensioni
[mini-long ambientata prima dell'inizio della guerra]
***
Si fida di lui, ma stenta a credere a ciò che dice. Forse considera queste promesse come le previsioni sempre troppo in grande che si fanno ai bambini per farli contenti.
«Non ti dimenticherai di me, vero Ghish?»
«No! Certo che no.»
***
Decine. Centinaia. Migliaia.
Sul pianeta ci sono alieni ovunque.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Pai Ikisatashi, Sorpresa, Taruto Ikisatashi/Tart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After and Before'
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Angolo me

Salve, diversamente da come faccio di solito, questa volta commento all'inizio della storia e non alla fine.

Ritengo, infatti, che questa mini-long abbia bisogno di una mia introduzione. Non temete, sarò breve.

Si tratta, come ho già detto, di una storia composta di soli tre capitoli, uno per ogni "alieno". Metto la parole tra virgolette perché lo scopo della FF è di farli apparire il più possibile umani e di far sembrare gli umani alieni, insomma, di cambiare punto di vista.

Oltre ai nostre tre protagonisti troveremo altri personaggi, due a dire il vero, inventati da me che formano un minimo di trama e intreccio a quella che, sotto certo aspetti avrebbe potuto essere una raccolta di one-shot.

Arret è il nome che io ho sempre dato al pianeta alieno.

Spero che la storia sia di vostro gradimento, e che mi farete sapere cosa ne pensate, in bene e in male.

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Ghish – Arret


Il sacco da box marrone sbiadito oscilla pesante e impotente davanti a lui. La catena che lo sostiene cigola ad ogni movimento.
In certi punti il rivestimento si è sgualcito e si intravede l'interno, come viscere di un anime sventrato.
Non è un valido avversario, perché ad ogni colpo l'unica reazione è uno spostamento minimo che avrà come conseguenza un ritorno. Però è un amico discreto, incassa i colpi assorbendone la forza e la rabbia.
Continua a colpirlo senza sosta. Ignorando la stanchezza, il battito martellante nelle orecchie, i muscoli che bruciano esausti, le ossa sempre più pesanti.
Fuori, in superficie, il giorno sta finendo. Il grigio accecante della neve costante si sta trasformando nel verde ghiaccio della notte.
La temperatura scende rapidamente, anche quando sembra impossibile e fa già così freddo che ci si chiede per quale assurdo miracolo o condanna nessuno muore di freddo. Anche quando ci si rintana chilometri e chilometri sottoterra, nel ventre del pianeta, dove dovrebbe fare caldo. Ma il nucleo è sterile è roccioso, non ribolle di lava calda e viva.
Quella è fantascienza.
Si ferma un momento. Si guarda intorno. Le tubature che percorrono il soffitto e che dovrebbero trasportare acqua calda stanno gelando come ogni sera. Deve essere anche più tardi di quanto credesse.
Il suo respiro si condensa in nuvole opache davanti al viso, l'aria dentro i polmoni è pungente, li graffia ad ogni respiro.
Non deve fermarsi.
Un pugno.
Sotto i guanti spessi e imbottiti la pelle delle nocche si spacca.
Un pugno.
Saltella sul posto per tenere sveglie le gambe e i piedi. Gli strati di tessuto termico non bastano mai. Dovrebbe tornare casa prima che sigillino gli appartamenti per poter risparmiare calore ed energia.
Ma non si muove dal piccolo e deserto scantinato invece.
Un pugno troppo debole. Sfiora appena il sacco.
Oggi Arret, il pianeta gelido dal cuore di pietra.
Un pugno ben assestato. L'impatto gli percorre il braccio. La catena cigola.
Poi lo spazio, vuoto e vastissimo.
Il sacco torna indietro.
Domani la Terra.
Il pianeta dal pulsante cuore di lava, pronto a riaccoglierli. Un pianeta il cui stesso nome esprime vita e fertilità.
Un pugno mancino. Le dita urlano insensibili, il polso trema, la spalla regge appena.
La Terra.
Continua a colpire il sacco con il braccio sinistro, che sa essere più debole.
Sì, se ne andranno di qui.
Questo pianeta non li ha mai voluti, è morto e deve essere dimenticato.
I millenni di stentata sopravvivenza sono finiti.
Il sacco torna indietro e lo colpisce in pieno. Sussulta.
La catena sibila in modo agghiacciante. La luce azzurrina appesa sopra la sua testa sfarfalla. Si spegne.
Riaccenditi. Riaccenditi.
Un bagliore grigiastro, meno intenso di prima. Le pareti marce e impregnate di acqua sembrano ancora più fragili.
Che crollino.
Qualche mese ancora e non ci sarà più nessuno qui a congelare. A morire di freddo ogni notte, di fame ogni giorno, di stanchezza ogni momento.
Dei passi.
Vengono dall'unico corridoio che porta allo scantinato e si avvicinano. È stupefacente quante cose si possano capire solo dai passi.
Sono brevi e veloci. Leggeri nonostante gli stivali. Una donna. Una ragazza.
Smette di colpire il sacco da box e abbassa i pugni.
Fissa la porta finché non si apre.
Ne entra una ragazza minuta, praticamente una bambina. Ha i capelli giallo limone tagliati corti e gli occhi dorati. Gli strati di imbottitura e tessuto termico non riescono a farla sembrare grossa, per quanto è magra.
«Sheila!» esclama «Che ci fai qui?» suona più duro di quanto vorrebbe, ma è solo preoccupato.
Il sorriso della bambina si spegne, ferito.
«Sono solo... venuta a salutarti.» spiega «Dicono che te ne vai e forse non ti rivedo più.»
Ghish si addolcisce. Sorride e si avvicina. Le accarezza la testa.
«Non è vero che non mi rivedrai più.» dice accovacciandosi, in modo da aver gli occhi alla stessa altezza dei suoi «Starò via per un po', ma poi tornerò. E vi porterò tutti via di qui, andremo a vivere in un posto migliore, molto più bello. Te lo prometto.»
La bambina sembra dubbiosa.
«Forza,» la sprona «non dovevi scappare di nuovo dall'orfanotrofio, finirai nei guai.»
«Ma dovevo salutarti!» protesta «E poi non è giusto. Gli orfani sono quelli che non hanno più nessuno. Io ho te.» gli prende comunque la mano e comincia a camminare, tornando sui proprio passi «Tu sei stato adottato, dovevo venire con te!»
«Lo so Sheila, ma solo noi sappiamo che siamo fratelli, e non possiamo dimostrarlo.»
«Ma potresti dirlo alla tua nuova madre, hai detto che è buona. Capirebbe.»
«Victoria non è mia madre e non sarà nemmeno la tua.» sono ormai alla fine del corridoio. Ghish si china di nuovo. «Ascoltami. Sto partendo e starò via per un po', non so di preciso quanto. Quando tornerò ce ne andremo di qui. Non solo io e te, ma tutti quanti e tutti insieme. Cominceremo una nuova vita. Tra pochi anni sarò maggiorenne, con tutto il tempo che ci vorrà, voleranno. E ti prenderò io con me. Te lo prometto.»
Sheila lo fissa a lungo. Si fida di lui, ma stenta a credere a ciò che dice. Forse considera queste promesse come le previsioni sempre troppo in grande che si fanno ai bambini per farli contenti.
«Non ti dimenticherai di me, vero
«No! Certo che no.»
Sheila abbassa lo sguardo. Poi lo abbraccia stretto, anche se un pò goffamente. Ghish le accarezza di nuovo la testa.
All'improvviso si chiede se le cose sarebbero andate diversamente senza sua sorella. Senza qualcuno a cui tenere, qualcuno per cui costruire un mondo migliore, sarebbe così spronato a lottare e andare avanti?
Avrebbe accettato una missione del genere, solitaria e impossibile quanto banale, se non avesse avuto una simile motivazione?
Probabilmente avrebbe mandato tutti al diavolo e starebbe facendo a pugni con un sacco da box solo per disperazione invece che con determinazione.
«Mi stavo chiedendo» fa Sheila riprendendo a camminare e rompendo il silenzio gelido «cosa farai se troverai degli alieni?»
Ghish la guarda. Sa davvero parecchio sulla sua missione, da dove ha avuto tutte queste informazioni.
«Avrò con me una colonia intera di parassiti, creerò dei chimeri e sistemerò la situazione.»
«Ma questo solo se vorranno combattere.» obbietta sua sorella «Cosa farai se invece saranno pacifici? Infondo è normale se vorranno difendersi.»
«Beh, se saranno davvero così carini, planerò su di loro gentilmente, darò loro un cordiale bacio sulla guancia e li avvertirò educatamente che sto per mandarli al diavolo.»
Sheila scoppia a ridere e il suono argenteo risuana tra le pareti fragili come una melodia rara e misteriosa, quasi straniera.
Ghish rimane ad ascoltarla rapito.
Quando Sheila smette di ridere rabbrividisce visibilmente.
«Stai già morendo di freddo.» la rimprovera.
«Anche tu.»
«Io sono a pochi passi da casa mia, è l'orfanotrofio ad essere lontano, ora ci toccherà una bella strigliata per il ritardo. E perché sei scappata.»
«No.» annuncia invece Sheila sfoderando un sorriso furbo «Ho imparato a teletrasportarmi.»
Ghish la fissa a bocca aperta. Sua sorella è cresciuta così tanto in questo poco tempo?
«Però a loro non l'ho detto, così credono di no.» sorride vedendo che il fratello maggiore rimane in silenzio «Ora sono io che accompagno a casa te.»
Ghish non ribatte.
La casa della sua madre adottiva si trova un livello sopra lo scantinato, uno dei centinaia sepolti sottoterra, nelle spaccature del pianeta.
Si fermano davanti alla porta. Controlla l'orario. Ancora dieci minuti alla sigillatura degli appartamenti.
«Capolinea.» commenta, più rivolto a se stesso che alla sorella.
Sheila gli lascia la mano. Lui vorrebbe riafferrargliela subito, ma è già troppo tardi.
«Non voglio tornare all'orfanotrofio.»
Ghish sospira. «Devi, non vorrai cacciarci entrambi nei guai, vero?»
Sheila scuote la testa.
«Allora fai la brava e tornaci.»
«Uffa. Tu non fai mai quello che ti si dice, però vuoi sempre che gli altri facciano quello che dici tu, vero?»
«Certo.» risponde lui senza pensarci due volte.
Sheila incrocia le braccia al petto. «Ve bene!» sbotta «Però non è giusto.»
«No che non è giusto.» Ghish sbuffa spazientito e si china di nuovo. Si costringe a fare dei respiri profondi per calmarsi. Sospira. «Ti prometto che tornerò a prenderti.» ripete «Puoi promettermi una cosa anche tu?»
Sheila annuisce diligente.
Ghish sorride amaramente «Non crescere troppo in fretta, sorellina.»
Sheila continua a fissarlo, senza capire. Poi, lentamente, si smaterializza, in silenzio, e con la grazia un po' goffa dei bambini.
In pochi secondi è sparita.
Ghish tiene gli occhi chiusi per qualche istante, poi si rialza in piedi e entra nell'appartamento giusto qualche minuto prima che le porte si sigillino.
Tutte le luci sono spente. Fortunatamente, stanno tutti dormendo.
Aspetta qualche istante che i propri occhi si adattino al buio, poi cammina in punta di piedi verso la camera che divide con i suoi fratelli adottivi.
«Buonanotte Ghish.» mormora una voce nell'ombra.
Sobbalza e sbatte rumorosamente contro un tavolino.
Aguzza le vista finché non individua una figura seduta elegantemente sul minuscolo divano addossato alla parete.
Victoria. La sua madre adottiva.
Lei ha qualcosa di speciale, ne è sicuro. È come se non appartenesse davvero a questo mondo, o almeno a questo periodo. Lei è una delle poche persone che qui, per motivi inspiegabili, è felice. Una principessa sepolta sottoterra che non ha perso nemmeno un grammo del proprio fascino.
Il ciondolo che porta al collo si illumina rischiarando il suo volto senza età. Potrebbe avere cinquant'anni come venti.
Ha dei meravigliosi occhi blu e lunghissimi capelli azzurri raccolti in una treccia. Tiene le gambe elegantemente accavallate e le mani giunte in grembo.
Gli sta sorridendo. È contenta di vederlo, non arrabbiata che abbia fatto tardi.
«Victoria.» la saluta.
«Pai e Tart stanno dormendo, vedi di non svegliarli.»
Ghish sbuffa. Non ci proverà nemmeno a non svegliarli.

Victoria sorride, come se stesse rivivendo un bel ricordo.
Ghish la manda mentalmente al diavolo e apre la porta della stanza.
«Ghish?»
«Sì?»
«Quando... quando sarai sulla Terra... non dimenticarti qual'è il tuo obiettivo.»
«Wow, che consiglio illuminante.»
«Dico sul serio. Non sai a cosa stai andando incontro, non lo sa nessuno. Potresti trovare la morte, così come l'amore.»
«La morte e l'amore? Non sono un personaggio dei tuoi libri e non ci tengo ad esserlo. Vado a preparare la nostra nuova casa, non a spassarmela.»
Victoria sospira, seria.
Ghish fa per entrare.
«Ghish?»
«Che c'è?» sbotta a voce alta.
«Mi dispiace per tua sorella, ma non avevo le prove che foste fratelli e non mi hanno permesso di adottare anche lei.»
Rimane interdetto. Senza parole.
Sposta lo sguardo oltre la porta semiaperta. Pai e Tart dormono nelle loro nicchie scavate nel muro.
«Volevo che sapessi che mi prenderò cura di lei, mentre sei via.»
Non può dire sul serio. Non può saperlo.
Con il cuore in gola, Ghish entra nella camera e chiude la porta.
Trova la sua nicchia e scosta le coperte.
Esita un momento. Torna indietro.
Socchiude la porta e sbircia fuori.
Victoria è ancora seduta sul diavolo, tiene tra le mani il proprio ciondolo luminoso. Ha gli occhi chiusi, ma non dorme.
Muove le labbra.
Ghish tende le orecchie.
«Dovrai guidarli, lo sai, non possono farcela da soli.»


  
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