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Autore: NihalHerondale    23/03/2015    0 recensioni
E se Asmodeo non avesse liberato Simon dal Marchio di Caino?
"Lui era un dannato, come le anime dell’inferno dantesco, lui era destinato a vivere per sempre, e veder morire tutti coloro che amava e che aveva intorno".
Genere: Erotico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Simon Lewis, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO I
“Fuggiasco e ramingo sarai sulla Terra”
 
Buio, silenzio. Un clacson. -Mi devo alzare- pensò Simon. Si sollevò dal letto e senza grande sorpresa si rese conto che erano già le 11 e 30. Dormiva sempre molto in quel giorno, ogni anno, probabilmente in un vano tentativo di rimandarlo il più possibile. Sbadigliò e si avviò in cucina, dove bevve velocemente una bottiglia di sangue (non con poco disgusto). Poi si lavò il viso per svegliarsi ed essere pronto ad affrontare una nuova giornata, quella nuova giornata in particolar modo. Prese il cappotto ormai logoro che gli aveva regalato anni addietro sua madre; che poi perché mai si metteva ancora il cappotto? Lui era un vampiro non ne aveva bisogno! Lo faceva sentire più normale, e chissà come lo avrebbero guardato sennò i newyorchesi, insomma, vampiro o non vampiro, era sempre il 24 dicembre.
Prima di uscire di casa entrò in camera e prese il pacchetto rosso ben incartato con un fiocco dorato. Si avviò verso il pianerottolo dello squallido condominio dove abitava e come al solito rimase qualche secondo a fissare l’enorme segno di artigli sullo stipite della porta, segno che avevano lasciato le zampe di Maia e di Jordan, quando avevano cercato di proteggerlo da quell’Ottenebrato molti anni prima.
Quella era stata l’ultima volta in cui aveva visto Jordan, pensò; il suo amico, il cantante lupo mannaro della sua band, colui che aveva rischiato tutto per proteggerlo. Aveva incrociato il suo sguardo un attimo prima di fuggire dalla finestra, quel dannato giorno; aveva letto nei suoi occhi una supplica, voleva davvero che si salvasse, più di sé stesso.  E poi quel “ci rivedremo presto” taciuto, ma percettibile nell’aria, e che non era stato rispettato. Portò una mano alla collana del Praetor Lupus lasciatagli proprio da lui e sospirò.
Simon allontanò questi pensieri tristi dalla mente, ritenendo di averne già abbastanza per la testa; era uno dei giorni più difficili dell’anno, il giorno che non vedeva l’ora che passasse, come se potesse cancellare tutto in una notte e tornare alla sua vita. E che vita!
 Quanti anni erano passati ormai? Tanti. Quindici anni. -Avrebbe avuto 48 anni- pensò; lui invece aveva ancora l’aspetto di un sedicenne.
Camminò a passo svelto lungo le vie di New York, superò Central Park e raggiunse l’incrocio. Osservò i passanti che correvano frenetici in perfetto stile newyorchese, con i regali comprati all’ultimo minuto in mano.
Il grande cancello di metallo aperto si stagliava in mezzo a due muretti che poco lasciavano intravedere di ciò che si trovava oltre. Simon si fermò un attimo, indugiò sull’entrata, sospirò e si fece coraggio. Entrò.
Ogni anno la stessa storia; quell’opprimente sensazione di vuoto e tristezza che lo coglieva era così forte da fargli mancare il respiro, anche se i suoi polmoni non funzionavano più da tempo ormai. Camminò a passo svelto lungo il vialetto ciottolato, e la vide. Là fra le altre, sempre uguale, forse un po’ più grigia del solito, ma chissà, magari era il cielo nuvoloso che dava quell’impressione. I fiori viola si trovavano tutt’intorno, come sempre, a rendere il tutto più femminile ed elegante (per quanto potesse essere elegante una cosa del genere, in un luogo del genere), come sarebbe piaciuto a lei.
Simon si avvicinò, ingoiò un singhiozzo e frenò le lacrime.
Doveva smetterla di incolparsi ogni volta per ciò che era successo, ma era inevitabile data la solitudine che provava. Cosa avrebbe dovuto fare? A cosa avrebbe dovuto pensare?
A volte si convinceva del fatto che doveva smetterla di sentirsi così solo, aveva tutta la vita davanti (nel vero senso della parola) e tante altre persone con cui relazionarsi.
No, più ci pensava e più si sentiva solo. Solo da anni, senza più nessuno. A pensarci bene, c’era Magnus che gli faceva compagnia, ma più perché fosse costretto anche lui ha portare un peso di tale portata che per reale amicizia. Era comunque di aiuto dato che lui era abituato, aveva quasi 500 anni, Simon no.
Si supportavano a vicenda, tiravano avanti insieme.
Lui era un dannato, come le anime dell’inferno dantesco, lui era destinato a vivere per sempre, e veder morire tutti coloro che amava e che aveva intorno. Come Magnus d’altronde, in questo si capivano.
Ora che si trovava di fronte al simbolo di tutto il suo vuoto e di tutto ciò che non era più la sua vita, gli tornarono alla mente tutti i bei ricordi che col tempo avevano assunto un valore sempre più importante fino a diventare vitali. Si, perché lui si ricordava tutto…tutto.
Senza sollevare gli occhi da terra infilò la mano in tasca, ne tirò fuori il pacchetto infiocchettato e lo poggiò sulla lastra di pietra che si trovava a terra.
-Ecco, per te amore- disse.
 Poi alzò lo sguardo e finalmente, a malincuore, in lacrime difficili da frenare, fissò cosa c’era di fronte a lui.
Una lapide, una scritta, un nome:

ISABELLE SOPHIA LIGHTWOOD (1991-2024)  
   
 
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