Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Harmony394    23/03/2015    13 recensioni
Sansa, subito dopo aver avuto il primo menarca, è costretta a sposare Joffrey appena tre giorni dopo la sua fine. Nessuna via d’uscita, nessun amico di cui fidarsi, nessuno pronto ad ascoltare i suoi cinguettii pregni di paura. Ma proprio quando la situazione sembra arrivata al capolinea, ecco qualcuno disposto a spezzare le inferriate di una gabbia che di dorato ha solo il colore. Qualcuno che non è né un principe né un cavaliere, ma un mastino. E il suo nome è Sandor Clegane.
«Perché siete sempre così crudele?!» domanda lei, le lacrime appese alla punta delle ciglia. Non mi piace vederla piangere, cazzo, soprattutto se la causa del pianto sono io. Ma non mi importa. Deve capire come funzionano le cose, che questa non è una delle sue fottute ballate ma la vita vera e che nella vita vera non esistono cavalieri ma solo chi muore e chi tenta di non morire. Il resto sono solo cazzate.
«Sarai grata per le cose crudeli che faccio quando sarai Regina e sarò l’unico a frapporsi tra te e il tuo adorato Re».
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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The red wedding
 
Crawl on my belly til the sun goes down
I’ll never wear your broken crown
I took the rope and I fucked it all the way
In this twilight, how dare you speak of grace?


 
 

La prima volta che sentii parlare delle Torri Gemelle avevo qualche anno in meno di Arya. Fu mia madre a farlo: mi disse che i Frey erano una famiglia fedele alla casata Tully e che il lord Walder Frey aveva un centinaio di figli. E sono tutti belli come principi?, ricordo di averle chiesto io, speranzosa all’idea che un giorno avrei potuto sposarmi con uno di loro, e lei aveva riso. Forse riderà ancora quando le rimembrerò questo aneddoto e, magari, anche lord Frey riderà.

«Parlerò io» La voce del Mastino è raschiante come ferro battuto. Nonostante gli abbia detto più volte che non ha alcun bisogno di farlo poiché nessuno gli farà del male, lui ha deciso di indossare un cappuccio per coprirsi il volto ed ha imposto sia a me che ad Arya di fare lo stesso. Se quegli stronzi delle guardie mi vedono faranno storie, un mucchio di storie, ed io non sono qui per cianciare con loro. Io voglio solo incontrare il tuo dannato fratello, prendermi la mia ricompensa e magari anche una coppa di vino, aveva detto. Be’, che creda pure quel che gli pare! Per quanto mi riguarda non obbedirò mai ad una richiesta simile. Sono Sansa Stark di Grande Inverno, io, e qui sono in mezzo agli uomini fedeli alla mia casata. Cos’ho da temere?

Ci avviciniamo alle porte. Il rombo dei tamburi ed il suono dei corni si dilatano sull'accampamento. I musicanti in una torre stanno suonando qualcosa di diverso dalle solite ballate allegre e gioviali. Qualcosa che assomiglia ad un inno di guerra. Uno strano senso d’inquietudine mi lambisce lo stomaco ed un brutto presentimento mi fa rabbrividire. Scuoto la testa, risoluta a cacciar via questi sciocchi pensieri. Staranno ancora cenando, mi dico. Risparmieranno le ballate più movimentate per dopo.

«Altolà!», un uomo con una lunga barba pallida ci ferma. «Chi siete voi?!», domanda, imperioso. Col buio non riesco a vedere bene il suo volto, ma dall’emblema che ha cucito sulla tunica, l'uomo scuoiato di Forte Terrore, capisco subito che si tratta di un sottoposto dei Bolton. Il mio cuore sussulta: i Bolton sono alleati degli Stark, anch’essi sono uomini del nord… mi riconoscerà di certo! Emozionata mi alzo per farmi vedere, ma il Mastino me lo impedisce e prende la parola prima che io possa protestare.
«Porto maiale salato per il banchetto di nozze, se ti compiace, ser » Dice. Una vampata di calore mi investe in pieno, facendomi fremere d’irritazione. Perché continua con questa farsa? Perché semplicemente non lascia che i miei uomini mi riconoscano?

L’uomo dei Bolton aggrotta la fronte. «Il maiale salato non mi compiace mai.», dice, ed i suoi occhi acquosi squadrano il Mastino con disinteresse mentre a me ed Arya non degnano nemmeno di un’occhiata. Il suo sguardo si posa invece su Straniero, esaminandolo con minuzia e sospetto. Ora che ci penso, un cavallo da guerra non è adatto a trainare un carro pieno di vettovaglie e cibi sotto sale. Non è credibile. «Com'è che hai con te questo animale?».

«La milady mi ha detto di portarlo, ser», risponde il Mastino, strascicando le parole. «Dono di nozze per il giovane lord Tully.».
«Quale lady? Chi servi?».
«La vecchia lady Whent, ser.».
«Crede davvero di poter riavere Harrenhal con un cavallo?», ribatte l’altro, sprezzante. «Per gli dèi, c'è forse uno sciocco più grande di un vecchio sciocco?», ci rivolge un breve cenno col capo e fa per cacciarci. «Ad ogni modo, il maiale salato non è carne adatta al banchetto di nozze di un lord».
«Ho anche zampe di suino, ser.».
«Niente da fare, non per questo banchetto. La festa è quasi fi­nita ed io non ho tempo da perdere. Puoi scaricare vicino al­le tende della festa, laggiù», ci indica con la mano guantata un vicoletto pieno di carretti e sacchi colmi di roba. «La birra fa venire fame, e il vecchio Frey non sen­tirà la mancanza di poche zampe di suino – non ha nemmeno i denti per roba come quella. Chiedi di Sedgekins, lui saprà cosa fare di te.», abbaia un ordine e i suoi uomini aprono un varco per lasciarci passare. Il Mastino fa schioccare di nuovo la frusta e Straniero tira il carro verso avanti. Durante tutto il tragitto, disseminato di buche e fango, non posso fare a meno di guardarmi attorno alla ricerca di volti conosciuti: una ragazza mezza svestita esce ridendo da una tenda, ma il vessillo che troneggia sulla sommità del tendone non è grigio e bianco come avevo sperato, ma giallo senape. Una donna anziana cammina per le vie incrostate dalla fuliggine e dalla pioggia, ma non è la vecchia Nan. Un maestro cammina svelto verso un braciere ma non è maestro Luwin, e nei volti tutti uguali delle guardie vedo solo sconosciuti. Anche Arya sembra delusa. Non ha più fiatato dacché siamo entrati all’interno del Guado, tuttavia i suoi occhi parlano per lei: freme dalla voglia di riabbracciare nostra madre, è ansiosa all’idea di essere tanto vicina quanto incredibilmente lontana dalla nostra famiglia e le sue labbra tremolano. Anch’io sono nervosa, ma cerco comunque di non darlo a vedere. Non sono più nella foresta, adesso, dunque devo tornare a comportarmi come una vera lady. E le lady non si scompongono mai.

«Ser Donnel Haigh» dice il Mastino, sogghignando. «Gli ho rubato più cavalli di quanti ne rie­sca a contare. Anche armature. E una volta, in una grande mi­schia, per poco non l'ho ucciso.».
«E allora perché non ti ha riconosciuto?» Domanda Arya, la fronte corrucciata.
«Perché i cavalieri sono degli idioti: sarebbe stato indegno per lui dare una seconda occhiata a un bifolco butterato», Clegane sferza l’aria con un altro colpo di frusta. «Se tieni lo sguardo basso e hai un tono rispettoso e dici spesso "ser", la maggior parte dei cavalieri neanche ti vede. Prestano molta più attenzione ai ca­valli che al popolino».
«Perché non ci fermiamo?», domando io allora. «Ci sono uomini del Nord qui attorno. Non so dove, ma sono qui. E quando mi vedranno dirò loro di non farvi del male e loro mi ubbidiranno».
«Tuo fratello è nella fortezza», risponde il Mastino, scoccandomi un’occhiata fugace. «E anche tua madre. Li vuoi vedere sì o no?».
«Sì», risponde Arya al posto mio, la voce spezzata dall’ansia. «Sì, vogliamo vederli!».
«E allora state zitte e alzate quei fottuti cappucci.», Cle­gane fa di nuovo sibilare la frusta e quella schiocca sul manto di Straniero che aumenta di velocità il trotto.
All’improvviso, qualcosa mi bagna il viso. Una gocciolina, due, tre.. sta piovendo. Una goccia mi inumidisce le labbra, la lecco e subito storco il naso: questa è pioggia acida. Scura, sporca, che sa di terra e di ferro e che prende le sfumature del rosso a causa del fuoco delle fiaccole. Un profondo senso d’inquietudine torna a fare capolino nel mio petto, più forte e raggelante di prima. Il Mastino digrigna i denti. Per un attimo, scorgo un lampo di preoccupazione nel suo sguardo. Storce le labbra, la sua cicatrice si contrae in uno spasmo. «Il cielo piange sangue. Non è un buon segno».

 

 
Dal cielo scuro continua a scendere pioggia ancora più scura, il fiume ruggisce e la musica continua a suonare all’interno di una delle torri illuminata a malapena dalle fiaccole al suo interno. I tamburi riecheggiano martellanti come battiti di un cuore e macabri come un antico requiem. Non so cosa c’è che non va, ma ho un brutto presentimento. Un mastino fiuta il pericolo, lo avverte nelle ossa. E la pioggia questa sera puzza di ferro e di sangue.

Il carro avanza su argilla fradicia ed erbacce strappate, allontanandosi dalle luci per sprofondare di nuovo nell'oscurità. Lungo le mura della fortezza, fiamme rosse danzavano e si agitavano nel vento, designando riflessi purpurei sulle maglie di ferro bagnate e sugli elmi gocciolanti dei soldati. Digrigno i denti. Detesto il fuoco. E detesto anche questo cazzo di posto.

«Guardate!», Arya Stark salta in piedi ed indica dritto dinanzi a sé. «Il ponte levatoio non è stato chiuso! Quell’idiota aveva detto di sì, ma si sbagliava!», seguo il suo sguardo: ha ragione. Il ponte levatoio è abbassato, alcuni soldati stanno lasciando la fortezza. Aguzzo lo sguardo. Il sangue mi si gela nelle vene: hanno delle spade in pugno… ma quello che sgocciola dalle loro lame non è acqua. «Vado a vedere!».

«Cosa? No! No, torna qui, dannata te!» Niente da fare. La fottuta ragazzina-lupo è troppo svelta per me e nemmeno sua sorella fa in tempo a fermarla. A differenza sua, però, l’uccelletto sembra aver intuito che qualcosa non va. Mi guarda. Nei suoi occhi azzurri avverto un lampo di paura e la sua mascella si contrae in uno spasmo involontario. Non so cosa abbia intravisto nel mio sguardo – forse niente, forse tutto – ma prima che possa bloccarla, anche lei segue la sorella giù dal carro.

«No!», la voce mi si spezza in gola. Ma cosa cazzo sta facendo? «Torna qui, dannazione!», la ruota sinistra affonda nel fango ed il carro si inclina su un fianco, sbilanciandomi. Trattengo le redini di Straniero con così tanta violenza che per poco non volo giù. Lui si inarca sulle due zampe posteriori e nitrisce infervorato dalla paura. Strappo via il sedile del carro e brandisco la spada che avevo nascosto sotto la panca, poi taglio di netto le briglie che lo legano e salto a terra. Un centinaio di uomini e cavalli attraversano le strade tutti ricoperti di ferro e di cuoio: brandiscono asce da guerra, spade acuminate, mazze chiodate ed archi lunghi. La tempesta si affievolisce, la pioggia batte leggera contro la mia armatura. Roteo su me stesso: decine e decine di tende riportanti il vessillo degli Stark stanno prendendo fuoco, la stoffa imbevuta di olio bollente attizza le fiamme, un nugolo di frecce infuocate si sollevano nel cielo scuro e grida strazianti riempiono il cielo.

Una melodia sinistra riecheggia in tutto il Guado, così terribile da sovrastare ogni pianto, urlo o gemito.

 
E chi sei tu, disse l'orgoglioso lord,
che così in basso io devo inchinarmi?
 
Il respiro mi si mozza in gola. Solo adesso realizzo perché prima mi ero sentito così dannatamente a disagio. Io conosco questa maledetta canzone. L’ho udita così tante volte… così tante, fottutissime volte, che è assurdo che l’abbia riconosciuta solo adesso. Sono le Piogge di Castamere. La canzone di battaglia dei Lannister. Una canzone che parla di massacri, di sangue e di morte.
 
Solo un gatto con un altro pelo,
questa è l'unica verità che conosco.
 
Un pensiero mi attraversa la mente. L’uccellino. Sansa. Lei è ancora là fuori.

Da qualche parte, chissà dove in mezzo a questa tempesta di fuoco e di acqua, un lupo ulula al vento. Il suo suono mi percorre il corpo come una lama gelida. All’improvviso, un'orda infinita di cavalieri e scudieri e mercenari si riversa lungo le strade, uccidendo e spargendo il sangue di tutti coloro che capitano sotto il loro tiro. Tutti coloro che portano il vessillo del meta-lupo.

Sansa, mi sposto in fretta lungo i vicoli del Guado, terrorizzato all’idea che possano riconoscerla. Dove cazzo sei, ragazzina?

Il vento sibila contro le rocce, il sangue scorre lungo i ciottoli delle strade e solo quando riesco a vedere la cagnetta Stark correre svelta come una lepre verso l’entrata della fortezza dei Frey, capisco che nemmeno lei capisce più un cazzo di ciò che sta succedendo. I suoi occhi grigi sono colmi di smarrimento, le sue labbra distorte in una smorfia di paura ed angoscia. Pochi metri più in là, il muso grigio di un metà-lupo ( quello del suo dannato fratello, forse? ) fa capolino da sotto le inferriate di una gabbia. È morto.

Dobbiamo andarcene di qui. E dobbiamo andarcene adesso.

L’afferro per le spalle, obbligandola a guardarmi. «Ragazzina, dobbiamo andare via da qui».
Sulle sue labbra sottili danzano un centinaio di risposte, i suoi occhi si sgranano. «Mia madre è ancora lì dentro! E mio fratello…».
«È morto», ringhio. «Credi davvero che avrebbero ma­cellato i suoi uomini e lasciato in vita lui?», la costringo a guardare dietro di lei, nel punto esatto in cui infuria la battaglia. «Guarda, maledetta te... Guar­da!».

L'accampamento è diventato una carneficina, corpi di uomini e donne sono ammassati ovunque, dei soldati urlano ordini mentre altri brandiscono le spade per sentenziare altra morte; il fumo si mescola alla pioggia facendo scendere gocce scure e fetide, le fiamme avvolgono enormi padiglioni riportanti il simbolo dei Tully e degli Stark. Dovunque provi a voltarmi, vi è morte. E l’uccellino è ancora là fuori.

 
 Pelo d'oro o pelo rosso,
un leone artigli ancora ha.
E i miei sono lun­ghi e affilati, mio lord,
lunghi e affilati quanto i tuoi.
 
«Dov’è tua sorella?!», Arya corruccia la fronte, intontita come se si fosse appena destata da un sogno. Le do uno schiaffo e lei spalanca gli occhi e inizia a tremare. «Parla, dannata te!».
«Sansa...», la sua voce è appena un sussurro, la guancia inizia a diventarle rossa. «Io… io non l’ho vista. Non so dov’è!».

Respirare diviene improvvisamente difficile, parlare è impossibile quasi quanto lo è pensare. Mi guardo attorno, il cuore stretto in artigli di ferro, e vedo solo morte e sangue e uomini morire. E se lei fosse tra loro?! No. No, non voglio neanche mettere in conto un’ipotesi del genere. Vorrei urlare ma la voce mi rimane incastrata in gola, come se un enorme masso mi gravasse sul petto. Se dovessero averla riconosciuta… se qualcuno scoprisse chi è…

«Aaaaaaah!».

Sia io che la mocciosa ci voltiamo verso l’urlo appena sentito. Il mio sguardo saetta su quello di Arya d’istinto: come immaginavo, è sbiancata. Non ho bisogno di altre conferme per assodare che quella è la sua voce. Senza indugiare oltre corro spedito verso la sua direzione, quando tre uomini dei Frey ci avvistano. Ringhio una bestemmia fra i denti e fischio con le dita. Straordinario come sempre, Straniero galoppa verso di me ed io gli salto in groppa e carico al galoppo uno dei tre coglioni che mi si parano dinanzi. Uno di loro, spaventato dalla mole del mio cavallo, tenta di darsela a gambe ma la lama della mia spada è più svelta e colpisce la sua nuca uccidendolo sul colpo. Un sibilo dietro il mio orecchio mi mette in allerta e faccio appena in tempo a scansarmi che l’ascia di un secondo cavaliere fende l’aria, mancandomi per un soffio e colpendo invece il muso del cavallo di un altro stronzo, che subito nitrisce di dolore e si accascia a terra di colpo, schiacciando così il suo proprietario. Il sangue schizza da tutte la parti, mescolandosi alla pioggia ed al fango. Il cavaliere che aveva provato ad uccidermi urla di rabbia ma, quando mi volto per affrontarlo, non è me che punta ma ad Arya Stark. L’elmo dello stronzo è ammaccato, una pietra giace a pochi passi dal suo cavallo, ed Arya lo guarda con occhi pieni di sfida e paura. La realizzazione che è stata lei a distrarlo per permettermi di difendermi mi si para davanti di colpo, assurda quanto reale, e la sorpresa è tale che per un istante resto inerme sul posto.

Il cavalie­re galoppa verso di lei. La cagnetta è svelta e corre veloce, ma non abbastanza. Scorgo un ghigno sadico incurvare le labbra dello stronzo e subito do di speroni. Lui alza l’ascia. Arya corre, corre, corre ma è troppo lenta. Troppo lenta. Un solo colpo e per lei sarà la fine. Il cavaliere sferza l’aria ma l’ascia abbandona le sue dita guantate di ferro e cuoio prima che possa colpirla. Poi si ferma, tossisce sangue e cade da cavallo. La sua testa è spaccata in due e la mia spada è ancora sporca di materia cerebrale e sangue viscido e grumoso. Tirandola via, lo stronzo ha un singulto e i suoi pantaloni si bagnano di piscio. Guardo la mocciosa. Lei non dice nulla, ma entrambi sappiamo che adesso siamo pari.

Una vita per una vita, ragazzina.

«Sansa…» Il suo è appena un sussurro. I miei occhi si sgranano. Repentina, la mocciosa salta su Straniero senza che io le dica nulla, aggrappandosi forte alla sella, ed io parto al galoppo. Il fuoco divampa attorno a me, le fiamme scoppiettano e il rullare di un tamburo solitario si fa più forte. Doom boom doom boom. La mia bocca è piena di fango, la faccia sporca del sangue delle guardie che ho ucciso. Ma non mi importa. Non mi importa del fuoco, del fumo, della paura che mi lambisce le viscere. Devo trovare Sansa… Sansa, l’uccelletto… il mio uccelletto…

«Eccola!» Arya indica un piccolo puntino fra la folla, in ginocchio a terra, bagnata e coperta di fuliggine. Salto giù da cavallo e corro verso di lei. La chiamo, ma lei non risponde. Avanzo svelto, improvvisamente inquieto, e quando le sono accanto l’afferro per le spalle e la volto verso di me. Rilascio subito la stretta appena vedo il suo viso e… le sue mani. Sono sporche di sangue… e non è suo. Sposto lo sguardo. C’è un uomo ai suoi piedi: il suo volto è deturpato, quasi non si riconosce, pieno di tagli; dalla sua gola sgocciola un lungo rivolo rosso ed i suoi occhi sono rivoltati all’indietro. Non capisco davvero cosa sia successo finché non mi accorgo di ciò che regge Sansa fra le dita: uno stiletto. Uno stiletto lungo, di ferro… e macchiato di sangue.

Un urlo più sguaiato dei precedenti mi fa rinsavire. Non so da dove provenga, ma dobbiamo andare via da qui e dobbiamo farlo adesso. Cerco di far alzare Sansa, ma lei non collabora; tutti i suoi muscoli sono come paralizzati, i suoi occhi pieni di smarrimento e orrore. Bestemmio forte e le tolgo lo stiletto dalle dita, poi me la isso sulle spalle di peso. Lei continua a gemere e sillabare parole senza senso.

«Va tutto bene, uccellino. Chiudi gli occhi, presto saremo fuori da questo inferno» Sussurro al suo orecchio prima di salire in groppa a Straniero. Quando la vede, Arya guarda il suo viso ancora sporco di sangue e schiude le labbra, ma non dice una parola. Probabilmente è troppo sconvolta per farlo.

Do di speroni e Straniero parte spedito verso l’uscita. Durante la corsa afferro uno dei vessilli raffiguranti le due torri dei Frey, così da non destare sospetti, ma all’improvviso una cacofonia di voci e schiamazzi mi fa fermare. Straniero vortica verso quel vociare. Un gruppo di soldati che sta uscendo dalla fortezza avanza verso l’esterno. In mezzo a loro vi è qualcosa di strano che non riesco a vedere con chiarezza. È più grosso degli altri soldati ed ha qualcosa sulla testa, qualcosa che non è umano. Quando la luce del fuoco illumina la sua figura, il sangue mi si gela nelle vene: il suo corpo è ricoperto di frecce, la sua testa è stata tagliata. Al suo posto vi è quella di un metà-lupo dalle fauci spalancate e gli occhi gialli... li stessi occhi della bestia che avevo visto prima.

La canzone maledetta, Le Piogge di Castamere, continua a suonare. Con essa, un altro coro fa da sottofondo a questa notte di follia e morte. «Re del Nord!», urlano i soldati, sghignazzando. «Re del Nord! Re del Nord! Fate passare il Re del Nord!». Capisco di chi si tratta quando ormai è troppo tardi e Sansa ed Arya hanno già visto tutto.

Robb Stark.

 
Così lui parlò, così lui parlò, il lord di Castamere.
Ma ora le piogge piangono nella sua sala,
senza nessuno a udire quel pianto.
Sì, ora le piogge piangono nella sua sala,
senza una sola anima a udire quel pianto.
 
Non guardo le ragazze Stark mentre galoppo lontano dal Gaudo, né quando arriviamo nei pressi di una locanda e saliamo le scale scricchiolanti che portano alle camere. L’oste non ci ha riconosciuti, e semmai lo avesse fatto è bastata una sola occhiata alla mia spada ancora macchiata di sangue e qualche moneta di rame per fargli intendere di tenere la bocca chiusa e non fare domande. Una volta in camera restiamo in silenzio per un tempo che pare infinito, quando ad un tratto Sansa si guarda le dita ancora sporche di sangue ed un singhiozzo spezza il silenzio. Ne segue un altro e un altro ancora e altri mille, finché i singhiozzi si tramutano in lacrime e le lacrime in pianto. Non ricordo di averla mai sentita piangere in questo modo e non riesco a guardarla mentre lo fa. Tengo gli occhi puntati in un punto imprecisato della stanza, maledicendo il mondo intero per quello che è successo. Non so perché sia accaduta una cosa simile, e non sono neanche certo di volerlo sapere. So solo che tutto ciò è abominevole persino per me, e che quei Frey sono maledetti.

«Smettila. Smettila di piangere, stupida!», la mocciosa-Stark si è alzata in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi e gli occhi lucidi. Sansa posa lo sguardo su di lei –  mai i suoi occhi sono stati tanto arrossati, nemmeno dopo la morte di suo padre. Arya le si avvicina a passo spedito, le labbra strette e tirate in una linea sottile piena di collera. «Piangere non riporterà indietro nostra madre e Robb! Piangere non aiuterà nessuno, quindi smettila! Smettila, non ti sopporto!», trema tutta mentre lo dice, la sua voce si spezza e alla fine anche lei scoppia in lacrime. È un pianto rotto, il suo, pieno di rabbia e disperazione. Crolla a terra, le mani premute sul viso e le labbra tirate in una smorfia simile a quella di un lupo che scopre i denti, e Sansa la stringe in un abbraccio pieno di dolore. Arya si aggrappa alle sue spalle con una forza tale da farmi credere che le romperà qualche osso, ma Sansa non protesta e continua a singhiozzare senza ritegno. Per tutto il tempo, nessuno di noi tre chiude occhio. Come si fa a dormire quando il mondo attorno a te crolla? Crolla tutto, e le ragazze Stark più di tutte. Mi chiedo se anch’io finirò col crollare come un castello di carte, ma poi ricordo che io sono crollato dal momento stesso in cui Gregor ha premuto la mia faccia su quella fottuta brace.

Mi tornano in mente gli occhi colmi d’orrore di Sansa, lo stiletto che teneva stretto fra le dita macchiato di sangue ed il cadavere che la guardava con quei suoi terribili occhi vuoti. Non so cosa sia accaduto, ma so per certo che lei non è un’assassina. È un fiore nato dalla neve, lei, piccolo e delicato e bellissimo, ma non velenoso… Eppure adesso le sue mani sono sporche di un sangue che non è il suo, i suoi occhi colmi della stessa paura che aveva solcato i miei quando uccisi il mio primo uomo, e la verità è una sola, chiara e terribile.

La guardo: i suoi occhi sono rossi di pianto, fissi in un punto imprecisato della stanza, assenti,  le sue guance scavate e tese. Sua sorella si è allontanata un po’ più in là, in un angolino al buio e pieno di ombre. Le sue labbra sottili si muovono lentamente, sussurrano parole. «La Montagna, la regina Cersei, Walder Frey…». No, non sono semplici parole. Sono nomi. I nomi di chi odia… ma perché li nomina?

Per ucciderli. Non ricordi? Anche tu sussurri il nome di Gregor ogni notte per ricordarti che un giorno sarai tu a farlo fuori. Non esserne tanto sorpreso.
Una mocciosa non dovrebbe pensare ad uccidere la gente.
Una mocciosa non dovrebbe neanche vedere il corpo di suo fratello mutilato come il peggiore degli abomini.

I miei occhi si posano di nuovo su Sansa. Vorrei avvicinarmi, togliere via le lacrime dal suo viso, dirle che troveremo una soluzione, che andrà tutto bene, ma la voce mi resta incastrata in gola e l’unica cosa che riesco a fare e sdraiarmi nella brandina che puzza di vecchio e chiudere gli occhi. Sono certo che non riuscirò mai ad addormentarmi, che rimarrò sveglio fino all’alba, ma alla fine il sonno giunge ed un drappo nero cala sui miei occhi.


 

 
 
Urla. Pianti. Morte. È questo ciò che mi si prospetta davanti. Terribile, violenta morte.

Le lacrime scorrono lente sul mio viso, il vento me le appiccica alla pelle e mi solletica il collo. Dov’è mia madre? E Robb? Dov’è mio fratello?! Arya… devo trovare Arya. Lei di certo saprà dove sono, avrà trovato qualcuno disposto ad aiutarci, a porre fine a questa follia…

Morte. Morte. Morte.

Il fuoco divampa impazzito attorno a me, i vessilli raffiguranti il metà-lupo degli Stark sono ridotti a poco più che brandelli. Non capisco... non capisco! Cosa sta accadendo? Perché, perché tutto questo? Ero così vicina a mia madre, così vicina a poterla riabbracciare e sentire il suo calore, i suoi baci sulle guance…
 
E chi sei tu, disse l'orgoglioso lord,
che così in basso io devo inchinarmi?
 
La canzone di prima riecheggia nelle strade, angosciante come un requiem. Chissà, forse sono davvero morta…. Forse questi sono gli Inferi e gli dèi mi hanno mandata qui per quello che ho fatto a sir Meryn e Joffrey. No, no, non è possibile. Negli Inferi ci va solo gente cattiva e crudele, mentre qui a bruciare sono anche gli innocenti, le donne ed i bambini la cui unica colpa è quella di essere presenti a questo massacro. La mia testa gira come una trottola, camminare diventa improvvisamente difficile. Non capisco. Non capisco!

Dita ferree mi afferrano il braccio. Lancio un urlo, ma una mano viscida e callosa mi tappa la bocca mentre l’altra mi gira un braccio dietro la schiena. «Va tutto bene, bambolina…», rantola qualcuno al mio orecchio, spingendomi verso un vicolo stretto e buio. «Urla pure quanto ti pare, non c’è nessuno qui a sentirti», mi agito, piango e scalcio, ma è tutto inutile. Qualcosa di appuntito mi sfiora la schiena, il mio cuore perde un battito. Uno stiletto.

No, dèi, vi prego no… non lasciate che accada. Aiutatemi, vi prego… vi prego, no…

Vengo spinta contro il muro, il freddo umido della roccia che preme contro la mia guancia, e dita sudice mi alzano la gonna. «Ti prego… ti prego, no…», la mia voce è un gemito spezzato. Lui non mi ascolta e sghignazza nervoso, il suo alito che sa di aglio e vino, e il ricordo degli uomini che avevano tentato di stuprarmi durante la Rivolta del Pane mi aggredisce come un pugno in pieno stomaco. Il respiro mi si mozza in gola quando sento qualcosa di umido e caldo premermi fra le gambe e piango più disperatamente.

«Ti piacerà, dolcezza. Sì, sì, ti piacerà… piace a tutte, non preoccuparti...».

Una delle sue mani mi afferra il seno sinistro, l’altra si appoggia al muro. Lancio un grido e faccio forza contro di lui, riuscendo a dargli una testata che lo fa barcollare all’indietro. Complice il sudore che imperla le sue dita e la sorpresa, le sue mani scivolano via dal mio petto ed io ne approfitto per sgusciare lontano dalla sua presa, voltarmi e dargli uno schiaffo. Lui cade a terra, troppo ubriaco per reggersi in piedi, lasciandomi l’opportunità di fuggire. Corro e mi nascondo dentro ciò che è rimasto di una tenda ormai ridotta ad un mucchio di legni e travi poste alla rinfusa. Il cuore mi batte a perdifiato, la sensazione delle dita viscide di quel maiale sul mio collo e del suo membro umido sul mio interno coscia mi fa tremare, ma ho ancora troppa paura per concedermi di piangere. Posso udire il battito del mio cuore rimbombarmi nella testa. TumTum TumTum TumTum. Lui è ancora lì fuori, lo sento imprecare e correre avanti e indietro alla mia ricerca. Le ginocchia non mi reggeranno a lungo, me lo sento, e nessuno verrà a salvarmi questa volta. Sono sola… sola contro la morte.

«Stiamo giocando a nascondino?», la sua voce rauca è vicina. Troppo vicina. «Vieni fuori, smettila di sprecare il mio tempo!».

Mi rintano il più possibile nel mio nascondiglio. Va’ via, ti prego, vattene via.  Il mio piede urta un coccio di legno. Un crack maledetto rimbomba attorno a me. Deglutisco. Silenzio. Una voce urla nella mia mente. Scappa. Scappa adesso, prima che ti trovi.  Ma i miei piedi sono come incollati al terreno, così come la mia lingua è appiccicata al palato. Non riesco a muovermi. Sono paralizzata. All’improvviso, i passi dell’uomo si fermano.

«Ti ho trovata, troietta», il sangue mi si gela nelle vene. I miei occhi incrociano quelli folli del mio aguzzino, che sorride compiaciuto come se si trovasse dinanzi ad un dolce. Fra le dita stringe lo stesso stiletto con cui mi aveva minacciata prima. «Adesso esci fuori, se non vuoi che quel tuo bel visino si sporchi di sangue».

Obbedisco. Una volta fuori, lui mi afferra per le spalle e mi spinge contro il muro di pietra dietro di me, facendomi sbattere la testa. Tutto inizia a ronzare, i suoni si fanno ovattati e lontani e qualcosa di caldo mi cola giù dalle tempie. Sento le sue mani sudaticce tastarmi i fianchi, scendere lungo il mio fondoschiena, ma quando prova a toccarmi lì sotto il mio corpo reagisce d’istinto ed il mio ginocchio affonda dritto nel suo stomaco. Lui si piega in avanti, io tento di nuovo di scappare ma lui mi riafferra e mi spinge nuovamente contro il muro, bloccandomi col peso del corpo. Il suo odore mi inonda le narici: vomito, sangue, aglio e vino si mescolano. «Non sono in vena di giocare con te, lurida troia», mi gira verso di lui e una sua mano si serra attorno ad uno dei miei seni, stringendolo con così tanta forza da farmi urlare di dolore; la sua bocca si posa sopra il solco del mio petto con viscidità, le sue dita si fanno largo fra le mie gambe. Spinta dalla paura stessa, affondo i denti nel suo collo e mordo finché non sento il sangue riempirmi la bocca. Lui grida di dolore e si allontana di getto da me, io mi lancio contro di lui e lo colpisco con una spallata che gli toglie il respiro e lo fa cadere a terra con un tonfo. Lo stiletto rovina a terra con un rimbombo metallico.

Mentre lui tenta di riprendere fiato, boccheggiando bestemmie e ansimi, io afferro l’elsa della lama con dita tremanti. Lui grida, si rimette in piedi, e il terrore che mi attanaglia è tale da farmi perdere la presa. «Cagna…!», grida gettandosi a capofitto sullo stiletto, ma io sono più vicina e lo afferro prima di lui. Mi tira il vestito con forza, cercando di farmi cadere, e all’improvviso qualcosa mi suggerisce che se non agisco ci rimetterò la vita. Mi tira un calcio nei polpacci ed io cado a terra. Lui è sopra di me prima che possa fermarlo, gli occhi spietati e le labbra sottili ritratte in un ringhio feroce. Le sue dita si stringono attorno al mio collo.
«N-No… non respiro… ti p-prego…».

La sua stretta si fa più possente, la mia vista inizia a sfocare e tutto il mio corpo reclama aria. Aria. Aria. Aria. Tasto il terreno in cerca di qualcosa: trovo lo stiletto che avevo fatto cadere poco prima. Lo afferro e la lama affonda nella carne del mio aguzzino in un gesto istintivo. Lui sbarra gli occhi e molla la presa. Lo colpisco di nuovo: le mie dita tremano ma i colpi sono decisi, dettati dalla paura, e un copioso getto di sangue zampilla sul mio viso, caldo e viscido. Il terzo colpo gli lenisce il petto ed un fiotto di sangue mi investe. Alla fine, non riesco più a distinguere dove comincia e dove finisce il suo volto. L’ho accoltellato così tante volte e in modo così distratto che ormai non è nient’altro che una maschera di sangue e muscoli pulsanti. Lo spingo di lato, il suo corpo che si contorce in preda agli spasmi, ed i suoi pantaloni si macchiano di urina. Poi, dopo quella che sembra un’eternità, rivolta gli occhi all’indietro e  non si muove più.

È solo quando osservo le mie mani sporche di sangue che mi rendo conto di ciò che ho fatto, e il terrore che mi travolge è così devastante da scuotermi dalla testa ai piedi. Le lacrime mi salgono agli occhi tutte insieme, ma non riesco comunque a piangere… a respirare. Mi porto una mano al petto. Mi sento morire, devo star per morire. “Assassina”, urla una voce nella mia mente. All’improvviso, Joffrey è di nuovo qui: dal suo petto gronda sangue ed i suoi occhi sono pieni di vermi.
C’è sir Meryn con lui, e mio padre e Robb e la lady mia madre, le cavità dei loro occhi sono vuote e oscure.

«Assassina. Mostro.».
«No», singhiozzo. «No, non è stata colpa mia! Lui… lui…».
«Assassina».

Lunghi artigli mi stringono le braccia. Dimenarmi è impossibile, è come se tutto il mio corpo fosse inchiodato al terreno. Risate maligne sussurrano al mio orecchio mentre loro mi si avvicinano armati di pugnali e di asce. Tra le dita, Joffrey tiene la testa di Lady. La mia cara, dolce Lady. Si avventano su di me, mi spingono a terra, ed io capisco ciò che intendono fare. «No! No, vi prego, non fatelo! Non sono un’assassina! Lo giuro, sono buona… vi prego, vi prego...!», la mia voce viene sommersa dalla stessa melodia lugubre e malinconica di prima.

 
Pelo d'oro o pelo rosso,
un leone artigli ancora ha.
E i miei sono lun­ghi e affilati, mio lord,
lunghi e affilati quanto i tuoi.
 
Da qualche parte, un lupo ulula alla luna: il suo canto mi si infiltra sin dentro le ossa, tagliente come un rasoio. «No…», singhiozzo, mentre la musica accresce. «No, no, vi prego… vi prego, no!». La lama della spada di Joffrey sibila nel vento, la testa di Lady viene spinta verso di me, poi tutto diventa scuro.
 


«No!».

Tutto il mio corpo viene sbalzato in avanti, i capelli mi ricadono lunghi e appiccicati sul viso. Respirare è un’impresa quasi titanica, ma se riesco ancora a farlo allora significa che sono viva, che la mia testa è ancora attaccata al collo. Mi passo una mano sul volto, le mie dita tremano. Era un incubo, mi dico. Ma quando le immagini della scorsa notte mi balenano davanti agli occhi, taglienti come pugnali, realizzo che lo era solo in parte. Il mio stomaco si stringe in una morsa dolorosa e l’improvvisa voglia di piangere mi colpisce in pieno. Tuttavia, le lacrime restano incastrate in gola, così come le parole. Non ho più nemmeno la forza di urlare.
«Sei sveglia», mi volto di scatto. I miei occhi incontrano quelli grigi del Mastino. Mi torna in mente il momento in cui mi aveva caricata sulle spalle e portata via dal cadavere della guardia che aveva tentato di violentarmi. Lo odio per averlo fatto. Mia madre era ancora dentro quel maledetto castello quando siamo andati via, ed io non sono andata a salvarla. Avranno ucciso Robb, ma lei potrebbe essere stata presa in ostaggio. Perché è tornato per me? Perché non ha preso mia madre? Perché non ha fatto niente per salvarla?!

Lui ti ha salvato la vita, dice una voce nella mia testa, fastidiosa come il ronzio di un insetto. Dovresti essergli grata. Una vera lady lo sarebbe. Sbuffo. Non mi importa più niente delle lady, o della cortesia o di qualsiasi altra cosa. Perché dovrei? Mia madre è morta, la mia septa anche e sono lontana dalle corti mille miglia. A chi importerebbe se mi comportassi da lady o da popolana? A chi importerebbe di una stupida ragazzina che non riesce più neanche a piangere?!
«Dov’è mia sorella?» La mia voce risuona atona e burbera. Non voglio parlare con lui. Non mi importa se mi ha salvato la vita. Non mi importa più di niente.
«Fuori, a giocare con quello stuzzicadenti che si porta dietro», indica col capo l’esterno della finestrella vicina al mio letto. Mi sporgo un po’ e scorgo la sagoma minuta di Arya che tira fendenti a destra e a manca, gli occhi pieni di odio. Anche lei ricorda ciò che è successo ieri. Restiamo in silenzio per un po’, poi lui riprende la parola. «Come stai?».

«Perché ti importa? Ora che mio fratello è morto non hai che fartene di me e di mia sorella», stringo le labbra. “Non dovresti dargli del tu. Non è educato”, riprende quella vocina nella mia mente. Non mi importa. Neanche lui è mai stato educato con me, perché dovrei esserlo io? «Forse ci venderai ai Lannister, per quanto ne so. Loro di certo ti ricompenseranno a dovere una volta ottenuta la nostra testa…».

Il Mastino raggrinza le labbra in una smorfia e la sua cicatrice si contrae grottescamente. La simpatia che provavo nei suoi confronti è svanita di colpo, cancellata come gesso da una spugna. Non voglio più avere niente a che fare con lui. Non voglio più avere niente a che fare con nessuno. Voglio solo morire, morire e morire.

Lui digrigna i denti. «Forse lo farò, uccelletto».
«Smettila di chiamarmi così!», salto in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi. Il mio vestito è ancora sporco di sangue, il mio cuore è pieno di odio. «Non sono un uccelletto!».

Lui si alza. Non c’è alcuna parvenza di ilarità nei suoi occhi, ma nemmeno di rabbia. C’è solo tanto, tantissimo gelo. «Oh sì che lo sei», risponde. «Un piccolo uccelletto dell’Estate che fa i capricci e arruffa le penne quando vede che le cose vanno male. Credi di ottenere qualcosa comportandoti in questo modo? Tuo fratello è morto, sicuramente anche tua madre. Credi che comportarti così li riporterà indietro?!».

La rabbia mi lambisce le viscere, una furia cieca che non credevo neppure di possedere mi scuote dalla testa ai piedi. «Sta… zitto!», nemmeno mi rendo conto di aver urlato. Il Mastino si ammutolisce. «Tutta la mia famiglia eccetto mia sorella è morta, Grande Inverno è distrutta, io ho ucciso un uomo…», la mia voce trema, si spezza riducendosi in un singhiozzo. Le immagini del corpo martoriato dell’uomo che ho ucciso mi tornano in mente. Tremo come impazzita, respirare è impossibile. « Io l’ho ucciso… con le mie mani… il suo sangue… tutto quel sangue…», mi premo una mano alle labbra. Non riesco a respirare… non riesco a respirare! «Oh, dèi… dèi, pietà… non respiro… non respiro…», le ginocchia cedono sotto il mio peso, il Mastino mi afferra per le spalle ed accompagna la mia caduta.

«Ehi… ehi, guardami! Guardami, dannazione!», mi costringe a incrociare il suo sguardo, ma io quasi non lo vedo. Le immagini di tutto quel sangue non vogliono andar via dalla mia mente, il mio cuore si sgretola sotto una stretta di ferro invisibile. Sto morendo. Devo star per morire. Il Mastino mi afferra il viso fra le mani e mi scuote con irruenza. «Hanno sterminato la tua famiglia, raso al suolo la tua casa, messo fine a quella tua cazzo di innocenza una volta per tutte e preso tutto quello che potevano, ma sei ancora viva, dannata te, sei viva. Avresti potuto lasciare che ti uccidessero ed invece non l’hai fatto. Non l’hai fatto!», le sue dita premono forte sulle mie guance. Un singhiozzo lascia la mie labbra. D’istinto mi aggrappo alle sue braccia come se da questo dipendesse la mia stessa vita. «Hai preferito affrontare tutta questa merda piuttosto che lasciare che ti portassero via l’unica cosa che ti è rimasta, Sansa. La tua vita… non hai permesso loro di togliertela. Tutti queste emozioni che stai provando, loro—».

«Non sento più niente!», gemo, la voce rotta dal pianto. Perché… perché è successo tutto questo? Perché a me? Perché alla mia famiglia?! Mi dimeno dalla sua stretta. «Voglio morire. Uccidimi, uccidimi… non la voglio più questa vita... ti prego… ti prego…».

«No, no, no... ascoltami… ascoltami!», alzo lo sguardo su di lui. Il suo viso è così vicino a mio che posso contargli tutte le ciglia. «Quando hai ucciso quell’uomo lo hai fatto per difendere la tua stessa vita, giusto? Perché altrimenti lui ti avrebbe uccisa. Ho ragione? Ho ragione, Sansa?!», il ricordo delle dita sudice e umide dell’uomo che aveva provato a stuprarmi mi tornano in mente. Annuisco, e la presa del Mastino si fa più forte. «Anche in quel momento hai lottato per la tua vita. Avresti potuto lasciare che ti uccidesse – cosa avevi da perdere, alla fine? – ma non lo hai fatto. Non lo hai fatto, cazzo. Hai visto quant’è semplice uccidere un uomo, non è vero? Lo hai visto con i tuoi stessi occhi. Cos’hai provato quando lo hai fatto? Rabbia, non è così? E soddisfazione… sì, soprattutto soddisfazione: è sempre soddisfacente uccidere. Anche quei figli di puttana dei Bolton e dei Frey hanno provato soddisfazione quando hanno fatto fuori tuo fratello e tua madre. Credi forse che loro vorrebbero saperti morta?», mi torna in mente l’abbraccio di Robb, la neve nei suoi capelli ramati, i baci affettuosi che mia madre mi regalava, e all’improvviso capisco ciò che il Mastino sta tentando di dirmi. «Non è la vita che non vuoi, ma il dolore. Non vuoi più vivere perché credi che con la morte anche il dolore andrà via. No, uccelletto, la morte non è la fine del viaggio. La morte non è niente di più che semplice e schifosa morte».

«Ti prego… ti prego, basta…».

«Vuoi morire, uccelletto? Vuoi davvero morire? Bene, allora. Fallo. Metti fine alla tua vita e al tuo dolore. Ucciditi e poniamo un punto a questa storia, se davvero credi che questo servirà. Ma se invece vuoi vivere, se non vuoi rendere vana la morte di tuo fratello e della tua dannata madre, allora vivi, fottuti dèi, vivi e vendicali! Se non vuoi farlo per te, allora fallo per loro e quella merda di sedia di ferro per cui sono morti!».

E la risposta arriva. Semplice, definitiva. Sicura. Alzo lo sguardo. «Io voglio vivere», è appena un sussurro quello che lascia le mie labbra, ma il fuoco che divampa dentro il mio petto è alto, impetuoso. «Voglio vivere…», un singhiozzo spezza le mie parole, finalmente le lacrime scorrono giù dai miei occhi. Il corpo mutilato di Robb mi si para davanti, la testa di mio padre sospesa su una picca mi torna in mente. Per loro. Voglio farlo per loro… e per me stessa. E per il Nord. «Io voglio vivere!».

Le mie ultime parole restano sospese nell’aria. Tutto sembra acquistare un senso. Il Mastino mi guarda, tutto il mio corpo è scosso dai sussulti. Trattenere il pianto diventa impossibile. Piango per Robb, per mia madre, per Bran e Rickon, per la mia dolce Lady e per Vento Grigio; piango per Grande Inverno e per tutti coloro che sono morti sotto il vessillo del metà-lupo degli Stark, per il sangue che mi macchia le mani e per quello che dovrà essere versato, piango perché nonostante tutto voglio ancora continuare a lottare.

«Tieni», Sandor mi porge quello che ha tutta l’aria di essere un panno sporco e macchiato di sangue, lo stesso che mi diede tempo fa. « I veri lupi non piangono. Loro mordono, attaccano, ululano. ».

Lupi. Non mi aveva mai dato della lupa prima d’ora. Mi ha sempre paragonata ad un uccelletto, un stupido, sciocco uccelletto. Eppure è così, sono una lupa anch’io. L’ emblema della mia nobile Casata è un metà-lupo, ed io sono una Stark. E anch’io posso essere coraggiosa.

«E uccidono», un’improvvisa euforia mi fa tremare le mani. Ripenso allo sguardo infido dell’uomo che aveva tentato di stuprarmi, a quello sadico di Joffrey e quello crudele della regina Cersei, ai sogghigni degli uomini che trasportavano il cadavere di mio fratello, al maestro Pycelle che mi toccava con quelle sue dita ossute e allo sguardo di sir Meryn mentre mi picchiava, e mi rendo conto di odiarli tutti. Tutti. Le parole del Mastino mi tornano in mente: Cos’hai provato quando lo hai fatto? Rabbia, non è così? E paura e soddisfazione… sì, soprattutto soddisfazione: è sempre soddisfacente uccidere. Un brivido mi sale lungo la schiena, ma non è di paura. È di desiderio. Quanto sarebbe dolce vederli morire tutti ai miei piedi? «Fra pochi giorni sarà il mio compleanno. Compirò sedici anni, l’età in cui una donna viene considerata adulta. Vorrei che mi facessi un regalo».

I miei occhi sono ancora rossi di pianto, nella mente è chiara l’immagine della testa decapitata di Vento Grigio sul collo di mio fratello. Il Mastino stringe le labbra.

«Cosa?».
«Il tuo pugnale», sussurro. «E voglio che mi insegni ad usarlo».
 
 
  • Note dell’Autrice.

1)       La canzone è Broken Crown, dei Mumford and Sons.

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Eeeeeed eccomi. Sì, sono viva. Non lo avreste mai detto, eh?
Mi dispiace un sacco per l’enorme ritardo, ma ho davvero avuto troppi problemi ultimamente, sia a livello scolastico, che sentimentale che familiare. Praticamente è stato un periodo d’inferno che non è ancora finito del tutto, tra l’altro. In pratica, l’angst assoluto del capitolo esprime perfettamente la mia situazione attuale. Ma vabbé.
Parliamo di altro, invece: le nozze rosse. Allora, chi, chi (di coloro che tifano Stark) non ha versato una lacrima quando ha letto\visto questa parte? Da parte mia, ho pianto con tanto di singhiozzi per i libri e mi sono crogiolata nelle mie stesse urla di dolore per il telefilm. Damn you George RR Martin.
Sansa ne ha passate di tutti i colori, qui, ma finalmente ha tirato fuori gli artigli. Sono dell’idea che lei sia una lady di tutto rispetto, dolcissima come una tortina a limone e delicata come una rosa d’inverno, ma rimane pur sempre una Stark. E quando c’è in ballo la propria sopravvivenza si fanno cose che in situazioni normali non si farebbero mai e poi mai – infatti dopo l’accaduto la mia Sansina ha un attacco di panico bello e buono.
Per questo capitolo mi sono ispirata molto sia alla scena riportata nei libri, sia a quella del telefilm. La canzone dovevo metterla per forza per principio. Scusatemela.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante gli avvenimenti. Sappiate solo che se pensate che dopo questo possa solo migliorare, la situazione, be’… non avete prestato abbastanza attenzione. :P
Vi mando un bacione. Grazie mille di cuore per tutte le recensioni, i commenti entusiasti e i feedback che date a questa storia. Non smetterò mai di ripetervi quanto siete preziosi. Grazie, grazie e grazie mille ancora.
 
Al prossimo capitolo!
 
 
 
   
 
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