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Autore: Lely1441    16/12/2008    6 recensioni
Artemide, virtuosa e giovane dea della caccia e della luna, un’arciera migliore di molti uomini, se non di tutti. Colei che mai si innamorerà di alcuno e che passerà la sua eternità in compagnia delle sue amate ninfe. Eppure non è sempre andata così.
Prima classificata al contest Myth's POV indetto da Writers Arena.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Un’amicizia fuori dai canoni
Autore: Lely1441
Rating: Per tutti
Tipologia: One-shot
Lunghezza: 5 pagine, 3.324 parole
Avvertimenti: Nessuno
Genere: Generale, introspettivo
Disclaimer: Artemide è un’invenzione millenaria, ma la sua caratterizzazione è una mia invenzione basata su dati conosciuti. I luoghi citati esistono realmente. Per il resto, trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solamente a me.
Credits: www.grecoantico.com (Seconda frase degli Inni Omerici)
“Dizionario universale dei miti e delle leggende”, di Anthony S. Mercatante (Frase iniziale degli Inni Omerici)
“Narrami o Musa, Antologia di Epica”, di D. Ciocca e T. Ferri (I Greci consideravano la Moira, il Fato, come un’unica entità, a differenza dei Romani che credevano nelle Moire o Parche).
Note dell’autore: Sono partita con una bella storia, ma ahimè, la cosa mi è del tutto sfuggita dalle mani. Spero che non risulti troppo affrettata, in realtà è che non sapevo bene come gestirmi queste 5000 parole e alla fine ne ho usate troppo poche.
Introduzione alla Storia: Artemide, virtuosa e giovane dea della caccia e della luna, un’arciera migliore di molti uomini, se non di tutti. Colei che mai si innamorerà di alcuno e che passerà la sua eternità in compagnia delle sue amate ninfe. Eppure non è sempre andata così.
Prima classificata al contest "Myth's POV" indetto da Writers Arena




Un’amicizia fuori dai canoni

[11/09/08] Myth’s POV




[…] Dea della sonora caccia, vergine riverita, che uccide i cervi, saettatrice, sorella di Apollo dalla spada d’oro, che tra le colline ombrose e le cime ventose, godendo della caccia, tende il suo arco d’oro e scaglia dardi dolorosi. Tremano le vette delle alte montagne, la scura foresta terribilmente risuona del fragore delle belve, si scuote la terra e il mare pescoso.

[…] Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide così come la natura è ritrosa.

Inni Omerici (Erroneamente attribuiti ad Omero), riferimenti ad Artemide




Artemide, virtuosa e giovane dea della caccia e della luna, un’arciera migliore di molti uomini, se non di tutti. Colei che mai si innamorerà di alcuno e che passerà la sua eternità in compagnia delle sue amate ninfe. Eppure non è sempre andata così.


Faceva molto caldo, quella mattina. Camminavo speditamente come mio solito, socchiudendo gli occhi di tanto in tanto quando il Sole faceva capolino tra le alte fronde degli alberi e mi toglieva per qualche breve istante la visuale, accecandomi momentaneamente. Inutile cercare di spostarmi più all’ombra per evitare quel fastidioso inconveniente: neanche lo facesse apposta, la luce puntualmente mi raggiungeva e continuava ad inseguirmi, abbagliandomi. Avrei dovuto parlare con il mio adorato fratellino Apollo, un giorno o l’altro; rimanevo la più grande dei due dopotutto, e certi scherzi erano veramente infantili. Cominciando ad innervosirmi, accelerai il passo con decisione ed ero talmente assorta in quella sorta di gara, che il rumore che sentii mi fece sobbalzare improvvisamente. Mi guardai nervosamente in giro; quel giorno ero da sola, niente animali o amiche che potessero rassicurarmi. Ero combattuta tra il desiderio di ignorarlo e continuare per la mia strada e quello di andare a controllare; ma dopotutto, sono una dea cacciatrice, e l’istinto a me congenito prevalse. Mi diressi in fretta verso destra, e quando sentii uno strillo cominciai a correre. Mi ritrovai dopo poco in un piccolo spiazzo lasciato libero dagli arbusti, nel cui centro si trovava un piccolo stagno. E dentro lo stagno, una visione che mi fece scoppiare a ridere. Un bambino se ne stava seduto nel mezzo, completamente fradicio e con una foglia di ninfea in testa, posata sui suoi lunghi riccioli biondi quasi come se fosse un ornamento, e sembrava sull’orlo del pianto.
- Tutto bene, piccolo?
Quello mi guardò totalmente disorientato, e rimasi colpita dal suo sguardo, azzurro e limpido come pochi.
- No.
Piagnucolò tristemente. Io sorrisi e mi appoggiai contro un tronco, rimanendo a guardarlo divertita.
- Mi puoi… Ecco, potresti aiutarmi?
- Alzati in piedi, pargolo, e raggiungi la riva. Ti assicuro che non è così difficile.
Il pargolo in questione gonfiò le guance indispettito e cercò di rimettersi in posizione verticale, ma quando mosse il primo passo il suolo scivoloso sotto i suoi piedi lo tradì, facendolo crollare miseramente in acqua. E sempre con quella dannata foglia in testa.
A quel punto non riuscii più a trattenermi e scoppia nuovamente a ridere, ignorando l’occhiata gelida lanciatami dal bambino, che ora più che mai mi sembrava l’imitazione di un ranocchio. Mi avvicinai alla sponda del piccolo stagno, e gli allungai una mano.
- Forza, sbrigati.
Lui mi sorrise felice e afferrò la mia presa. Ma proprio quando stavo per tirarlo fuori, vuoi per colpa di uno sbilanciamento improvviso, vuoi per uno scherzo di cattivo gusto, mi ritrovai improvvisamente con il sedere a terra, immersa fino alla cintola nell’acqua e con gli occhi sgranati. Io e il bambino ci fissammo qualche istante, io scioccata e lui ammutolito. Poi mi scavalcò ben poco educatamente e si aggrappò ai ciuffi d’erba che sporgevano dalla riva, riuscendo in qualche modo a tirarsene fuori, si voltò verso di me e mi tese una mano, come poco prima avevo fatto con lui. Con un moto di stizza ed orgoglio mi rimisi in piedi, fingendo di non vederla, ma quando – di nuovo – il fondo fangoso cercò di tradirmi, l’afferrai e con un solo passo riuscii a toccare di nuovo la terra. Lisciai nervosamente le pieghe bagnate del corto chitone color zafferano, quello che mi aveva regalato mio padre e che mi arrivava a malapena alle ginocchia, ideale per la caccia e l’inseguimento. Ma decisamente altrettanto poco ideale per un bagno freddo fuori programma, nonostante l’aria calda che spirava quel giorno. Rimisi di nuovo a tracolla la faretra di frecce che avevo precedentemente abbandonato sul terreno, cercando di ignorare le risate di scherno che sentivo risuonare nella mia mente. Decisamente paranoica, lo so, ma con un fratello gemello che approfitta di ogni occasione per prenderti in giro, non posso far altro.
- Bella signora, fermati!
Mi bloccai stupita, mentre il moccioso mi si affiancava sorridendo e mi tendeva la mano.
- Come ti chiami, bella signora?
Roteai gli occhi esasperata, cominciavo a non sopportare più quel fastidioso moccioso biondo.
- Artemide, bimbo.
Il piccolo spalancò gli occhi sorpreso e mi fissò con quel suo sguardo luminoso che tanto mi aveva colpita, prima che ricominciassi a camminare, con lui che mi veniva dietro senza farsi alcun problema di sorta.
- Ma sai che ti chiami proprio come la protagonista delle favole che mi raccontava la mia mamma?
Credo che sia stata solamente la mia lunga esperienza con il mio “adorabile” gemello che mi trattenne dallo scoppiare a ridere istericamente dopo quell’esordio di conversazione.
- Artemide… Ma di sicuro non sarai mai coraggiosa come lei! E non saprai nemmeno trasformarti in una cerva!
Mi fermai irritata.
- Mi stai sfidando, ranocchio?
Il “ranocchio” in questione si limitò a rivolgermi un gran sorriso a trentadue denti e sentenziò:
- Affatto, bella signora.
Sentii le mie spalle rilassarsi appena.
- Tanto lo sappiamo entrambi che non puoi riuscirci.
La rabbia, ahimè, è uno dei sentimenti che va per la maggiore negli dèi dell’Olimpo, ma che in me è sempre abbondata persino troppo, e un certo Atteone sa di cosa stia parlando. Con uno scatto superbo tirai indietro il mantello e, sotto gli occhi stupefatti del bimbo, mi trasformai in un bellissimo esemplare di cervo femmina.
- Allora, piccoletto? Cosa ne dici ora?
Mi fissò assorto per qualche istante, come se dovesse decidere qualcosa di fondamentale, e in quel momento mi sentii come Meti, la prima moglie di mio padre, nel momento in cui, trasformatasi in mosca per sua richiesta, si ritrovò ingoiata dal suo “affettuoso” maritino.
Ovvero molto, molto stupida.
- Bella signora, mi fai fare un giro sulla tua schiena?
Credo che fu solo perché avevo il muso che non boccheggiai. Mi ritrasformai immediatamente in donna e lo fissai trucemente.
- Scordatelo. Non sono mica un mulo da soma, sai?
Mi avviai verso il sentiero, tentando di ignorarlo mentre trotterellava di nuovo al mio fianco, quasi correndo per riuscire a sostenere i miei lunghi passi. Ogni tanto incespicava in una zolla erbosa che spuntava a tradimento dal terreno, ma non udii mai un lamento uscire dalle sue labbra. Inconsciamente, rallentai il mio ritmo e lo adattai un po’ di più al suo. Egli non sembrò accorgersene, concentrato com’era nel tentativo di non dare a vedere la sua difficoltà.
- Come ti chiami, marmocchio?
Il bambino mi guardò con un misto di tristezza e dolcezza che per poco non mi commosse. Per poco.
- Non ho più un nome, non me lo ricordo.
Capii che stava mentendo, ma di bambini esposti ne avevo visti tanti in vita mia, e anche se quello era grandicello, mi veniva spontaneo considerarlo alla stessa stregua di un neonato abbandonato alle pendici di un monte. Feci finta di ragionarci un po’ su, e sorrisi perché riuscivo ad avvertire la sua curiosità farsi sempre più grande mano a mano che il silenzio si prolungava.
- Allora un nome te lo darò io. Visto che ti ho trovato in uno stagno come una rana, ovvero un βάτραχος, ti chiamerò Batraco.
- Ma Batraco è un nome orrendo!
Sogghignai tra me e me per quella piccola rivincita. Dea contro ranocchio, 1 – 0.


A poco a poco mi avvezzai a quello strano esserino biondo; si abituò in fretta alle mie compagne e ai miei cani, e loro a lui. Neppure le altre creature della foresta lo evitavano, proprio come non evitavano me; gli insegnai a cacciare e durante i nostri balli ci allietava con il suono del proprio flauto, che gli aveva regalato il dio Pan durante una delle sue escursioni amichevoli nella nostra comitiva. Solamente dopo pochi mesi era diventato una specie di portafortuna dell’intero Pantheon: mio fratello ebbe anche l’ardire di proporgli un giro sul suo carro. Ovviamente, mi opposi con tutte le mie forze; Apollo sarà anche un buon cocchiere, ma è sempre stato profondamente distratto. Niente di più facile che riuscisse a perderselo per strada, a dirla tutta. Ma il piccolo strepitò, si lagnò, mi tormentò a tal punto che dovetti prendere il mio, bardare i miei cervi e realizzare finalmente quel suo assurdo desiderio. Ovviamente ero uscita di notte, con la luna d’argento sulla mia fronte che simboleggiava il primo quarto, e la luna dietro di me che ne era la perfetta copia. Quando tornammo a terra era ormai l’alba, e quando scendemmo trovammo Britomarti ad aspettarci, una ninfa nostra compagna. Mentre affidavo il cocchio ad altre due giovani e Batraco si lasciava coccolare da Alie e Nesea, la ninfa mi prese da parte e mi disse divertita:
- Non hai mai fatto salire neanche me su quel carro. Non ti sembra strano?
Evitai di guardarla in faccia, chinandomi a raccogliere uno dei finimenti sfuggiti ad una delle ninfe dei fiumi adibite alla cura della mia persona e a quella dei miei cani e dei miei cervi. Glielo porsi osservandola sorridere di risposta e voltai le spalle a Britomarti, dicendole:
- Non dire sciocchezze. Non l’ho mai fatto perché grazie a Zeus non ti sei mai gettata a terra urlando a tal punto da far scappare le mie prede.
La risata cristallina di Britomarti continuò a risuonare a lungo dietro di me, mentre Batraco le saltellava allegramente intorno tormentandola per sapere anche lui cosa la facesse tanto ridere.


Batraco soffriva di incubi. Qualche notte mi svegliavo per il suo pianto disperato, e non c’era niente che potessi fare per fermare il suo dolore, se non tenerlo stretto mentre si sfogava. Non ho idea di che infanzia abbia vissuto prima di incontrarmi. Non sono certa di volerlo sapere; conoscendomi, sarebbe rimasto l’unico a portare avanti il nome della sua famiglia. Batraco stesso non mi rivelò mai nulla, forse nel tentativo di dimenticare prima. Ogni tanto, anche le altre ninfe ci raggiungevano e si mettevano in cerchio intorno a noi, finché la bella Alimede non intonava una dolce ninnananna e il bambino si addormentava piano piano, stringendo saldamente il mio chitone tra le piccole mani, mentre io sussurravo piano quella ninnananna accompagnando Alimede e le altre sottovoce, senza farmi sentire da altri se non da lui.


I primi anni trascorsero così: nelle mie battute di caccia e corse mattutine si aggiunse ben presto anche Batraco, dimostrando una resistenza del tutto inaspettata. Continuò a suonare per noi con molta maestria, tanto che spesso mio fratello mi disse ridendo che prima o poi se lo sarebbe portato via per farne un suo discepolo. L’ultima volta la mia risposta fu così feroce e seccata che non osò scherzarci nuovamente sopra. Zeus guardava con sincera curiosità questo rapporto così strano che avevo creato con il piccolo uomo, mentre Era malignava che non riuscendo a trovarmi un marito, mi ero ripiegata su Batraco per disperazione.
Be’, di sicuro non ero io quella che scagliava figli dalla cima dell’Olimpo per avvilimento e frustrazione provocati da un marito infedele.


Più cresceva, più diventava difficile rimproverarlo. Si divertiva a prendere in giro un po’ tutti, ma alla fine la schiva Artemide si arrendeva sempre ai suoi scherzi e molte volte si univa perfino a lui e alle ninfe di volta in volta coinvolte nei suoi biechi tiri; per poco un giorno non venne azzoppato da un adirato Ares a cui era stata sottratta la sua lancia preferita. Riuscii ad intervenire appena in tempo, ed il mio fratellastro mi urlò contro tutto il suo rancore:
- Tieni lontano il tuo bastardo, donna, o altrimenti sarà peggio per lui.
Non mi preoccupai particolarmente per quelle minacce che sapevo, in fondo, essere vuote: già il giorno dopo immaginai il dio della guerra in preda all’ennesimo litigio con Hermes. Quello che mi preoccupò invece fu l’atteggiamento dell’ormai sedicenne Batraco: ne rise molto insieme alle altre ninfe oceanine mie compagne, mentre Britomarti ed Alimede al contrario mi guardavano con una strana ombra negli occhi, che non mancai di notare.
- Batraco, vedi di non ripetere mai più un errore del genere. Andare contro uno degli dèi del Pantheon! Ti deve essere andato in fumo il cervello.
Il ragazzo, seduto nell’erba ed intento a fabbricarsi delle nuove frecce, sembrò non darmi particolarmente ascolto, ma mi accorsi distintamente dei sorrisi più larghi che si facevano le altre.
- Moccioso, dico sul serio: nemmeno io arriverei a tanto.
“Se non altro per la stupidità del soggetto”, pensai avvilita, rimembrando la testa calda e l’assurda arroganza di Ares, che lo escludevano da qualsiasi discussione intelligente e ponderata.
- Pensi forse di essere migliore di me per poterti prendere certe libertà? Migliore di una dea, di una delle figlie predilette di Zeus, di colui che le ha concesso di avverare i suoi desideri quando ancora era una bambina?
Vedevo il suo capo ondeggiare, e i volti delle altre cercare di combattere contro il riso. Afferrai il mio arco e lo sbattei con forza sulla testa di Batraco, mentre Nesea ed Eulimene non riuscivano più a contenersi e scoppiavano a ridere sonoramente.
- Così impari a scimmiottarmi.
- Dea assurda e volubile! Si può sapere cosa ho fatto stavolta?
Lo squadrai dall’alto in basso e risposi:
- Smettila o ti lascio in pasto ad Era. E sai che lo farei con gioia.
Batraco sbiancò e si rimise a separare le piume migliori per i nuovi dardi. Io sorrisi soddisfatta. Dea contro ranocchio, 1- 0. Di nuovo. Almeno per quel giorno.


A volte, anche se scherzando, gli avevo proposto di prendere in sposa una di quelle ragazze che ogni tanto capitavano nel bosco, e dalle quali io e le altre fuggivamo, sempre ritrose a farci vedere. Ma se questo era giusto per noi esseri immortali, per Batraco non lo credevo opportuno. Sposarsi, mettere su famiglia… Tutte cose per me inconcepibili, e che facevo fatica a nominare, soprattutto di fronte a lui.
Ma egli rifiutò sempre. Oggi ho una teoria per il suo comportamento, ma non saprò mai cosa frullasse veramente nella sua testa. Continuammo a lungo con la nostra solita vita, finché poco a poco cominciò a venire sempre di meno alle nostre gare di velocità personali (non che mi avesse mai battuto, ma gareggiare con lui dava un certo sprone al tutto) e sostituì sempre più spesso gli inseguimenti delle sue prede con delle ingegnose trappole che spesso avevamo trovato nel bosco, oppure con le reti per la caccia inventate da Britomarti.
Gli anni passavano per Batraco, calmi ed inesorabili.
Mentre io e le mie compagne rimanevamo intrappolate nel nostro tempo bloccato per sempre.


Osservavo le sue abili mani afferrare la lepre che aveva appena catturato e scuoiarla con il coltello, mentre io avevo già acceso il fuoco e sedevo contro l’alto tronco di una quercia. Qualcosa mi strinse dolorosamente lo stomaco quando notai un lieve tremito nei suoi movimenti e distolsi lo sguardo, incapace di sostenere altro. Credo che mi appisolai, perché quando con un fruscio si sedette accanto a me e mi porse la mia parte di carne, quella era già pronta e ben cotta. L’afferrai e cominciammo a mangiare, seduti fianco a fianco, senza guardarci né parlarci. Fu con molta fatica che interruppi il silenzio, quando ormai solo l’idea di buttar giù un altro boccone mi era divenuta insopportabile.
- Batraco…
- Artemide, ne abbiamo già parlato. È giusto che vada in questo modo.
Mi accorsi chiaramente dell’ondata di rabbia e paura che mi assaliva. Ormai, riguardo a quell’argomento, era sempre così. Respirai a fondo per cercare di calmarmi; non sapevo come comportarmi, non avevo mai dovuto affrontare una situazione simile in tutta la mia secolare esistenza.
- Non ne abbiamo parlato. Tu hai deciso così e io non ho potuto oppormi in alcun modo.
- Non ti sei mai opposta?
Il riso amaro di Batraco mi sorprese, facendomi sentire ancora peggio. Osservai la barba grigia che si era lasciato crescere anni indietro e le profonde ombre sotto i suoi occhi stanchi, stanchi come la sua anima.
- Pensi che non mi sia mai accorto che le mie ferite si rimarginavano prima del dovuto, che il dolore che avrei dovuto provare era molto attenuato rispetto a quello che mi spettava? Che non abbia mai notato che allungavi la mia vita fin dove ti era possibile?
- Tu non capisci…
Mormorai, con le lacrime agli occhi. Mi morsi piano il labbro inferiore per trattenermi e strinsi un lembo del chitone tra le dita.
- Stai passando quello che gli esseri umani provano almeno una volta nella vita, la perdita di una persona cara. L’essere, il divenire e la morte, la fine di tutti i giochi. Non c’è cosa più naturale al mondo. Non c’è altra certezza, al mondo.
Rispose con dolcezza. Ed è qui che si sbagliava. Io non avrei mai visto il crepuscolo della mia vita, avrei continuato a vivere per sempre, senza alcuna speranza di potermi un giorno ricongiungere a lui. L’immortalità non pesò mai sulla mia realtà più di quei mesi interminabili e al contempo così brevi nei quali presi la consapevolezza che il mio inseparabile compagno mi sarebbe stato presto sottratto per sempre.
- Non puoi combattere la Moira, tutti gli Dèi sono costretti a cedere al suo volere, lo sai meglio di me. Io mi sono già rassegnato a quello che sarà…
- Ma perché non vuoi divenire immortale, perché non vuoi che faccia qualcosa?
Mi sentivo totalmente impotente, posta davanti a qualcosa contro cui non potevo combattere, per la prima volta da quando ero nata. Batraco mi guardò con quel suo sguardo limpido che tante volte avevo ammirato e vidi i suoi occhi farsi lucidi.
- La sorte di ogni essere umano è quella di morire, prima o poi, e io non faccio eccezione. Il mio destino era già scritto prima che nascessi, e non potrei desiderare dalla vita altro che quello che già possiedo e quello che ho vissuto. Passare la mia esistenza accanto a te è stata un’esperienza unica, e per la quale ringrazierò finché avrò fiato in corpo e spirito nel cuore gli dèi.
La sua voce tremò appena e fu in quel momento che iniziai a piangere, abbracciando il mio amato moccioso e singhiozzando contro il suo petto senza alcuna paura di mostrarmi debole. Le sue braccia mi avvolsero e mi accarezzò la testa nello stesso modo in cui, tanti anni prima, una giovane ed ancora inesperta ragazza aveva fatto con un bambino che si era appena svegliato da un incubo particolarmente spaventoso. Mi abbandonai contro il corpo di Batraco fino a che non mi addormentai, sfinita dal lungo pianto. La mattina dopo nessuno di noi due toccò più l’argomento, e non lo facemmo neppure nei mesi che vennero dopo. Non serviva più.


Il mio amore verso lui si è pian piano trasformato da quello di una sorella verso il proprio fratellino, a quello di una madre verso il proprio figlio, arrivando a quello di una figlia per il proprio padre.
Ogni volta che questo affetto cambiava e si tramutava in qualcosa di diverso, ero triste come se perdessi qualcosa, eppure la consapevolezza del nuovo stadio raggiunto mi riempiva di serenità.
E ora, chi ci vedesse da lontano vedrebbe solo una giovane che si allontana con calma nella collina, procedendo di fianco ad un vecchio, probabilmente il padre, che si sorregge ad un lungo bastone, dirigendosi verso il tramonto. Eppure, se si osservasse con attenzione, si riuscirebbe a distinguere nella distesa d’erba dietro loro, l’ombra di una giovinetta dal corto chitone, una mano appoggiata sulla cinghia della faretra e l’altra che tiene ben salda l’ombra di un bambino che le arriva a stento a metà coscia e che dondola spensieratamente il braccio libero lungo il fianco, camminando quasi a passo di marcia per raggiungere le lunghe falcate dell’altra.
Eppure, in un battito di ciglia le due figure svanirebbero per sempre dalla vista, inghiottite dalla lunga notte che li aspetta.






Prima qualificata:
Un'amicizia fuori dai canoni di Lely1441
Punteggio: 8.65

Giudizio di Ciuiciui:
Artemide, la bella dea cacciatrice, un giorno incontra il piccolo Batraco.
Un ragazzino impertinente che la stuzzica e la prende anche un po' in giro, ma che si riesce a legare indissolubilmente alla dea.
Eppure per Batraco l'età avanza, mentre Artemide è costretta a vedere all'avanzare della sua età senza poter far niente di effettivo, poiché Batraco si oppone alla vita eterna.
Senza dubbio il finale un po' aperto sul finale spiazza un po' il lettore, eppure questa storia per i suoi alternare scherzosi, ai temi più seri e tristi come la perdita di una persona cara appassiona e prende il lettore, commuovendolo ed emozionandolo.

Giudizio di Sonsimo:
La protagonista di questo bellissimo racconto è Artemide, che con semplicità, così come semplice ed espressivo è lo stile dell’autrice, ci racconta del suo rapporto con Batraco, di questa amicizia tra una dea e un essere umano che, nata quasi per gioco, si trasforma in una relazione molto profonda, che attraversa diverse fasi, segnate dalle stagioni della vita di Batraco stesso.
La storia è molto ricca, sono presenti diversi riferimenti ad altri personaggi mitologici che la inseriscono bene nel contesto. In particolare molto divertenti i riferimenti ad Apollo, specie quello iniziale, quando Artemide cammina per la foresta e non riesce a sfuggire ai raggi del sole che la accecano.
Il carattere della protagonista è reso molto bene tramite i suoi pensieri ed è stato fatto un ottimo lavoro anche con il personaggio di Batraco, che da bimbetto spaventato si trasforma in giovane sconsiderato, arrogante come tutti i ragazzi di quell’età, al punto da sfidare una divinità, fino a diventare un anziano saggio, ormai sulla via del declino. E parallelamente si sviluppa il suo rapporto con Artemide, che è per lui sorella, madre e figlia.
Lo stile semplice rende la storia fluida e molto piacevole da leggere. Grammaticalmente corretta, è presente solo qualche errore di battitura isolato e di punteggiatura, ma nulla di davvero rilevante.

Grammatica e sintassi: 9
Capacità espressiva: 8.25
Capacità argomentativa: 8.5
Capacità critico-rielaborative: 8.75
Originalità e creatività: 8.75



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Infine, di nuovo grazie ai giudici e alle altre partecipanti, di tutto quanto ^^ Ecco dove potete trovare il bando: Writers Arena
Un grazie infinito anche alla mia nee-chan e alla mia gemu, senza di loro sarei annegata nell'angoscia pre-consegna XD
Kissoni!

   
 
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