Titolo:
Un’amicizia fuori dai canoni
Autore: Lely1441
Rating: Per
tutti
Tipologia: One-shot
Lunghezza: 5 pagine, 3.324 parole
Avvertimenti:
Nessuno
Genere: Generale, introspettivo
Disclaimer:
Artemide è un’invenzione millenaria, ma la sua
caratterizzazione è una mia invenzione basata su dati
conosciuti. I luoghi citati esistono realmente. Per il resto, trama,
personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una mia creazione e appartengono solamente a me.
Credits: www.grecoantico.com
(Seconda frase degli Inni Omerici)
“Dizionario universale dei miti e
delle leggende”, di Anthony S. Mercatante (Frase iniziale
degli
Inni Omerici)
“Narrami o Musa, Antologia di Epica”,
di D. Ciocca e T. Ferri (I Greci consideravano la Moira, il Fato,
come un’unica entità, a differenza dei Romani che
credevano
nelle Moire o Parche).
Note dell’autore: Sono partita
con una bella storia, ma ahimè, la cosa mi è
del tutto sfuggita dalle mani. Spero che non risulti troppo
affrettata, in realtà è che non sapevo bene come
gestirmi queste 5000 parole e alla fine ne ho usate troppo poche.
Introduzione alla Storia: Artemide,
virtuosa e giovane dea della caccia e
della luna, un’arciera migliore di molti uomini, se non di
tutti.
Colei che mai si innamorerà di alcuno e che
passerà la
sua eternità in compagnia delle sue amate ninfe. Eppure non
è
sempre andata così.
Prima classificata al contest "Myth's POV" indetto da Writers
Arena
Un’amicizia fuori dai canoni
[11/09/08] Myth’s POV
[…] Dea della sonora caccia, vergine riverita, che uccide i cervi, saettatrice, sorella di Apollo dalla spada d’oro, che tra le colline ombrose e le cime ventose, godendo della caccia, tende il suo arco d’oro e scaglia dardi dolorosi. Tremano le vette delle alte montagne, la scura foresta terribilmente risuona del fragore delle belve, si scuote la terra e il mare pescoso.
[…] Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide così come la natura è ritrosa.
Inni Omerici (Erroneamente attribuiti ad Omero), riferimenti ad Artemide
Artemide, virtuosa e giovane dea della caccia e della luna, un’arciera migliore di molti uomini, se non di tutti. Colei che mai si innamorerà di alcuno e che passerà la sua eternità in compagnia delle sue amate ninfe. Eppure non è sempre andata così.
Faceva molto caldo, quella mattina.
Camminavo speditamente come mio solito, socchiudendo gli occhi di
tanto in tanto quando il Sole faceva capolino tra le alte fronde
degli alberi e mi toglieva per qualche breve istante la visuale,
accecandomi momentaneamente. Inutile cercare di spostarmi
più
all’ombra per evitare quel fastidioso inconveniente: neanche
lo
facesse apposta, la luce puntualmente mi raggiungeva e continuava ad
inseguirmi, abbagliandomi. Avrei dovuto parlare con il mio adorato
fratellino Apollo, un giorno o l’altro; rimanevo la
più
grande dei due dopotutto, e certi scherzi erano veramente infantili.
Cominciando ad innervosirmi, accelerai il passo con decisione ed ero
talmente assorta in quella sorta di gara, che il rumore che sentii mi
fece sobbalzare improvvisamente. Mi guardai nervosamente in giro;
quel giorno ero da sola, niente animali o amiche che potessero
rassicurarmi. Ero combattuta tra il desiderio di ignorarlo e
continuare per la mia strada e quello di andare a controllare; ma
dopotutto, sono una dea cacciatrice, e l’istinto a me
congenito
prevalse. Mi diressi in fretta verso destra, e quando sentii uno
strillo cominciai a correre. Mi ritrovai dopo poco in un piccolo
spiazzo lasciato libero dagli arbusti, nel cui centro si trovava un
piccolo stagno. E dentro lo stagno, una visione che mi fece scoppiare
a ridere. Un bambino se ne stava seduto nel mezzo, completamente
fradicio e con una foglia di ninfea in testa, posata sui suoi lunghi
riccioli biondi quasi come se fosse un ornamento, e sembrava
sull’orlo del pianto.
- Tutto bene, piccolo?
Quello mi guardò totalmente
disorientato, e rimasi colpita dal suo sguardo, azzurro e limpido
come pochi.
- No.
Piagnucolò tristemente. Io
sorrisi e mi appoggiai contro un tronco, rimanendo a guardarlo
divertita.
- Mi puoi… Ecco, potresti aiutarmi?
- Alzati in piedi, pargolo, e raggiungi
la riva. Ti assicuro che non è così difficile.
Il pargolo in questione gonfiò
le guance indispettito e cercò di rimettersi in posizione
verticale, ma quando mosse il primo passo il suolo scivoloso sotto i
suoi piedi lo tradì, facendolo crollare miseramente in
acqua.
E sempre con quella dannata foglia in testa.
A quel punto non riuscii più a
trattenermi e scoppia nuovamente a ridere, ignorando
l’occhiata
gelida lanciatami dal bambino, che ora più che mai mi
sembrava
l’imitazione di un ranocchio. Mi avvicinai alla sponda del
piccolo
stagno, e gli allungai una mano.
- Forza, sbrigati.
Lui mi sorrise felice e afferrò
la mia presa. Ma proprio quando stavo per tirarlo fuori, vuoi per
colpa di uno sbilanciamento improvviso, vuoi per uno scherzo di
cattivo gusto, mi ritrovai improvvisamente con il sedere a terra,
immersa fino alla cintola nell’acqua e con gli occhi
sgranati. Io e
il bambino ci fissammo qualche istante, io scioccata e lui
ammutolito. Poi mi scavalcò ben poco educatamente e si
aggrappò ai ciuffi d’erba che sporgevano dalla
riva,
riuscendo in qualche modo a tirarsene fuori, si voltò verso
di
me e mi tese una mano, come poco prima avevo fatto con lui. Con un
moto di stizza ed orgoglio mi rimisi in piedi, fingendo di non
vederla, ma quando – di nuovo – il fondo fangoso
cercò di
tradirmi, l’afferrai e con un solo passo riuscii a toccare di
nuovo
la terra. Lisciai nervosamente le pieghe bagnate del corto chitone
color zafferano, quello che mi aveva regalato mio padre e che mi
arrivava a malapena alle ginocchia, ideale per la caccia e
l’inseguimento. Ma decisamente altrettanto poco ideale per un
bagno
freddo fuori programma, nonostante l’aria calda che spirava
quel
giorno. Rimisi di nuovo a tracolla la faretra di frecce che avevo
precedentemente abbandonato sul terreno, cercando di ignorare le
risate di scherno che sentivo risuonare nella mia mente. Decisamente
paranoica, lo so, ma con un fratello gemello che approfitta di ogni
occasione per prenderti in giro, non posso far altro.
- Bella signora, fermati!
Mi bloccai stupita, mentre il moccioso
mi si affiancava sorridendo e mi tendeva la mano.
- Come ti chiami, bella signora?
Roteai gli occhi esasperata, cominciavo
a non sopportare più quel fastidioso moccioso biondo.
- Artemide, bimbo.
Il piccolo spalancò gli occhi
sorpreso e mi fissò con quel suo sguardo luminoso che tanto
mi
aveva colpita, prima che ricominciassi a camminare, con lui che mi
veniva dietro senza farsi alcun problema di sorta.
- Ma sai che ti chiami proprio come la
protagonista delle favole che mi raccontava la mia mamma?
Credo che sia stata solamente la mia
lunga esperienza con il mio “adorabile” gemello che
mi trattenne
dallo scoppiare a ridere istericamente dopo quell’esordio di
conversazione.
- Artemide… Ma di sicuro non sarai
mai coraggiosa come lei! E non saprai nemmeno trasformarti in una
cerva!
Mi fermai irritata.
- Mi stai sfidando, ranocchio?
Il “ranocchio” in questione si
limitò a rivolgermi un gran sorriso a trentadue denti e
sentenziò:
- Affatto, bella signora.
Sentii le mie spalle rilassarsi appena.
- Tanto lo sappiamo entrambi che non
puoi riuscirci.
La rabbia, ahimè, è uno
dei sentimenti che va per la maggiore negli dèi
dell’Olimpo,
ma che in me è sempre abbondata persino troppo, e un certo
Atteone sa di cosa stia parlando. Con uno scatto superbo tirai
indietro il mantello e, sotto gli occhi stupefatti del bimbo, mi
trasformai in un bellissimo esemplare di cervo femmina.
- Allora, piccoletto? Cosa ne dici
ora?
Mi fissò assorto per qualche
istante, come se dovesse decidere qualcosa di fondamentale, e in quel
momento mi sentii come Meti, la prima moglie di mio padre, nel
momento in cui, trasformatasi in mosca per sua richiesta, si
ritrovò
ingoiata dal suo “affettuoso” maritino.
Ovvero molto, molto
stupida.
- Bella signora, mi fai fare un giro
sulla tua schiena?
Credo che fu solo perché avevo
il muso che non boccheggiai. Mi ritrasformai immediatamente in donna
e lo fissai trucemente.
- Scordatelo. Non sono mica un mulo da
soma, sai?
Mi avviai verso il sentiero, tentando
di ignorarlo mentre trotterellava di nuovo al mio fianco, quasi
correndo per riuscire a sostenere i miei lunghi passi. Ogni tanto
incespicava in una zolla erbosa che spuntava a tradimento dal
terreno, ma non udii mai un lamento uscire dalle sue labbra.
Inconsciamente, rallentai il mio ritmo e lo adattai un po’ di
più
al suo. Egli non sembrò accorgersene, concentrato
com’era
nel tentativo di non dare a vedere la sua difficoltà.
- Come ti chiami, marmocchio?
Il bambino mi guardò con un
misto di tristezza e dolcezza che per poco non mi commosse. Per poco.
- Non ho più un nome, non me lo
ricordo.
Capii che stava mentendo, ma di bambini
esposti ne avevo visti tanti in vita mia, e anche se quello era
grandicello, mi veniva spontaneo considerarlo alla stessa stregua di
un neonato abbandonato alle pendici di un monte. Feci finta di
ragionarci un po’ su, e sorrisi perché riuscivo ad
avvertire
la sua curiosità farsi sempre più grande mano a
mano
che il silenzio si prolungava.
- Allora un nome te lo darò io.
Visto che ti ho trovato in uno stagno come una rana, ovvero
un
βάτραχος,
ti chiamerò Batraco.
- Ma Batraco è un nome orrendo!
Sogghignai tra me e me per quella
piccola rivincita. Dea contro ranocchio, 1 – 0.
A poco a poco mi avvezzai a quello
strano esserino biondo; si abituò in fretta alle
mie compagne
e ai miei cani, e loro a lui. Neppure le altre creature della foresta
lo evitavano, proprio come non evitavano me; gli insegnai a cacciare
e durante i nostri balli ci allietava con il suono del proprio
flauto, che gli aveva regalato il dio Pan durante una delle sue
escursioni amichevoli nella nostra comitiva. Solamente dopo pochi
mesi era diventato una specie di portafortuna dell’intero
Pantheon:
mio fratello ebbe anche l’ardire di proporgli un giro sul suo
carro. Ovviamente, mi opposi con tutte le mie forze; Apollo
sarà
anche un buon cocchiere, ma è sempre stato profondamente
distratto. Niente di più facile che riuscisse a perderselo
per
strada, a dirla tutta. Ma il piccolo strepitò, si
lagnò,
mi tormentò a tal punto che dovetti prendere il mio, bardare
i
miei cervi e realizzare finalmente quel suo assurdo desiderio.
Ovviamente ero uscita di notte, con la luna d’argento sulla
mia
fronte che simboleggiava il primo quarto, e la luna dietro di me che
ne era la perfetta copia. Quando tornammo a terra era ormai
l’alba,
e quando scendemmo trovammo Britomarti ad aspettarci, una ninfa
nostra compagna. Mentre affidavo il cocchio ad altre due giovani e
Batraco si lasciava coccolare da Alie e Nesea, la ninfa mi prese da
parte e mi disse divertita:
- Non hai mai fatto salire neanche me
su quel carro. Non ti sembra strano?
Evitai di guardarla in faccia,
chinandomi a raccogliere uno dei finimenti sfuggiti ad una delle
ninfe dei fiumi adibite alla cura della mia persona e a quella dei
miei cani e dei miei cervi. Glielo porsi osservandola sorridere di
risposta e voltai le spalle a Britomarti, dicendole:
- Non dire sciocchezze. Non l’ho mai
fatto perché grazie a Zeus non ti sei mai gettata a terra
urlando a tal punto da far scappare le mie prede.
La risata cristallina di Britomarti
continuò a risuonare a lungo dietro di me, mentre Batraco le
saltellava allegramente intorno tormentandola per sapere anche lui
cosa la facesse tanto ridere.
Batraco soffriva di incubi. Qualche
notte mi svegliavo per il suo pianto disperato, e non c’era
niente
che potessi fare per fermare il suo dolore, se non tenerlo stretto
mentre si sfogava. Non ho idea di che infanzia abbia vissuto prima di
incontrarmi. Non sono certa di volerlo sapere; conoscendomi, sarebbe
rimasto l’unico a portare avanti il nome della sua famiglia.
Batraco stesso non mi rivelò mai nulla, forse nel tentativo
di
dimenticare prima. Ogni tanto, anche le altre ninfe ci raggiungevano
e si mettevano in cerchio intorno a noi, finché la bella
Alimede non intonava una dolce ninnananna e il bambino si
addormentava piano piano, stringendo saldamente il mio chitone tra le
piccole mani, mentre io sussurravo piano quella ninnananna
accompagnando Alimede e le altre sottovoce, senza farmi sentire da
altri se non da lui.
I primi anni trascorsero così:
nelle mie battute di caccia e corse mattutine si aggiunse ben presto
anche Batraco, dimostrando una resistenza del tutto inaspettata.
Continuò a suonare per noi con molta maestria, tanto che
spesso mio fratello mi disse ridendo che prima o poi se lo sarebbe
portato via per farne un suo discepolo. L’ultima volta la mia
risposta fu così feroce e seccata che non osò
scherzarci nuovamente sopra. Zeus guardava con sincera
curiosità
questo rapporto così strano che avevo creato con il piccolo
uomo, mentre Era malignava che non riuscendo a trovarmi un marito, mi
ero ripiegata su Batraco per disperazione.
Be’, di sicuro non ero io quella che
scagliava figli dalla cima dell’Olimpo per avvilimento e
frustrazione provocati da un marito infedele.
Più cresceva, più
diventava difficile rimproverarlo. Si divertiva a prendere in giro un
po’ tutti, ma alla fine la schiva Artemide si arrendeva
sempre ai
suoi scherzi e molte volte si univa perfino a lui e alle ninfe di
volta in volta coinvolte nei suoi biechi tiri; per poco un giorno non
venne azzoppato da un adirato Ares a cui era stata sottratta la sua
lancia preferita. Riuscii ad intervenire appena in tempo, ed il mio
fratellastro mi urlò contro tutto il suo rancore:
- Tieni lontano il tuo bastardo, donna,
o altrimenti sarà peggio per lui.
Non mi preoccupai particolarmente per
quelle minacce che sapevo, in fondo, essere vuote: già il
giorno dopo immaginai il dio della guerra in preda
all’ennesimo
litigio con Hermes. Quello che mi preoccupò invece fu
l’atteggiamento dell’ormai sedicenne Batraco: ne
rise molto
insieme alle altre ninfe oceanine mie compagne, mentre Britomarti ed
Alimede al contrario mi guardavano con una strana ombra negli occhi,
che non mancai di notare.
- Batraco, vedi di non ripetere mai più
un errore del genere. Andare contro uno degli dèi del
Pantheon! Ti deve essere andato in fumo il cervello.
Il ragazzo, seduto nell’erba ed
intento a fabbricarsi delle nuove frecce, sembrò non darmi
particolarmente ascolto, ma mi accorsi distintamente dei sorrisi
più
larghi che si facevano le altre.
- Moccioso, dico sul serio: nemmeno io
arriverei a tanto.
“Se non altro per la stupidità
del soggetto”, pensai avvilita, rimembrando la testa calda e
l’assurda arroganza di Ares, che lo escludevano da qualsiasi
discussione intelligente e ponderata.
- Pensi forse di essere migliore di me
per poterti prendere certe libertà? Migliore di una dea, di
una delle figlie predilette di Zeus, di colui che le ha concesso di
avverare i suoi desideri quando ancora era una bambina?
Vedevo il suo capo ondeggiare, e i
volti delle altre cercare di combattere contro il riso. Afferrai il
mio arco e lo sbattei con forza sulla testa di Batraco, mentre Nesea
ed Eulimene non riuscivano più a contenersi e scoppiavano a
ridere sonoramente.
- Così impari a scimmiottarmi.
- Dea assurda e volubile! Si può
sapere cosa ho fatto stavolta?
Lo squadrai dall’alto in basso e
risposi:
- Smettila o ti lascio in pasto ad Era.
E sai che lo farei con gioia.
Batraco sbiancò e si rimise a
separare le piume migliori per i nuovi dardi. Io sorrisi soddisfatta.
Dea contro ranocchio, 1- 0. Di nuovo. Almeno per quel giorno.
A volte, anche se scherzando, gli avevo
proposto di prendere in sposa una di quelle ragazze che ogni tanto
capitavano nel bosco, e dalle quali io e le altre fuggivamo, sempre
ritrose a farci vedere. Ma se questo era giusto per noi esseri
immortali, per Batraco non lo credevo opportuno. Sposarsi, mettere su
famiglia… Tutte cose per me inconcepibili, e che facevo
fatica a
nominare, soprattutto di fronte a lui.
Ma egli rifiutò sempre. Oggi ho
una teoria per il suo comportamento, ma non saprò mai cosa
frullasse veramente nella sua testa. Continuammo a lungo con la
nostra solita vita, finché poco a poco cominciò a
venire sempre di meno alle nostre gare di velocità personali
(non che mi avesse mai battuto, ma gareggiare con lui dava un certo
sprone al tutto) e sostituì sempre più spesso gli
inseguimenti delle sue prede con delle ingegnose trappole che spesso
avevamo trovato nel bosco, oppure con le reti per la caccia inventate
da Britomarti.
Gli anni passavano per Batraco, calmi
ed inesorabili.
Mentre io e le mie compagne rimanevamo
intrappolate nel nostro tempo bloccato per sempre.
Osservavo le sue abili mani afferrare
la lepre che aveva appena catturato e scuoiarla con il coltello,
mentre io avevo già acceso il fuoco e sedevo contro
l’alto
tronco di una quercia. Qualcosa mi strinse dolorosamente lo stomaco
quando notai un lieve tremito nei suoi movimenti e distolsi lo
sguardo, incapace di sostenere altro. Credo che mi appisolai,
perché
quando con un fruscio si sedette accanto a me e mi porse la mia parte
di carne, quella era già pronta e ben cotta.
L’afferrai e
cominciammo a mangiare, seduti fianco a fianco, senza guardarci
né
parlarci. Fu con molta fatica che interruppi il silenzio, quando
ormai solo l’idea di buttar giù un altro boccone
mi era
divenuta insopportabile.
- Batraco…
- Artemide, ne abbiamo già
parlato. È giusto che vada in questo modo.
Mi accorsi chiaramente dell’ondata di
rabbia e paura che mi assaliva. Ormai, riguardo a
quell’argomento,
era sempre così. Respirai a fondo per cercare di calmarmi;
non
sapevo come comportarmi, non avevo mai dovuto affrontare una
situazione simile in tutta la mia secolare esistenza.
- Non ne abbiamo parlato. Tu
hai deciso così e io non ho potuto oppormi in alcun modo.
- Non ti sei mai opposta?
Il riso amaro di Batraco mi sorprese,
facendomi sentire ancora peggio. Osservai la barba grigia che si era
lasciato crescere anni indietro e le profonde ombre sotto i suoi
occhi stanchi, stanchi come la sua anima.
- Pensi che non mi sia mai accorto che
le mie ferite si rimarginavano prima del dovuto, che il dolore che
avrei dovuto provare era molto attenuato rispetto a quello che mi
spettava? Che non abbia mai notato che allungavi la mia vita fin dove
ti era possibile?
- Tu non capisci…
Mormorai, con le lacrime agli occhi. Mi
morsi piano il labbro inferiore per trattenermi e strinsi un lembo
del chitone tra le dita.
- Stai passando quello che gli esseri
umani provano almeno una volta nella vita, la perdita di una persona
cara. L’essere, il divenire e la morte, la fine di tutti i
giochi.
Non c’è cosa più naturale al mondo. Non
c’è
altra certezza, al mondo.
Rispose con dolcezza. Ed è qui
che si sbagliava. Io non avrei mai visto il crepuscolo della mia
vita, avrei continuato a vivere per sempre, senza alcuna speranza di
potermi un giorno ricongiungere a lui.
L’immortalità non
pesò mai sulla mia realtà più di quei
mesi
interminabili e al contempo così brevi nei quali presi la
consapevolezza che il mio inseparabile compagno mi sarebbe stato
presto sottratto per sempre.
- Non puoi combattere la Moira, tutti
gli Dèi sono costretti a cedere al suo volere, lo sai meglio
di me. Io mi sono già rassegnato a quello che
sarà…
- Ma perché non vuoi divenire
immortale, perché non vuoi che faccia qualcosa?
Mi sentivo totalmente impotente, posta
davanti a qualcosa contro cui non potevo combattere, per la prima
volta da quando ero nata. Batraco mi guardò con quel suo
sguardo limpido che tante volte avevo ammirato e vidi i suoi occhi
farsi lucidi.
- La sorte di ogni essere umano è
quella di morire, prima o poi, e io non faccio eccezione. Il mio
destino era già scritto prima che nascessi, e non potrei
desiderare dalla vita altro che quello che già possiedo e
quello che ho vissuto. Passare la mia esistenza accanto a te
è
stata un’esperienza unica, e per la quale
ringrazierò finché
avrò fiato in corpo e spirito nel cuore gli dèi.
La sua voce tremò appena e fu in
quel momento che iniziai a piangere, abbracciando il mio amato
moccioso e singhiozzando contro il suo petto senza alcuna paura di
mostrarmi debole. Le sue braccia mi avvolsero e mi accarezzò
la testa nello stesso modo in cui, tanti anni prima, una giovane ed
ancora inesperta ragazza aveva fatto con un bambino che si era appena
svegliato da un incubo particolarmente spaventoso. Mi abbandonai
contro il corpo di Batraco fino a che non mi addormentai, sfinita dal
lungo pianto. La mattina dopo nessuno di noi due toccò
più
l’argomento, e non lo facemmo neppure nei mesi che vennero
dopo.
Non serviva più.
Il mio amore verso lui si è pian
piano trasformato da quello di una sorella verso il proprio
fratellino, a quello di una madre verso il proprio figlio, arrivando
a quello di una figlia per il proprio padre.
Ogni volta che questo affetto cambiava
e si tramutava in qualcosa di diverso, ero triste come se perdessi
qualcosa, eppure la consapevolezza del nuovo stadio raggiunto mi
riempiva di serenità.
E ora, chi ci vedesse da lontano
vedrebbe solo una giovane che si allontana con calma nella collina,
procedendo di fianco ad un vecchio, probabilmente il padre, che si
sorregge ad un lungo bastone, dirigendosi verso il tramonto. Eppure,
se si osservasse con attenzione, si riuscirebbe a distinguere nella
distesa d’erba dietro loro, l’ombra di una
giovinetta dal corto
chitone, una mano appoggiata sulla cinghia della faretra e
l’altra
che tiene ben salda l’ombra di un bambino che le arriva a
stento a
metà coscia e che dondola spensieratamente il braccio libero
lungo il fianco, camminando quasi a passo di marcia per raggiungere
le lunghe falcate dell’altra.
Eppure, in un battito di ciglia le due
figure svanirebbero per sempre dalla vista, inghiottite dalla lunga
notte che li aspetta.
Prima qualificata:
Un'amicizia fuori dai canoni di Lely1441
Punteggio: 8.65
Giudizio di Ciuiciui:
Artemide, la bella dea cacciatrice, un giorno incontra il piccolo
Batraco.
Un ragazzino impertinente che la stuzzica e la prende anche un po' in
giro, ma che si riesce a legare indissolubilmente alla dea.
Eppure per Batraco l'età avanza, mentre Artemide
è costretta a vedere all'avanzare della sua età
senza poter far niente di effettivo, poiché Batraco si
oppone alla vita eterna.
Senza dubbio il finale un po' aperto sul finale spiazza un po' il
lettore, eppure questa storia per i suoi alternare scherzosi, ai temi
più seri e tristi come la perdita di una persona cara
appassiona e prende il lettore, commuovendolo ed emozionandolo.
Giudizio di Sonsimo:
La protagonista di questo bellissimo racconto è Artemide,
che con semplicità, così come semplice ed
espressivo è lo stile dell’autrice, ci racconta
del suo rapporto con Batraco, di questa amicizia tra una dea e un
essere umano che, nata quasi per gioco, si trasforma in una relazione
molto profonda, che attraversa diverse fasi, segnate dalle stagioni
della vita di Batraco stesso.
La storia è molto ricca, sono presenti diversi riferimenti
ad altri personaggi mitologici che la inseriscono bene nel contesto. In
particolare molto divertenti i riferimenti ad Apollo, specie quello
iniziale, quando Artemide cammina per la foresta e non riesce a
sfuggire ai raggi del sole che la accecano.
Il carattere della protagonista è reso molto bene tramite i
suoi pensieri ed è stato fatto un ottimo lavoro anche con il
personaggio di Batraco, che da bimbetto spaventato si trasforma in
giovane sconsiderato, arrogante come tutti i ragazzi di
quell’età, al punto da sfidare una
divinità, fino a diventare un anziano saggio, ormai sulla
via del declino. E parallelamente si sviluppa il suo rapporto con
Artemide, che è per lui sorella, madre e figlia.
Lo stile semplice rende la storia fluida e molto piacevole da leggere.
Grammaticalmente corretta, è presente solo qualche errore di
battitura isolato e di punteggiatura, ma nulla di davvero rilevante.
Grammatica
e sintassi: 9
Capacità espressiva: 8.25
Capacità argomentativa: 8.5
Capacità critico-rielaborative: 8.75
Originalità e creatività: 8.75
Infine, di nuovo
grazie ai giudici e alle altre partecipanti, di tutto quanto ^^ Ecco
dove potete trovare il bando: Writers
Arena
Un grazie
infinito anche alla mia nee-chan e alla mia gemu, senza di loro sarei
annegata nell'angoscia pre-consegna XD
Kissoni!